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domenica 5 ottobre 2014

STILL LIFE, LA RECENSIONE SERMONE





Care sorelle e care fratelli,
ci troviamo qui riuniti in questa Santa Sede per dare l'estremo saluto a un nostro caro estinto, Cannibal Kid...

Cannibal Kid???
Ma che razza di nome è? Sarà mica stato un satanista, questo?
Ormai comunque ce lo siamo levati di mezzo, quindi bene così. Un figlio di Satana in meno. In questa Santa Sede vogliamo in ogni caso celebrare il suo ricordo. Cosa ci lascia, questo Cannibal Kid?
Un blog che mi dicono per un certo periodo ha riscosso un discreto successo, un certo Pensieri Cannibali. Personalmente io non ci sono mai stato. Gli unici siti che visito regolarmente sono quello di Famiglia Cristiana e Suoreporche.com.
Da quanto mi hanno riferito, Pensieri Cannibali era un sito che si occupava di intrattenimento e di cinema. È curioso notare come Cannibal Kid sia venuto a mancare proprio guardando un film. Un bel modo per andarsene, per un patito di cinema. Mi hanno detto anche che l'ultima pellicola che stava vedendo era Still Life. Che sia morto di noia guardandola?


Beh, in effetti la prima ora è parecchio sonnacchiosa, però poi si riprende e ha un finale che dire magnifico è ancora limitativo. Io non guardo molti film, però quelli a tematica più o meno religiosa non me li faccio mancare e questo Still Life devo dire che mi ha ricordato Lourdes. Se non l'avete visto vi ricordo che è un film su una suora e i film sulle suore di solito mi fanno venire du palle... eh lasciatemelo dire!
Scusate sorelle, ma come soggetto cinematografico non siete proprio il massimo della vita. Così come non è il massimo della vita il personaggio interpretato dall'efficace caratterista britannico Eddie Marsan, quello con la faccia da tasso, o da topo a seconda dei punti di vista. Uno con la faccia animalesca, in ogni caso. In Still Life il suo ruolo è quello di un impiegato comunale il cui compito è quello di andare a scovare parenti, conoscenti e amici di persone appena decedute che non hanno molti parenti, conoscenti e amici. Un lavoro di una tristezza infinita che svolge da 22 anni fino a che – grazie a Dio e in questa Santa Sede consentitemi di nominarlo invano – viene licenziato e può finalmente pensare di trovarsi un altro impiego.
Il becchino no eh, tutti i lavori tranne quello.

La trama non è quindi il massimo dell'allegria e i ritmi sono parecchio lenti. Questo per quanto riguarda la prima ora di film, quella in cui credo il povero Cannibal Kid abbia lasciato il nostro mondo per andare in un posto migliore. Forse migliore. Io credo che quello, con quel nome lì, sia finito nel peggiore tra i gironi infernali, ma questa è una decisione che solo al Signore spetta.
È un peccato che il nostro amabile resto Cannibal Kid sia schiattato così, perché poi, con molta calma, il film comincia a carburare. Il merito a mio parere è della comparsa in scena di una gran bella fregn... volevo dire di una gran bella donna, Joanne Froggatt, già vista in quella menata di Downton Abbey di cui le amiche suore non si perdono una puntata. La sua apparizione ha risvegliato in me certi istinti sessuali che credevo di aver represso ormai da tanto tempo e invece no, sono ritornati prepotentemente.


Lasciando da parte le riflessioni riguardanti questo gran bel pezzo di donna, Still Life riesce a evitare il solito banale happy-ending, verso cui a un certo punto pareva indirizzarsi, per regalarci una conclusione davvero da applausi. Credo che Cannibal avrebbe apprezzato un finale del genere, peccato abbia lasciato le penne prima. Questi giovani o pseudo giovani d'oggi d'altra parte sono fatti così. Non riescono ad apprezzare un film che si prende il suo tempo, che non spara tutte le sue cartucce subito e lascia il meglio per la chiusura.
Patientiam forti et virtute. La pazienza è la virtù dei forti. Evidentemente Cannibal Kid non era forte abbastanza. E con queste parole su cui meditare a lungo vi lascio, care sorelle e cari fratelli. L'appuntamento è per domenica prossima, solito posto e solita ora, con un mio nuovo sermone. Quanto al povero Cannibal, prematuramente scomparso ma nemmeno troppo prematuramente visto che ormai non era più tanto un ragazzino, lo saluto con un affettuosissimo: ci vediamo all'Inferno!


Still Life
(UK, Italia 2013)
Regia: Uberto Pasolini
Sceneggiatura: Uberto Pasolini
Cast: Eddie Marsan, Joanne Froggatt, Andrew Buchan, Paul Anderson, Tim Potter
Genere: funereo
Se ti piace guarda anche: Departures, Six Feet Under
(voto 6,5/10)

martedì 18 marzo 2014

IL LERCIO. E NIENTE, IL TITOLO È GIÀ BELLO COSÌ




"Benvenuti su Pensieri Cannibali!"
Filth - Il lercio
(UK 2013)
Titolo originale: Filth
Regia: Jon S. Baird
Sceneggiatura: Jon S. Baird
Tratto dal romanzo: Il lercio di Irvine Welsh
Cast: James McAvoy, Shauna Macdonald, Eddie Marsan, Shirley Henderson, Imogen Poots, Jamie Bell, Joanne Froggatt, Kate Dickie, Iain De Caestecker, Pollyanna McIntosh, Natasha O’Keeffe
Genere: sporco
Se ti piace guarda anche: Trainspotting, Un poliziotto da happy hour, In Bruges, The Acid House, American Psycho, The Wolf of Wall Street

Irvine Welsh. Sono cresciuto con Irvine Welsh. Non è che siamo andati a scuola insieme o altro. Sono cresciuto con lui nel senso che il suo Trainspotting è stata una lettura per me fondamentale. Un po’ come la Bibbia per un cristiano. Per me è un Libro Sacro che ha influenzato il mio modo di scrivere e anche di vedere il mondo. Ma no, non mi ha inizato all’eroina.
Ho frequentato altri libri di Welsh, di recente mi sono ri-innamorato del suo stile grazie a Porno, il sequel proprio di quel fenomenale Trainspotting, mentre invece non ho letto Il lercio. Per colmare questa lacuna arriva in mio soccorso ora la sua versione cinematografica, quarto adattamento per il grande schermo di un lavoro welshiano dopo il cult tossico Trainspotting girato da Danny Boyle, il non troppo riuscito The Acid House e l’inedito dalle nostre parti Irvine Welsh’s Ecstasy.
Nonostante sia diretto dall’ancora un po’ acerbo Jon S. Baird, Il lercio è un film in qualche modo debitore dello stile di Danny Boyle, il Boyle dei tempi migliori e non quello bollito del recente fallimentare In Trance. Un Boyle richiamato attraverso un montaggio adrenalinico e un ritmo sfrenato, oltre a un bell’uso della colonna sonora. Soprattutto è una pellicola debitrice dello stile di Welsh, per quanto riguarda dialoghi espliciti, personaggi più stronzi inside che buoni outside e situazioni al confine tra grottesco e farsesco.

Di cosa parla, Il lercio?
Ve lo dico anche, di cosa parla, però non prestateci troppa attenzione. Come spesso accade, non è tanto importante cosa si racconta ma come la si racconta.
La trama sa di già sentito. Ci troviamo di fronte a un caso di omicidio abbastanza banale. Un ragazzo viene ucciso in un sottopassaggio da una gang di teppisti davanti agli occhi di una testimone. Sull’assassinio indaga un team di investigatori che comprende Bruce Robertson, il lercio del titolo, interpretato da un James McAvoy finalmente brutto, sporco e cattivo. Brutto per quanto McAvoy possa esserlo, ma sporco e cattivo, quello sì. Bruce è un pezzo di merda. È sposato e ha una figlia, ma scopa in giro, beve e si droga, maltratta tutti quelli che gli capitano sotto il naso e il suo unico scopo nella vita pare quello di avere la promozione a ispettore capo.

"Davvero piacevole la tua musica! Quasi quanto quella di Antonella Ruggiero..."
Questa è la trama a grosse linee, non è un granché, ve l’ho detto, ma alla pellicola non interessa raccontare tanto le indagini o il caso da risolvere in sé, come la maggior parte delle pellicole thriller banali farebbero. Qui si racconta più che altro la discesa negli inferi personali del protagonista, nella sua vita dissoluta, passando attraverso i suoi demoni interiori, i suoi intrallazzi, le sue deliranti (dis)avventure, le sue visioni lerce. Siamo dalle parti del Jordan Belfort di The Wolf of Wall Street, solo in versione scozzese, economicamente più modesta e con un’ambientazione poliziesca anziché nell’alta finanza… sì, in pratica i due film non c’entrano una mazza l’uno con l’altro, se non per lo sprofondare nel delirio esistenziale dei loro protagonisti e soprattutto per l’effetto tossico che provocano. Entrambe le visioni fanno l’effetto di una droga. Stai attaccato tutto il tempo a vederli, con un misto di euforia e disgusto, eccitazione e repulsione. Il lercio non riesce a raggiungere gli stessi vertici cinematografici e dopanti del recente capolavoro di Scorsese, questo no, eppure riesce a creare un effetto parecchio travolgente. Inoltre, com’è tradizione con le pellicole made in Britain, sono garantiti i soliti elevati standard recitativi, grazie a un validissimo cast che, oltre a un McAvoy imbastardito, sfoggia il caratterista fuoriclasse Eddie Marsan, più Jamie Bell ex Billy Elliot e prossima Cosa dei Fantastici 4, la simil-Scarlett Johansson Imogen Poots, la trainspottinghiana Shirley Henderson, l’affascinante Joanne Froggatt prelevata da quella menata di Downton Abbey, il giovane Iain De Caestecker (The Fades e Agents of S.H.I.E.L.D.) e il sempre bravo Martin Compston (Sweet Sixteen, La scomparsa di Alice Creed, Sister, etc).
Se cercate un classico thriller, non è questa la scelta ideale. Se invece siete alla ricerca di qualcosa di zozzo, malato, deviato, qualcosa di lercio insomma, non lasciatevelo sfuggire. È folle, alcuni passaggi non sono del tutto azzeccati, il finale può lasciare piuttosto spiazzati, ma è una bella botta.
(voto 7+/10)

P.S. Come al solito il film si trova in lingua originale con sottotitoli, mentre non vi sono ancora notizie riguardo a una sua eventuale distribuzione italiana.


"Arrivederci da Pensieri Cannibali!"

martedì 1 ottobre 2013

LA FINE DEL CORNETTO




La fine del mondo
(UK 2013)
Titolo originale: The World’s End
Regia: Edgar Wright
Sceneggiatura: Simon Pegg, Edgar Wright
Cast: Simon Pegg, Nick Frost, Paddy Considine, Martin Freeman, Eddie Marsan, Rosamund Pike, Bill Nighy, Pierce Brosnan, Jasper Levine, Rafe Spall, Steve Oram, Rafe Spall
Genere: brit-pop
Se ti piace guarda anche: L’invasione degli ultracorpi, The Faculty, L’alba dei morti dementi, Hot Fuzz, American Pie: Ancora insieme, Compagni di scuola, Un tuffo nel passato, Grabbers, Attack the Block

Eravamo cinque amici al bar, che volevano andare fino alla fine del mondo.
Erano quattro, gli amici della canzone di Gino Paoli?
Non si quanti fossero in realtà, quindi non fate troppo i pignoli. E poi ne La fine del mondo gli amici al bar sono cinque, okay?
Che cos’è La fine del mondo?
Per quei quattro gatti al bar che ancora non lo sapessero, questa volta non ha a che fare con i Maya e non si tratta nemmeno di un nuovo film catastrofico di Roland Emmerdich. Per fortuna. Il nuovo di Emmerdich è Sotto Assedio – White House Down e ho l’impressione che sia perdibilissimo. La fine del mondo è invece l’ultimo capitolo della Trilogia del Cornetto. Purtroppo. Purtroppo che sia l’ultimo. Il regista e sceneggiatore Edgar Wright, l’attore e sceneggiatore Simon Pegg e il solo attore Nick Frost tornano a collaborare insieme per la terza volta, dopo l’ormai mitico L’alba dei morti dementi, che ha riportato al cinema gli zombie quando non erano ancora tornati di moda, e il meno riuscito ma comunque divertente Hot Fuzz, con un film che in qualche modo è la prosecuzione del discorso intrapreso dai due precedenti e allo stesso tempo è una visione del tutto indipendente. Il primo gusto era il Cornetto alla fragola, il secondo era il Cornetto blu originale, e ora tocca a quello alla menta con cioccolato. Al di là della presenza del Cornetto come filo comune, anche lo stile registico, con tanto di montaggio veloce e frenetico di Edgar Wright, è lo stesso, così come ritroviamo lo stesso sense of humour tipicamente british e tipicamente cazzaro, così come lo stile narrativo è lo stesso. Si parte con atmosfere da tipica comedy, e poi si sconfina su altri e più imprevedibili territori.

La prima parte, particolarmente esaltante, della pellicola è la classica vicenda giocata su dei vecchi amici di  adolescenza che si ritrovano. Il grande freddo, Compagni di scuola, American Pie: Ancora insieme, Un tuffo nel passato (Hot Tube Time Machine), Un weekend da bamboccioni, etc.… sono numerosi i film che hanno giocato su questa tematica. Anche La fine del mondo lo fa e gioca particolarmente bene la sua partita. Gioca come un Gascoigne, in maniera folle, quanto geniale. E il Gascoigne della situazione è Gary King, soprannominato The King, Il re, e interpretato da uno scatenato Simon Pegg, un vero e proprio "quaranteenne" (ovvero un quarantenne che si comporta da teen). Gary Ross è rimasto lo stesso dei tempi del liceo. Si veste allo stesso modo, si comporta allo stesso modo e ascolta la stessa musica.
Musica che, come in ogni buona pellicola britannica che si rispetti, riveste un ruolo centrale. La fine del mondo non fa eccezione. Qui la soundtrack non è solo uno sfondo sonoro, ma un elemento fondamentale per creare l’effetto reunion. In maniera analoga a quanto veniva fatto in film come Il grande freddo e Compagni di scuola con gli anni ’60, qui viene rispolverata la musica ascoltata dai protagonista da adolescenti, quella dei primissimi anni ’90, ovvero il suono baggy della scena di Madchester con band come Stone Roses, Happy Mondays e Soup Dragons, più il brit-pop delle origini con gruppi come Blur e Suede. In pratica, una vera figata per gli amanti della musica inglese 90s, quasi al livello della serie tv My Mad Fat Diary.

Gary The King/Simon Pegg riesce in qualche modo a riunire la vecchia gang di amici, composta dall’immancabile Nick Frost, dal precisetti Martin Freeman, dal piacione Paddy Considine e dall’impacciato Eddie Marsan, attore quest’ultimo che ormai si vede davvero dappertutto, sia in UK che negli USA, in grosse produzioni come Il cacciatore di giganti e Biancaneve e il cacciatore, ma anche in serie tv come Southcliffe e Ray Donovan.
Scopo della reunion? Portare a termine l’impresa che i 5 moschettieri non erano riusciti a concludere, per un pelo, nel 1990, ovvero Il miglio d’oro, ovvero andare a bere una pinta di birra a testa in ognuno dei 12 pub della loro cittadina. Se da ragazzi non c’erano riusciti, ce la faranno ora?
E ce la farò io a bermi 12 pinte di birra di fila? Mentre state leggendo questo post, mi trovo infatti all'Oktoberfest per il secondo anno consecutivo, e cercherò di rendere onore a Gary King e agli altri protagonisti della pellicola.

"Che diavolo combina il barista invece di spillare le nostre birre?
Sta al computer a leggere Pensieri Cannibali?"
Per quanto di film sulle reunion come detto ne siano stati fatti tanti, questo funziona alla grande. È spassosissimo e anche leggermente malinconico, ma non troppo, e non sconfina mai nel facile sentimentalismo tipico delle produzioni made in USA.
La fine del mondo però non è certo finita qui. Questo è solo l’inizio. Oltre che un ottimo “reunion movie”, La fine del mondo è una commedia divertentissima, la più spassosa vista finora in quest’annata, e poi è pure una valida pellicola fantascientifica. La componente sci-fi è secondaria rispetto a quella umoristica, ma fino a un certo punto. La vicenda dell’invasione aliena nella cittadina dei protagonisti si sviluppa su sentieri anche in questo caso già battuti, tra il capostipite del genere L’invasione degli ultracorpi e l’ironia di The Faculty. Una storia non nuova, eppure raccontata con personalità e con la solita dose di cazzonaggine. Una cazzonaggine però non realizzata alla cazzo di cane, tutt’altro. La regia di Edgar Wright, autore pure del grandioso Scott Pilgrim vs. the World, è spettacolare, le scene di combattimento sono molto più entusiasmanti di quelle viste in qualunque action movie recente, e pure gli effetti speciali presenti non sono male. Da notare poi il livello di recitazione eccelso. Minuto dopo minuto, birra dopo birra, il livello alcolico sale sempre più, e ciò si nota sui volti dei protagonisti, che però riescono ad apparire naturalmente ubriachi senza scadere nella banale macchietta, o nella parodia dell’ubriaco. Probabilmente perché, durante le riprese, qualche pinta fresca di bionda se la saranno buttata giù pure loro.

"Adesso però sono curioso: che dice sul nostro film?"
E qui veniamo all’ultimo elemento del film. Non solo un “reunion movie”, non solo una divertente comedy, non solo una pellicola leggermente sci-fi, uno sci-fi alla Attack the Block, questo è anche e soprattutto un film alcolico. Un inno al bere, al divertirsi, al lasciarsi andare. Il miglior modo per godersi la visione della pellicola è allora tenersi qualche birretta al fresco e scolarsela durante la pellicola. Se arrivate a quota 12, La fine del mondo vi sembrerà il film più bello del mondo. Ma anche con qualcuna di meno, resta una splendida visione. Da sobri invece non posso garantirlo.

Attenzione: Pensieri Cannibali invita i suoi lettori a fare un uso responsabile delle birre e delle auto. Non bevete auto e non guidate birra, mi raccomando.

A voler fare i pignoli della situazione, la conclusione che ricorda l’inizio della serie tv Revolution non è che sia proprio il massimo della vita no no no, però è l’unica pecca di una pellicola fino a quel momento impeccabile. D’altra parte è questa la natura umana: essere imperfetti e fare una cazzata proprio sul finale. La chiusura del film è una stronzata, but that’s okay, è giusto così. È anche per questo che amiamo la Trilogia del Cornetto e i cazzoni che l’hanno creata. E poi è normale: la parte finale del Cornetto è quella meno buona.
Fine. Non del mondo, solo del post (okay, questa me la potevo risparmiare, ho fatto pure io la cazzata finale).
(voto 8-/10)



domenica 18 agosto 2013

TYRANNOSAUR NON E’ IL NUOVO JURASSIC PARK




Tyrannosaur
(UK 2011)
Regia: Paddy Considine
Sceneggiatura: Paddy Considine
Cast: Peter Mullan, Olivia Colman, Eddie Marsan, Sian Breckin, Paul Popplewell, Ned Dennehy
Genere: brit
Se ti piace guarda anche: un film di Ken Loach può andare

Questo film si chiama Tyannosaur. Perché Tyrannosaur?
Il significato del titolo, come spiega a un certo punto il protagonista, ha a che vedere con Jurassic Park. Prima che vi venga il dubbio: a parte tale piccolo particolare, questo film non c’entra nulla con Jurassic Park. Proprio nulla.
Tyrannosaur è una pellicola bastarda, lontana anni luce e soprattutto ere geologiche dal cinema avventuroso di Spielberg. Una pellicola bastarda, di quelle da far rientrare nella scena del neorealismo britannico più crudo e vero, quello alla Ken Loach, per intenderci, ma meglio di Ken Loach e come protagonista, non a caso, c'è il Peter Mullan di My Name is Joe. Per il suo esordio dietro la macchina da presa, l’attore Paddy Considine, visto pure lui in varie pellicole british neorealiste e non, ha scelto una storia di due solitudini che si incontrano.
Prima che vi venga questo ulteriore dubbio: non è La solitudine dei numeri primi in salsa inglese. Thank you, God.

Tyrannosaur è un film incisivo, che ti scava dentro anche al termine della visione e ti lascia qualcosa. Non un capolavoro ma “solo” un buon esordio, per il Paddy Considine, in grado di gettare delle basi solidissime per una carriera dietro la macchina da presa brillante quanto e forse ancor più di quanto fatto finora in fronte ad essa.
A meno che non siate proprio patiti della scena cinematografica UK, rinfreschiamo la memoria su chi sia Paddy Considine: è quella faccia da tipico britannico che passa più tempo al pub che nella sua casetta a schiera con giardino visto nel cult Submarine, in Now Is Good, in In America, in 24 Hour Party People, in My Summer of Love, in Hot Fuzz e pure in qualche altra parte, persino in grosse produzioni americane come The Bourne Ultimatum - Il ritorno dello sciacallo e Cinderella Man.
Non avete ancora capito chi sia?
Understandable, quindi eccovi il suo faccione.


"Beccati questa, Steven Spielberg!"
Se ancora non siete convinti del fatto che questo film NON sia l’erede di Jurassic Park, vi anticipo in breve la trama: il protagonista è una sorta di hooligan ormai invecchiato che se ne va in giro a fare risse, persino con delle baby gang, e a ubriacarsi. Beve davvero un sacco. No big deal. Tutti gli inglesi bevono davvero un sacco. Lui però ha anche un sacco di scatti di rabbia improvvisi. In preda a un raptus, arriva persino a uccidere un cane. Non solo, arriva persino a uccidere un secondo cane. E la morte di un animale in un film è una delle cose più crudeli che possano capitare, insieme alla morte di un bambino, o forse anche peggio. Nelle pellicole violente può infatti succedere di tutto, ci possono essere sbudellamenti splatter e massacri di decine e decine di persone con una katana e va ancora bene, però la morte di un animale no, è qualcosa di davvero duro da reggere. E questo qui uccide non solo un cane, ma addirittura due.

"Certo che il finale di Broadchuch è stato una vera bastardata. Al confronto,
essere sposata con Eddie Marsan in Tyrannosaur è stata 'na passeggiata."
Nel mare di disperazione in cui sta affogando la sua vita, un’ancora di salvezza gliela lancia una tizia (la bravissima Olivia Colman della serie Broadchurch), la proprietaria di un negozietto di vestiti, che ha un’esistenza disperata quanto la sua. Forse ancor di più, du du du. State già pensando che i due ci daranno dentro come animali, come tyrannosaur magari, e avranno tanti bei bambini alcolizzati e infelici?
Aspettate un momento, perché lei è già sposata con Eddie Marsan. Quello con la faccia da topo. Quello che, sempre se non siete fan sfegatati della (ottima) scena cinematografica UK attuale, vi rinfresco la memoria segnalandovelo in film come La scomparsa di Alice Creed, Happy Go Lucky, Heartless, London Boulevard, ma è apparso anche in Sherlock Holmes, V per Vendetta, The New World, Mission: Impossible III, adesso è nella serie americana Ray Donovan e, insomma, da qualche parte l’avrete pur visto.
Non vi viene in mente?
Eccovi pure il suo faccione.


Se non l’avete ancora capito, questa è una pellicola inglese bastarda. Nuda e cruda. Che vi colpirà feroce come un tyrannosaurus rex. Anche se a dirla tutta nel finale avrebbe potuto colpire in maniera ben più cattiva.
E, tanto per ribadirlo un’altra volta, nel caso ve lo steste ancora chiedendo: no, NON è il nuovo Jurassic Park.
(voto 7/10)

"Proprio sicuri che io non c'entri niente?"



mercoledì 17 luglio 2013

RAY DONOVAN, L’AIUTA CELEBRITA’


Ray Donovan
(serie tv, stagione 1, episodi 1-2)
Creata da: Ann Biderman
Rete americana: Showtime
Rete italiana: non ancora arrivata
Cast: Liev Schreiber, Jon Voight, Paula Malcomson, Katherine Moennig, Steven Bauer, Dash Mihok, Eddie Marsan, Austin Nichols, Ambyr Childers, Kerris Dorsey, Devon Bagby, Johnathon Schaech, Brooke Smith, Peter Jacobson
Genere: salva il VIP, salva il mondo
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Ray Donovan ha una professione tutta particolare. Lavora a stretto contatto con le celebrità di L.A.
Uh, che ficata! Voglio farlo anch’io, un lavoro del genere.
Aspettate a dirlo, mica è semplice. Per prima cosa, perché oggi c’è crisi e pure in questo settore ormai tutti i posti sono già stati presi. Per seconda cosa, bisogna avere un bello stomaco e le palle, per riuscire a stare dietro a tutti i casini che i VIPs combinano. Sono peggio dei bambini. Sono peggio degli anziani all’ospizio. Hanno bisogno di attenzioni costanti.

"Non provare mai più a fare battutine su Justin Bieber e Selena Gomez,
che sono tra i miei protetti. Capito. paparino di Angelina Jolie?"
Se una professione del genere può apparire molto singolare nel mondo reale, nel mondo delle serie tv non è poi nemmeno così assurda. Abbiamo già visto qualcosa del genere con Dirty Sexy Money, serie ad alto tasso di trash in cui Peter Krause era un avvocato/jolly/tuttofare per una delle famiglie più potenti d’America, i Darling, e si trovava coinvolto con loro in situazioni analoghe. Qualcosa del genere avviene anche sul versante più medical in Royal Pains, e situazioni simili le abbiamo viste pure in altre serie come Scandal o Dirt o House of Lies.
A compiere questa professione, Ray Donovan non è solo. È a capo di una task force specializzata. Per loro, togliere dai guai una celebrità che si sveglia la mattina con a fianco una ragazza morta è la routine. Di questo team fanno parte Katherine Moennig, che era la playgirl più ricercata nella serie The L Word e pure qui naturalmente ha la parte della lesbica, più un certo Steven Bauer, un tizio che lo aiuta a fare il lavoro sporco.

"Sono un tipo amichevole. Non si vede?"
Alla fine siamo sempre lì, dalle parti delle storie glamour dei super VIPs. Ma la serie non è solo e non è tanto su di loro. La serie è su Ray Donovan, interpretato da Liev Schreiber, un aiuta VIP che ormai è diventato un pezzo grosso in quel di Hollywood e che però allo stesso tempo vive all’ombra delle celebrità. Ma la serie non sembra nemmeno essere incentrata solo su questo aspetto, quanto piuttosto su Ray Donovan l’uomo e sulla sua famiglia. Ha una moglie e due figli e fino a qui tutto rego, però ha anche due fratelli un sacco incasinati: Eddie Marsan che ha un tremore continuo a una mano e Dash Mihok che è ancora traumatizzato perché da bambino un prete l’ha stuprato.
Soprattutto, Ray ha un padre. E che c’è di strano?
Suo padre è Jon Voight, appena uscito di galera dopo aver scontato 20 anni in una cella, un personaggio fantastico che appena fuori si droga a va a mignotte, e ha anche un lato oscuro che nei prossimi episodi potrebbe rivelarsi con ancora maggiore prepotenza. D’altra parte, uno che s’è fatto 20 anni di galera tanto angioletto non dev’essere.
Quella dei tizi che ritornano alla vita comunque ormai è una tendenza, una moda nelle serie tv degli ultimi mesi. Cito Banshee e Rectify per quanto riguarda quelli che vanno fuori di galera (e pure l'Al Pacino di Uomini di parola di cui ho parlato oggi), ma ci sono anche i vari Les Revenants e In the Flesh sui morti che riprendono una vita normale. O normale per quanto può essere la vita per degli zombie.

Dopo appena una manciata di episodi, Ray Donovan per adesso resta una serie avvolta nel mistero, che vanta dei personaggi solidi e delle valide interpretazioni ma un’identità non ancora ben definita. Io comunque ho la sensazione che di soddisfazioni questa promettente novità di Showtime (il canale di Homeland, Dexter, Weeds, Shameless, United States of Tara, Californication etc.) potrà regalarcene parecchie. Di certo, a Ray Donovan il lavoro non mancherà mai. Anche in periodi di crisi economica, di celebrità che continueranno a fare cazzate che ne saranno sempre.
(voto 7/10)



sabato 22 giugno 2013

JACK E I FAGIOLI GREMLINS


Il cacciatore di giganti
(USA 2013)
Titolo originale: Jack the Giant Slayer
Regia: Bryan Singer
Sceneggiatura: Darren Lemke, Christopher McQuarrie, Dan Studney
Cast: Nicholas Hoult, Eleanor Tomlinson, Ewan McGregor, Ewen Bremner, Eddie Marsan, Stanley Tucci, Ian McShane, Bill Nighy, Christopher Fairbank, Warwick Davis
Genere: fagioloso
Se ti piace guarda anche: King Kong, La storia fantastica, I fratelli Grimm e l'incantevole strega

I Giganti ci sono solo nelle storie, nella realtà non esistono.
Siete sicuri di ciò?
Andate a dirlo a lui.


O andate a dirlo a loro…



I Giganti sono esistiti. Erano una band anni Sessanta. Poi sono spariti nel nulla. Leggenda vuole che siano stati confinati dal re Eric su in cielo, in una terra raggiungibile soltanto da una pianta che arriva fino alle nuvole. Per fare crescere una simile pianta, occorrono dei fagioli speciali. Sembrano fagioli normali e invece se li bagni si trasformano in… Gremlins.
Ho sbagliato film?
In questo, non bisogna mai bagnare i fagioli, altrimenti nasce subito una pianta che va fino al cielo, lassù dove vivono i temibili giganti. I giganti veri, non la band. Ed è proprio quanto capita a Jack, il protagonista de Il cacciatore di giganti. Invece di un tranquillo Gizmo, un giorno si porta a casa ‘sti cacchio di fagiolini magici, questi naturalmente si bagnano e si trasformano in una pianta enorme che gli sfascia la casa. In quel momento insieme a lui c'è la principessa del regno che finisce scaraventata su su, insieme ai giganti che la tengono rapita. [ATTENZIONE! BATTUTA POLITICALLY INCORRECT IN ARRIVO] Vorrebbero anche stuprarla, ma poi si rendono conto che le dimensioni dei loro peni giganti non gli permettono di avere una penetrazione soddisfacente nella piccola vagina della povera umana. [FINE BATTUTA CAZZATA POLITICALLY INCORRECT]

Rimasto a Terra, il nostro Jack si propone per andare a recuperare la principessa. Insieme a lui vanno due ex tossici di Trainspotting ora (apparentemente) ripuliti: Ewan McGregor e Ewen Bremner (beh, lui non sembra molto ripulito), più un cattivone, il primo cattivone del film, Stanley Tucci, promesso sposo alla principessa. Più in là nel corso del film ci sarà un secondo cattivone, anzi no, di più: un cattivone gigante. Anzi no, di più ancora: un cattivone gigante con due teste di cui una parla come il Gollum.

"Aiuto! Qualcuno mi tolga 'sta schifezza dalla spalla!!!
Ah no, scusate, è solo la mia seconda testa..."

Anche se raccontata così può non sembrare, si tratta della solita fiaba, una variante della super hit per l’infanzia, soprattutto nel Regno Unito, Jack e la pianta di fagioli. La cosa che più colpisce di questo film è proprio il suo essere tradizionale. Un controsenso? No, perché negli ultimi anni siamo stati abituati agli stravolgimenti più originali e trasgressivi possibili nei confronti dei racconti classici. Tutto è partito (credo) con Shrek, poi ci ha messo del suo la serie tv Once Upon a Time e negli ultimi tempi ci si è messa una lunga schiera di pellicole a tematica fiabesca che rivisitano le storie in maniera spesso poco da favola. Dal teen fantasy Biancaneve e il cacciatore alla variante action cazzuta (rivelatasi poi più cazzata che cazzuta) di Hansel & Gretel - Cacciatori di streghe, fino alla coloratissima revisione firmata Tarsem di Biancaneve, ancora lei, sta zoccola.

"ARGH! Manco in Trainspotting sembravo così fatto..."
Ne abbiamo viste in pratica di tutti i colori, dal bianco della citatissima Biancaneve fino al cappuccetto rosso sangue. Quello che mancava era allora un film old-fashioned, uno di quelli che sembrano usciti più dagli anni ’80/’90 che da oggi. Le intenzioni, per carità nobili, di questa produzione sono quindi apprezzabili. Il risultato meno. Il cacciatore di giganti non si fa odiare, ma nemmeno amare, finendo per risultare un intrattenimento di livello medio-basso, più basso che medio.
Eppure al suo interno c’è tutto, non manca niente. C’è avventura. Ci sono gli effetti speciali, a dire il vero non un granché. C’è la solita storia d’amore impossibile: lui contadino morto de fame, lei principessa; un po’ come William e Kate ma al contrario. C’è persino un cast più che valido, capitanato dal giovine Nicholas Hoult, quello di About a Boy, Skins, Warm Bodies e noto soprattutto per essersi fatto Jennifer Lawrence. Sulla sua tomba, quando morirà spero il più tardi possibile, sulla lapide scriverenno: “Si è fatto Jennifer Lawrence.” Cosa questa che lo rende credibile nella parte dell’eroe di turno. Oltre al giovine, ci sono anche gli evergreen già citati Stanley Tucci, Ewan McGregor e Ewen Bremner, oltre ai non ancora citati Eddie Marsan e Ian McShane. La fighetta di turno, l’interprete della principessina, tale Eleanor Tomlinson invece bah, non è che convinca granché, nonostante sia una rossa e io ho una passione particolare per le rosse però lei no, chissà?, però è da rivedere in qualche altro film, come Educazione siberiana in cui a quanto pare è presente nel cast.

"Nicholas, tu sei stato con Jennifer Lawrence e io non sarò mai alla sua altezza..."
"Hai ragione, Eleanor, addio! Jennifer, aspettami che arrivo!"
Al di là della drammatica mancanza di figa, pecca non da poco per una produzione commerciale di questo tipo, a non convincere è la regia, davvero insipida.
E chi è il regista?
Bryan Singer???
Siamo sicuri?
Bryan Singer pure lui si merita un bah enorme. Dopo aver fatto il botto con I soliti sospetti e aver firmato un’opera interessante come L’allievo, si è dato alle vaccate commerciali senza ritegno con gli X-Men e Superman Returns e ora con questo Il cacciatore di giganti, che si è pure rivelato un bel flop. Bryan Singer è proprio un regista da bah, bah, e ancora bah. Ha fatto appena intravedere il suo talento e poi la sua carriera ha preso una brutta piega, un po’ come… qualcuno ha nominato per caso M. Night Shyamalan?, ed è così finito per diventare un mestierante anonimo.

Anonimo, proprio come questo film. Non propone un punto di vista nuovo nel raccontare le fiabe, né tanto meno convince nel suo tentativo di revival del vecchio modo di raccontarle. Non fa nemmeno così schifo e quindi non fa manco incazzare troppo, cosa ancora peggiore. Il problema de Il cacciatore di giganti è la sua sostanziale mediocrità e inutilità. È solo un film… un film da bah.
(voto 5,5/10)



lunedì 20 febbraio 2012

War Horse: non aprite quel cavallo

"Sono un tipo all'antica, io: quindi niente
sesso selvaggio equino fino a dopo il matrimonio, ok?"
Terminata l’atroce settimana sanremese, inizia la Oscar Week. Una settimana di programmazione speciale per Pensieri Cannibali, con alcuni recensioni dei film in corsa per l’ambita stutuetta, una speciale Blog War, pronostici, toto-awards e altro…
Apriamo però la settimana in bruttezza, tanto per dare un segno di continuità con l’ultimo Festival di Sanremo, con il peggio film candidato agli Oscar 2012: War Horse, of course...

Se c’è una cosa che non sopporto è chi sfrutta i bambini o gli animali per far provare compassione. Capisco usarli per rimorchiare qualche MILF al parco, però al cinema non si fa.
Steven Spielberg è era uno specialista nei film con protagonisti bambini. Cosa che non significa che facesse film infantili. Sa Sapeva fare pellicole ad altezza di bimbo (odio questa espressione, però rende l’idea) come il suo sommo capolavoro E.T., ma allo stesso tempo sapeva farlo senza parlare ai bambini come se fossero dei ritardati mentali. Per questo, non credo che il vecchio Spielberg abbia mai sfruttato i bambini, ma li abbia usati per raggiungere livelli cinematografici notevoli. E lo dice uno che ha apprezzato anche suoi film che hanno diviso parecchio la critica come A.I. con Haley Joel Osment e La guerra dei mondi con Dakota Fanning.
Ben diverso il discorso per quanto riguarda gli animali, dove lo Spielberg con War Horse raggiunge livelli persino peggiori di questi…


War Horse
(USA 2011)
Regia: Steven Spielberg
Cast: Cavallo Joey, Jeremy Irvine, Peter Mullan, Emily Watson, David Thewlis, Niels Arestrup, Tom Hiddleston, Benedict Cumberbatch, Celine Buckens, Toby Kebbell, Eddie Marsan, David Kross, Matt Milne, Robert Emms
Genere: equino
Se ti piace guarda anche: Babe, Free Willy, Furia cavallo del West, Luck, Seabiscuit, L’uomo che sussurrava ai cavalli, Mio Mini Pony

Un film su un cavallo?
Già mi sento male. Ancora mi devo riprendere dall’idea malsana di ambientare un’intera serie (Luck con Dustin Hoffman) nel mondo delle corse dei cavalli, ma ecco che dopo Seabiscuit, Furia cavallo del West, Black Stallion e Il ritorno di Black Stallion, pure Steven Spielberg, uno che ormai non sa più davvero cosa inventarsi per passare il tempo e fare soldi, si mette in sella e decide di diventare l’uomo che sussurrava ai cavalli.
Attenzione però, perché qui ci troviamo di fronte non a un cavallo da trotto, ma a un cavallo da tro…ia?!
Oops. No, scusate. Ho sbagliato traduzione. Pensavo che il titolo del film fosse Whore Horse.
Un cavallo da guerra, quindi, nientepopodimenoche un cavallo da guerra. Mizzega, ma dove le trovi certe idee, Steven, nel Dixan?
Ok, questa battuta è davvero vecchia. Quasi quanto il cinema di Spielberg e i monologhi di Celentano.

L'amore tra il cavallo Joey e l'attore Jeremy Irvine è proseguito anche
all'infuori del set... Ormai sono una delle coppie più invidiate di Hollywood.
Avete presente la commedia In & Out?
All’inizio, quando fanno vedere i filmati-parodia dei classici film da Oscar?
Ecco, War Horse utilizza dall’inizio alla fine tutti quegli espedienti enfatici tipici del classico film da Oscar. E io già al primo minuto mi son frantumato le palle, tanto per dirla in maniera delicata, con tutte queste riprese dall’alto di paesaggi immensi che tanto piacciono allo SfigSpielberg.
Al peggio però non c’è mai fine. Anzi, non siamo che all’inizio!
Subito dopo si passa al primo piano toccante (?) di un ragazzino che invece di stare a guardare dallo spioncino la Edwige Fenech o la Lory Del Santo di turno che fanno la doccia come in un film con Lino Banfi, è lì che si tocca mentre guarda un cavallo. Pervertito d’un pervertito!
Il culmine dell’amore interspecie si raggiunge però solo dopo, con uno scambio di sguardi ultra romantico tra il ragazzetto e il cavallo. E prendetevi una camera! O ancora meglio: prendetevi una stalla.

Steven, starai mica per addentrarti in un nuovo genere che mai hai esplorato fino a ora: quello del porno uomo/cavallo? Già Cicciolina ci aveva provato con discreti risultati, ma da te non me l’aspettavo.
Grande Spielberg che ancora mi sai sorprendere. Certo, se facevi un E.T. 2 ero più contento, per quanto io odi i sequel, ma invece hai lasciato il compito al tuo nuovo figlioletto J.J. Abrams con il suo riuscito Super 8. E tu sei finito a fare i porno con gli animali, che pure alla Ilona Staller riuscivano un po’ meglio. Ebbravo il vecchio sporcaccione!


Ma cos'ha di speciale questo cavallo che è più conteso di Bella in Twilight?
La storia d’amicizia (o dovremmo dire d’amore??) tra il ragazzo e il cavallo per quanto è troppo ruffiana per essere vera e i dialoghi (o meglio monologhi, ovviamente) tra i due sono una roba talmente fastidiosa che si finisce per invidiare Gesù Cristo quando è finito in croce.
Ma Joey, il cavallo protagonista, oltre che l’oggetto dell’interesse sentimentale di turno, è anche l’eroe della vicenda. La fattoria e l’intera famiglia del ragazzo sono infatti messe nelle mani, o meglio negli zoccoli, di questo cavallo inespressivo che dovrebbe imparare ad arare la terra, altrimenti so’ cazzi.
A completare il quadro da lacrima facile ci mettiamo dentro pure un padre alcolizzato. Cos’altro manca per rendere il tutto ancora più toccante ed epico? Ma la guerra, naturalmente.
Il film è ambientato durante la Prima Guerra Mondiale, ovvero la versione noiosa della Seconda Guerra Mondiale, senza scene con eroine tarantiniane che danno fuoco ad Alemanno, pardon ai nazisti.

Il cavallo Joey in un'espressione felice
L’idea geniale (chiamiamola così) del film è quella di seguire non le vicende dei personaggi umani, bensì di seguire le avventure e disavventure del cavallo Joey attraverso tutti i suoi passaggi di padrone in padrone. Quindi dal ragazzino piagnone si passa al soldato che lo usa in guerra, poi passa ai tedeschi (che non erano tanto stereotipati nemmeno in Sturmtruppen) e quindi a una ragazzina francese che vive in una cascina insieme al nonno, in un quadro che più strappalacrime non si potrebbe immaginare: la tipa in seguito a un incidente infatti non può più cavalcare. Siete già in lacrime? Riuscite a pensare a qualcosa di più patetico di questo?
Quindi c’è qualche altro passaggio di proprietà che non ricordo, fino al finale che non vi rivelo, ma tanto se siete un attimo svegli già lo sapete come va a finire.
Eddai, che lo sapete…
ATTENZIONE SPOILER
Il primo proprietario, il ragazzino ormai cresciuto, corona finalmente il suo sogno d’amore insieme al suo ritrovato cavallo, i due si sposano e hanno tanti bei bambini interspecie, dei Centauri metà uomo e metà cavallo. Belli di mamma.
Il film non va a finire proprio in questo modo? Nella mia testa sì.

Il cavallo Joey in un'espressione triste
L’unica nota positiva sarebbe il cast di umani, che si comporta anche decentemente. Il problema è però che il film non è tanto su di loro, ma è tutto incentrato sul cavallo Joey. È lui il protagonista assoluto.
Avete presente quei film in cui gli animali recitano ai livelli o persino meglio degli animali?
Avete ancora fresco il ricordo dei cani divi di The Artist e Beginners?
Perfetto, non è questo il caso. Per niente. Perciò, caro Spielberg, almeno i primi piani sul cavallo ce li potevi risparmiare, visto che è del tutto inespressivo. È un po’ lo Steven Seagal dei cavalli! Anzi è la Elisabetta Cavallis dei cavallis.

Quanto al resto della confezione del film, tutto appare finto e stucchevole.
L’odore della guerra non si sente mai. Qui sembra che stiamo dentro un (brutto) film della Disney. Ogni cosa è in ordine, precisa e pulita. Praticamente tutti i soldati sono buoni e amorevoli nei confronti degli animali e pure dei nemici. La guerra non dovrebbe essere sporca, cattiva, violenta? Non esistono i cattivi?

Il cavallo Joey in un'espressione arrabbiata
Parentesi colonna sonora.
Il fatto che le scontatissime musiche composte da un imbolsito John Williams, ma più che composte ripescate a caso da uno qualunque dei suoi vecchi lavori, siano state preferite tra le nomination delle migliori soundtrack a quelle spettacolari dei Chemical Brothers per Hanna o a quelle di Alex Turner degli Arctic Moneys per Submarine la dice lunga sull’età media dei membri dell’Academy Awards. Roba che al confronto persino Sanremo fa la figura dello spettacolo innovatore. O quasi.
E a proposito di Chemical Brothers e cavalli, beccatevi la loro spettacolare Horse Power, con cui almeno ci rifacciamo un po’ le orecchie, alla facciazza di quei babbioni dell’Academy e dell’Ariston…


Tanto per non farsi mancare nulla, nel film c’è pure un dialogo tra due soldatini tedeschi offensivo nei confronti delle donne italiane. Così, totalmente gratuito:

“Il cibo in Italia è ottimo.”
“E le donne?”
“Non buone come il cibo.”
“Perché... hanno mangiato troppo?”

Tra i numerosi momenti scult, scultissimi del War Horse spielberghiano, segnalo poi la scena della fugona del cavallo dal campo di guerra, talmente esagerata e inverosimile che manco in un film con Will Smith s’era mai visto osare tanto.
Il limite massimo dell’inverosimile e del patetico si tocca però nel momento in cui un soldato inglese e uno tedesco depongono le armi e uniscono le forze per salvare il povero piccolo mini Pony rimasto intrappolato in un filo spinato. Sì va bene, e magari si sono presi pure una tazza di tè Earl Grey e hanno giocato alle bambole insieme.
"Vai pure con quel Jeremy Irvine che sarà più giovane e bello, ma ricorda
che senza di me non saresti nessuno, sgualdrino d'un whore horse!"
Spielberg, altroché Incontri ravvicinati del terzo tipo e Minority Report: il film più di fantascienza della tua intera carriera è questo!
Al peggio però non c’è mai fine, lo dicevo già prima, visto che la scena conclusiva è talmente scontata e smielata che secondo me andrebbe VIETATA alle persone diabetiche. Persino Winnie the Pooh soffrirebbe una crisi.

Tanto per citare Nancy Olson in Viale del tramonto, dopo che ha letto un copione scritto dal protagonista: “È una vera boiata. È un vero intruglio di melensaggine, non c’è che da gettarlo via.”
E War Horse è così: è la pellicola più disgustosamente buonista, paracula, ruffiana mai concepita, girata e ahimé realizzata. Roba da mattatoio del Cinema.
Se non si fosse capito fino ad ora, riassumo dicendo che questo film è la perfetta rappresentazione di tutto ciò che per me un film NON deve essere. Una pellicola che oltre a scadere nel facile pietismo, è pietosa e basta. Mentre tu, Steven, più che da cavallo, sei caduto davvero in basso.
Eppure War Horse è anche un film seriamente candidato. All’Oscar? Purtroppo sì, ma anche al titolo di pellicola più ridicola nella Storia del Cinema.
"Vooola mio Mini War Horse, vooola, quante avventure tu vivrai!"
E adesso da buon Kid faccio come i bambini, metto su il broncio, e con te Spielberg non ci gioco più.
(voto 0/10)

Nessun animale è stato maltrattato durante la scrittura di questo post.
Soltanto Steven Spielberg, considerabile dopo questo film non un ex grande regista ma proprio un ex regista e basta, cui ogni tanto ho dato qualche violenta frustata sulla schiena.

Di seguito il trailer ufficiale del film.

giovedì 28 ottobre 2010

La scomparsa di Gemma Arterton

La scomparsa di Alice Creed
(UK 2009)
Titolo originale: The disappearance of Alice Creed
Regia: J Blakeson
Cast: Gemma Arterton, Martin Compston, Eddie Marsan
Genere: rapimento
Links: IMDb, mymovies
Se ti piace guarda anche: Hard Candy, Misery non deve morire, Boxing Helena, Ransom – Il riscatto

Ultimamente stanno circolando un sacco di ottimi film che sono interpretati in pratica giusto da 2/3 attori (Monsters, L’estate d’inverno, Hard Candy), al punto che mi chiedo se non sia più facile scrivere una sceneggiatura con pochi personaggi. Ma probabilmente no. Non è facile tenere viva l’attenzione con un budget ridotto, location limitate e due personaggi in croce. Eppure è il potere della scrittura. Un buon script può supplire alle altre mancanze, rendendo persino i mezzi ridotti un pregio. E La scomparsa di Alice Creed è un altro ottimo esempio di scrittura creativa.

Due tizi organizzano il rapimento perfetto. Sono perfettamente organizzati, hanno messo a punto un piano studiato nei minimi dettagli, niente può andare storto. Vittima è la povera Alice Creed. Che poi non è così povera, visto che ha un padre ricco cui i due lestofanti chiedono un sostanzioso riscatto.
Sì, direte voi e ho detto anch’io: solita storia claustrofobica e criminale. Eppure le cose prendono una piega diversa. Ci sono colpi di scena e svolte inaspettate. Il thriller si fa presto più intricato e sorprendente di quanto inizialmente previsto e la tensione è ben distribuita per tutta la durata.

Da segnalare tutti e tre gli attori, a partire della splendida Gemma Arterton, la povera-ricca Alice Creed: già vista in Prince of Persia, I love Radio Rock e Scontro tra titani, è destinata ad essere la next big thing del cinema britannico e le sue curve sono già decisamente the big thing. Davvero bravi anche i due rapitori: l’inquietante Eddie Marsan (La felicità porta fortuna, Sherlock Holmes) con quella faccia da animale (un tasso?) e Martin Compston (Sweet Sixteen, Il maledetto United). Un’ulteriore dimostrazione di come gli attori britannici siano di un livello molto superiore alla media internazionale (per tacere di quella nazionale).
(voto 6/7)

Il film era annunciato in uscita in Italia, adesso non se ne sa più nulla. Almeno in DVD però dovrebbe prima o poi uscire, ma comunque è disponibile in lingua originale con sottotitoli. Insomma: la solita scomparsa dei distributori italiani.

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