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lunedì 24 aprile 2017

Tredici ragioni per non perdere 13 Reasons Why





Tredici
(stagione 1)

Titolo originale: TH1RTEEN R3ASONS WHY
Rete: Netflix
Serie creata da: Brian Yorkey
Tratta dal romanzo: 13 di Jay Asher
Cast: Dylan Minnette, Kathleen Langford, Miles Heizer, Alisha Boe, Christian Navarro, Brandon Flynn, Justin Prentice, Ross Butler, Devin Druid, Amy Hargraves, Derek Luke, Kate Walsh, Brian d'Arcy James, Michele Selene Ang, Ajiona Alexus, Josh Hamilton


1
È una serie teen, ma non è una serie scema. E trovare serie teen non sceme non è roba da tutti i giorni. Ve lo dice uno che di serie teen sceme se ne intende e gli piacciono pure, quindi credeteci. Era forse dai tempi della storica My So-Called Life che non vedevo una serie adolescenziale così profonda e matura e così poco teen e scema. Che poi questo se andiamo a vedere è anche il suo difetto principale, per fortuna uno dei pochi.

mercoledì 26 ottobre 2016

Meh in the Dark





Man in the Dark
(USA 2016)
Regia: Fede Alvarez
Sceneggiatura: Fede Alvarez, Rodo Sayagues
Cast: Jane Levy, Dylan Minnette, Stephen Lang, Daniel Zovatto
Genere: oscuro
Se ti piace guarda anche: Lights Out – Terrore nel buio, L'ultima casa a sinistra, Non aprite quella porta

Si può parlare male di un cieco?
E di un cieco che per di più è un eroe di guerra, visto che ha perso la vista combattendo per noi (noi si fa per dire) in Iraq?
E di un cieco che oltre a essere un eroe di guerra ha pure perso, poveretto, la sua amata unica figlioletta, morta in un tragico incidente stradale?


giovedì 1 maggio 2014

LABOR DAY – IL GIORNO DEL LABORO




Un giorno come tanti – Labor Day
(USA 2013)
Titolo originale: Labor Day
Regia: Jason Reitman
Sceneggiatura: Jason Reitman
Ispirato al romanzo: Labor Day di Joyce Maynard
Cast: Kate Winslet, Josh Brolin, Gattlin Griffith, Clark Gregg, James Van Der Beek, Tom Lipinski, Maika Monroe, Brooke Smith, Brighid Fleming, J.K. Simmons, Lucas Hedges, Dylan Minnette, Tobey Maguire
Genere: racconto di formazione
Se ti piace guarda anche: L’uomo senza volto, Mud, Stand by Me - Ricordo di un'estate

La giornata dei lavoratori negli USA si festeggia il primo lunedì di settembre. Perché?
Questo, se proprio vi interessa, ve lo potete leggere su Wikipedia.

In Italia invece la Festa del lavoro è tradizionalmente oggi. Solo perché un gruppo di artisti pseudo alternativi possano avere l’occasione di suonare al concertone del Primo Maggio? O per quale altro motivo?
Magari lo sapete già, in caso contrario potete scoprirlo sempre su Wikipedia.

Se vi interessano tutte queste cose, fate insomma che trasferirvi su Wikipedia, così vi fate una cultura. Se invece vi interessa sapere qualcosina sul film intitolato Labor Day e previsto in uscita in Italia, anche se non si sa bene ancora quando, con il titolo Un giorno come tanti, siete nel posto giusto.

Un giorno come tanti è un film come tanti?
No. Magari una volta. Oggi, e con oggi intendo non il Primo Maggio bensì il presente, non è una pellicola di quelle che si vedono tanto spesso. È un racconto di formazione più di quelli tipici degli anni ‘80/’90. Quei film come L’uomo senza volto, L’attimo fuggente o Stand by me. Non a caso è ambientato proprio negli 80s, più precisamente nel 1987, durante il weekend del Labor Day. Io sono un appassionato delle pellicole che come collocazione temporale vanno indietro in quel periodo, come Donnie Darko o Take Me Home Tonight, però va detto che per questo film il regista Jason Reitman ha fatto una scelta differente. Non ha puntato sulle canzoni e sugli abiti dell’epoca. Non ha inserito molti riferimenti espliciti a quel periodo. Jason Reitman ha deciso di raccontarci una storia quasi fuori dal tempo, ambientata nel passato, ma girata con uno stile da pellicola indie intimista odierna (e con odierna intendo sempre del presente, non del Primo Maggio). Niente Duran Duran, allora. Niente Madonna o Michael Jackson o capelli cotonati o inguardabili abiti iper-colorati. Manca qui la goduriosità dei superficiali anni ’80. Quella potete proprio scordarvela. Un giorno come tanti – Labor Day punta su altri elementi. Quali?
Questa è una risposta che NON potete trovare su Wikipedia, ma solo su Pensieri Cannibali.

"Sono un ricercato internazionale peggio di Dell'Utri, però chissene,
giochiamo a baseball!"
Il film parte da uno spunto thriller, che qualche regista sadico avrebbe potuto virare verso il genere splatter horror e invece Jason Reitman no. La pellicola inizia con il bruto Josh Brolin, un assassino appena evaso di prigione, che prende in ostaggio un ragazzino (l’emergente Gattlin Griffith, che sì, si chiama proprio Gattlin) e sua mamma (la solita brava Kate Winslet). Se a questo punto vi aspettate una serie di torture o un’adrenalinica pellicola ad alta tensione, di quelle con gli ostaggi e un’agente dell’FBI prossimo alla pensione che cerca di farli uscire tutti sani e salvi, pure in questo caso vi sbagliate. Quindi in questo film non ci sono canzoni 80s, né capelli cotonati e manco delle scene di tortura. E cosa c’è, allora?

C’è una storia d’amore. Vi viene in mente la Sindrome di Stoccolma? In questo caso avete ragione. Questo film è l’inno supremo alla Sindrome di Stoccolma. La casalinga disperata Kate Winslet, che non vede un bigolo da parecchio tempo, si innamora del bel (insomma, si fa per dire) assassino Josh Brolin che ha rapito lei e il figlio, ma l’ha fatto in maniera assai delicata, da vero e proprio gentiluomo. Al fascino del criminale è davvero difficile resistere e Kate Winslet manco ci prova. Dimenticando di essere sequestrata da un omicida ricercato in tutta la città, lo ospita a casa sua e si mette a disegnare cuoricini sul suo diario e sulle mutandine come una teenager in love.

In Un giorno come tanti c’è una storia d’amore, ma non solo. Il punto di vista è quello del figlio di Kate Winslet e questa è allora anche e soprattutto, come dicevamo all’inizio, una vicenda di formazione. Il ragazzino in quei giorni di inizio settembre del weekend del Labor Day 1987 vive un’esperienza che cambierà per sempre la sua vita. Innanzitutto perché non capita tutti i giorni di essere presi in ostaggio da un assassino, e soprattutto da un assassino che si rivela pure un uomo gentile e premuroso e che si vuole fare sua mamma. Allo stesso tempo, entrano in gioco anche altri fattori. I suoi genitori sono divorziati e, finalmente, ha l’opportunità di vedere sua madre felice, capace di riprendere in mano la sua vita per la prima volta da quando il marito l’ha abbandonata per correre dietro alla segretaria, un classico. Inoltre, il ragazzino protagonista vivrà la sua prima cotta pre-adolescenziale, grazie all’arrivo in città di una bambinetta (l'attrice rivelazione Brighid Fleming) che, nonostante abbia tipo 12 anni, sta già attraversando una fase di depressione giovanile pre-grunge. Pure lui, così come sua madre con il bandito, non potrà resistere al fascino della ribelle.

Un giorno come tanti parte allora come un thriller come tanti e poi diventa qualcosa di totalmente differente. Una pellicola in grado di avvolgere a sé lo spettatore con i suoi ritmi lenti e capace di toccare il cuore, anche dei meno sensibili, grazie a una parte finale che vi sembrerà o una ruffianata colossale, oppure vi farà piangere come vitelli.
Perché si dice piangere come vitelli?
La risposta a questa domanda non la trovate su Wikipedia, bensì su questo piccolo e non so quanto attendibile sito, La stradaweb.it.

Pensieri Cannibali risponde invece a un altro quesito. Un giorno come tanti è un film che va visto?
Sì, magari proprio oggi, in questo Labor Day italiano.
(voto 6,5/10)

venerdì 15 novembre 2013

PRISONERS, PRIGIONIERI E PRIGIONOGGI




Prisoners
(USA 2013)
Regia: Denis Villeneuve
Sceneggiatura: Aaron Guzikowski
Cast: Jake Gyllenhaal, Hugh Jackman, Maria Bello, Terrence Howard, Viola Davis, Paul Dano, Melissa Leo, Dylan Minnette, Zoe Borde, Erin Gerasimovich, Kyla Drew Simmons, Wayne Duvall, David Dastmalchian
Genere: labirintico
Se ti piace guarda anche: A History of Violence, Mystic River, Amabili resti, The Village, The Killing, Broadchurch

Prisoners, prigionieri, non lo siamo forse un po’ tutti?
Prigionieri delle convenzioni sociali. Prigionieri dello Stato. Prigionieri di Equitalia (evvai di populismo!). Prigionieri nel rapporto con gli altri. Prigionieri di quello che le persone si aspettano da noi. Prigionieri del personaggio che ci siamo creati. Chi può dire di essere davvero libero?
Io ad esempio mi ritrovo quasi costretto moralmente a scrivere stupidaggini e cacchiate, perché è questo a cui il personaggio Cannibal Kid ha ormai abituato il suo (esiguo) pubblico. Ma adesso basta. Oggi cercherò di scrivere una recensione seria. Forse.

ATTENZIONE: C’E’ QUALCHE SPOILER QUA E LA’. NIENTE DI CLAMOROSO, MA QUALCHE SPOILERINO POTRESTE BECCARVELO, QUINDI SE NON AVETE ANCORA VISTO IL FILM OCIO!


Come detto, chi più, chi meno siamo tutti prigionieri. Tra i “chi più” ci sono i personaggi di Prisoners. Da un film con un titolo del genere, cos’altro vi aspettavate?
Nei sobborghi di una cittadina della Pennsylvania, la tipica cittadina inquietante americana, due tipiche famiglie americane, una black e una white, passano insieme il Giorno del Ringraziamento, la festa americana più americana che ci sia. La giornata passa in maniera piacevole e tranquilla e molto americana, i grandi stanno tra grandi a fare cose da grandi, i piccoli stanno tra piccoli a fare cose da piccoli. Tipo sparire nel nulla. Solo che non è nascondino. Passano le ore, viene sera e le due bambinette delle due famiglie non si trovano più. Dove sono finite? Voi le avete viste? Io no. Chi potrebbe saperne qualcosa è il tizio che stava sul furgone parcheggiato nella via dove le bimbe sono sparite. Forse.

Parte così quello che può sembrare un thriller tradizionale e in parte lo è. Un thriller tradizionale di quelli che così bene, ah, non ne facevano da quando ero anch’io piccolo come le bimbette scomparse. Tipo da Il silenzio degli innocenti del 1991. In tv qualcosa di non troppo distante per storia e qualità di recente lo si è pure visto, come The Killing e Broadchurch, al cinema non tanto.
Prisoners comunque è anche qualcos’altro. È un thriller-politico un po’ come The Village di M. Night Shyamalan era un horror-politico. Sì, proprio quel M. Night Shymalan, quello di porcherie come L’ultimo dominatore dell’aria e After Earth, però prima che si bevesse completamente il cervello. Perché dico questo? Perché si può tentare una lettura politica, riguardo a ciò che succede in Prisoners.

IT’S LETTURA POLITICA TIME
Il personaggio di Hugh Jackman, il padre della bambina bianca scomparsa, è l’America post 11 settembre della Guerra al terrore. Quella che tortura i propri nemici per avere le info che vuole. Quella che fa di tutto, non importa quanto ciò trasformi il torturatore in un mostro alla pari se non peggiore dei terroristi che combatte. In due parole: Jack Bauer. In tre parole: George W. Bush.
Il personaggio di Terrence Howard, il padre della bambina di colore scomparsa, è invece l’America del post Guerra al terrore. È l’America che non si sporca in prima persona le mani con il sangue, non ufficialmente, però non è nemmeno contraria a usare qualunque – QUALUNQUE – mezzo pur di ottenere ciò che vuole. Quella che non usa violenza, ma nemmeno ci prova a fermarla. Si limita a guardare dall’altra parte. Nel comportamento di Terrence Howard e della moglie Viola Davis possiamo vedere un riflesso degli Stati Uniti di oggi, gli Stati Uniti di Barack Obama.
E noi?
Dove sta l’Europa?
Maria Bello è l’Europa. Maria Bello, la moglie di Hugh Jackman, che si imbottisce di sonniferi e psicofarmaci e preferisce non sapere quello che il marito sta facendo.
Raccontato così, Prisoners potrebbe apparire un film anti-americano. Quello del regista canadese Denis Villeneuve potrebbe sembrare un atto d’accusa nei confronti degli Stati Uniti e invece…
Invece è una pellicola che preferisce non dare una morale. Non imprigiona lo spettatore a un pensiero unico. Chi guarda può farsi la propria idea. In fondo questo è solo un thriller, o no?
IT’S THE END OF THE LETTURA POLITICA TIME AS WE KNOW IT (AND I FEEL FINE)

"No, non è di mia foglia. E' mio. Chi lo dice che sono troppo grande per giocare con i pupazzi?"

A livello politico il film consente varie chiavi di lettura, questa è solo la mia personale, ognuno può trovare la propria. C’è chi può vederci dentro una condanna o al contrario una giustificazione di quanto fatto dagli americani a Guantanamo e non solo a Guantanamo (si veda Zero Dark Thirty) per ottenere le informazioni dai terroristi, e c’è anche chi può vedere la lettura politica come una forzatura e godersi semplicemente il film, che è un thrilerazzo della Madonna. Due ore e mezzo di tensione costante, che non scende fino alla fine. Di recente mi era capitato di rado di rimanere prigioniero di una pellicola con un livello di coinvolgimento simile. Anche nei bei film, può capitare un calo per un paio di minuti. Qui manco per un istante. Erano mesi che non mi capitava qualcosa del genere, ma che dico mesi? dico giorni. Anche un altro film nel passato recente mi ha coinvolto (quasi) allo stesso modo di Prisoners, ma ne parlerò a breve.

Il regista Denis Villeneuve ha un super potere: quello di schiantarti dentro i suoi film. Era capitato con il raggelante Polytechnique, era ricapitato con lo splendido La donna che canta, è riricapitato ora con Prisoners. Merito del canadese, che evita virtuosismi ma dirige con una precisione pazzesca. Detto così, potrebbe apparire uno stile freddo, in realtà Villeneuve fa sentire vicini ai suoi personaggi come pochi altri registi contemporanei. C’è una scena in particolare, quella in cui Hugh Jackman riconosce il calzino con il coniglietto della figlia, che mi ha messo i brividi. E io che ho i brividi per una scena con Hugh Jackman è una cosa mai successa. MAI.

"Donna invisibile, m'è appena sparita la figlia. Scusa neh, ma non ho tempo per venire a giocare a nascondino con te.

Se Wolverine è alla sua migliore interpretazione in assoluto, che dire di Jake Gyllenhaal, qui il detective che cerca di risolvere il mistero della sparizione delle due bimbe?
Jake Gyllenhaal, che attore straordinario! Il suo personaggio, oltre a un taglio di capelli scalato di quelli alla Rihanna/Miley Cyrus/Skrillex che vanno tanto tra i ggiovani d’oggi, ha un tic agli occhi pauroso. Non so se la cosa era presente in sceneggiatura, oppure è una particolarità che ha voluto aggiungere lui al personaggio, però recitare così è un rischio. Rischi di fare la figura dello scemo e sputtanare il film, invece Gyllenhaal è riuscito così a farci avvicinare ancora di più al suo detective. Il suo è un personaggio all’apparenza “neutro”, non troppo distante da quello di Jessica Chastain in Zero Dark Thirty; di entrambi sappiamo pochissimo, non vivono travolgenti storie d’amore, non li vediamo con la famiglia o con gli amici o altro. Nessuna nota personale. Li vediamo impegnati solo nella loro ossessiva caccia all’uomo, eppure tutti e due, grazie alle performance larger than life dei loro interpreti, sono dei personaggi vivissimi e umani come non capita spesso di vedere, non nei thrilleroni americani, se non altro.
Altra strepitosa prova è poi quella di un’irriconoscibile Melissa Leo, ma attenzione anche al volto nuovo David Dastmalchian e nota di merito pure per Paul Dano, alle prese con un personaggio super sfigato, persino più dei suoi soliti, in cui si trova parecchio a suo agio. Sarà un caso?


"Oh, ma che è? Rompermi il deretDano è diventato il nuovo sport nazionale americano?"
"Hey Donnie, lasciami. Non sono Paul Dano!"
"Ah ok scusami, ti avevo scambiato per lui..."

In tutto questo ben di Dio registico e recitativo il punto di forza assoluto è però un altro ancora. E non mi riferisco nemmeno alla splendida colonna sonora da brividi composta dall’islandese Jóhann Jóhannsson, impreziosita da “CODEX”, una chicca dei Radiohead, già usati dal regista pure in La donna che canta, dove “You and Whose Army?” era un po’ il tema sonoro che accompagnava la pellicola. Villeneuve possiamo quindi considerarlo a tutti gli effetti un fan delle teste di radio ed è una ragione in più per amarlo.
La vera arma di distruzione di massa messa in campo da Prisoners a cui mi riferisco è la sua fenomenale sceneggiatura, firmata dal quasi esordiente Aaron Guzikowski. Una sceneggiatura non tratta da romanzi, graphic novel, seghe fantasy, giochi da tavolo o altro. Una sceneggiatura originale, finalmente. La storia come detto non è nuova, il mistero della sparizione di ragazzine è una situazione in cui il genere thriller ha sempre giocato e continua a farlo, però è raccontata con la giusta dose di personalità, con un sacco di riferimenti come visto alla politica ma anche alla religione. È una sceneggiatura costruita in maniera perfetta, impeccabile, stratosferica, che Villeneuve è riuscito a trasformare in una pellicola incentrata sul simbolismo, tra labirinti, serpenti, effigi cristiane, un Jake Gyllenhaal che non parla con dei coniglioni ma è comunque parecchio ossessionato e un Hugh Jackman che non tira fuori gli artigli dalle mani ma riesce a fare di peggio.
Prisoners è un film che sa spiazzare, senza sparare fuori colpi di scena assurdi o improbabili, ma che colpisce solo con colpi (di scena e allo stomaco) ben assestati. Un film su cosa significa restare prigionieri che ti fa suo prigioniero per 2 ore e mezza senza mai darti alcuna certezza, lasciandoti in costante tensione e restandoti incollato dentro pure al termine. Un film che mostra cosa significa avere Fede, non solo da un punto di vista religioso, e soprattutto cosa significa perderla. Un film che fa finalmente fa riacquistare la Fede nel thrillerone americano.

IT’S LABIRINTO TIME
Per scoprire il voto cannibale a questo film, dovete risolvere il seguente labirinto.


Okay, potete scoprirlo anche senza risolverlo, ma sappiate che state barando.



lunedì 19 marzo 2012

Awake: come avere due vite e manco mezza interessante

Awake
(serie tv, stagione 1, episodi 1-3)
Rete americana: NBC
Rete italiana: non ancora arrivata
Creata da: Kyle Killen
Cast: Jason Isaacs, Laura Allen, Dylan Minnette, Cherry Jones, B.D. Wong, Wilmer Valderrama, Michaela McManus
Genere: addormentato
Se ti piace guarda anche: Medium, Life, Touch, Person of Interest

Wake up.
Apres los ojos.
Aooo: e svegliatevi, Cristo Santo!

"Ma secondo te esiste una realtà in cui Gigi D'Alessio canta belle canzoni?"
È quello che si potrebbe gridare al narcolettico protagonista e pure all’autore di questa serie. Basterebbe che si svegliassero un attimo, infatti, e questa potrebbe diventare un’ottima serie. Peccato che al momento non lo sembri. E pensare che…
Awake faceva ben sperare con un pilot curioso abbastanza. Originale abbastanza. Intrigante abbastanza.
La storia è quella di un poliziotto che in seguito a un drammatico incidente d’auto, conduce due vite.
In una, suo figlio è morto, mentre sua moglie è viva.
Nell’altra, sua moglie è morta, mentre suo figlio è vivo.
Potendo scegliere solo una delle due, credo sceglierebbe la seconda, visto che - almeno - in quella si può scupare la bella mogliettina. Cavolate a parte, queste due vite convivono nella sua testa più o meno in maniera amichevole. Di più, una si interseca all’altra. In qualche misterioso modo, sono collegate.

"Figlio scemo o moglie gnocca? Uh, che dilemma...
Moglie gnocca tutta la vita. Anzi, tutte e due le vite!"
Una serie come Awake porta così a farsi parecchie domande.
Queste due vite saranno entrambe reali, almeno nella sua testa?
Solo una delle due lo è?
Alla fine si scoprirà che moglie e figlio in realtà sono vivi e vegeti e quello morto (o magari in coma) è lui?
Quest’uomo è pazzo?

Le premesse sono quindi ottime e sembrano preannunciare una serie bella incasinata. Una di quelle che portano a batterti dei pugni forti sulla testa per cercare di seguirla. Una serie alla Lost.
Ma le premesse sono delle puttane.
Già nel primo episodio comunque qualche dubbio viene, considerando come tutto sia spiegato per filo e per segno in maniera troppo didascalica. Roba che uno vorrebbe stare a perdersi dentro la confusione mentale del protagonista e invece la serie cerca di riportare tutto su un piano razionale, attraverso l’uso di non uno, bensì di ben due strizzacervelli.
I problemi veri però arrivano dal secondo episodio. Awake ci risveglia subito dal sogno illusorio di trovarci di fronte a una nuova possibile serie cult e ci scaraventa di fronte a quella che è la sua realtà: l’ennesimo telefilm poliziesco con episodi autoconclusivi di cui nessuno, o di certo non io, sentiva il bisogno.
Alla fine della seconda puntata si cerca di infilarci dentro qualche possibile mistero, per altro in maniera parecchio prevedibile, riguardo all’incidente che ha coinvolto il protagonista e la sua famiglia, ma già nel terzo non se ne fa più parola.
Quello che rimane sono dei casi da tipico crime procedural la cui particolarità sta nelle due realtà parallele vissute dal protagonista. Attraverso gli indizi raccolti in una “realtà” riesce infatti a portare avanti anche l’indagine dall’altra parte. Un meccanismo leggermente differente dai soliti CSI e cloni vari, ma niente di così eclatante da continuare a seguire la serie con il fiato sospeso. Anche perché i casi presentati finora non è che siano poi di così grande interesse.

"Il terzo episodio è stato così terribile da chiamare l'ambulanza? Azz!"
Con le serie tv le cose possono poi cambiare da un episodio all’altro, può capitare di affezionarsi ai personaggi quando meno te lo aspetti e tutto può cambiare. L’impressione su questa serie, ora come ora dopo appena 3 episodi, è però quella di un’occasione sprecata per realizzare qualcosa di davvero interessante e di un minimo originale. Se qualcuno alla vigilia parlava di “Inception delle serie tv”, di fronte ad Awake ci troviamo costretti a un risveglio brusco come il suono della sveglia alle 6 A.M.
La notevole freddezza emanata da Awake, che nel pilot poteva incuriosire, dopo una manciata di episodi appare già troppo asettica e affezionarsi sembra davvero un’impresa ostica, anche perché i personaggi per il momento sono quanto di più lontano ci possa essere dall’essere accattivanti.
Capisco che il protagonista possa essere frastornato dalla confusione di vivere due vite in due dimensioni parallele eppure cominicanti, però Jason Isaacs (Lucius Malfoy nella saga di Harry Potter è stato il suo ruolo più importante, per dire) ha lo sguardo davvero troppo imbambolato per muovere un qualsiasi sentimento di empatia, figuriamoci di simpatia, nei suoi confronti. Nella situazione in cui si trova, si potrebbe creare un cortocircuito drammatico pazzesco, e invece per adesso la serie non ha regalato manco mezza emozione.
"Ormai anche i miei veri genitori credono io esista solo in una dimensione
parallela. Hanno pure affittato camera mia a un ragazzo alla pari..."
Il suo figlio teenager è Dylan Minnette, che aveva già interpretato il figlio di Jack in Lost e pure lì esisteva solo in una realtà parallela; il suo sguardo, però, se possibile è ancora più catatonico di quello di papà Jason Isaacs. Quanto alla moglie, Laura Allen è caruccia ma pure lei è espressiva quanto una tartaruga imbalsamata. Tra i personaggi di contorno svettano poi Wilmer Valderrama, mitico Fez di That ‘70s Show ma decisamente poco a suo agio nei panni dello sbirro, Cherry Jones, già presidentessa degli Stati Uniti nella 7a e 8a giornata di 24 poco incisiva qui come psicoterapeuta, e Michaela McManus, fighetta proveniente da One Tree Hill, serie certo non nota come fucina di talenti recitativi, e che scommetto finirà per farsi il protagonista almeno in una, se non in entrambe le realtà. Ma tra tutti gli attori, ce ne fosse uno che sembri davvero awake.

Per un giudizio definitivo è ancora presto, ma il suo rapido scivolare dal “Promettente!” del pilot, al “Bah!” del secondo episodio, fino al “Che palle!” del terzo non lascia sperare in niente di buono… Considerando poi che l’ideatore della serie Kyle Killen è già l’autore del flop tv Lone Star, serie cancellata dopo giusto 2 episodi trasmessi 2, nonché lo sceneggiatore di quell’obbrobrio di Mr. Beaver, scemo io ad avergli dato fiducia.
Più che tenerci Awake, mi sa che presto questa serie ci farà addormentare tutti.
(voto 6-/10)

In una dimensione parallela, esiste una versione di Awake in cui le premesse del pilot si sviluppano in una serie magnifica destinata a cambiare la storia della televisione.
Peccato solo non sia in questa dimensione.


(off topic: grazie a CheRotto del blog OsirisicaOsirosica per aver realizzato anche questa volta il nuovo fantastico header cannibale che potete ammirare alla testa del blog)


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