Cast: David Corenswet, Jeremy Pope, Darren Criss, Laura Harrier, Jake Picking, Samara Weaving, Joe Mantello, Jim Parsons, Patti LuPone, Holland Taylor, Dylan McDermott, Mira Sorvino, Mauda Apatow, Queen Latifah, Michelle Krusiec
Lo dico subito, così potete incazzarvi con me subito: non mi ha convinto un granché, la miniserie Hollywood. Dico anche un'altra cosa subito: io sono un fan di Ryan Murphy, quindi non ho intenzione di attaccarlo. Produce, scrive, dirige, crea, distrugge talmente tante cose che alcune volte ci prende, altre meno. Spesso divide in maniera estrema. Nip/Tuck per esempio per alcuni era troppo trash e forzatamente provocatorio, per me ha cambiato radicalmente il volto alla TV contemporanea, a colpi di chiurgia estetica ma soprattutto grazie a delle trovate coraggiose e rivoluzionarie.
Il mondo è stato decimato da una serie di tempeste solari che hanno trasformato la superficie terrestre in un deserto radioattivo ed è diventato così un posto davvero triste. L'unico blog di cinema rimasto è Pensieri Cannibali, riuscite a immaginare qualcosa di più triste?
Nel desolante panorama della critica cinematografica, la voce di Cannibal Kid detta quindi legge. Se un film piace a lui, tutti corrono a vederlo. Se lui lo boccia, il pubblico diserta le sale. Pensieri Cannibali in pratica possiede il monopolio delle opinioni sui film.
Questo almeno fino all'arrivo di Ford-800, un robot automa incapace di sviluppare pensieri propri, programmato apposta dalle major cinematografiche riunite che gli fanno scrivere ciò che vogliono loro. Il suo blog, WhiteRobot, nelle ultime settimane ha ottenuto un successo crescente, che Pensieri Cannibali ha cercato di contrastare sparando opinioni sempre più astruse e anti popolari. Una scelta strategica non proprio azzeccata che l'ha portato a perdere ulteriori lettori.
Questa che vi proponiamo qui sotto è la sua ultima recensione dedicata al film Automata. Una pellicola apprezzata da quasi tutti quelli che l'hanno vista, ma non da Cannibal Kid. Dopo questo post, Pensieri Cannibali ha perso così anche i suoi ultimi utenti ed è stato smantellato. Adesso al suo posto è stato aperto un Carrefour.
Cast: Maggie Q, Dylan McDermott, Mariana Klaveno, Victor Rasuk, Elisabeth Röhm
Genere: thrilla
Se ti piace guarda anche: The Following, Scream, Pretty Little Liars
Per me Kevin Williamson è quasi come un Dio.
O dovrei dire che è persino meglio di Dio?
Se dovessi fare una classifica delle mie, le posizioni delle persone/entità da venerare seguirebbero quest'ordine:
- David Lynch
- Quentin Tarantino
- Kanye West
- Kevin Williamson
- Dio
Mi spiace Dio, ma non sei in cima alla mia lista. Davanti a te creatore dell'Universo c'è Kevin Williamson, il creatore di Dawson's Creek e Scream.
Negli ultimi tempi la mia Fede in Williamson ha però cominciato a vacillare un pochino. La sua ultima creatura telefilmica è stata The Following, una serie thriller che ben presto più che tensione ha regalato un sacco di risate. Se non altro, resta sempre uno dei miei guilty pleasure preferiti, oltre che una delle sitcom più divertenti in circolazione insieme a Under the Dome, e non vedo l'ora di gustarmi la terza stagione nel 2015.
Nell'attesa, il prolifico Kevin Williamson ha firmato una serie tutta nuova per CBS che segue un po' le orme thrilla di The Following. D'altra parte una serie con un titolo del genere è fatta apposta per essere followata, almeno dal suo stesso autore.
E di cosa parla questo Stalker?
Se non siete proprio lenti di comprendonio, potrete facilmente intuire che parla di...
Stalker!
Nooo, davvero?
"Maggie, quando ti ho chiesto di infilare il guanto,
non era esattamente questo ciò a cui pensavo..."
Proprio così e lo fa a 360°. Al centro di tutto vi è infatti una unità speciale che si occupa di casi di questo tipo. Una task force capitanata da Maggie Q, la bonazza orientaleggiante rimasta disoccupata dopo la fine della serie Nikita, e aiutata dal suo nuovo braccio destro Dylan McDermott, cassintegrato dopo la prematura dipartita della serie Hostages. La cosa figa è che lei, Maggie Q, da buona bonazza che si rispetti, ha un misterioso passato in cui è stata vittima di stalkeraggio selvaggio e pure adesso si è subito conquistata un nuovo maniaco che la perseguita, mentre lui, Dylan McDermott, era, e probabilmente è ancora, uno stalker che non perde di vista l'ex moglie e suo figlio.
In pratica, in questa serie tutti sono stalker o stalkerati, o tutte e due le cose insieme.
Raccontata così, questa novità telefilmica fa la figura di una cacchiata pazzesca e un po' lo è. Allo stesso tempo, si candida pure al ruolo di potenziale nocivo guilty pleasure dei prossimi mesi, un valido surrogato in attesa che riparta l'esilarante The Following.
Oltre che come cacchiata, la serie si presenta anche come un crime classico, giusto con la variante della specializzazione in stalkeraggio, e in più è impreziosita dall'inconfondibile tocco di Kevin Williamson, che fin dall'episodio pilota si nota in alcuni particolari. Innanzitutto i dialoghi ricchi di riferimenti alla pop-culture e soprattutto al cinema. Il suo è un caso di citazionismo estremo che in questa prima puntata non poteva non toccare il sommo esempio cinematografico di stalkeraggio: Attrazione fatale. Inoltre, la gestione della trama thriller e il comportamento degli psicopatici di turno ricorda Scream e The Following. Infine, per quanto questa sia una serie “adulta”, Williamson non ci fa mancare pure qui un minimo del suo tipico tocco teen, con la presenza di una sottotrama ambientata in un college e l'apparizione di due attori di serie adolescenziali come Torrey DeVitto da Pretty Little Liars e One Tree Hill e Daren Kagasoff (sentitevi liberi di prenderlo per il culo per il suo cognome) da La vita segreta di una teenager americana.
Kevin Williamson allora è cresciuto, gioca a fare l'autore di serie per un pubblico di grandi, ma non rinnega le sue origini teen. Per quanto la creatività dei tempi di Scream e Dawson's Creek sia solo un lontano ricordo, l'ex ragazzo ormai adulto sa ancora come scrivere un pilot accattivante e a suo modo riuscito, dando vita a una nuova serie di quelle che uno non si vanta in giro di guardare come Breaking Bad o True Detective. Williamson ha creato una nuova serie di quelle che tutti seguiremo di nascosto, come se fossimo degli stalker.
(voto 6+/10)
"Cannibal Kid ha davvero promosso la nostra serie?
Incredibile, è il primo "critico" al mondo ad averlo fatto!"
Se ti piace guarda anche: Detention, Hard Times – Tempi duri per RJ Berger, Fatti, strafatti e strafighe, American Pie
È sempre il momento di fare una commedia, diceva una volta un tizio saggio, Nanni Moretti. Ed è sempre il momento di guardarla.
Ci sono giornate lunghe, interminabili, in cui tutto quello che deve andare storto va storto. Al termine di quelle giornate, un film ti può far star meglio. Non importa che cinematograficamente sia irrilevante, che la sceneggiatura sia un pastrocchio di proporzioni clamorose o che, a essere ancora generosi, sia definibile come una porcatona incredibile.
Ho visto Comportamenti molto... cattivi alla fine di una di quelle giornate, una di quelle proprio pessime, e mi ha fatto dimenticare per un'ora e mezza tutti i miei problemi, che anch'essi sono piuttosto irrilevanti, perlomeno se paragonati ad esempio a quanto capita ai protagonisti di Colpa delle stelle. Però sono quelle situazioni fastidiose che ti fanno comunque girare le palle, che ti consumano da dentro e tu non sai che fare per porvi rimedio e continui a rimuginarci sopra. Poi ti guardi una robetta come questo film e, almeno per un po', dimentichi tutto e ti senti più leggero.
Comportamenti molto... cattivi è un film molto... cattivo. Nel senso che è di pessima qualità. Su IMDb ha una media voto del 4.3, la critica americana l'ha sberleffato, il pubblico l'ha perlopiù ignorato, i colleghi blogger che avranno il coraggio di vederlo ne diranno peste e corna.
Nonostante tutto questo, io non posso parlarne male. Mi ha tirato su in una giornata giù e quindi io gli voglio bene.
Si può volere bene a un film?
Sì, si può.
Non è amore, perché questa è comunque una pellicola penosa, lo ammetto senza problemi. Però gli voglio bene come a un amico che ti dice che tutto andrà bene. Everything's gonna be alright. Non importa che ciò sia vero o meno, anche perché alla fine everything's never gonna be alright. L'importante è che te lo dica comunque.
Questo film è una supercazzola. Al suo interno mescola in maniera casuale varie cose: una base teen, una spruzzata di scene sessuali alla American Pie/RJ Berger, un bel po' di demenziale alla Fatti, strafatti e strafighe e Scemo & più scemo, un tocco leggero di crime story, ovviamente paradossale e buttato lì nel mezzo alla cazzo di cane, un misto di situazioni da 90s movie con una colonna sonora orientata verso gli 80s e pure una storiella sentimentale da romcom classica.
Tutti questi variegati elementi sono messi insieme alla rinfusa, senza troppa cognizione di causa. A volte si tenta la strada della pellicola goliardica e caciarona, ma senza mai spingere troppo sul pedale dell'eccesso, purtroppo. Altre volte si prova a imboccare la via della commedia anni Ottanta alla John Hughes, ma senza mai raggiungerne i livelli neanche da lontano, purtroppo di nuovo.
Discorso simile per il cast, che mescola giovani promesse come il protagonista Nat Wolff, già visto nel ben più notevole Palo Alto di Gia Coppola e nel già citato Colpa delle stelle, e Selena Gomez, poco espressiva ma bona, con MILF come Elisabeth Shue, Heather Graham e Mary-Louise Parker, con vecchie glorie come Gary Busey e Cary Elwes, più un'auto ironica apparizione di Justin Bieber. Tutti insieme casualmente, più che appassionatamente.
"Beccati questo, Justin Bieber!"
"Hey Selena, ma chi è quello lì?"
Niente insomma in questo film funziona come dovrebbe. Tutto quello che deve andare storto va storto. Come in una giornata da dimenticare. E pure questo sarebbe un film da dimenticare. La combinazione: giornata disastrosa + film disastroso alla fine può però dare a sorpresa un risultato positivo. Una robaccia come Comportamenti molto... cattivi vista in un momento normale può sembrare una merda, e probabilmente lo è davvero, ma se riesce a risollevarti il morale dopo una giornata di merda, vuol dire che il suo porco lavoro l'ha fatto. Niente male, per uno schifo di film.
Sceneggiatura: Creighton Rothenberger, Katrin Benedikt
Cast: Gerard Butler, Aaron Eckhart, Rick Yune, Radha Mitchell, Morgan Freeman, Melissa Leo, Angela Bassett, Ashley Judd, Finley Jacobsen, Dylan McDermott, Robert Forster
Genere: patriottico
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Americanata.
Provate a cercare questo termine su un dizionario e probabilmente non la troverete. Anche perché probabilmente un dizionario in casa vostra non lo troverete. Ormai, con Internet, con Wikipedia, a che ve serve, ah ignoranti?
Nell’edizione 2014 del dizionario Garzanti, se mai la comprerete, di fianco alla parola “Americanata”, è probabile che troverete la locandina di questo film: Olympus Has Fallen – Attacco al potere. Già dal titolo originale, ci sente puzza di magniloquenza (non conosci il significato di questa parola? scoprilo qui!) a stelle e strisce lontana un miglio. L’Olympus sembra infatti riferito al governo americano e alla Casa Bianca, giusto per non esagerare. Così come il titolo, tutto in questo film trasuda grandezza. A parte il risultato complessivo, davvero modesto.
"Presto, Presidente, dobbiamo scappare!"
"Che c'è, ci stanno attaccando?"
"No, sta per iniziare la partita di football!"
"Azz, muoviamoci. Che sto facendo ancora con questi musi gialli?"
La prima scena dovrebbe mettere la pulce nell’orecchio. Il film di Antoine Fuqua, in un tempo lontano regista del cazzuto Training Day, punta immediatamente a giocare con i sentimenti dello spettatore, con una tragedia che manco Everwood o un film tratto da Nicholas Sparks avrebbero osato piazzare subito. Mentre si trova a Camp Davis, il Presidente degli Stati Uniti ha un incidente micidiale e la sua auto rimane in bilico su un burrone. Il suo paggetto, pardon addetto alla security Gerard Butler, deve decidere cosa fare e riesce a salvare soltanto il Presidente, mentre la First Lady viene sacrificata e finisce morta stecchita in fondo al burrone. Un inizio estremamente drammatico che poi non si rivelerà così fondamentale per gli sviluppi della storia e che quindi sa tanto di ruffianata strappalacrime messa lì alla cazzo di cane tanto per provare a strapparci il fazzoletto dalle tasche. Missione fallita, Fuqua. L’espediente ultra drama te lo sei giocato troppo presto, quando ancora non eravamo minimamente affezionati ai personaggi, perciò che c’è frega se muore la First Lady dopo una sola scena?
Non che con il resto della visione ci si affezioni in qualche modo ai personaggi, comunque…
"Oh, no. Ci hanno colpiti con un attacco a sorpresa!"
"Nucleare? Chimico?"
"No, un astuto uso combinato di biglie e bucce di banana per farci scivolare!"
18 mesi dopo, Gerard Butler lavora in ufficio e non è più a capo della security del Presidente. Il trauma per quanto successo è ancora troppo forte, ma non è niente rispetto a quello che succederà di lì a poco. E cosa succede?
Lo spunto politico della pellicola è più attuale che mai, o almeno lo era ai tempi dell’uscita nei cinema lo scorso aprile, mentre ormai è stato sorpassato dalla questione siriana. Nel film, la minaccia nucleare da parte della Corea diventa realtà, in una maniera però ancora più minacciosa di quanto si potrebbe immaginare. I coreani prendono d’assalto la Casa Bianca, ne fanno saltare per aria metà, rapiscono il Presidente (un Aaron Eckhart per una volta per nulla convincente) e uccidono tutti. Quasi tutti. Gerard Butler, che passava di lì per caso, è vivo e vegeto ed è pronto ad eliminare la minaccia coreana. Da solo. L’americanata, pardon il film, si gioca la carta del one man’s hero, l’uomo, l’eroe che da solo salva tutto e tutti. Come Bruce Willis in Die Hard, solo senza lo stile, l’ironia, la figosità di Bruce Willis in Die Hard. Yippie-ki-yay, Butler-fucker, non vali un cacchio al suo confronto. Ma proprio niente. E mi riferisco ai primi episodi della saga, non all’ultimo orribile Die Hard – Un buon giorno per morire.
"Corea o Siria?"
"Beh, io preferirei andare in Siria. Dovrebbe fare più caldo."
"Ma Presidente, io intendevo quale bombardare, non dove andare in vacanza..."
Olympus Has Fallen cade anche sulla tematica terroristica. Nel post-11 settembre, tutto quello che c’era da dire sul tema è già stato detto e fatto nella serie 24. Non bastasse John McClane, pure Jack Bauer in un confronto massacrerebbe alla grande il povero inutile poco credibile Gerard Butler versione action hero. Dopo Zero Dark Thirty, poi, e la serie capolavoro Homeland, dico Homeland, una pellicola del genere è un brutto, orribile ritorno al passato. Il passato degli action movies anni Ottanta imitato in maniera pessima e di cui restano giusto gli aspetti più trash, dalle musiche esageratamente enfatiche a un Morgan Freeman che di americanate non se ne perde una, fino ai soliti cattivoni stereotipati, qui capitanati da Rick Yune (che si legge "ricchiune") visto in L’uomo con i pugni di ferro, che cercano di togliere agli americani il loro splendido way of life. Ma tanto sappiamo già tutti come andrà a finire per loro.
E non dite che vi sto spoilerando qualcosa, perché se vi aspettate delle soprese o dei colpi di scena clamorosi da un film del genere siete messi peggio degli autori di questa...
Americanata. Non c’è altro modo per definirla. Per di più, un’americanata fatta male. Molto male.
Caro amico, ti scrivo perché ho visto un film bellissimo. Sarebbe piaciuto molto anche a te. È ambientato nei primissimi anni ‘90 e so quanto a te piacciano le pellicole ambientate in quel periodo. E poi è una storia teen, tratta di tematiche come il suicidio, le difficoltà ma anche i vantaggi di essere un wallflower, uno che fa tappezzeria, un ragazzo da parete, uno che non fa parte dei tipi cool della scuola. Uno come noi. Ricorda vagamente Donnie Darko, ma senza la componente fantascientifica e horror e ricorda anche Il giardino delle vergini suicide, ma con tinte più comedy. Insomma, lo avresti a-do-ra-to.
Così come avresti adorato i tre protagonisti, 3 dreamers meno incasinati sessualmente di quelli di Bertolucci. Siamo pur sempre in America e non nella più libertina Francia. Il protagonista, Logan Lerman, è il classico ragazzino su cui non avresti scommesso due euro nemmeno tu appassionato di robe adolescenziali. Ha fatto Percy Jackson, che poi non era nemmeno tanto terribile come tutti dicono, e lì non è che sembrasse un attore fenomenale. Nemmeno qui sembra fenomenale, eppure è perfetto nella parte del wallflower.
Il meglio arriva comunque con i due comprimari. Emma Watson pure lei proviene dal fantasy, dalla saga di Harry Potter in cui si rivelava come la migliore tra i giovani maghetti. La cosa più magica dell’intera serie era vederla trasformarsi da bimbetta secchiona so-tutto-io a donnina con tutte le cose al posto giusto. L’esame di maturità l’ha però passato solo ora. In questo film illumina la scena, è la “ragazza più carina della stanza”, senza dubbio.
E poi c’è Ezra Miller, il ragazzino disturbato dei raggelanti Afterschool e …E ora parliamo di Kevin, ora alle prese una volta tanto con un personaggio non da ragazzino disturbato, bensì di un tizio originale, sempre sopra le righe, uno che recita la parte del “dolce travestito” del The Rocky Horror Picture Show e che prende per il culo i professori. L’interpretazione di Ezra è qualcosa di fenomenale, mi ha ricordato l’energia anarchica di Heath Ledger ai tempi dei suoi esordi teen in 10 cose che odio di te. Quanto avevi amato quel film, vero? In quel caso, l’ispirazione per il film veniva dal Bardo Shakespeare. In questo film, invece, l’ispirazione è decisamente più recente.
"Sono la regina del mondo! (Col cavolo che ti pago il copyright, maledetto James Cameron)"
The Perks of Being a Wallflower, così si chiama il film di cui ti sto parlando in questa lettera, è sceneggiato e girato da Stephen Chbosky a partire da un suo stesso romanzo epistolare, uscito in italia con il titolo Ragazzo da parete. Chbosky, non chiedermi come si pronuncia, è stato anche il co-creatore della serie tv Jericho che, lo confesso solo a te, non è che fosse un granché. Il suo Ragazzo da parete è stato un romanzo parecchio discusso, negli USA, ed è diventato un piccolo grande cult, negli USA. In Italia invece è passato piuttosto inosservato, ma la cosa certo non ti sorprenderà.
Le parole comunque non credo possano bastare per riportare tutta la poesia di questo film, il suo riuscire a raccontare in maniera perfetta il periodo dell’adolescenza, il periodo all'incirca della nostra adolescenza, sia nel suo lato più merdoso e complicato, sia nello stupore di vedere e fare cose per la prima volta. Perciò insieme alla lettera ti allego una cassetta. Ti ho fatto una musicassetta mixtape, come quelle che ti preparavo una volta. È il modo migliore per “sentire” questo film. Dentro c’ho registrato i pezzi più significativi della colonna sonora. Spero ti piacciano, ce n’è un po’ per tutti i momenti.
Dentro trovi la ninna nanna perfetta che ti accompagnerà nel mondo dei sogni.
Il pezzo con cui scatenarti sulla pista da ballo.
La canzone con cui non sei una storia triste, ma ti senti vivo.
Caro amico, mi sarebbe insomma piaciuto molto vederlo con te, questo Noi siamo infinito, Ragazzo da parete, The Perks of Being a Wallflower o come diavolo preferisci chiamarlo. So che l’avresti adorato.
Sinceramente tuo,
Cannibal Kid
P.S. Ti mando anche una locandina che ho fatto appositamente per te.
Ehm... no, confesso: in realtà l'ha fatta il grafico C(h)erotto de L'OraBlù. Però dicono che è il pensiero che conta, no?
"Hey Hermione, conosci mica una magia per farci apparire meno ridicoli?"
Noi siamo infinito
(USA 2012)
Titolo originale: The Perks of Being a Wallflower
Regia: Stephen Chbosky
Sceneggiatura: Stephen Chbosky
Tratto dal romanzo: Ragazzo da parete di… Stephen Chbosky
Cast: Logan Lerman, Emma Watson, Ezra Miller, Nina Dobrev, Nicholas Braun, Mae Whitman, Erin Wilhelmi, Paul Rudd, Dylan McDermott, Kate Walsh, Tom Savini, Julia Garner, Melanie Lynskey, Landon Pigg, Joan Cusack
Genere: adolescenziale
Se ti piace guarda anche: Il giardino delle vergini suicide, Donnie Darko, Breakfast Club, L’attimo fuggente
Ma no, di quelle frega giusto ai diretti interessati. Le elezioni in questione sono nientepopodimeno che le presidenziali americane. Oh yes.
Democratici contro Repubblicani.
Barack Obama contro Mitt Romney.
Il Bene contro il Male.
Non sarà stato il salvatore della patria o del mondo intero, però Obama ha rappresentato un netto passo in avanti rispetto alla disastrosa amministrazione dell'American Idiot Bush, ha portato a casa una storica riforma sanitaria che Romney non vede l’ora di cancellare e insomma, sapete già da che parte sto io. La stessa parte della girlLena Dunham.
La politica però è un argomento noioso e quindi evitiamo di addentrarci troppo in queste questioni. E allora parliamo di cinema. Se sabato abbiamo discusso di Game Change, sulla corsa alle passate elezioni di Obama contro McCain e Sarah Palin, spazio oggi a una campagna comedy (almeno nelle intenzioni degli autori), con un altro film firmato sempre da Jay Roach.
"Cannibal, da quando collabori con Mr. Ford le visite al tuo blog sono crollate!"
Candidato a sorpresa
(USA 2012)
Titolo originale: The Campaign
Regia: Jay Roach
Cast: Will Ferrell, Zach Galifianakis, Jason Sudeikis, Dylan McDermott, Sarah Baker, Katherine LaNasa, Dan Aykroyd, John Lithgow, Brian Cox, Karen Maruyama, Grant Goodman, Kya Haywood, Josh Lawson
Genere: satira politica
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Nonostante il titolo, non è che ci siano grosse sorprese, in questo Candidato a sorpresa.
Si tratta di una commedia che scorre via piacevole e regala anche qualche sorriso. Non è che ci si rotoli per terra dalle risate, però qualche frecciata fa centro. Se la parte comedy non funziona alla grandissima, però si salva ancora, a convincere meno è la parte politica.
Fare satira politica l’è ‘na bruta bestia. Non è facile, per niente. Qui da noi, era facile quando c’era Berlusconi al centro dell’arena. Con l’austerità del governo Monti, anche la nostra satira è entrata in crisi, in epoca di recessione. Facile ironizzare sulle mille (dis)avventure del Berluska, meno trovare spunti sugli altri. Anche perché il governo Monti è fatto di tecnici, nemmeno di politici, quindi come si fa a fare satira politica su dei tecnici?
Quando la satira è approdata al cinema, poi, abbiamo avuto di recente risultati disastrosi. Tanto per dire un film qualunque, dico solo l’inguardabile Qualunquemente di Antonio Albanese.
"Con questa foto puntiamo a conquistare il pubblico di cinofili.
Dite che Pensieri Cannibali è un blog per cinefili? Sicuri sicuri?"
Per quanto riguarda la satira americana, qui entriamo in un territorio locale minato le cui dinamiche non sono del tutto comprensibili a uno sguardo “straniero”. La serie comedy della HBO Veep, incentrata sulla vita di un’immaginaria vice presidentessa degli Stati Uniti stile Sarah Palin, ad esempio, subito subito non risulta molto divertente. Una volta che si è entrati nei suoi meccanismi, però, comincia a far davvero ridere.
Con questo film le risate fornite da Will Ferrell e Zach Galifianakis sono invece poche dall'inizio alla fine, ma a non convincere è soprattutto una certa timidezza della pellicola nel voler davvero pigiare sull’acceleratore del politically incorrect. Una cosa capitata di recente anche al comunque più riuscito Il dittatore con Sacha Baron Cohen: entrambi i film partono bene, sembrano davvero intenzionati ad attaccare il sistema politico americano e poi alla fine si tirano indietro e non danno il colpo di grazia.
Candidato a sorpresa purtroppo non sorprende. È una visione piacevole e carina, ma un film di satira politica, di vera satira politica, non può e non deve essere piacevole e carino. Deve essere scomodo, urtante e urticante. Come sapeva essere Daniele Luttazzi nei suoi interventi migliori. Quando gli permettevano di andare in tv, almeno.
Un aspetto comunque interessante del film è che in questa campagna non c’è un buono e un cattivo. Se ci si poteva aspettare un candidato democratico integro e dai forti valori morali contrapposto al solito repubblicano malefico. Le cose non sono così. Anzi, è quasi il contrario.
"Ma secondo te Renzi batterà Berlusconi alle primarie del PDL?"
"Guarda che il primo è in quelle del PD e il secondo non si candida più."
"Certo, certo..."
Will Ferrell è il candidato democratico senza scrupoli che farebbe di tutto per vincere, campagne contro l’avversario costruite su menzogne comprese: ad esempio, accusa il povero Galifianakis di essere in combutta con al-Qaeda, mossa che qualche repubblicano aveva cercato di fare nella passata campagna elettorale contro Obama. La caratteristica principale del democratico Will Ferrell è però la sua passione per le donne e il sesso, che lo portano a essere una versione estrema di Bill Clinton, o anche una versione soft di Silvio Berlusconi.
All’altro angolo del ring, in questa campagna elettorale per conquistare un posto nel governo americano, troviamo l’improbabile repubblicano Zach Galifianakis, un tipo ingenuo e bonaccione piazzato in maniera strategica da due miliardari senza scrupoli interpretati da Dan “Ghostbuster” Aykroyd e John “Trinity” Lithgow. Ma man mano che la campagna entrerà nel vivo, anche Galifianakis scoprirà il suo lato oscuro…
Tra i due, non c’è quindi un buono in senso assoluto. Perché nella politica reale, un buono in senso assoluto è davvero difficile da trovare. Peccato che nel film alla fine non ci sia nemmeno un cattivo in senso assoluto e quindi la critica al sistema mossa dalla pellicola risulta essere un bagno nell’acqua di rose.
Per concludere questo dibattito più cinematografico che politico, Candidato a sorpresa è un film carino. Peccato solo che Hello Kitty o i Barbapapà possono essere carini. La satira politica deve essere spietata.
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“Di cosa hai paura?”
“Ultimamente? Di tutto. La vita tende a farti questo effetto.”
Paura. Hai paura?
Io sì.
Perché?
Perché ho visto questa cazzo di serie che mi ha fatto strippare del tutto e adesso…
Adesso cosa?
No. Non posso dirtelo. È troppo pericoloso. Ci stanno ascoltando.
Ma chi?
sussurrato: Loro.
Loro chi?
Non lo so. Loro. Sono ovunque. Ci ascoltano. Ci osservano.
Oh, anche tu con ‘sta paranoia delle intercettazioni?
Sì.
Hai bisogno pure tu di un DDL?
No, ho solo visto American Horror Story con l’ADSL. E voglio vederlo ancora.
E che cos’è?
È una nuova serie tv. Il pilot è la cosa più pazzesca che abbia visto in tv (anche se poi in realtà l’ho vista sul portatile, ma non dirlo a nessuno) negli ultimi 20 anni. Su per giù dai tempi di Twin Peaks. Sì, Twin Peaks. Ho i brividi al solo nominarlo. O dai tempi di American Gothic, quella sì che era una serie spaventosa. La cosa più convincente di questo American Horror Story non è che ci racconti una storia del tutto nuova. È il modo di raccontarlo che è nuovo. Diverso. Una pugnalata allo stomaco del resto della programmazione televisiva omologata. Quella fatta da serie tutte uguali. Qui c’è un montaggio frenetico. Un montaggio scatt. Un montaggio scattoso. Uno stile veloce che ti fa accelerare i battiti del cuore. Ti spaventa. Ti stende. Sembra di essere in Shining però girato dal Gus Van Sant più indie però montato alla velocità della luce. No, non della luce. Dei neutrini. I neutrini sì che van veloci. Altoché Usain Bolt. This shit is dope as fuck. Dammit. Ci sono tagli di montaggio e tagli delle vene. C’è una scena iniziale che ricorda gli horror anni ’70 alla Halloween di John Carpenter e inquadrature sbilenche e apparizioni e omicidi e fantasmi e sesso sadomaso e poi. Una sigla che sembra fatta dai Portishead spaventati a morte. Forse minacciati con una pistola. Jessica Lange in un ruolo estremamente sgradevole. E ha una figlia down inquietante. Inquietante non perché è down, ma perché è inquietante punto. E a proposito di inquietante c’è Denis O’Hare, il Russell Edgington di True Blood, con mezzo volto sfigurato. E poi ci sono le musiche di Bernard Herrmann che spuntano fuori da Kill Bill e Vertigo. E poi…
Poi cosa?
È troppo rischioso. Secondo me ci stanno sentendo. Devo abbassare la voce: in American Horror Story la protagonista è Connie Britton, quella di Friday Night Lights, LA MILF per eccellenza della tv americana, che qui ha perso il bambino per aborto. Ma non è che l’ha perso per aborto e basta. L’ha partorito al settimo mese. Morto. È nato morto. Lei e il marito non hanno superato il trauma e così lui, un Dylan McDermott perennemente nudo o che si masturba o che si fa qualcuna, l’ha tradita con una sua studentessa. Perché lui sì è un professore. E pure uno psichiatra. Uno strizzacervelli. Ma è anche pazzo. Ha ovvi problemi mentali. E anche sessuali. Soprattutto sessuali. È un maniaco. E poi vede cose. Tipo la vecchia governante che è la madre di Six Feet Under per lui è una strafiga. Vede le cose diversamente dagli altri.
Gli altri chi?
I normali.
Chiii?
I normali.
Ne esistono ancora di persone normali?
Parla piano, che ci ascoltano. I normali sono i non pazzi. Succede che a volte la gente impazzisce e basta. Comunque Connie Britton LA MILF e il marito maniaco decidono di cambiare aria e trasferirsi sulla West Coast, sperando forse di poter vivere dentro un video di Snoop Dogg. Invece no. Invece si prendono una casa creepy da famiglia Addams e ci vanno a vivere con la figlia. Creepy pure lei. Però pure carina. Carina nel senso freak del termine. È Taissa Farmiga.
Chi?
È la sorellina di Vera Farmiga, l’attrice di Tra le nuvole e Source Code. Brava lei. E pure la sorellina. Di lei si invaghisce un paziente del padre. Un giovane pazzo. Uno visto in Kick-Ass. Uno che sogna di fare una strage Columbine style. Lei è una wristcutter, si diverte a tagliarsi le vene, lui è un potenziale killer serial. Bella coppia, vero? Ma attenzione!
Cosa c’è ancora?
Questa serie va vista rigorosamente di sera. Meglio ancora: di notte. Al buio. Da soli. Con un temporale in arrivo. O il vento fuori che ulula furioso.
Ma chi è che ha creato una cosa così spaventosa?
La firma al fondo della serie è quella di Ryan Murphy e Brad Falchuk, gli autori di Nip/Tuck e Glee.
Gleeeeee?
Sì, ma dimenticatelo: qui non si canta. Qui si urla dalla paura.
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