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sabato 13 settembre 2014

FILM MOLTO... CATTIVI PER GIORNI MOLTO... CATTIVI





Comportamenti molto... cattivi
(USA 2014)
Titolo originale: Behaving Badly
Regia: Tim Garrick
Sceneggiatura: Tim Garrick, Scott Russell
Ispirato al romanzo: While I'm Dead... Feed the Dog di Ric Browde
Cast: Nat Wolff, Selena Gomez, Mary-Louise Parker, Elisabeth Shue, Heather Graham, Dylan McDermott, Lachlan Buchanan, Ashley Rickards, Jason Lee, Austin Stowell, Gary Busey, Cary Elwes, Nate Hartley, Mercy Malick, Justin Bieber
Genere: bimbominkia
Se ti piace guarda anche: Detention, Hard Times – Tempi duri per RJ Berger, Fatti, strafatti e strafighe, American Pie

È sempre il momento di fare una commedia, diceva una volta un tizio saggio, Nanni Moretti. Ed è sempre il momento di guardarla.
Ci sono giornate lunghe, interminabili, in cui tutto quello che deve andare storto va storto. Al termine di quelle giornate, un film ti può far star meglio. Non importa che cinematograficamente sia irrilevante, che la sceneggiatura sia un pastrocchio di proporzioni clamorose o che, a essere ancora generosi, sia definibile come una porcatona incredibile.
Ho visto Comportamenti molto... cattivi alla fine di una di quelle giornate, una di quelle proprio pessime, e mi ha fatto dimenticare per un'ora e mezza tutti i miei problemi, che anch'essi sono piuttosto irrilevanti, perlomeno se paragonati ad esempio a quanto capita ai protagonisti di Colpa delle stelle. Però sono quelle situazioni fastidiose che ti fanno comunque girare le palle, che ti consumano da dentro e tu non sai che fare per porvi rimedio e continui a rimuginarci sopra. Poi ti guardi una robetta come questo film e, almeno per un po', dimentichi tutto e ti senti più leggero.

Comportamenti molto... cattivi è un film molto... cattivo. Nel senso che è di pessima qualità. Su IMDb ha una media voto del 4.3, la critica americana l'ha sberleffato, il pubblico l'ha perlopiù ignorato, i colleghi blogger che avranno il coraggio di vederlo ne diranno peste e corna.
Nonostante tutto questo, io non posso parlarne male. Mi ha tirato su in una giornata giù e quindi io gli voglio bene.
Si può volere bene a un film?
Sì, si può.
Non è amore, perché questa è comunque una pellicola penosa, lo ammetto senza problemi. Però gli voglio bene come a un amico che ti dice che tutto andrà bene. Everything's gonna be alright. Non importa che ciò sia vero o meno, anche perché alla fine everything's never gonna be alright. L'importante è che te lo dica comunque.

Questo film è una supercazzola. Al suo interno mescola in maniera casuale varie cose: una base teen, una spruzzata di scene sessuali alla American Pie/RJ Berger, un bel po' di demenziale alla Fatti, strafatti e strafighe e Scemo & più scemo, un tocco leggero di crime story, ovviamente paradossale e buttato lì nel mezzo alla cazzo di cane, un misto di situazioni da 90s movie con una colonna sonora orientata verso gli 80s e pure una storiella sentimentale da romcom classica.
Tutti questi variegati elementi sono messi insieme alla rinfusa, senza troppa cognizione di causa. A volte si tenta la strada della pellicola goliardica e caciarona, ma senza mai spingere troppo sul pedale dell'eccesso, purtroppo. Altre volte si prova a imboccare la via della commedia anni Ottanta alla John Hughes, ma senza mai raggiungerne i livelli neanche da lontano, purtroppo di nuovo.

Discorso simile per il cast, che mescola giovani promesse come il protagonista Nat Wolff, già visto nel ben più notevole Palo Alto di Gia Coppola e nel già citato Colpa delle stelle, e Selena Gomez, poco espressiva ma bona, con MILF come Elisabeth Shue, Heather Graham e Mary-Louise Parker, con vecchie glorie come Gary Busey e Cary Elwes, più un'auto ironica apparizione di Justin Bieber. Tutti insieme casualmente, più che appassionatamente.

"Beccati questo, Justin Bieber!"

"Hey Selena, ma chi è quello lì?"

Niente insomma in questo film funziona come dovrebbe. Tutto quello che deve andare storto va storto. Come in una giornata da dimenticare. E pure questo sarebbe un film da dimenticare. La combinazione: giornata disastrosa + film disastroso alla fine può però dare a sorpresa un risultato positivo. Una robaccia come Comportamenti molto... cattivi vista in un momento normale può sembrare una merda, e probabilmente lo è davvero, ma se riesce a risollevarti il morale dopo una giornata di merda, vuol dire che il suo porco lavoro l'ha fatto. Niente male, per uno schifo di film.
(voto 6/10)

mercoledì 13 novembre 2013

KANNIBAL KID – PER VINCERE DOMANI




Karate Kid – Per vincere domani
(USA 1984)
Titolo originale: The Karate Kid
Regia: John G. Avildsen
Sceneggiatura: Robert Mark Kamen
Cast: Ralph Macchio, Pat Morita, Elisabeth Shue, Randee Heller, Martin Kove, William Zabka, Chad McQueen, Frances Bay
Genere: di formazione
Se ti piace guarda anche: Kill Bill, Gran Torino, Donnie Darko

Daniel when I first saw you
I knew that you had a flame in your heart
And under our blue skies
Marble movie skies
I found a home in your eyes
We'll never be apart

Non è quello che può sembrare dall'immagine.
Karate Kid è un film maledettamente perfetto. Commerciale fin che si vuole. Ingenuamente ma più che altro genuinamente Anni Ottanta fino al midollo, eppure ancora oggi godibilissimo e più che mai attuale. Karate Kid 1 – Per vincere domani ha rappresentato un modello per il cinema degli anni a venire. Non mi riferisco tanto a quelle cagate scopiazzate come la serie de Il ragazzo del kimono d’oro, o nemmeno al pur decente (a sorpresa) recente remake con Jaden “figlio raccomandato di Will” Smith, o manco a tutti i film su scazzottate e combattimenti vari. Karate Kid è stato ed è anche e soprattutto una pietra di confronto fondamentale per il cinema di formazione successivo e per il genere teen in generale. Se vogliamo anche dei revenge movies. Karate Kid è un film i cui echi si sono sentiti su grandi film degli ultimi anni come Donnie Darko, che lo cita apertamente nei costumi scheletrici di Halloween, o come Kill Bill e Gran Torino, per il rapporto tra allievo e maestro, e poi tanti altri che in questo momento non mi vengono in mente ma probabilmente ne esistono.

Karate Kid è un film sul karate? No. Oddio, un pochino sì, ma è anche e soprattutto una storia d’amicizia, d’amore, una vicenda che parla del trovare se stessi, dell’affrontare i propri problemi e superarli, racconta di un rapporto tra insegnante e studente, di un rapporto di tipo quasi paterno che si instaura tra i due protagonisti, di crescere e imparare, del confronto tra generazioni e stili di vita differenti, del prendere gli insegnamenti della cultura orientale e unirli all’irruenza occidental-americana. Karate Kid è un film filosofico ed esistenziale.
Se vogliamo è anche un film sullo sfruttamento del lavoro minorile. O anche, se proprio andiamo a guardare bene da vicino, è la storia di un vecchino orientale psicopatico e ubriacone che dorme da seduto e che insegna il karate a un bimbominkia italo-americano scartato dalle selezioni di Jersey Shore solo perché troppo poco muscoloso e tamarro. Ma non sottilizziamo troppo.

And when the fires came
The smell of cinders and rain
Perfumed almost everything
We laughed and laughed and laughed

Il cerchietto, il non plus ultra del sexy negli anni Ottanta.
Il punto di forza principale del film sta in una sceneggiatura davvero brillante e completa, che calibra alla perfezione l’action con il romanticismo, la commedia con il dramma, l’epicità con un tocco genuino e semplice. Dentro Karate Kid c’è tutto, non solo il racconto di un ragazzetto che partecipa a un torneo di arti marziali per vendicarsi dei bulletti che gli fanno il culetto a scuola. Proprio per questo è sconfortante vedere la fine fatta dallo sceneggiatore Robert Mark Kamen (a quanto pare non parente del cantante 80s Nick Kamen), qui autore di uno script fenomenale e in tempi recenti tornato a notorietà grazie alla terrificante saga di Taken con Liam Neeson.
Anche a livello registico, il film non è niente male. Dietro la macchina da presa c’è John G. Avildsen, quello che ha diretto il primo Rocky, uno che negli ultimi anni non ha poi più girato niente, ma se non altro lui c’ha risparmiato delle porcherie con Liam Neeson. In Karate Kid ci sono scene degne di Brian De Palma, come quella in cui il protagonista Daniel è seduto alla tavola calda con la madre e intanto alle sue spalle i cattivoni del club di karate stanno architettando un attentato nei suoi confronti a sua insaputa, ma non a insaputa dello spettatore. A inizio pellicola ci sono inoltre magistrali sequenze quasi horror, come quella dell’inseguimento dei karateki vestiti da skeletri. Altra perla è poi la scena del più grande smerdamento nella storia del cinema. Il maestro Miyagi è tutta la vita che prova a prendere una mosca con le bacchette, arriva il minkiettino Daniel San e ci riesce dopo 4 tentativi 4 appena. “Hai la fortuna dei principianti,” gli dice, mentre intanto muore dentro.



"Questa mossa mi servirà nel prossimo combattimento?"
"No, giovane Daniel San. Ti tornerà utile in appuntamento con Elisabeth Shue."
Il cuore del film sono loro: Daniel San (Ralph Macchio, che dove cacchio è finito?) e il maestro Kesuke Miyagi (Pat Morita, purtroppo morto nel 2005 ma che voglio ricordare così) . Il secondo parte come un pirletti e poi diventa un idolo totale. Quanto a Daniel, lui c’è da dire che è un po’ Il Pirletti assoluto. Quando quella gnocca di Elisabeth Shue gli concede il primo appuntamento, lui si fa portare dalla mamma. Dalla mamma… dai, che vergogna! E c’ha pure uno scassone di auto che non parte… dai, che doppia vergogna! A questo punto faceva più bella figura se si presentava a piedi o magari sulla BMX. Anche per questo, ancor più per cose come questa, Karate Kid fa una notevole tenerezza. Ci sono degli episodi di bullismo feroce nel corso della visione, però c’è anche una rappresentazione dell’adolescenza innocente, che oggi non sarebbe più possibile immaginare.

And in the golden blue
Crying took me to the darkest place
And you have set fire to my heart

"E questa mossa qua?"
"Pure questa farà un sacco felice Elisabeth. Garantito."
Karate Kid non è un semplice film. È un caposaldo. Quando le cose si fanno dure, quando tutto pare perduto, quando non pensi di sapere più chi sei, guardi Karate Kid e tutto sembra riacquistare un senso. Il mondo torna a essere un posto di cui potersi ancora fidare, in cui avere speranza, almeno un pochino. Le cose possono andare meglio, basta che dai il VHS di Karate Kid al tuo videoregistratore e togli Karate Kid dal tuo videoregistratore, e poi ancora e ancora e ancora.
Dai Karate Kid, togli Karate Kid.
Dai Karate Kid, togli Karate Kid.
Dai Karate Kid, togli Karate Kid…
(voto 8/10)

When I run in the dark, Daniel
To a place that's vast, Daniel
Under a sheet of rain in my heart
Daniel, I dream of home
Bat for Lashes “Daniel”



Questo post partecipa all’evento The Fabolous 80’s Special, organizzato da Arwen Lynch del blog La fabbrica dei sogni e dedicato alle recensioni di film cult degli anni Ottanta. Per partecipare anche voi fate un salto QUI, oppure QUI.


domenica 11 agosto 2013

CHASING MAVERICKS, UN’ALTRA VOLTA UN’ALTRA ONDA




Chasing Mavericks
(USA 2012)
Regia: Curtis Hanson, Michael Apted
Sceneggiatura: Kario Salem
Cast: Jonny Weston, Gerard Butler, Leven Rambin, Abigail Spencer, Elisabeth Shue, Devin Crittenden, Taylor Handley
Genere: surfaro
Se ti piace guarda anche: Soul Surfer, Blue Crush, Point Break

Le storie sul surf mi affascinano sempre. Non so perché. Sarà per quel sapore di libertà e di ribellione che fanno assaporare. Ho anche scritto un racconto su un ragazzino fissato con questo sport, che potete scaricare gratis nella mia raccolta L’ultima estate di Joan e altri racconti. Fine spazio promozionale.
Point Break, Un mercoledì da leoni, Lords of Dogtown, ma anche robette più innocue come Blue Crush. Se c’è un film sul surf, non me lo posso perdere. Oddio, adesso nelle sale italiane è arrivato Drift – Cavalca l’onda con Sam Worthington, one of the worst actors in the world, e quella è anche un’onda su cui potrei non salire.
All’interno del fantastico sottogenere delle pellicole dedicate alla tavola, il Chasing Mavericks su cui surferò oggi si colloca decisamente tra le pellicole minori. Peccato, perché racconta la storia di un gran bel personaggio ma, tanto per dire una banalità, una bella storia non sempre significa automaticamente un bel film, si veda il caso del pessimo Il discorso del re. Chasing Mavericks si destreggia con maggiore abilità rispetto al soporifero sopravvalutatissimo film premio Oscar di Tom Hooper, ma purtroppo non riesce a incidere del tutto.

"Ragazzo, la prossima volta che mi ricordi che ho fatto un film con Muccino,
sai già la tavola dove te la infilo, vero?"
La storia è quella romanzata della vera vita di Jay Moriarty, giovane fenomeno del surf a cavallo tra la fine degli anni ’90 e i primi Anni Zero. A chiamare a narrare le sue gesta non uno, bensì 2 registi: Curtis Hanson e Michael Apted. Riguardo al secondo, ho visto una manciata di sue pellicole come il valido Occhi nelle tenebre con Madelaine Stowe e Via dall’incubo, film da incubo con Jennifer Lopez, e mi sembra quindi molto discontinuo. Riguardo a Curtis Hanson, non si tratta del padre degli Hanson, quelli di MMMBop, bensì dell’autore di una serie di pellicole notevoli come 8 Mile, L.A. Confidential e Wonder Boys. Non avete mai visto Wonder Boys? Male. Rimediate subito!
Regista molto variegato nella scelta delle storie da narrare, Hanson appariva l’uomo giusto per poter realizzare una specie di 8 Mile del surf. Impresa non riuscita. Laddove 8 Mile era una fotografia perfetta della scena rap anni ’90 in quel di Detroit, ti faceva sentire l’odore delle strade e dei proiettili della Motor City oggi ormai in crisi nera, questo Chasing Mavericks vorrebbe fare lo stesso. Anche qui anni ’90, anche qui pellicola ispirata ai primi passi di un personaggione reale, ma l’immersione nel mondo del surf non scende altrettanto in profondità.

"Ragazzo, usciamo dall'acqua e annamo a fare una partita a pallone,
che mi sento più a mio agio..."
Chasing Mavericks si concentra sulla prima grande sfida di Jay Moriarty, ai tempi 15enne surfista alle prime armi ma già dotato di un enorme talento. Il suo obiettivo è quello di riuscire a dominare l’onda più grande del mondo, El Nino, che non ha niente a che fare con Fernando Torres. Per farlo ha bisogno di un aiuto, quello dell’esperto Frosty (come fa uno a chiamarsi Frosty?) interpretato da Gerard Butler. Dopo essere stato uno spartano alla guida dei 300, dopo aver fatto il calciatore nel modestistissimo Quello che so sull’amore mucciniano, dopo aver girato dei film che manco lui si ricorda, il Butler ora si reinventa come espertone di surf.
Risultato?
A me Gerard Butler sta anche simpatico, però come attore è davvero modesto e, se come calciatore britannico in crisi ci poteva ancora stare, come surfista non si rivela certo un degno erede del Bodhi di Point Break reso immortale da Patrick Swayze. I loro personaggi si somigliano, puru lui è un guru della tavola che cerca di vederne anche gli aspetti più spirituali e insegnarli al suo giovane allievo Moriarty, eppure il Butler è troppo british e poco surfer oh yeah per risultare credibile nella parte.

Così così anche il resto del cast, con il protagonista Jonny Weston che appare ancora troppo acerbo, così come la giovane gnoccoletta della pellicola, la bionda Leven Rambin, di recente apparsa anche nel video “Stray Heart” dei Green Day. La migliore è allora Abigail Spencer, già grandiosa nella consigliatissima serie tv Rectify, e che qui veste i panni della moglie di Gerard Butler.

"Ci manca solo una pelliccia, e poi vestiti così siamo proprio dei tipi da spiaggia!"
Chasing Mavericks è un’occasione mancata per realizzare un nuovo cult sul surf che io bramavo. Allo stesso tempo, è una visione estiva che ci sta tutta. A livello cinematografico non si rivela minimamente degno di nota, e da uno come Curtis Hanson era lecito attendersi qualcosa di più, però ci racconta una bella storia. Lo fa con uno stile a metà strada tra quei docu-reality di Mtv alla Made o I Used to Be Fat, e le classiche pellicole sportive alla Rocky, con in più l’aggiunta di un rapporto allievo-maestro che ricorda Karate Kid, Million Dollar Baby così come anche Gran Torino, sempre per rimanere in area eastwoodiana, per via del confronto generazionale, anche se la forbice di anni di differenza qui è parecchio più ridotta.
Tutto già visto, tutto nella norma, compreso qualche drammone che fa tirare sul film quasi un vento da vicenda alla Nicholas Sparks, come già capitava con Soul Surfer, pellicola sulla campionessa di surf Bethany Hamilton, altrettanto guardabile quanto non riuscita in pieno.
Se non si tratta di un grande film, Chasing Mavericks è comunque una bella opportunità per scoprire un grande campione, un grande personaggio, un grande ometto come Jay Moriarty. E per scoprire se ce l’avrà fatta o meno a cavalcare l’onda più grande del mondo. Con un’istruttore come Gerard Butler, che sembra più un hooligan inglese che non un guru della tavola, la risposta non è così scontata…
(voto 6/10)



martedì 18 giugno 2013

JENNIFER LAWRENCE IN CANOTTA AT THE END OF THE STREET


Hates - House at the End of the Street
(USA, Canada 2012)
Regia: Mark Tonderai
Cast: Jennifer Lawrence, Elisabeth Shue, Max Theriot, Nolan Gerard Funk, Gil Bellows, Eva Link, Allie MacDonald
Genere: horrorino
Se ti piace guarda anche: Prigione di vetro, Silent House

Chissenefrega se questo film fa cagare, ma non dalla paura. Fa cagare cagare.
Chissenefrega se è girato da cani e non da Cannes.
Chissenefrega se il the end alla end of the street è un finale davvero ridicolo.
C’è Jennifer Lawrence in tutto il suo splendorence, e ciò basta per renderla una visione fondamentale.

Partiamo da lì. Dall’unica nota intonata dell’intera pellicola: Jennifer Lawrence.
Ci sono un paio di breve scene in cui Jennifer Lawrence canta. Strimpella la chitarra e canta. E lo fa anche bene. È gnocca, è una delle migliori attrici in circolazione, ha già vinto un Oscar, sa tirare con l’arco, canta e suona… c’è qualcosa che non può fare, questa ragazza?
A quanto pare, sì: girare un buon horror. Almeno per ora, un’impresa che non le è riuscita. Anche se, a dirla tutta, in realtà la voce che si sente nel film non è davvero quella dell’attrice, che nel montaggio finale è stata sostituita da delle cantanti professioniste. Ma non importa. Nella mia testa sa comunque cantare.
90 minuti di Jennifer Lawrence in canotta attillata, di Jennifer Lawrence bagnata sotto la pioggia, di Jennifer Lawrence che limona duro, di Jennifer Lawrence che canta e suona sono per me l’equivalente dei 90 minuti di Spagna - Italia 4 – 0 agli ultimi Europei per uno spagnolo.

"Sarà stato sincero Cannibal quando m'ha detto che canto meglio di Adele?"
Fine delle note, anzi della nota intonata. Tutto il resto è totalmente scordato, fuori tempo, come se i One Direction facessero da coristi ad Adele. Jennifer Lawrence con la sua sola presenza sa illuminare la scena di un film per il resto interamente buio. Ma buio non dark, che paura! Buio pesto, nel senso qualcuno stacchi la spina alla cinepresa del regista, tale Mark Tonderai. Non possiamo nemmeno giustificarlo per essere un esordiente, perché non lo è, avendo alle spalle già una pellicola, Hush del 2008, per lo più ignorata e non credo a gran torto. Il Tonderai gira piazzando qualche effettaccio di regia qua e là, come se stesse filmando un video musicale o una puntata di Gossip Girl. Ce la mette tutta per gridarci: “Quanto sono bravo, quanto sono bravo!” e invece ottiene l’effetto opposto e noi possiamo solo gridargli: “Quanto sei scarso, quanto sei scarso!” e anche: “Vergogna per essere riuscito a fare un film da schifo nonostante la presenza di Jennifer Lawrence.” Ogni tanto fa persino vorticare la macchina da presa intorno ai personaggi, stile Gabriele Muccino, stile mal di mare, quando l’unica cosa che avrebbe dovuto fare sarebbe stata tenere la camera fissa su Jennifer Lawrence e sul suo decolleté per tutta la durata del film. C’andava tanto?

Un primo piano di Jennifer Lawrence
Se la regia fa pena, la sceneggiatura per non sfigurare non vuole essere da meno. E riesce a fare persino di peggio. Lo spunto di partenza non è che sia dei più originali e folgoranti: una ragazza gnocca (Jennifer Lawrence, ovviamente) va a vivere insieme alla mamma MILF discretamente gnocca pure lei (Elisabeth Shue) nella classica casina sperduta in mezzo a un bosco. Dall’altra parte, at the end of the street, si trova l’inquietante dimora in cui qualche tempo prima una ragazza ha fatto fuori i suoi genitori e poi è scomparsa. In questa casa ora ci vive l’altro figlio della coppia fatta fuori, un tipo (Max Theriot di Bates Motel e My Soul to Take) naturalmente very very creepy. La gnocca Jennifer sarà altrettanto naturalmente attratta dal fascino creepy del tipo creepy, ma attenta Jennifer!, perché è talmente creepy che rischi di crepare…

Un altro primo piano di Jennifer Lawrence
Lo spunto è quel che è. Già visto in un sacco di altri orrori simili, però se ben sviluppato poteva comunque garantire una serata all’insegna di qualche bel brivido. Invece è stato sviluppato non solo nella maniera più prevedibile e scontata che si possa immaginare, ma il film è scritto proprio da far schifo. I dialoghi sono di una pochezza disarmante. Roba che Jennifer dovrebbe andare dal suo agente e colpirlo con una freccia, facendo tesoro degli insegnamenti di Hunger Games. I personaggi sono messi lì e poi abbandonati. Gli eventi succedono senza che abbiano un’effettiva utilità ai fini dello svolgimento della storia. Ad esempio, il già citato fatto che Jennifer Lawrence canti e suoni. Ok, sono i momenti migliori di tutto il film, oltre a quelli in cui corre in stile Baywatch, però che reale utilità hanno? Non potevano essere sfruttati meglio per l’evoluzione della trama?
Così come anche la comparsa di alcuni personaggi secondari, come lo stronzetto Nolan Gerard Funk (visto in alcuni episodi di Glee, sempre nella parte dello stronzetto). Non potevano fargli ricoprire un ruolo maggiore nella parte finale? Così, giusto per movimentare la situazione.
E invece no. Invece la parte finale scivola nella noia nonostante e sottolineo nonostante la presenza costante e folgorante di Jennifer Lawrence in canotta. C’è da sperare che ora Jennifer, ormai entrata nello stardom delle attrici più pagate di Hollywood grazie a Hunger Games e premiata agli Oscar per Il lato positivo, eviti di girare altri filmetti di tale livello. Perché se un suo fan come il sottoscritto a un horrorino come questo dà 4, che voto volete gli dia uno che non è un suo fan?

Perché, esistono persone che non sono fan di Jennifer Lawrence?
Argh! Questo sì che sarebbe un ottimo spunto per un film dell'orrore.
(voto a Jennifer Lawrence in canotta 10/10
voto al film 4/10)

Post pubblicato anche su The Movie Shelter.


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