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lunedì 16 settembre 2013

COME TI SPACCO LA FAMIGLIA




Come ti spaccio la famiglia
(USA 2013)
Titolo originale: We’re the Millers
Regia: Rawson Marshall Thurber
Sceneggiatura: Bob Fisher, Steve Faber, Sean Anders, John Morris
Cast: Jason Sudeikis, Jennifer Aniston, Emma Roberts, Will Poulter, Ed Helms, Nick Offerman, Kathryn Hahn, Molly C. Quinn, Ken Marino, Laura-Leigh, Tomer Sisley, Matthew Willig, Thomas Lennon, Mark L. Young
Genere: famigliare
Se ti piace guarda anche: Vita da camper, Parto con mamma, Io sono tu, Parto col folle

Partiamo da lui. Uno spacciatore di bassa lega interpretato da Jason Sudeikis. Un Jason Sudeikis che finalmente mi ha convinto in pieno, dopo una serie di prove scialbe in cui lo confondevo con Ed Helms di Una notte da leoni, pure lui qui presente, nelle vesti del suo boss.


Quindi abbiamo lei. Jennifer Aniston che fa la stripper strappona più sexy che mai e poi si trasforma in una MILFona più sexy che mai.


Poi è la volta di quell'altra. Una ragazzina ribelle senzatetto scappata di casa resa da una Emma Roberts tanto bimbominkia skazzata skizzata quanto skatenata.


Infine lui. Un ragazzotto sfigatello e ingenuamente genuinamente naïf (ma quanto mi piace usare la parola naïf con i due puntini sulla i?), portato sullo schermo dal mai visto prima giovane attore rivelazione e facia da pirla Will Poulter.

"Aiuto, queste due bruttone stanno cercando di stuprarmi!"

Un momento. Chi sono questi fab 4?
Sono i Miller, come annuncia il titolo originale della pellicola, We’re the Millers. Se oltre al Fantacalcio esistesse un Fantacinema, io li acquisterei tutti e 4. La pellicola arrivata sul nostro suolo con il solito titolo scemo spacciato per titolone divertente, ovvero Come ti spaccio la famiglia, funziona e se funziona è proprio per merito di 4 personaggi talmente male assortiti, da risultare bene assortiti una volta insieme. Cosa porta questi 4 disadattati a unire le loro forze manco fossero i Fantastici 4?
Lo spacciatore Jason Sudoku Sudeikis si ritrova con la merda fino al collo perché deve dei soldi al suo boss. Questi allora gli propone in cambio un “lavoretto” semplice semplice: smerciare 2 tonnellate di marijuana dal Messico agli Stati Uniti. Come fare a passare il confine senza risultare degli individui sospetti? Al Sudeikis viene in mente di spacciarsi per un insospettabile padre di famiglia con tanto di desperate housewife e figlioletti al seguito. E così decide di ingaggiare per il compito la sua vicina di casa spogliarellista, il suo vicino di casa nerd e la giovane senzatetto che bazzica dalle sue parti.

"Una commedia che fa ridere? Ma che è, una battuta?"
Questa è la storia della nascita di questa famiglia di supereroi. Supereroi? Intendevo superspacciatori. Uno spunto di partenza che sembra richiamare serie tv come Weeds e Breaking Bad, invece no. Lo sviluppo è da classica commedia americana on the road degli ultimi anni, cosa che fa temere il peggio. Vengono infatti in mente cose non proprio fenomenali come Parto col folle o il recente pessimo Io sono tu. A livello puramente di trama in effetti siamo da quelle parti, storiella criminale deboluccia compresa. Solo che ‘sta volta capita una cosa inaspettata: Come ti spaccio la famiglia fa ridere. Fa davvero ridere.
Come ti spaccio la famiglia e L’evocazione – The Conjuring sono stati i due successi a sorpresa del botteghino estivo americano. Perché? Non perché siano pellicole rivouzionarie o chissà quanto originali, ma perché semplicemente fanno il loro dovere. Il primo è una commedia che diverte, il secondo è un film dell’orrore che spaventa. Tutto qui. Può sembrare scontato, può sembrare ovvio, invece non lo è, almeno a guardare la gran parte del resto del panorama delle comedy e degli horror americani degli ultimi anni, che al massimo fanno spavento come commedie e ridere come horror, quando dovrebbe essere il contrario.

"Questo film è davvero divertente.
Per una volta Cannibal non dice una fregnaccia, mi sento male!"
L’umorismo di Come ti spaccio la famiglia è ricco di riferimenti alla pop e hip-hop culture (Flanders, Eminem, Marky Mark Wahlberg, Snoop Dogg, Oprah Winfrey…) ed è molto cattivo, politically incorrect e sessualmente esplicito. Volgare? Se proprio volete fare i bacchettoni sì, un pochino, ma non è un volgare da sbocco come Comic Movie. È semmai un film che gioca con gli stereotipi dei family movies, classica scena della famigliola felice che canta in auto compresa ("Waterfalls" delle TLC, per la cronaca), per sfotterli allegramente. Come si può immaginare, un pizzico di buonismo e qualche strizzatina d’occhio ai valori famigliari alla fine emergono pure qui. Siamo pur sempre dentro una commedia americana mainstream il cui compito è sì di far ridere, ma anche di riempire i multiplex proprio con quelle stesse famiglie che in vacanza vanno in camper che prende per i fondelli.

Cinematograficamente non è certo un capolavoro, anche se c’è un momento simpatico in cui Jason Sudeikis guarda in camera, rompendo la quarta parete come Jean-Paul Belmondo in Fino all’ultimo respiro. Le cose importanti per una commedia come questa sono però altre: Jennifer Aniston impegnata in un paio di scene di strip, innanzitutto, anche se purtroppo non fa intravedere manco mezza tetta. Una scena di un tipo (non vi svelo chi) che si limona Emma Roberts e Jennifer Aniston contemporaneamente. E poi un’altra scena in cui una donna palpa le tette a Jennifer Aniston. Queste sono le cose importanti.
Scene sexy con Jennifer Aniston a parte, ci sono poi le risate. Tante. Finalmente una commedia americana che fa ridere, dall’inizio alla fine. Persino sui titoli di coda. No, non è un sogno. Durante la visione mi sono dato più volte dei pizzicotti sul braccio fino quasi a sanguinare e posso confermare che non si tratta di un sogno. È un miracolo!
(voto 7/10)



giovedì 28 marzo 2013

THE TREE OF FAMILY


The Family Tree
(Australia, USA 2011)
Regia: Vivi Friedman
Sceneggiatura: Mark Lisson
Cast: Britt Robertson, Dermot Mulroney, Hope Davis, Max Thieriot, Chi McBride, Rachael Leigh Cook, Christina Hendricks, Keith Carradine, Gabrielle Anwar, Bow Wow, Jermaine Williams, Jane Seymour, Madeline Zima
Genere: famigliare
Se ti piace guarda anche: American Beauty, I ragazzi stanno bene, The Joneses

Ci sono le grandi pellicole, quelle più amate e più odiate, quelle in grado di trionfare ai botteghini e raccogliere premi assortiti, quelli che tutti hanno visto o perlomeno fatto finta di aver visto. Avete presente?
Ecco, le grandi pellicole che vengono poi indicate come un modello da imitare per chi viene in seguito, quelle che lasciano un segno. Un segno che non per forza di cose è positivo. O non del tutto positivo.
Prendiamo Pulp Fiction, per esempio. Pulp Fiction ha lasciato un segno indelebile nel cinema soprattutto anni ’90 ma non solo, creando però anche uno stuolo di imitatori di Tarantino che hanno prodotto cose a volte immonde, a volte solo atroci, in qualche raro caso decenti. Perché a imitare gli altri raramente si riesce a fare qualcosa di buono. Anche Tarantino lo fa? No, Tarantino non copia. Tarantino prende ispirazione da centinaia, migliaia, miliardi di altri film e li assembla in una visione tutta sua. In un universo tarantiniano personale e immediatamente riconoscibile. Mentre scimmiottare il suo stile può rivelarsi, e infatti spesso si è rivelata, soltanto una tragedia.
Lo stesso si può dire di Matrix. Dopo la sua uscita, dal 1999 in poi, il cinema action e quello fantascientifico sono per sempre cambiati, a colpi di bullet time e trame sempre più fumettose. Anche in questo caso, molti film che si sono ispirati a Matrix non hanno sortito gli stessi risultati e hanno prodotto solo dei mostri. Come il programma Matrix quando è passato dalle mani sapienti di Enrico Mentana a quelle meno sapienti e molto più ruffiane del lacché Alessio Vinci. Ma questo è un altro discorso.
Per par condicio, dopo due film da me tanto apprezzati, cito come esempio anche una pellicola che non ho mai amato un granché: Il favoloso mondo di Amélie. Pur avendolo trovato troppo zuccheroloso per i miei gusti, è innegabile la sua influenza su un sacco di film (Amami se hai coraggio, Carissima me…) e pure serie tv (Pushing Daisies) uscite negli ultimi anni.

"Guns Suck! Spariamo a tutti quelli che le usano!"
Tutta questa pappardella di intro per dire che il film di cui parliamo oggi, The Family Tree, non rientra tra le pellicole in grado di lasciare un segno. Non esattamente.
Facciamo un altro passo indietro. Torniamo alla intro.
Anche American Beauty è un film che ha lasciato il segno e fatto dei grandi danni. Non enormi quanto Matrix e Pulp Fiction, se vogliamo, però ha prodotto una schiera di registi seguaci che volevano realizzarne la loro versione personale, come Ricordati di me, l’Italian Beauty firmato da un ancora decente Gabriele Muccino. American Beauty ha segnato un modo nuovo di raccontare la vita nei sobborghi americani, svelando l’American Nightmare che si cela dietro l’American Dream fatto di una bella casa, un bel lavoro, una bella famiglia e un bel giardino e influenzando un sacco di film e forse ancor più serie tv, da Desperate Housewives a Suburgatory.
Ed è evidente l’influenza enorme che ha avuto su questo The Family Tree.

Ecco, siamo quasi a fine post, ma siamo finalmente arrivati a The Family Tree. Il film di cui avevo intenzione di parlarvi oggi prima di partire per la tangente e di cui forse riuscirò a discutere in questa parte conclusiva di recensione o forse no, chissà chissà? Continuo a sprecare caratteri inutili, forse per gigioneggiare ancora visto che di questo filmetto non è che ci sia molto da dire? Probabile.
The Family Tree racconta di una famiglia disfunzionale, con dinamiche alla American Beauty ma senza la voce fuori campo. E questa è una differenza notevole rispetto ai tanti cloni della pellicola. La trama però è simile, sparatoria finale compresa, così come i personaggi, dalla coppia di genitori protagonisti in crisi alla figlia confusa fino al figlio vagamente psicopatico (sebbene in American Beauty questo personaggio fosse rappresentato dal figlio dei vicini).
Il film è insomma molto americanbeautioso ma senza la particolarità e lo stile americanbeautioso. La regia di Vivi Friedman è anonima è ben lontana dalla perfezione assoluta dell’allora debuttante in società Sam Mendes, mentre la sceneggiatura di Mark Lisson sembra voler dire tante cose: sulla famiglia, sulle relazioni, sull’America di oggi, questioni religiose e di armi comprese, e invece non dice un granché di nuovo.

"Beh? Mai visto delle tette?"
"Così grosse sinceramente no."
Nota di merito comunque per il valido e oltre modo variegato cast, dagli indie habitué Dermot Mulroney e Hope Davis alla sempre splendida Gabrielle Anwar (a mio modesto parere una delle donne più belle in tutti i luoghi in tutti i laghi in tutti i tempi), dal giovane attore Max Theriot (My Soul to Take e la nuova serie Bates Motel) al giovane rapper Bow Wow, fino a un sacco di presenze telefilmiche come Rachael Leigh Cook (co-protagonista di Perception), Chi McBride (Boston Public, Pushing Daisies), Keith Carradine (Dexter), Madeline Zima (La tata, Californication), fino ad arrivare alla rossa di fuoco Christina Hendricks (Mad Men, naturalmente) e a Britt Robertson, protagonista delle sfortunate serie Life Unexpected e The Secret Circle, nonché della piacevole commedia sentimentale The First Time di cui vi avevo parlato la settimana scorsa e che sto cercando di proporre al mondo come nuova Jennifer Lawrence.

Non si capisce come un cast magari non di star hollywoodiane assolute ma comunque di nomi più o meno noti così assortito sia stato convinto all together a girare questo film. Probabilmente la sceneggiatura appariva meglio su carta che non su pellicola. Perché alla fine The Family Tree si rivela il classico film derivativo. Di quelli che li guardi e ti scivolano addosso tranquillamente, ma anche di quelli che se non li guardi non ti sei perso niente.
Ci sono le grandi pellicole, quelle che lasciano il segno, quelle come American Beauty.
E poi ci sono quelle che le imitano.
The Family Tree fa senza dubbio parte della seconda categoria. Una copia, ma se non altro rientra tra le copie non troppo schifose o nocive.
(voto 5,5/10)


mercoledì 23 marzo 2011

Senza vergogna

Il titolo del post non fa riferimento alla dichiarazione di Silvio Berlusconi: "Sono addolorato per Gheddafi e mi dispiace. Quello che accade in Libia mi colpisce personalmente."
Ma avrebbe potuto.

Shameless (US version)
(prima stagione)
Rete americana: Showtime
Rete italiana: prossimamente in arrivo su Sky
Serie creata da: Paul Abbott
Cast: Emmy Rossum, William H. Macy, Justin Chatwin, Jeremy Allen White, Cameron Monaghan, Emma Kenney, Ethan Cutkosky, Shanola Hampton, Steve Howey, Laura Wiggins, Noel Fisher, Joan Cusack
Genere: famiglie anomale
Se ti piace guarda anche: Shameless (UK), Skins, Misfits, I ragazzi stanno bene

Dai Simpson in poi, o probabilmente anche prima ma non ne sono sicuro, in varie serie tv (e non solo a cartoni) si è fatto a gara a presentare le famiglie più sconclusionate: i Griffin, United States of Tara, Parenthood, Modern Family, Bob’s Burgers, ecc ecc… e ora questo Shameless prova a battere tutti in volata.
Gli yankee, si sa, ormai hanno preso l’abitudine di prendere a prestito (per non usare la parola “rubare”) le idee delle serie tv britanniche e riadattarle in versione a stelle e strisce: è capitato ieri a The Office, domani con tutta probabilità a Misfits, oggi succede a Skins, Being Human e a questo Shameless.

Nonostante io adori le serie british almeno quanto i “ladri” americani, la versione UK di Shameless mi è sempre sfuggita. Chi l’ha vista forse non troverà questo remake niente di speciale, a me invece senza conoscere l'originale sembra una serie davvero riuscita e irresistibile, non a caso è già stata confermata per una seconda stagione (yuppie!).
L’impronta britannica si fa sentire, of course, visto che i personaggi sono più sconclusionati del solito yankee medio e inoltre in questa famiglia non c’è più traccia alcuna dell’American Dream. Il padre (un resuscitato William H. Macy) è un ubriacone disoccupato che campa fingendosi invalido (questo espediente anziché dagli inglesi l’avranno copiato mica da noi italiani?), la madre li ha abbandonati e la loro numerosa prole è dunque tirata su dalla sorella maggiore, una grandiosa e splendidamente senza trucco Emmy Rossum (tipa vista in The Day After Tomorrow). Di lei si innamorerà un ragazzo che farà di tutto per aiutarla, ma lei non cade nella sindrome Ruby e preferisce farcela da sola; a interpretare il tipo c'è Justin Chatwin, già in La guerra dei mondi di Spielberg e purtroppo anche in Dragonball Evolution nei panni di... Dragonball *___* (qui però se la cava più che bene).
Poi ci sono un figlio maggiore dal quoziente intellettivo sorprendente ma molto cazzaro e indisciplinato (vagamente simile al Nathan di Misfits, con la differenza che Nathan ha un QI ai minimi livelli), un figlio minore gay innamorato di un uomo musulmano sposato (al-Qaeda potrebbe incazzarsi?), un bimbo bulletto psicopatico che mena chiunque gli capiti a tiro e una bimbetta disadattata il cui ruolo nella serie non l’ho ancora bene decifrato. A questa famiglia “particolare” si uniscono poi un paio di vicini burini e cafoni che trombano dal mattino alla sera con le porte sempre spalancate.

A tutto ciò aggiungo sul piatto anche che è una serie Showtime, la rete di Nip/Tuck e Californication più lontana dal puritanesimo americano-mericano-mericano, e quindi vi sarete fatti un’idea piuttosto chiara del tipo di telefilm cui andrete incontro se deciderete di concedergli una chance: sboccato, sessualmente esplicito, pieno di alcool & droghe a volontà. Comunque, se lo farete, vedrete come i Gallagher (gli Oasis e i Beady Eye non c’entrano niente) siano così sconclusionati che è davvero difficile non provare un gran bene. Per ‘sti stronzi senza vergogna.
(voto 7)

giovedì 23 dicembre 2010

Le meglio serie tv 2010 - n. 12 Life Unexpected

Life Unexpected
(stagioni 1 e 2)
Rete americana: The CW
Rete italiana: Raidue
Creata da: Liz Tigelaar
Cast: Brittany Robertson, Shiri Appleby, Kristoffer Polaha, Austin Basis, Ksenia Solo, Shaun Sipos, Emma Caulfield

Genere: no ordinary family
Perché è in classifica: perché una volta ogni tanto bisogna dare spazio anche ai buoni sentimenti (ma non troppo)
Se ti piace guarda anche: One Tree Hill (le prime stagioni, non le ultime merdose), Parenthood, Una mamma per amica

In pillole
Lux è una ragazzina che per emanciparsi e non essere più sballottolata da una famiglia all’altra cerca i suoi genitori biologici e li trova, sono la protagonista di Roswell fidanzata con il tizio gay di Dawson’s Creek e un barista assolutamente non pronto per fare il padre. Nonostante questo, diventeranno una famiglia vera e propria (più o meno).

Pregi: una teenager che ritrova i suoi veri genitori 30enni maldestri e più immaturi di lei, il divertimento è assicurato
Difetti: qualche tendenza al buonismo come nelle serie anni Novanta; qualcuno può considerarlo un pregio, io no
Personaggio cult: Nate Bazile, barista single che cercherà di diventare un genitore migliore dello stronzo che ha avuto lui per padre


Le meglio serie tv 2010 - n. 13 Parenthood

Parenthood
(stagione 1)
Rete americana: NBC
Rete italiana: Joi
Creata da: Jason Katims (Roswell, Friday Night Lights)
Cast: Peter Krause, Lauren Graham, Erika Christensen, Dax Shepard, Monica Potter, Mae Whitman, Sarah Ramos, Max Burkholder, Miles Heizer, Craig T. Nelson, Bonnie Bedelia, Joy Bryant, Minka Kelly

Genere: famigliare
Perché è in classifica: ci sono personaggi talmente vari e di ogni generazione e carattere che è impossibile non riconoscersi in almeno uno di loro, dopodiché ci si affeziona anche gli altri come in una vera famiglia
Se ti piace guarda anche: Life Unexpected, Una mamma per amica, Modern Family

In pillole
Quattro fratelli: Lauren Graham (Una mamma per amica) dopo il divorzio torna con i suoi due problematici figli a vivere con i genitori pensionati; Peter Krause (Six Feet Under, Dirty Sexy Money) ha un figlio autistico e una figlia che ha appena scoperto i ragazzi e il sesso e per lui potete capire che la vita si fa quindi davvero dura; Erika Christensen (la tipa tossica di Traffic) è una glaciale avvocatessa che ha problemi con la figlia; Dax Shepard (un tizio uguale a Zach Braff/J.D. di Scrubs) è un farfallone che si ritrova a sorpresa con un figlioletto. Le loro vite misteriosamente si intrecciano... per forza, sono fratelli.

Pregi: crea dipendenza con grande facilità e tratta tematiche anche pesanti in maniera leggera
Difetti: non è poi niente di nuovo
Personaggio cult: il bambino autistico

Leggi la mia RECENSIONE

domenica 21 novembre 2010

Famiglia cristiana

The Kids Are All Right
(USA 2010)
Regia: Lisa Chodolenko
Cast: Julianne Moore, Annette Bening, Mia Wasikowska, Josh Hutcherson, Mark Ruffalo, Yaya DaCosta, Zosia Mamet, Eddie Hassell, Kunal Sharma
Genere: famiglie particolari
Links: IMDb, mymovies
Se ti piace guarda anche: Juno, Laurel Canyon, The L Word, United States of Tara

Un film su una famiglia, un altro, l’ennesimo? Beh, la famiglia protagonista di “The Kids Are All Right” non è esattamente quella classica da mulino bianco: le due mamme sono una coppia lesbica che hanno avuto un figlio per una dallo stesso donatore e i due figli ormai adolescenti sono quindi curiosi di conoscere il loro vero padre biologico. Scoprono così che si tratta dello stralunato Mark Ruffalo, un trentaequalcosa piuttosto fulminato con cui però stringeranno un buon legame.

Il film parte come meglio non potrebbe, con i Vampire Weekend in colonna sonora e già così basta a indirizzarsi sui binari giusti di una piacevole commedia indie, che musicalmente passa da David Bowie a Joni Mitchell e chiude sui titoli di coda con “The Youth” (e non “Kids”, come era lecito immaginarsi) degli MGMT.
La prima parte è piuttosto travolgente e tratta la tematica della coppia saffica in maniera ironica e senza farsi prendere troppo la mano dagli stereotipi, con un’attenzione particolare rivolta ai figli della coppia. Peccato però che invece nella seconda parte diminuisca un po’ il ruolo dei kids del titolo per concentrarsi maggiormente sugli adulti del cast e su un triangolo amoroso non poi così inaspettato.

Lo stile visivo e le tematiche di Lisa Chodolenko, già segnalatasi alla regia di alcuni episodi della serie tv lesbo (non credo sia una coincidenza) “The L Word” e del film “Laurel Canyon”, sembrano una versione più pulita del cinema di Gus Van Sant o di Larry Clark, come il suo “Kids” solo più all right appunto. Il respiro è quindi quello leggero di pellicole indie recenti come “Juno”, sebbene la verve e la riuscita dei dialoghi sia inferiore.

Fulminante il cast, con la coppia lesbo Annette Bening-Julianne Moore già in profumo di nomination agli Oscar, un Mark Ruffalo eccezionale in grado di tirar fuori un sacco di facce da pirla, Mia Wasikowska giovane attrice fenomeno già vista nella serie tv “In Treatment” e nel corto zombie “I love Sarah Jane” e unica meraviglia del poco meraviglioso Wonderland dell’ultimo Tim Burton, mentre Josh Hutcherson era già stato giovanissimo protagonista de “Il ponte di Terabithia”, uno dei film per me più commoventi di sempre. Nei panni della “scopamica” di Ruffalo c’è poi questa Yaya DaCosta, attrice afro stilosissima che già mi immagino presenza fissa nel prossimo Tarantino. Con tanto di inquadrature sui suoi piedi.

Una famiglia non convenzionale per un film indie piuttosto convenzionale cui manca forse giusto lo spunto geniale e il colpo da KO ma che ha il grande pregio di farti innamorare dei suoi personaggi e alla fine riesce nell’obiettivo di far esclamare a tutti i kids là fuori (me Cannibal Kid compreso): yeah all right!
(voto 7+)

Il film dovrebbe uscire in Italia nel febbraio 2011 con il titolo per una volta non sputtanato “I ragazzi stanno bene”. Già ora è comunque disponibile in rete con sottotitoli italiani.

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