Pearl Jam “Lightning Bolt”
La scena mainstream rock mondiale assomiglia sempre di più alla scena politica italiana. Negli ultimi 20 anni (ma forse anche di più) è come se non fosse cambiato niente. Non c’è stato un vero e proprio ricambio generazionale e volti e nomi sono sempre gli stessi.
Tra il “nuovo” album dei Pearl Jam e uno di 20 anni fa non ci sono sostanziali differenze, così come non ci sono tra il video messaggio di Silvio Berlusconi del 1994 e il “nuovo” che aveva lanciato qualche settimana fa. L’unica differenza rispetto al passato è che sia Berlusconi che Eddie Vedder oggi hanno più capelli; il primo grazie a Cesare Ragazzi, il secondo grazie a Madre Natura. A livello politico, Berlusconi e i Pearl Jam sono decisamente agli antipodi, è vero, ma per il resto è sempre la stessa musica.
Eddie Vedder sembra accontentarsi di provare cose diverse da solista, tra lavori più riusciti (la bellissima colonna sonora di Into the Wild) e altri meno (il modesto Ukulele Songs). Quello con i Pearl Jam pare invece essere un semplice lavoro di routine che ogni tanto gli tocca adempiere, ma in “Lightning Bolt” di vera ispirazione e urgenza espressiva ne emerge ben poca.
Le nuove (sicuri siano nuove e non le abbiano riciclate dai precedenti dischi?) canzoni della band di Seattle non sono nemmeno brutte, per carità, anche se le uniche davvero degne di nota mi sembrano il singolo “Sirens” e “Infallible”, mentre pezzi come "Mind Your Manners", "My Father's Son" e "Yellow Moon" un tempo non l'avrebbero usati manco come B-sides. Non canzoni brutte, in ogni caso, piuttosto una versione invecchiata e stanca di quelle di una volta. Dell’impeto e dell’energia del passato grunge non vi è più traccia. “Lightning Bolt” suona come un disco famigliare e non è manco colpa loro. Il rock è ormai diventato un genere per famiglie e i Pearl Jam si sono solo adeguati.
(voto 6-/10)