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venerdì 13 ottobre 2017

Ho visto Il segreto, ma non è grave come pensate





Ho visto Il segreto.

Il segreto
(stagione 1)
Titolo originale: El secreto de Puente Viejo
(voto 10/10)


No regia, che cavolo mandi in onda?
Non è Il segreto che intendevo io. Quello ho provato a vederlo una volta, giusto per capire perché milioni di persone in Italia e in Spagna lo seguissero, e dopo pochi istanti sono rimasto vittima di convulsioni e mi hanno dovuto portare via con l'ambulanza. Altro non ricordo, se non che io non ho niente contro i programmi trash, ma qui siamo persino sotto al livello della telenovela piemontese trasmessa da Mai dire gol, Sogni d'amore.

domenica 19 ottobre 2014

LIBERACI DAL MALE, LA RECENSIONE CONFESSIONE





Liberaci dal male
(USA 2014)
Titolo originale: Deliver Us from Evil
Regia: Scott Derrickson
Sceneggiatura: Scott Derrickson, Paul Harris Boardman
Cast: Eric Bana, Édgar Ramírez, Joel McHale, Olivia Munn, Sean Harris
Genere: malefico
Se ti piace guarda anche: Seven, Horns, Sinister

Confesso Padre, perché ho peccato.
Ho fatto pensieri impuri su Ariana Grande. Lo so che è maggiorenne, ha 21 anni per la precisione, però a vederla gliene si darebbe diversi di meno e quindi io lo considero comunque un peccato carnale.
Come dice, Padre? Voi di solito fate ben di peggio? Persino i preti per fiction come il Reverendo Camden di Settimo Cielo?
Grazie Padre per l'assoluzione da questo peccato, ma ne ho un altro. A dire la verità ne ho proprio un sacco. È dai tempi in cui Beverly Hills 90210 e i Take That erano popolari che non mi confesso più.

Confesso Padre, perché ho tanto peccato.
Ha presente i sette vizi capitali?
Immagino di sì, altrimenti che cacchio di prete è?
Comunque, io credo di averli commessi tutti.
Superbia: modestamente, credo che il mio blog Pensieri Cannibali sia il miglior sito dell'universo, YouPorn escluso.
Lussuria: ho YouPorn tra i Preferiti di Google Chrome.
Avarizia: l'altro giorno a un mendicante per strada ho donato un buono per scaricare gratis l'ultimo album degli U2. E sappiamo tutti che è un disco disponibile gratuitamente e soprattutto sappiamo tutti che non è 'sto gran regalo...
Ira: non mi capita spesso di incazzarmi, giusto qualche volta e solo per cose molto importanti. Una roba che mi fa andare fuori di testa ad esempio è la gente che aggiunge i tuoi tweet ai preferiti, ma non li ritwitta, porca puttana! Mi arrabbio solo per cose fondamentali di questo tipo, zio porco!
Gola: al McDrive c'è una corsia preferenziale a me riservata.
Accidia: non ho mai capito cosa sia, sono troppo pigro persino per andare a cercare il suo significato su Wikipedia.
Invidia: Di solito non è un sentimento che mi appartiene, però negli ultimi tempi c'è una persona che proprio invidio con tutto me stesso: Chris Martin. Dio, quanto vorrei essere lui!
No, non certo per le canzonette che ormai è finito a scrivere. Nemmeno per i soldi o il successo, ma solo perché si fa Jennifer Lawrence. Mi perdoni Padre, ma quando penso a loro due insieme mi chiedo come Dio possa permettere una cosa del genere.
No, Padre, dove va? Non ho ancora finito.

"E così è questo il suo confessionale?
Dovrei venire a trovarla più spesso, Padre."
Confesso Padre, perché ho peccato.
Ho guardato Liberaci dal male, un film sugli esorcismi, confidando nel fatto che potesse essere decente. Lo so, ho sbagliato. Non è quasi mai così. Se c'è un genere oggi che è una discreta garanzia di trovarsi di fronte a una schifezza è l'horror. E se c'è un sottogenere dei film dell'orrore che è una notevole garanzia di trovarsi di fronte a una schifezza assoluta è quello delle possessioni demoniache e appunto degli esorcismi. Adesso non c'ho voglia di stare a elencarli perché questo è un luogo di culto e non voglio mettermi a bestemmiare ripensandoci. Sono inoltre sicuro che lei li avrà già visti tutti, Padre. Guardarli fa un po' parte del suo mestiere, per tenersi aggiornato sulle ultime novità in fatto di esorcismi e cose di questo tipo.
Io invece di professione non faccio il prete, grazie a Dio. Senza offesa. Anche se a guardare questo Liberaci dal male un po' m'è venuta voglia di farlo. Qui infatti il prete Édgar Ramírez è un prete cool che beve, fuma, frequenta bar ed è pure un ex eroinomane, alé. Non è che faccia proprio la vita da monaco di clausura, insomma. Secondo me pianta pure dei bestemmioni dal mattino alla sera, ma questo particolare è stato levato dal film. Magari le bestemmie si sentiranno poi nell'extended version.
Il mio mestiere non è quello del prete, bensì quello del blogger, se si può considerare un mestiere vero e proprio e non un hobby per bamboccioni. In particolare faccio il blogger pseudo cinematografico, quindi mi tocca tenermi aggiornato sulle ultime novità. Non che sia stato un successo clamoroso, anzi è stato un mezzo flop, però di questo Liberaci dal male si è un po' parlato in giro e quindi ho pensato di dire anche io la mia.

"Tranqui, raga, sto alla grande!
Giusto un filo di mal di testa
e un leggero bruciore alla pelle.
Le premesse non è che fossero eccezionali. Oltre a trattare l'ostica tematica esorcistica, il film ha per protagonista quello sguardo vuoto di Eric Bana e il regista è Scott Derrickson, già autore di robette modeste come Ultimatum alla Terra e Sinister, nonché di un'altra pellicola sulla stessa tematica come The Exorcism of Emily Rose che però mi sono perso. Nonostante ciò, l'inizio del film lascia ben sperare. Non sembra il solito film sugli esorcismi. Una buona, un'ottima notizia!
Peccato solo per un dettaglio. Ok, non avrà il classico incipit da classico film sulle possessioni, però prende la direzione del classico poliziesco di basso livello. Una specie di brutta copia di Seven. Non è molto, ma se non altro non è il solito horrorino. Questo per quanto riguarda la prima parte, ancora accettabile, del film. Nel secondo tempo, Padre, la pellicola scende giù negli Inferi. Diventa una cosa terrificante e non intendo in senso horror. La scena dell'esorcismo finale – e questo non è uno spoiler visto che da un film sugli esorcismi se lo può benissimo immaginare – è una delle cose più ridicole viste quest'anno. Altroché Lucy di Luc Besson! La conclusione di Liberaci dal male è una lunga, interminabile sequenza che supera ogni livello di ridicolo, da guardare con le mani davanti agli occhi non per la paura, ma per lo schifo provocato.
Una scena del genere riesce a far dimenticare anche quel poco di buono che il film aveva offerto fino ad allora. La presenza delle canzoni dei Doors come elemento interno alla trama, ad esempio. Oppure la presenza della sexy Olivia Munn, altro esempio. O ancora il partner simpa del poliziotto protagonista, Joel McHale (quello della serie Community), che riesce ad alleggerire la pesantezza di Eric Bana. Una serie di elementi positivi, e nei film sugli esorcismi di solito non è facile trovarne manco uno. La seconda parte della pellicola e in particolare la mezz'ora finale cancellano però tutto. Padre, secondo me lei dovrebbe intervenire. Dovrebbe fare un'esorcismo su questa pellicola. Dovrebbe liberarla della sua conclusione.
Come, devo pagarla?
No, Padre. Chieda il conto alla produzione del film, che quelli se c'hanno i soldi per produrre una roba del genere ce li avranno di sicuro anche per permettersi un sano esorcismo. Adesso vado, perché oggi sento di essermi confessato già abbastanza. Procedo ora dietro suo consiglio a recitare 3 Ave Marie, 5 Padre Nostro e a vedere 10 volte Seven per riprendermi da questo Liberaci dal male e per assolvere tutti i miei peccati. Arrivederci Padre, ci si becca alla prossima confessione. Ovvero tra almeno altri 20 anni.
(voto 5-/10)
"Questa bocciatura me la lego al dito, Cannibal.
E non c'è Dio che ti potrà salvare dalla mia vendetta!"

giovedì 27 febbraio 2014

LONE SURVIVOR – NE RESTERÀ SOLTANTO UNO




Lone Survivor
(USA 2013)
Regia: Peter Berg
Sceneggiatura: Peter Berg
Ispirato al libro: Lone Survivor: The Eyewitness Account of Operation Redwing and the Lost Heroes of Seal Team 10 di Marcus Luttrell, Patrick Robinson
Cast: Mark Wahlberg, Taylor Kitsch, Emile Hirsch, Ben Foster, Eric Bana, Alexander Ludwig, Jerry Ferrara, Yousuf Azami, Ali Suliman, Rick Vargas
Genere: bellico
Se ti piace guarda anche: Captain Phillips, Zero Dark Thirty, Friday Night Lights

Avete visto Zero Dark Thirty?
No?
Risposta sbagliata. Questa non era una domanda in cui tutte le risposte vanno bene. No è la risposta sbagliata, quindi correte subito a vederlo.

L’avete visto adesso?
Bravi. Cosa c’entra Lone Survivor con Zero Dark Thirty?
A livello cinematografico non molto. Zero Dark Thirty è un quasi capolavoro, Lone Survivor è un film quasi decente. A livello di tematica hanno però qualcosa in comune. Il filmissimo di Kathryn Bigelow si concentrava soprattutto sull’ossessione di una donna nei confronti di un uomo. Non si trattava però né di una romcom, né della pellicola su una stalker psicopatica. L’uomo a cui dava la caccia era infatti un certo bin Laden.
Ma uno più bello cui dare la caccia no, eh?” si chiederà qualcuno a questo punto.
La parte finale di Zero Dark Thirty comunque era incentrata sulla missione compiuta dai Navy SEALs per stanarlo e catturarlo.
Lone Survivor è su questi ultimi che si concentra. Non ci racconta della stessa missione, ma ce ne presenta un’altra, avvenuta qualche anno prima, più precisamente nel 2005. Una vicenda veramente accaduta raccontata in un libro diventato ora una pellicola cinematografica, tra l’altro di grande successo negli USA dove ha sfondato il muro dei $100 milioni di incasso, traguardo niente male per un film bellico.

Se in Zero Dark Thirty la protagonista era Jessica Chastain, esticazzi, qui in Love Survivor la storia è incentrata sui Navy SEALs, buuu. Nella prima mezz’ora, la parte migliore della pellicola, assistiamo a un interessante spaccato della loro esperienza nell’esercito, con qualche lampo riguardante la loro vita privata che ci consente di avvicinarci un pochino a loro. Una cosa che in altri recenti film survival, perché pur sempre di questo alla fin fine fondamentalmente si tratta, come All Is Lost e Gravity non avviene. Un aspetto positivo che metterei di certo tra i punti, purtroppo non molti, a favore del film.

"SOS! Sullo smart phone non mi funzionano più le app.
Potete fare subito qualcosa che devo finire una partita a Quiz Duello?"
La parte iniziale è quindi promossa, anche perché fin dal primo istante si sente il tocco del regista Peter Berg.
Chi è Peter Berg?
È quello di Friday Night Lights, pellicola sul football americano di una decina d’anni fa diventata anche una omonima fortunata, almeno negli USA, serie tv di cui dalle parti di Pensieri Cannibali si è parlato sempre bene. I primi minuti fanno ben sperare, grazie alle musiche post-rock degli Explosions in the Sky e a dialoghi e atmosfere delicate che paiono dirigerci nella visione di una specie di versione bellica dello stesso Friday Night Lights, con i mitra al posto dei palloni ovali. Pure in questo caso, così come nella serie tv, si riesce ad andare oltre i classici stereotipi da cameratismo militaresco per provare a proporci un’immagine un pochino diversa dal solito dei soldati: dei ragazzi che vanno ai concerti dei Coldplay, ballano sulle note di Jamiroquai e a tavola disquisiscono amabilmente di carta da parati e arredamento. Verosimile o meno che ciò sia, non è la tipica rappresentazione di militari che si limitano a ruttare, scoreggiare, masturbarsi e ascoltare i Metallica. Quando si va oltre gli stereotipi, è sempre un bene.

Bene, bravo Peter Berg. Se il film si fermasse dopo mezz’ora, ci troveremmo di fronte finalmente a una pellicola bellica recente decente e originale. Poi però Peter Berg si ricorda di essere non solo l’autore di Friday Night Lights, ma anche il regista di Battleship e così Lone Survivor si trasforma nell’ora successiva in un filmone fracassone che spettacolarizza la guerra.
Io non ho niente contro la spettacolarizzazione della violenza. Il mio regista preferito è un certo Quentin Tarantino, ormai dovreste saperlo. Laddove però la sua è una violenza esagerata e fumettistica, persino quando si muove in contesti storici come quelli di Bastardi senza gloria e Django Unchained, qui ci troviamo in una pellicola tratta da una storia vera e che punta a un certo realismo di fondo. In un contesto del genere, certe scene spettacolarizzate non le ho davvero capite, come la tragicomica e insistita caduta da un dirupo, che mi ha ricordato quando Homer Simpson saltava la Gola di Springfield e cadeva rovinosamente. In quel caso l’effetto era comico, qua si rimane soltanto senza parole. Stesso discorso per la scena della morte di uno dei personaggi del film. Perché mostarcela in un modo così esagerato e con un tatto quasi degno di Vittorio Feltri? Bah.

"Forse la mattina appena sveglio dovrei prendere l'abitudine di lavarmi la faccia..."
Dopo Battleshit, ehm Battleship, Peter Berg si conferma allora come un Michael Bay intimista. Ha buone intuizioni, ci regala qualche momento niente male, ma poi finisce nella trappola del cinema-spettacolo ammericano più facile. Non stupisce che il pubblico yankee abbia apprezzato tanto la pellicola. Laddove come film giocattolo funziona ancora, se non altro più di un altro survival-realistico analogo come il soporifero Captain Phillips, a mancare alla visione è un minimo di profondità.
Il film non cerca di impelagarsi in implicazioni politiche. Questo da una parte è un bene, perché se non altro non scade nella propaganda pro-Bush che sarebbe apparsa discutibile già nel 2005, figuriamoci oggi. Dall’altra parte, non proponendo alcuna visione politica, Lone Survivor resta un action fine a se stesso. Una celebrazione dell’eroismo da parte di un gruppo di ragazzi, di uomini pronti a dare la loro vita, ma non si sa bene per quale motivo.

ATTENZIONE SPOILER
I titoli di coda che ci mostrano i veri soldati che sono morti durante l’operazione rappresentata nel film vorrebbero essere emozionanti, e immagino che per una parte del pubblico lo siano anche, ma a me sono sembrati una ruffianata degna di Studio Aperto. Del tutto fuori luogo poi le note di “Heroes” di David Bowie, qui proposta nella cover di Peter Gabriel. Che fossero uomini coraggiosi non lo metto in dubbio, ma eroi? Per quale motivo? Perché hanno combattuto per George W. Bush?

George W. Bush con Marcus Luttrell, interpretato nel film da Mark Wahlberg

Al di là di un discorso di tipo moralistico, sì oggi mi sento molto moralizzatore delle Iene, da un punto di vista cinematografico Lone Survivor è una pellicola troppo lunga, incerta se proporre una visione umanista oppure fracassona della guerra, con una serie di interpretazioni non molto memorabili da parte del solito poco efficace Mark Wahlberg e dei questa volta parecchio sottotono Ben Foster ed Emile Hirsch. Quello più in parte sembra Taylor Kitsch, cocco di Peter Berg che non è mai stato un mostro di recitazione. E il fatto che il migliore sia lui la dice lunga sull’impegno da parte degli altri…

Lone Survivor è allora la classica occasione sprecata. Non partivo con grosse aspettative ma la prima mezz’ora, dannato Peter Berg, era accattivante e promettente e mi aveva fatto ben sperare, peccato che poi il film diventi la solita americanata. E allora vai, anche questo post adesso si trasforma in un’americanata!

Dai, tutti con la mano sul cuore a cantare:

Oh, say can you see by the dawn's early light
What so proudly we hailed at the twilight's last gleaming?
Whose broad stripes and bright stars thru the perilous fight,
O'er the ramparts we watched were so gallantly streaming?
And the rocket's red glare, the bombs bursting in air,
Gave proof through the night that our flag was still there.
Oh, say does that star-spangled banner yet wave
O'er the land of the free and the home of the brave?
(voto 5,5/10)

martedì 14 giugno 2011

Hanna dei miracoli

Hanna
(USA, UK, Germania 2011)
Regia: Joe Wright
Cast: Saoirse Ronan, Eric Bana, Cate Blanchett, Olivia Williams, Jessica Barden, Jason Flemying
Genere: kick-ass girl
Se ti piace guarda anche: Leon, Nikita, Domino, Kill Bill, Dark Angel

Trama semiseria
La protagonista è una ragazza cresciuta dal padre come una spietata killer. No, non sto parlando di Hit Girl e Big Daddy di Kick-Ass e nemmeno della famiglia Misseri, bensì di Hanna, una ragazzina albina decisamente cazzuta. Finito l’addestramento, Hanna è pronta per scorazzare libera per il mondo, ma qualcuno sarà sulle sue tracce… le telecamere di Quarto Grado che vogliono realizzare uno speciale su di lei?

Recensione cannibale
“Ti ho mancato il cuore,” dice Hanna a inizio film, quando a caccia cerca di uccidere un animale. La vita di questa ragazzina non è certo come quella della gran parte delle coetanee: per lei niente iPhone, niente Facebook (niente Faceboooook??? che ssfigata!), niente film di vampiri vegetariani… insomma, una vita piacevole e normale se fossimo ancora nel Medioevo. Hanna vive con il padre che la allena in maniera rigorosa, con un addestramento stile Pai Mei di Kill Bill e ripeto: niente tv, iPod, computer, così come niente Facebook, ma nemmeno Netlog o Twitter. Come fa a vivere una ragazza così nel mondo di oggi? In compenso ha delle altre doti, tipo una forza quasi sovrumana e capacità balistiche mica da ridere, più una notevole cultura fornitale dal padre che le legge vari libri approfonditi, altroché Wikipedia.

Fatto sta che a un certo punto, quando ormai è diventata più forte e capace di lui, il padre la mette davanti alla libera scelta di potersene andare e lei tempo pochi istanti e si dilegua… da qui inizia un’avventura on the road che tocca varie location tra Polo Nord, Marocco, Spagna e Berlino, con quest’ultima città sfruttata ottimamente come invece non era riuscito a fare il thriller Unknown di cui vi avevo parlato pochi giorni fa.
Se il trailer della pellicola mi aveva già creato delle aspettative notevoli, il film non solo le ripaga in pieno ma va persino oltre. La storia può ricordare infatti un mix tra la serie tv Dark Angel con Jessica “stragnocca” Alba e i bessoniani Leon e Nikita, ma per fortuna il tocco che si è scelto di dare al film va in una direzione assai personale: direi che Hanna sta ai film di spionaggio/CIA come Unbreakable di M. Night Shyamalan sta alle pellicole sui supereroi. Insomma, una storia nota raccontata con un tono inconsueto e non logoro. L’arma principale usata è poi la capacità di muoversi con destrezza su registri del tutto differenti: ci sono infatti scene di una violenza estrema unite ad altre di una dolcezza infinita. Hanna (il film) ti colpisce con una mazza, ma poi ti accarezza e ti rincuora. Hanna (la ragazza protagonista) ti colpisce e basta.

Strepitosamente in forma il cast: Saoirse Ronan è l’attrice migliore (o almeno la mia preferita) della nuova generazione e qui si presenta in un ruolo parecchio distante dai precedenti di Espiazione e Amabili resti. E ancora una volta sa convincere in pieno. Eric Bana e Cate Blanchett sono invece due attori che di solito non mi convincono, non del tutto almeno, e qua invece fanno la magia di rendermi del tutto soddisfatto e senza nessuna parola maligna da gettare alle loro spalle; in più in un piccolo ruolo c’è anche Olivia Williams, attrice inglese vista in L’uomo nell’ombra e nella serie tv Dollhouse, ormai garanzia assoluta di recitazione mostruosa (adesso non è ancora molto nota, ma quando le daranno un Oscar ricordatevi chi ve l’ha segnalata).

Spettacolare la colonna sonora dei Chemical Brothers; questa non è certo una sorpresa, visto che il dischetto con le musiche del film è già da un po’ che me lo gusto e che mi gusta, però vederla applicata alle immagini fa tutto un altro effetto ed è un bell’effetto. Dopo i Daft Punk di Tron Legacy, i fratellini chimici per Hanna hanno fatto persino meglio dei cuginetti francesi e il tema musicale da loro creato viene fischiettato nel corso del film dai “cattivoni”, in una maniera analoga alla Daryl Hannah infermiera bendata del già citato Kill Bill. D’altra parte non si scappa, quando c’è da parlare di donne con i controcazzi la mente non può che tornare al doppio cheeseburger tarantiniano, anche se qui più che di una vendetta (tema ormai un po’ abusato) la storia è quella di una fuga, ma soprattutto di un’iniziazione alla vita e ai suoi piccoli e grandi piaceri, dalla scoperta della musica (“No magic, no music,” dice uno dei personaggi) al primo appuntamento con l’altro sesso, alla scoperta dell’amicizia importante con una ragazzina molto divertente interpretata dalla promettentissima Jessica Barden, già rivelazione della piacevole british comedy Tamara Drewe. Sono tutte queste cose a rendere diverso e speciale il film, oltre a una regia notevole del sempre più sorprendente Joe Wright, uno che già con Espiazione era andato ben al di là dei canoni tradizionali del genere storico e qui alle prese con le scene d’azione più esaltanti che mi sia capitato di vedere di recente.
Hanna è una pellicola incredibilmente figa nonostante non si sforzi disperatamente di esserlo come tanti altri suoi “colleghi” là fuori e soprattutto è un film che non ha mancato di colpire il mio cuore. In pieno centro.
(voto 8,5)

P.S. Quei basterdi di distributori italiani faranno uscire di casa Hanna il 22 luglio, proprio come ultimo saldo di fine stagione, quando in realtà è una delle pellicole più interessanti dell’anno. Ormai non ci sono più parole, se non: viva Internet!

venerdì 25 marzo 2011

La ballata triste dell'uomo che ha smesso di far ridere

Funny People
(USA 2009)
Regia: Judd Apatow
Cast: Adam Sandler, Seth Rogen, Leslie Mann, Eric Bana, Jonah Hill, Jason Schwartzman, Aubrey Plaza, Aziz Anzari, RZA, Eminem, Sarah Silverman, Andy Dick
Genere: dolceamaro
Se ti piace guarda anche: Man on the moon, In viaggio con una rockstar, Molto incinta, Ubriaco d’amore
Film consigliato da Queen B: thanx!

Trama semiseria
Un celebre comico americano interpretato da un Adam Sandler quasi autobiografico apprende la brutta notizia che ha una forma di leucemia e rischia quindi di morire. Per l’occasione cerca allora di rivedere la sua vita fatta di eccessi insieme a un nuovo comico emergente (Seth Rogen), che diventa il suo assistente personale nonché il suo migliore (e unico) amico. E se da un film di Judd Apatow con Adam Sandler vi aspettate che si rida come matti, vi siete sbagliati perché i due si sono rotti di fare i buffoni a comando per il vostro personale piacere e hanno fatto un film drammatico e serio.
O quasi.

Recensione cannibale
Dopo il successo travolgente di Molto incinta, che l’ha consacrato re della commedia made in USA, Judd Apatow è stato preso da manie di grandezza? È quello che verrebbe da pensare a trovarsi di fronte a un filmone da 2ore e 20minuti che affronta una tematica drammatica come quella di un uomo in fin di vita e per cui si è avvalso di collaboratori di serie A come l’autore dello score di Donnie Darko Michael Andrews per le musiche e l’abituale collaboratore di Steven Spielberg Janusz Kaminski per la curatissima fotografia. Il grande pubblico come spesso succede non sa premiare le grandi ambizioni e infatti il film si è rivelato un mezzo flop, soprattutto se paragonato ai trionfi dei suoi precedenti 40 anni vergine e appunto Molto incinta. Eppure questa pellicola è di certo la sua opera più personale, un ulteriore passo in avanti nella sua sempre più interessante filmografia e se non parlo di capolavoro è solo perché dopo una prima parte davvero ottima, la storia cede lentamente il passo nella parte finale a vicende da classica commedia famigliare. La sensazione è infatti quella che Funny People poteva essere qualcosa di enorme, il film definitivo di Apatow. Così non è, non totalmente almeno, però se non altro ci lascia con la speranza che il regista sappia fare in futuro ancora meglio.

Qui intanto c’è una pellicola più che buona e dal gusto dolceamaro (non ho detto Negramaro!), quasi un dramma rivestito da commedia divertente. Un film in cui si sorride ma è non di quelli da far pisciare sotto dalle risate, sebbene ho avuto l’impressione che alcune parti (come quelle dei monologhi dei comici) avrebbero reso molto ma molto di più in lingua originale.
D’altra parte anche se è un film del regista king of comedy insieme ad Adam Sandler e alla crème della crème della scena comica americana, è pur sempre la storia di un uomo vicino alla morte. Una versione-Apatow del film drammatico-esistenziale, insomma, tanto quanto Molto incinta era una versione-Apatow della commedia sentimentale. La cosa che più adoro di questo uomo-sceneggiatore-produttore-regista-Apatow è proprio quella di saper spiazzare, prendere un genere, remixarlo e farlo proprio. Il peccato di questo film è quindi di svoltare un po’ troppo nell’ultima parte proprio in binari più consueti e aspettati della tipica commedia famigliare americana. Anche se per fortuna il regista non si smentisce e mantiene pur sempre un tocco amarognolo, anche in un finale happy ma non troppo.

In Funny People Apatow, Sandler e tutto il resto del gruppo di comici si guarda allo specchio e ci concede di entrare nel loro mondo, mostrandoci cosa si nasconde dietro a serate di cabaret apparentemente spassose e ai monologhi dei comici: ovvero si celano dei battutisti e dei ghost-writer come il personaggio interpretato da Seth Rogen e anche tanta tristrezza dietro a delle persone pagate per far ridere. Sempre. Loro a questo giro non ci sono stati e hanno voluto fare qualcosa di diverso, con Adam Sandler che non è al suo primo ruolo drammatico (vedi l’ottimo Ubriaco d’amore di Paul Thomas Anderson e il mediocre Reign Over Me) ma probabilmente nel più riuscito della sua intera carriera, anche perché non è poi molto difficile scorgere lui stesso dietro al suo personaggio e ai film idioti che interpreta (e che lui stesso ha interpretato in carriera).

Nel resto del cast svetta un Seth Rogen sempre a suo agio quando si trova a fare lo sfigato impacciato, meno quando fa il supereroe come in The Green Hornet, e la solita compagnia di Apatow (la sua gnocca-moglie Leslie Mann, il suo ciccio-bombo Jonah Hill) a cui si vanno ad aggiungere l’uomo il mito Jason Schwartzman, la indie queen Audrey Plaza (vista anche in Scott Pilgrim Vs. the World e nella sitcom Parks and Recreation), lo spassoso Aziz Anzari di Mtv Human Giant, un inedito Eric Bana in versione comica che non ho capito se mi fa ridere o meno e la risposta è più un no che un sì, più una serie di personaggi nei panni di loro stessi come un incazzoso Eminem.
Questo è quanto succede quando la Funny People si rompe le scatole di far ridere e vuole far riflettere. E ci riesce anche alla grande.
O quasi.
(voto 7,5)

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