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venerdì 17 ottobre 2014

CITY ISLAND E IL MIO PROBLEMA CON IL CINEMA INDIE





City Island
(USA 2009)
Regia: Raymond De Felitta
Sceneggiatura: Raymond De Felitta
Cast: Andy Garcia, Julianna Margulies, Ezra Miller, Dominik García-Lorido, Steven Strait, Emily Mortimer, Alan Arkin
Genere: indie movie
Se ti piace guarda anche: Little Miss Sunshine, American Beauty, I ragazzi stanno bene, Il calamaro e la balena

Vi chiederete quale sia il mio segreto più nascosto, il più personale, il più segreto dei miei segreti, ma prima mi presento. Mi chiamo Cannibal Kid e abito a City Island.
Non ci credete?
Fate bene. In realtà abito a Casale Monferrato e non nella parte di New York City con gli italoamericani che sembrano usciti da Jersey Shore. Che non è che ci sia poi tutta 'sta differenza, visto che anche la mia città è piena di elementi che potrebbero far parte del reality di Mtv. A dirla tutta è un po' tutto il mondo ormai a somigliare a Jersey Shore. Tamarri senza ritegno sbucano fuori da ovunque. Questo City Island risulta allora un incrocio tra Jersey Shore e un film indie.

Il mio segreto più grande è che mi sono un po' stufato di tutti questi film indie. Ebbene sì. Non è che adesso mi sono convertito al mainstream e comincio a esaltare le pellicole sui supereroi o i “capolavori” di Michael Bay. Resto pur sempre un hipster kid radical-chic. È solo che ci sono troppi film che si somigliano anche in ambito alternativo. L'unico problema di City Island è giusto questo. Mentre lo vedevo, ho avuto una costante sensazione di deja vu, di aver visto qualcosa del genere già troppe volte. Colpa mia che di questo genere di pellicole non me ne perdo una e colpa mia che ho recuperato questo con troppo ritardo e così ha finito per ricordarmi magari anche film che sono usciti dopo.
Ma di cosa parla, City Island?

"Uno strip club...
qualcosa mi dice che tra i clienti ci troverò anche Cannibal Kid."
Il film scritto e diretto in maniera presumibilmente ricca di spunti autobiografici da tale Raymond De Felitta ci racconta la vita di una famigghia di italo americani in quel di... City Island, come avete fatto a indovinare?
Dietro l'apparenza da famiglia media, ognuno dei personaggi nasconde qualcosa, un segreto più o meno inconfessabile. Innanzitutto il padre, Andy Garcia, un secondino con la passione per la recitazione e pure con un figlio tenuto nascosto. Poi la madre Julianna Margulies, che vivrà una specie di relazione all'infuori del matrimonio. Quindi il figlio strambo Ezra Miller, che ha una passione per le BBW (Big Beautiful Women) e infine la figlia Dominik García-Lorido, che nel tempo libero fa la spogliarellista. La classica famiglia post-American Beauty in cui grattando sotto la superficie si vanno a scovare parecchi scheletri nell'armadio e una palata di weirditudine. Il tutto realizzato con uno stile vagamente indie, vagamente Sundance Festival.
Tipicamente indie anche la scelta del cast, con il ripescaggio di una vecchia gloria che ormai non si fila più nessuno, Andy Garcia, una stella del piccolo schermo che cerca di costruirsi una credibilità sul grande schermo come Julianna Margulies di E.R. e The Good Wife, e un gruppetto di giovani emergenti chi più (Ezra Miller) chi meno (la tettuta Dominik García-Lorido e il muscoloso Steven Strait) di belle speranze, con il bonus di un'ottima e sottovalutata attrice britannica come Emily Mortimer e di una vecchia garanzia come Alan Alda, la cui carriera è stata resuscitata proprio da uno dei simboli supremi del cinema indie del nuovo millennio, ovvero Little Miss Sunshine.

Anche la trama procede tra stramberie e situazioni spinte al limite come qualunque indie movie degli ultimi anni che si rispetti. Per il resto, a parte questo senso di già visto che mi ha accompagnato nel corso della visione, non c'è nulla che non vada in City Island, se non il fatto che i due protagonisti Andy Garcia e Julianna Margulies proprio non sono riuscito a farmeli piacere, per quanto le loro interpretazioni siano impeccabili. Sarà che per me un film con protagonista Garcia parte già con l'Andy-cap (pessima battuta, lo so lo so).

"Hey Cannibal, le tue battute sono peggio di quelle di Paolo Ruffini!"

City Island è una pellicola ben scritta e recitata, una visione più che gradevole che scorre tra qualche sorriso e qualche momento riflessivo, il tutto comunque all'insegna della leggerezza e con il pregio di non sfociare mai nel melodrammone gratuito, nonostante alcuni risvolti nella trama lo avrebbero consentito. Una commedia indie media, se vogliamo anche un pochino sopra la media, la cui unica pecca non è da attribuire alla stessa, ma a me.
Ho raggiunto la mia quota limite di film indie. Almeno per il momento mi sa che devo prendere una pausa dal genere, altrimenti la sensazione di deja vu non mi lascerà mai. Che palle, a questo punto mi sa che mi toccherà una robusta dose di filmacci di Michael Bay o di altri pessimi action consigliati dal mio blogger rivale Mr. James Ford per poter ricominciare ad apprezzare i film alternative hipster come si deve.
(voto 6+/10)

lunedì 9 luglio 2012

Quell’idiota di Cannibal Kid

"Questo blog è più idiota di me: mi piace!"
Quell’idiota di nostro fratello
(USA 2011)
Titolo originale: Our Idiot Brother
Regia: Jesse Peretz
Cast: Paul Rudd, Zooey Deschanel, Elizabeth Banks, Emily Mortimer, Shirley Knight, Steve Coogan, Rashida Jones, Adam Scott, T.J. Miller, Kathryn Hahn, Hugh Dancy, Janet Montgomery, Katie Aselton
Genere: com-media
Se ti piace guarda anche: Fratelli in erba, Role Models, Mosse vincenti, Gigantic, Forrest Gump, Hesher è stato qui

È da idioti guardare Quell’idiota di nostro fratello?
No.
È da idioti perderselo?
Nemmeno.
E, nel caso ve lo steste domandando, è da idioti leggere Pensieri Cannibali?
Sì, un pochino, ma sempre meno di leggere il blog di Mara Carfagna.
Senza offesa. Per gli idioti.

Tornando, o anzi approcciandoci finalmente al soggetto del post, diciamo che Quell’idiota di nostro fratello è il classico film inutile, o almeno dall’utilità molto ridotta. Se lo guardi, passi un’ora e mezza serena e piacevole, senza ridere troppo, ma nemmeno senza stare tutto il tempo a fissare l’orologio in attesa che finisca. Se non lo guardi, puoi comunque continuare tranquillamente con la tua vita, che tanto non ti sei perso niente. Un film medio che non presenta grossi guizzi né cadute di stile, avete capito bene.
"Bella questa poesia di Cannibal: Ambarabà ciccì coccò!
Ah, è una nota filastrocca? Allora è proprio vero che sono un idiota..."
Viene da chiedersi come un cast di attori di ottimo livello decida di girare un film del genere. Tra tutte le sceneggiature che ricevono, cosa può averli convinti a girare questa pellicola piuttosto che un’altra?
Magari un agente distratto che legge gli script al posto loro e poi ne sceglie uno facendo:

Ambarabà ciccì coccò
tre civette sul comò
che facevano l'amore
con la figlia del dottore
il dottore si ammalò
e la figlia si sposò
ambarabà ciccì coccò!

Forse quello. Oppure i soldi. Alla fine sono sempre quelle le motivazioni di una scelta: il caso o il cash.
Per carità, esistono un sacco di pellicole peggiori, e pure di molto, rispetto a questa. Però nei film brutti magari c’è uno spunto, un’idea che può rappresentare un motivo di interesse. Quell’idiota, o meglio quest’idiota di nostro fratello invece sembra sempre lì lì sul punto di volerti dare un messaggio, essere un qualcosa di più della solita commediola senza pretese, e invece arriva alla fine in maniera innocua. In un certo senso mi ha ricordato vagamente un incrocio tra Forrest Gump ed Hesher, ma privo della paraculaggine del primo e della forza distruttiva del secondo.

Il protagonista, come potrete già farvi un’idea dal titolo, un tipo proprio sveglio non è. È un idiota, ma nemmeno troppo. È un ingenuo, uno che ha una fiducia illimitata nel prossimo, al punto da sembrare un bambinone cresciuto. In una parte del genere avrei visto bene un Renato Pozzetto stile Il ragazzo di campagna, invece gli americani hanno dato la parte al comunque piuttosto efficace Paul Rudd.
Paul Rudd è un po’ come questo film: un attore che mi ha sempre ispirato simpatia, fin dagli esordi con il mitico cult movie anni ’90 Ragazze a Beverly Hills, dopo di ché è comparso in varie cose anche notevoli ma solo in ruoli minori (come in Romeo + Juliet), per poi ritrovare una relativa seconda popolarità negli ultimi tempi grazie alle comedy targate Judd Apatow come 40 anni vergine e Molto incinta. Per quanto mi possa stare simpatico, però, non lo ricordo in nessun ruolo davvero incisivo, in grado di restare nella memoria. Questo film non fa eccezione.

"Cannibal smettila di chiamarci, tanto non lo leggiamo il tuo libro!"
La storia o meglio la non-storia della pellicola si limita a seguire le (dis)avventure del solito idiota protagonista, prima arrestato a causa della sua stupidità, ovviamente, e poi alle prese con le difficoltà di rifarsi una vita una volta uscito dalla gattabuia. Non pensate a un dramma sul reinserimento dei carcerati nella società, non è certo il caso. Non pensate nemmeno a una commedia goliardica esilarante su un pirlone che ne combina di tutti i colori. Come detto, il protagonista è moderatamente idiota, ma non ai livelli di uno Scemo o di un + Scemo.
A causa della sua idiozia, metterà comunque in crisi la vita delle sue 3 sorelle 3 che, magnanime, provano a dargli una mano. Una dopo l’altra, finiranno nei guai per colpa di quell’idiota del loro fratello. Le sorelle sono Elizabeth Banks, come al solito piuttosto anonima, Emily Mortimer, come al solito piuttosto sprecata in una piccola parte (non perdetevela invece nella nuova serie tv The Newsroom dove è quasi protagonista) e una Zooey Deschanel come al solito piuttosto indie-girl e qui pure in versione lesbo! Prima di esultare, premetto che sì, una scena di bacio c’è (con Rashida Jones), però non aspettatevi robe alla Black Swan che rimarrete delusi.

Nonostante l’ottimo cast di contorno e nonostante la presenza di Zooey lesbo, il film non decolla. Ci si può consolare con il fatto che nemmeno precipita, eppure era lecito aspettarsi qualcosa in più. Sono presenti tematiche mica da poco come sesso, droga & country music, carcere, conflitto tra genitori e figli e soprattutto tra fratelli… tanta roba. Eppure è tutto troppo contenuto. Un film dal potenziale politically incorrect che ne esce troppo politically correct. Un film scritto e diretto in maniera anonima da tale Jesse Peretz che sarebbe potuto essere una perla dell’idiozia, come Scemo e + Scemo o Fatti, strafatti e strafighe prima di lui, e invece non lo è.
Mi sono scervellato per tutta la visione come un idiota e alla fine l’ho capito. Il suo difetto principale è proprio questo: per essere un film idiota, non è abbastanza idiota.
(voto 6/10)

lunedì 2 luglio 2012

Uguale uguale a Studio Aperto

"Vi comunichiamo che sì: Bonucci sta ancora piangendo!"
The Newsroom
(serie tv, stagione 1, episodio 1)
Rete americana: HBO
Rete italiana: non ancora arrivata
Creatore: Aaron Sorkin
Cast: Jeff Daniels, Emily Mortimer, Alison Pill, Thomas Sadoski, John Gallagher Jr., Sam Waterston, Dev Patel, Adina Porter, Olivia Munn
Genere: giornalistico
Se ti piace guarda anche: The Hour, Sports Night, West Wing, Studio 60 on the Sunset Strip, The Social Network, Good Night, and Good Luck., 24, Mad Men, The Office, Veep

Ci sono un paio di ragioni per seguire The Newsroom, la nuova serie tv di HBO. Veramente, ce ne sarebbero ben più di un paio, però cominciamo con le prime due: Aaron Sorkin e la tematica del giornalismo.

Aaron Sorkin è il Cristiano Ronaldo, il Mario Balotelli, la Spagna degli sceneggiatori. Fa cose mostruosamente difficili, con una facilità impressionante. Come nella straordinaria sceneggiatura di The Social Network che gli è valsa il premio Oscar. Premetto che non ho seguito le serie che ha creato in precedenza: Sports Night, sul dietro le quinte della realizzazione di un programma sportivo, West Wing, ambientato alla Casa Bianca, e il più recente Studio 60 on the Sunset Strip, ancora sul dietro le quinte della realizzazione di un programma tv, questa volta uno show comico stile Saturday Night Live.
Il mio entusiasmo nei confronti di questa sua nuova creatura può quindi dipendere da questo, mentre altri autorevoli critici americani e italiani hanno sottolineato che si tratta di una buona serie, ma della “solita” buona serie sorkiniana. Ad avercene, in ogni caso.
Il suo stile in effetti c’è tutto e anche di più. I dialoghi rapidissimi sono puro Sorkin all’ennesima potenza. Con una sceneggiatura da lui curata, si possono anche evitare grandi movimenti di macchina da presa, il montaggio può rilassarsi, tanto sono le sue parole affilate e tambureggianti a dettare il ritmo. Un ritmo infernale.

La prima scena di The Newsroom credo sia una delle più belle aperture di serie che abbia mai visto dai tempi di Twin Peaks. E con questo non voglio dire che abbia qualcosa a che fare con Twin Peaks, qualità eccelsa a parte. Rispetto al ritrovamento di Laura Palmer, il contesto qui è del tutto differente.
Siamo in uno studio tv, il luogo prediletto da Sorkin, in un talk-show politico. Pensate a Santoro, quando ancora lo facevano stare in Rai, oppure a Matrix, quando ancora c’era Enrico Mentana e non quel manichino che l’ha sostituito.
Come in ogni buon, ma pure cattivo, talk-show politico che si rispetti, è il solito fiume di parole bla bla bla inutili bla bla bla. Tra gli ospiti c’è anche il giornalista veterano Will McAvoy (Jeff Daniels), definito una sorta di Jay Leno dei giornalisti, perché è uno che non si espone mai troppo: “È popolare perché non disturba nessuno.” Il classico tipo che non pesta i piedi ai potenti, come Ezio Greggio a Striscia la notizia. Strappa la risata, quando va bene e ultimamente non va molto bene, però è innocuo.

"Volete sapere perché Cannibal Kid è il miglior blogger del mondo?
La verità è che non lo è affatto!"
Quando una ragazza del pubblico gli chiede: “Perché l'America è il miglior paese del mondo?”, Will McAvoy/Jeff Daniels gigioneggia come al solito. Tira fuori qualche risposta ironica, indugia, fino a che, sotto l’insistenza del conduttore, sbrocca e decide di dire esattamente ciò che gli passa per la testa. Il succo del discorso? Gli Stati Uniti non sono per niente il paese migliore del mondo, lo sono stati un tempo, potrebbero esserlo in futuro, ma ora come ora non lo sono.
Apriti cielo. Il discorso viene bollato da tutti come anti patriottico, nonostante nella seconda parte McAvoy abbia invece riflettuto su come gli USA potrebbero tornare ad essere di nuovo grandi. Ma i bei ragionamenti alla stampa non interessano. Alla stampa interessa solo la polemica.
E così, l’America sembra voltare le spalle a McAvoy, che nel giro di una sola ospitata televisiva controcorrente è passato dall’essere il Bruno Vespa lacchè benvoluto o almeno ben sopportato da tutti, a tornare ad essere una mina vagante. Tornare ad essere un grande giornalista, una sorta di Enrico Mentana americano. Eppure, se pensate a un personaggio del tutto positivo, a un modello da imitare, a livello di rapporti interpersonali McAvoy ha parecchie lacune e a livello umano non sembra molto lontano dal cinismo di un Dr. House.

"Dopo la risposta di Jeff Daniels, siamo invasi da
telefonate di protesta dei lettori di Pensieri Cannibali..."
Tutto questo solo nei primi grandiosi minuti di questa serie. Quello che succede dopo, ve lo lascio scoprire da voi. Giusto per anticiparvi qualcosa, il tema principale è quello del giornalismo, dell’integrità professionale e, come nella serie british The Hour, di come costruire un vero grande notiziario. Proprio quello che fanno a Studio Aperto ogni giorno, nevvero?

Il tutto è orchestrato con grande maestria da un Aaron Sorkin in forma strepitosa, con un monologo iniziale da Premio Nobel per la letteratura e una serie di dialoghi al fulmicotone da applausi. Intorno al fuoriclasse Sorkin, per la prima volta autore per una tv via cavo e quindi con una libertà espressiva pressoché totale, ruotano un cast e una troupe tecnica di primissimo livello.
Il protagonista, come abbiamo visto, è Jeff Daniels, attore spesso sottovalutato, spesso sotto utilizzato e ora alle prese con un personaggione con cui sembra avere tutte le possibilità di lasciare un segno indelebile. Poi c’è Emily Mortimer, vista qua e là in Shutter Island, Hugo Cabret, Lars e una ragazza tutta sua e nel nuovo Quell’idiota di nostro fratello, pure lei spesso parecchio sotto utilizzata e pure lei alla grandissima occasione di riscatto.
E poi: Alison Pill (Milk, Scott Pilgrim, nonché Zelda Fitgerald in Midnight in Paris), bravissima, con il personaggio dell’assistente di produzione del programma già protagonista fin dal primissimo episodio di un promettente triangolo amoroso. No, niente roba alla Twilight, tranquilli.
C’è spazio poi per lo “stereotipo di informatico indiano”, played by Dev “The Millionaire” Patel, mentre la gnoccolona della serie nella puntata pilota non è comparsa ma dovrebbe arrivare a breve e si tratta della star in forte ascesa Olivia Munn.
Non dimentichiamo infine quello che potrebbe essere il personaggio cult dello show: Sam Waterston, che interpreta il capo di rete ubriacone. Sembra uscito da altri tempi. Sembra uscito da Mad Men e, giusto per fare il solito paragone esagerato che tanto mi piace fare, questo The Newsroom potrebbe diventare il Mad Men ambientato nel mondo del giornalismo di oggi, anziché nel mondo della pubblicità anni ’60.

Non dimentichiamo poi che a dirigere l’episodio pilota c’è stato Greg Mottola, il regista del divertente Suxbad, del molto bello Adventureland e del deludente Paul, mentre le musiche sono firmate da Thomas Newman, quello di American Beauty, una delle soundtrack con dentro più beauty nella storia del cinema.
Avevo detto che ci sono un paio di motivi per non perdervi questa serie, alla fine spero di avervene dati parecchi di più. Che altro aspettate ancora a recuperarvi l’episodio pilota, che ne parlino a Studio Aperto?
(voto 8,5/10)

UPDATE: dopo appena un paio di episodi, la serie è stata rinnovata da HBO per la seconda stagione.

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