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lunedì 17 novembre 2014

FRANK AMENTE ME NE INFISCHIO





Frank
(UK, Irlanda 2014)
Regia: Lenny Abrahamson
Sceneggiatura: Jon Ronson, Peter Straughan
Cast: Domhnall Gleeson, Michael Fassbender, Scoot McNairy, Maggie Gyllenhaal, François Civil, Carla Azar
Genere: folle
Se ti piace guarda anche: Essere John Malkovich, I'm Here, Quasi famosi

La Storia della Musica è piena di artisti mascherati. Tra i primi ci sono stati i The Residents, i Kiss, i Rockets. Quindi nei 90s è diventata una tendenza cool nell'ambito metal, soprattutto grazie agli Slipknot, mentre negli ultimi anni la moda ha colpito parecchio il genere elettronico. Sulla scia dei Daft Punk, molti artisti e dj come deadmau5, SBTRKT e The Knife hanno nascosto i propri volti. Anche in Italia abbiamo i nostri esempi di musicisti mascherati con Bloody Beetroots e i Tre allegri ragazzi morti. Rimanendo in tema fumettistico, un altro esempio di band celata dietro a degli avatar sono i Gorillaz, la cartoon band formata da Damon Albarn.
C'è poi chi ha creato dei personaggi fittizi, come il terrestre David Bowie diventato l'alieno Ziggy Stardust, o il timido e pantofolaio ragazzetto Brian Warner che si è trasformato nel satanico Marilyn Manson, o ancora il riflessivo rapper Marshall Mathers che all'occorrenza diventa la sua controparte scatenata e senza peli sulla lingua Slim Shady. Tanti altri, non solo in ambito musicale, hanno un alter-ego, come l'aspirante giornalista-scrittore Marco Goi, meglio noto (si fa per dire) come il blogger Cannibal Kid.

Il caso più clamoroso di musicista mascherato, nonché di confusione tra identità e alter-ego, è però un altro, meno conosciuto rispetto ai precedenti (Cannibal Kid a parte): quello di Frank Sidebottom.
Chi è Frank Sidebottom?
Questo qui.


sabato 16 novembre 2013

UN POST SU POST TENEBRAS LUX




Post Tenebras Lux
(Messico, Francia, Olanda, Germania 2012)
Regia: Carlos Reygadas
Sceneggiatura: Carlos Reygadas
Cast: Nathalia Acevedo, Adolfo Jiménez Castro, Rut Reygadas, Eleazar Reygadas, Willebaldo Torres, Mitsy Ferrand, Joakin Chardonnens, Ander Vérez, José Alberto Sánchez
Genere: follesistenziale
Se ti piace guarda anche: The Tree of Life, Holy Motors, The Fountain - L'albero della vita, Possession

Post Tenebras Lux è un capolavoro.
Mi correggo: se finisse dopo i primi 10 minuti, sarebbe un capolavoro. La prima scena potrebbe essere tratta dal nuovo film di Terrence Malick e la seconda scena potrebbe essere presa dalla nuova pellicola di David Lynch, se mai si ricorderà di essere un grande regista prima ancora che un cantante così così.
Meraviglia e genialità. Lampi di grande cinema. Letteralmente lampi, considerando come la prima scena sia ambientata nel corso di un temporale. Forse però avrebbero dovuto intitolarlo Pre Tenebras Lux. La luce arriva subito all’inizio. Il meglio è tutto lì. 10 minuti di cinema pazzesco. Il resto è a un livello inferiore, ma non è da buttare. Resta un po’ di delusione addosso perché, dopo una partenza tanto folgorante, ci si ritrova poi nel mezzo di un pasticcio autoriale e ciò sia inteso sia in senso negativo sia in positivo. Post Tenebras Lux è un casino. Uno di quelil in cui è bello perdercisi, anche perché non si può scegliere di fare altrimenti. Si può solo restare impotenti dall’imponenza della rappresentazione del regista messicano Carlos Reygadas. Alcune scene apparentemente non hanno senso. E forse non solo apparentemente. Altre scene sembrano solo slegate dal resto, montate in una maniera non tradizionale. Qualcuno ha detto montate a caso? Non io.

Il bello dei film come questo, i film d’autore, i film creativi, i film senza senso, è che puoi dargli tu un senso e sentirti intelligentissimo. Probabilmente poi l’autore intendeva tutt’altro, cose che proprio non c’entravano niente con i viaggi mentali che ti sei fatto tu, però non importa, no. Una volta che un autore dà in pasto al pubblico la sua opera può salutarla con una manina, perché ormai non è più sua, è di tutti.
Le reazioni nei confronti di Post Tenebras Lux sono state molto contrastanti. Ai livelli di un discorso di Berlusconi. C’è chi l’ha amato alla follia e chi l’ha odiato alla follia. Sempre di follia si tratta e nel caso di un film folle come questo ci sta.

Al Festival di Cannes 2012, dove è stato presentato, l’hanno adorato e, nell’anno della Palma d’Oro ad Amour di Michael Haneke, hanno consegnato a Carlos Reygadas il premio per la miglior regia, a discapito di altri nomi mica da ridere come Leos Carax (Holy Motors), Jacques Audiard (Un sapore di ruggine e ossa) e Wes Anderson (Moonrise Kingdom) rimasti a bocca asciutta.
A me personalmente sono piaciuti di più i tre titoli appena citati, meno Amour, però il premio a Reygadas, accolto all’epoca da numerosi fischi, non mi sembra scandaloso. Non tutto funziona alla perfezione, in Post Tenebras Lux, però la sua regia è davvero particolare e degna di nota e di un premio. C’è un uso continuo della lente grandangolare che smussa gli angoli, non lontana dalla vista umana e ci sono scene di pura bellezza. Pura follia, ma anche pura bellezza.

"Cioè, c'è un diavolo col bigolo di fuori e tu ti fai
dei problemi a mostrare le tette?"
C’è però anche chi l’ha odiato. Odiato al punto da voler vedere il regista staccarsi la testa dal collo. Perché?
Perché, come detto, è un film senza senso o a cui comunque è difficile dare un senso univoco. Non è un film del tutto antinarrativo, perché un abbozzo di storia c’è. Giusto un abbozzo riguarda una famiglia particolare: il padre fissato con il sesso anale, la madre che si fa le orge, la bimbetta che gioca con le mucche e il bimbominkia che ogni tanto compare e fa del casino. Tra l’altro i due piccoli sono i figli dello stesso regista. A parte questo contesto famigliare, è un film parecchio antinarrativo e arty. Come The Tree of Life. Come The Fountain – L’albero della vita. Come le pellicole di Zulawski. Come Holy Motors. Come quei film che quando arrivi alla fine ti fanno staccare la testa dal collo. Perché continuo a dire ‘sta cosa? Guardate Post Tenebras Lux e capirete.
Capirete anche che il diavolo vien di notte con le scarpe tutte rotte e il pistolino di fuori. Mentre noi dormiamo, il diavolo ci entra in casa, si fa un giro e poi esce.
Sono impazzito?
Sì, ma vi ripeto di guardarvi il film e poi le mie parole assumeranno un senso. O quasi.

Ma io, questo Post Tenebras Lux, l’ho amato o l’ho odiato?
Ho amato la prima parte e poi mi è piaciucchiato il resto. Mi ha comunicato molto. Cosa nello specifico non sto a dirlo, perché probabilmente non avrà granché a che fare con ciò che comunicherà a voi o con ciò che il regista voleva comunicare. D’altra parte questo è il primo film del talentuoso Carlos Reygadas che vedo e quindi non so indicare quali elementi possa avere in comune con le sue altre opere e quanto sia connesso ad esse. Per quanto folle, per quanto composto da scene bellissime unite tra loro in un modo non sempre chiaro, il tutto in ogni caso mi è sembrato avere una sua coerenza.
Tutto, tranne una cosa che proprio non ho capito: le scene dei ragazzi che giocano a rugby. WTF?
Lo so che ci sono altre sequenze molto più fulminate e allucinate di quelle, però, con tutto il resto del film ambientato in Messico, ‘sti tizi inglesi che giocano a rugby cosa diavolo c’azzeccano?
Reygadas sei un pazzo e anche per questo, soprattutto per questo, il tuo film non l’avrò amato alla follia, ma gli ho voluto bene.
Adesso però vado a staccarmi la testa.
(voto 7,5/10)

Un grazie va a The Cinema & Music Show per i sottotitoli italiani. Se non li trovate in rete, passate dalla sua pagina Facebook a richiederli.



domenica 12 maggio 2013

SO COSA HAI FATTO IMPROVVISAMENTE L’ESTATE SCORSA


"Ti prego, Dio. Fa che almeno 'sta volta Cannibal non dica delle stronzate!"
Improvvisamente l’estate scorsa
(USA 1959)
Titolo originale: Suddenly, Last Summer
Regia: Joseph L. Mankiewicz
Sceneggiatura: Gore Vidal, Tennessee Williams
Tratto dall’opera teatrale: Improvvisamente l’estate scorsa di Tennessee Williams
Cast: Elizabeth Taylor, Montgomery Clift, Katharine Hepburn, Albert Dekker, Mercedes McCambridge, Gary Raymond
Genere: lobotomizzato
Se ti piace guarda anche: Il dubbio, Viale del tramonto

Pazzia e omosessualità. Temi scomodi e difficili da trattare ancora oggi, figuriamoci a fine anni ’50. Improvvisamente l’estate scorsa riesce però nell’impresa in maniera sottile e intelligente, aggirando le rigide regole del Codice Hays all’epoca vigente nel cinema degli Stati Uniti. Come? Semplicemente omettendo di pronunciare la parola omosessuale e trasformandola nello spettro che si aggira per l’intera pellicola. Così uno si chiede per tutto il tempo: “Ma stanno parlando di quello, o di cosa? Sono io che mi sto immaginando tutto? Sto impazzendo come la protagonista?”.
Il bello del film è proprio questo. Riuscire a costruire un giallo teso e avvincente attraverso una storia che non è la solita vicenda thriller. C’è il mistero di una morte, c’è il mistero di come e perché una ragazza sia impazzita, è vero, però non ci sono detective o indagini ufficiali. Ma cosa è successo?

"Vedi? Hai gli stessi sintomi di Cannibal Kid."
"Oh, no! Ma allora significa che sono davvero pazza!"
Tutto è successo improvvisamente l’estate scorsa. Con estate scorsa non intendo proprio l’estate scorsa scorsa, quella 2012 del Pulcino Pio e della Balada, ma un’estate di parecchi decenni fa, in cui il giovane Sebastian è morto in circostanze misteriose mentre si trovava in vacanza in Spagna. La cugina Catherine, che si trovava insieme a lui, da quel giorno è impazzita e non ricorda bene cosa sia successo. La madre di Sebastian, che aveva con lui un rapporto malato del tipo Norma/Norman Bates di Bates Motel o giù di lì, fa rinchiudere Catherine in un manicomio alla American Horror Story: Asylum e vuole che la ragazza venga sottoposta a un’operazione di lobotomia. E mo so’ cazzi.

Al centro di tutta la vicenda vi è il mistero di cosa diavolo sia successo improvvisamente l’estate scorsa. La pellicola ce lo svela in maniera lenta ma avvincente, costruendo tutta la tensione e alimentando la curiosità attraverso i dialoghi tra le due donne e il dottore che è stato incaricato di effettuare la lobotomia. Una vicenda dall’impianto molto teatrale, non a caso è tratta proprio dall’omonima pièce di Tennessee Williams. Questo è un limite della pellicola, diretta in maniera diligente ma senza troppi guizzi registici da Joseph L. Mankiewicz, eppure i dialoghi sono talmente coinvolgenti che non si fa nemmeno troppo caso alla staticità della messa in scena. Merito anche e soprattutto dei tre grandi protagonisti.

"Katharine, che hai fatto ai capelli?
Negli anni '50 c'erano già i parrucchieri cinesi?"
Un plauso va al dottore interpretato da Montgomery Clift, però i riflettori sono puntati soprattutto sulle due regine della pellicola: una giovane Elizabeth Taylor dalla bellezza folgorante, a suo agio nei panni della ragazza psicopatica forse non tanto psicopatica solo un po’ scossa agitata ah agitata ah un po' nervosa ah uuuuuuuuuuuuuuhhhhhoooooooooooooooooo.

Non meno grandiosa Katharine Hepburn nei panni della madre di Sebastian. Nonostante quella rinchiusa in manicomio fosse la nipote, quella brooom brooom schizzata veramente forse è lei. E anche il vero grande mistero del film non è tanto nella improvvisa pazzia di Catherine, o nella improvvisa morte di Sebastian, ma è lei. Katharine Hepburn e la sua morbosa relazione con il figlio, di cui forse aveva intuito la vera natura però non riusciva ad accettarla. Un personaggio molto particolare, ambiguo, reso alla grande da una grande attrice cui oggi noi umili blogger vogliamo rendere omaggio. Oggi infatti celebriamo il Katharine Hepburn Day.
Celebriamo, chi?
Io e i seguenti blog, con una maratona di recensioni dedicate ai film più significativi della sua carriera.

Director's cult
In Central Perk
Montecristo
Scrivenny
WhiterRussian


Per chiudere improvvisamente, Improvvisamente l’estate scorsa è uno di quei film che ti fanno dire, manco fossi un novantenne: “Aah, certo che non li fanno più, i film di una volta”. E in effetti è vero. Per fortuna, perché, nonostante il politically correct non abbia certo abbandonato Hollywood, se non altro adesso non è più in vigore il dannato Codice Hays. Purtroppo, perché di pellicole costruite in maniera così sottile, senza far vedere praticamente niente, facendo solo intuire, oggi non ne fanno davvero più.
(voto 7,5/10)



Curiosità finale: il titolo originale della pellicola è stato ripreso negli anni ’80 dai The Motels nella loro splendida hit “Suddenly Last Summer”. Check this out su Videomusic… volevo su Video Pensieri Cannibali.


venerdì 22 febbraio 2013

IL LATO POSITIVO DI JENNIFER LAWRENCE? QUALUNQUE LATO

Il lato positivo - Silver Linings Playbook
(USA 2012)
Titolo originale: Silver Linings Playbook
Regia: David O. Russell
Sceneggiatura: David O. Russell
Tratto dal libro: The Silver Linings Playbook di Matthew Quick
Cast: Bradley Cooper, Jennifer Lawrence, Robert De Niro, Jacki Weaver, Chris Tucker, Shea Whigham, John Ortiz, Julia Stiles, Anupam Kher, Dash Mihok, Cheryl Williams, Brea Bee
Genere: pazzo
Se ti piace guarda anche: Ubriaco d’amore, Ruby Sparks, Le strane coincidenze della vita - I Heart Huckabees
Uscita italiana: 7 marzo

Pat (Bradley Cooper) impazzisce quando sente questa canzone, “My Cherie Amour” di Stevie Wonder. Impazzisce non di gioia. Dà i numeri. Va fuori. Sclera di brutto perché è il pezzo che gli ricorda il suo matrimonio finito.



"Mi stai guardando le tette con la vista periferica, vero?
"Mmm... no?"
Ecco. Io ho una reazione simile ogni volta che ascolto un pezzo dei Modà. Cioè, come si fa a non impazzire quando si sente quella voce urticante di Kekko cantare? Eh, me lo sapete spiegare COME SI FA? Com’è possibile che quello lì sia considerato da qualcuno un GRANDE CANTANTE O ANCHE SOLO UN CANTANTE? QUELL’URLATORE FOLLE LI’ SAREBBE UN CANTANTE? DITEMELO, PER FAVORE, SPIEGATEMELO!
Ci sono altre cose però che mi fanno perdere il senno. Non il sonno, magari. Il senno sì. Com’è possibile che ai prossimi Oscar vincerà quasi sicuramente Lincoln? O, se non vincerà Lincoln che se non altro è un film di interesse storico, vinceranno pellicole ancora peggiori come la fiabetta zen da quattro soldi di Vita di Pi, o la ruffianata d'autore Amour o il musicarello fracassatimpanienonsolotimpani Les Misérables? Esiste anche una possibilità che possa vincere un buon film come Argo. È quasi impossibile invece che vinceranno i film migliori, dei film STREPITOSI come Django Unchained, Zero Dark Thirty, Re della terra selvaggia o questo Il lato positivo, il mio personale preferito. Persino più di Django. Sì, l’ho detto.
È facile dire che si deve guardare il lato positivo, ma come si fa quando esistono tali ingiustizie nel mondo? Eh? COME SI FA, MALEDIZIONE, COME SI FA? E DOMENICA CI SONO LE ELEZIONI E QUALCUNO VOTERA’ ANCORA QUELLO LA’. MA COME SI FA?

"Dai che il giaguaro caimano a questo giro prende meno voti di Oscar Giannino!"
Scusate lo sfogo. Ora che ho preso i miei medicinali, mi sento più tranquillo. La mente è annebbiata, un poco annebbiata. Mi sento rintontito. Sensazione non nuova. Almeno sono più rilassato e vi posso parlare con calma di Silver Linings Playbook.
Questione titolo. La faccenda si complica subito. Respira, Cannibal, respira. Devi stare molto calmo, come canta Neffa in radio in questi giorni.
Silver Linings Playbook è un titolo intraducibile. La traduzione letterale sarebbe “L’orlo argenteo del libretto” e il titolo con cui si era pensato di farlo uscire all’inizio era “L’orlo argenteo delle nuvole”, non esattamente uno di quei titoli che si ricordano facilmente.
“Cosa andiamo a vedere questa sera?”
“Oh, io volevo vedere quel film con la tipa sgnacchera di Hunger Games e il tipo di Una notte da leoni. Come si chiama? Non mi viene più in mente. Il coso d’argento di non mi ricordo più cosa… Vabbè, lasciamo perdere. Andiamo a vedere il film di Alessandro Siani che facciamo prima…”.
Un titolo del genere non era poi nemmeno tanto male, visto che l’originale inglese fa riferimento ai versi della poesia di John Milton, “Comus”.

“Was I deceiv'd, or did a sable cloud
Turn forth her silver lining on the night?”

"Smettila di dire che Hunger Games è un film solo per bimbiminkia!
E' piaciuto anche a mio cuggino che ha ben 18 anni e 2 giorni!"
Una frasa positiva, che significa che dietro ogni nuvola oscura si nasconde uno spiraglio argenteo di luce.
Tradotto in termini cinematografici: dietro ogni pessimo Cloud Atlas si nasconde uno splendido Silver Linings Playbook. Ma questa - forse - è un’interpretazione tutta mia delle parole usate da John Milton nella sua poesia del 1634.
Alla fine, la distribuzione italiana ha deciso di fare uscire il film con il più semplice “Il lato positivo”, una semplificazione eccessiva, ma che comunque rende all’incirca il messaggio dell’originale. Magari non un titolo favoloso, ma se non altro non un obbrobrio come Eternal Sunshine of the Spotless Mind reso con l’ammiccante Se mi lasci ti cancello.
Cerco allora di vedere il lato positivo e non infervorarmi, una volta tanto, con la distribuzione italiana. Se con il titolo hanno fatto quello che potevano, e non era impresa facile, c’è da lamentarsi allora semmai per il ritardo con cui verrà distribuita la pellicola, in uscita in Italia solo il 7 marzo. Sarebbe stato troppo furbo farla uscire prima degli Oscar, per sfruttare l’hype delle ben 8 meritate nomination agguantate agli Oscar? SAREBBE STATA UNA MOSSA TROPPO ASTUTA? EH?

"Hey Katniss, i soldi spesi per Hunger Games li voglio comunque indietro!"
Perché mi arrabbio ancora? Ormai dovrei esserci abituato, a queste mosse nonsense della fantascientifica distribuzione nostrana. Meglio allora parlare del film.
Che bel film. Il lato positivo sì che è un toccasana positivo. È una commedia che fa ridere. Cosa che dovrebbe essere scontata invece no. È sempre più una specie in via d'estinzione una commedia che sappia davvero far ridere. Spesso fanno più ridere folli esperimenti tra sci-fi e horror come John Dies at the End o dramedy come Quasi amici. Questa invece è una commedia vera e propria e mi ha fatto ridere. Molto. Miracolo. Una commedia folle sulla follia. Il regista David O. Russell, non fenomenale però bravo, dopo la parentesi sul ring con The Fighter, non fenomenale però bello, torna dalle parti di I ♥ Huckabees, da noi anche noto con lo strano titolo di Le strane coincidenze della vita, una pellicola illuminata da lampi di stralunata genialità alla Wes Anderson, un film imperfetto che però avevo adorato.
Con Il lato positivo, Russell cambia ancora lato. Non so se questa cosa mi piaccia o meno. A ogni suo film, il suo cinema è diverso. Tra l’acerbo Amori e disastri, The Fighter, Le strane coincidenze della vita e questo è davvero dura trovare dei punti di contatto. Il suo cinema è in costante evoluzione, non offre punti di riferimento solidi. E ciò è un bene, guardando l’orlo argenteo che sbuca fuori. Guardando invece le nubi, David O. Russell non ha uno stile definito, tutto suo, non ha una sua specifica poetica tipica dei grandi autori.
Detto questo, Silver Linings Playbook è di gran lunga il suo film migliore, quello che magari marcherà la sua cifra stilistica da qui in avanti. O magari no, magari il regista e sceneggiatore cercherà nuove sfide e volerà tra altre nuvole, alla ricerca di nuovi spiragli di luce.

"Papà, ma come ti è venuto in mente di girare Manuale d'amore 3?
"Non lo so, figliolo. Non lo so. Forse per le tette della Bellucci?"
Silver Linings Playbook è un film clamorosamente bello. O magari no. È solo che provoca un effetto positivo. Mi fa stare bene mi fa stare bene mi fa stare bene ma non è (per fortuna) una canzone di Biagio Antonacci. Più che un film, è una cazzo di terapia. Non solo per il protagonista Pat, un Bradley Cooper che qui è bravo. Non stellare. Non da Oscar magari, ma la nomination ci sta tutta. È anche una terapia per lo spettatore. Una terapia non fatta di sedute psicanalitiche, come ci si potrebbe attendere a inizio pellicola. A muovere il cambiamento del protagonista è l’incontro con una tipa che forse è persino più stralunata di lui. E sì che lui è uno che in piena notte sveglia tutto il vicinato lamentandosi per il finale tragico di Addio alle armi di Ernest “fottuto” Hemingway.
Lei, Tiffany, è ancora più fuori di lui. Lei, Tiffany, è interpretata da Jennifer Lawrence, ripeto: Jennifer Lawrence, qui irresistibile, fulminata, vedova e pure affetta da ninfomania. Chi non vuole aiutare una come Jennifer Lawrence ad alleviare il dolore per la sua perdita?
Il protagonista Pat, ecco chi. Giusto un pazzo può non essere pazzo per Jennifer Lawrence. A sua discolpa, va detto che è ancora preso dalla moglie, quella con cui aveva diviso il ballo sulle dolci note di Stevie Wonder che vi ho fatto sorbire ascoltare in apertura di post, quella che però non vede più da quando lui è stato ricoverato in manicomio, pardon in una struttura psichiatrica. Perché lui, non ve l’ho ancora detto?, è affetto da disturbo bipolare, quindi un momento è tutto tranquillo e a posto e poi all’improvviso sclera e dà di matto.

"Non credete che riesca a vedere il lato positivo delle cose? Pazzesco!
Solo perché sembro uscita da un film di Tim Burton dopo un concerto
di Marilyn Manson e un sacrificio umano delle Bestie di Satana?"
Cosa succede dall’incontro tra due matti?
Sono scintille, ecco cosa succede, e intorno a loro verranno coinvolti anche tutti gli altri personaggi, da un Robert De Niro finalmente tornato a un’interpretazione degna di nota e da nomination agli Oscar, fino a un sorprendente Chris Tucker, quello finora conosciuto per i Rush Hour con Jackie Chain e qui capace di mostrare un lato inedito, un lato positivo.
Che altro succede, dall’incontro tra due matti?
Succede che ve lo scoprite da soli. Perché se non guardate questo film giuro che potrei perdere la pazienza. Sono stato buono e quieto per quasi tutto il post, però se mi dite che Il lato positivo non lo volete vedere io perdo le staffe e vi faccio vedere il mio lato negativo, avete capito? NON L’AVETE CAPITO? VOLETE PROPRIO FARMI URLARE E COSTRINGERVI A VEDERLO A COSTO DI LEGARVI A UNA SEDIA? PER CHI MI AVETE PRESO? PER UN PAZZO? UN PAZZO FURIOSO? UN PAZZO PERICOLOSO? UN PAZZO URLATORE COME IL MALEDETTO CANTANTE DEI MALEDETTI MODA’?

Okay, mi hanno portato di nuovo i miei medicinali. Non mi piace prenderli, però so che mi aiutano. Mi hanno fatto tornare quieto, pacifico. Sono tornato calmo e in pace con il mondo. Però volevo dire ancora una cosa: chi si lamenterà per il finale, oltre a rischiare seriamente di scatenare di nuovo TUTTA LA MIA IRA, vorrà dire che non ha capito un beneamato CA…volo dello spirito di questo film. Un film excelsior.
(voto 9/10)

Post pubblicato anche su L'OraBlù e nuovo minimal poster realizzato per l'occasione dall'ottimo C(h)erotto.




martedì 29 gennaio 2013

KOTOKO, TOKKATA IN TESTA

Kotoko
(Giappone 2011)
Regia: Shin’ya Tsukamoto
Cast: Cocco, Shin’ya Tsukamoto
Genere: schizzato
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Kotoko è un gran film.
Non vi consiglio di vedere Kotoko.
La regia del film è incredibile.
La regia del film vi provocherà giramenti di testa e forse anche voltastomaco.
Il regista del film è Shin’ya Tsukamoto, quello di Testuo, film leggendario che ho sempre voluto vedere.
Non ho mai visto Tetsuo.
La protagonista è affetta da diplopia, una visione doppia della realtà.
La protagonista è una persona assolutamente normale che dovrebbe giusto farsi vedere da un oculista bravo.
La protagonista è una pazza paranoica psicopatica schizofrenica totale.
La protagonista, va bene lo ammetto, è una tipa con qualche problemino ma, d’altronde, chi non ne ha?
L’interpretazione della protagonista, la cantante Cocco, è letteralmente pazzesca.
La protagonista Cocco si vede che è un’esordiente totale come attrice.
Che razza di nome è Cocco?
Già, che razza di nome è Cocco?
La protagonista canta spesso durante il film e la sua voce ha un suo perché.
La protagonista non è che sia tutta ‘sta grandissima cantante. Andasse ai provini di X-Factor, per me sarebbe un “No!” e sentendola qualcuno potrebbe avere l’immediato impulso di proteggersi le orecchie e infilarsi le cuffiette per ascoltare piuttosto i One Direction.
Il protagonista maschile è lo stesso regista del film Shin’ya Tsukamoto e se la cava anche come attore.
Vabbè, ma allora solo perché uno fa il regista si crede anche attore… sarebbe un po’ come se uno che è un attore si crede di fare il regista e poi magari gli riesce pure… dite Ben Affleck? Non vi ho sentito.
Il protagonista maschile è un sadomasochista che gode a farsi trattare male dalla protagonista femminile.
Il protagonista maschile è solo profondamente innamorato della protagonista femminile.
Kotoko è una poetica riflessione sull’amore di una madre per il proprio figlio.
Piuttosto che avere una madre come la protagonista di Kotoko, preferirei avere Annamaria Franzoni.
Kotoko è un’ascesa spirituale di una persona alla ricerca di se stessa, del suo vero io.
Kotoko è una discesa negli inferi della follia umana.
Kotoko è un film dalla sceneggiatura paurosamente semplice.
Kotoko è un film visivamente molto incasinato.
Kotoko è un film delicatissimo.
Kotoko è un film di una violenza spaventosa.
Kotoko è un dramma struggente.
Kotoko è un horror splatter.
Kotoko è pieno di squarci di poesia.
Kotoko è pieno di sangue, squarci, sangue che viene fuori dagli squarci.
Kotoko vi piacerà un sacco.
Kotoko vi farà schifo.
(voto 8/10
anzi no 4/10
anzi no no 5 al 6
anzi no no no s.v., senza voto)



domenica 9 dicembre 2012

MAN OF THE YEAR 2012 - N. 12 MICHAEL SHANNON

Michael Shannon
Genere: pazzesco
Provenienza: Lexington, Kentucky, USA
Età: 38
Il passato: Ricomincio da capo, Pearl Harbor, Vanilla Sky, 8 Mile, Bug, Shotgun Stories, Revolutionary Road, My Son My Son What Have Ye Done, The Runaways
Il suo 2012: Take Shelter, Senza freni - Premium Rush, Machine Gun Preacher, Return, la serie Boardwalk Empire
Il futuro: il nuovo di Jeff Nicholas Mud, L’uomo d’acciaio (Man of Steel), The Iceman, The Broken Tower di e con James Franco, They Came Together
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Perché è in classifica: perché come fa il pazzo lui, nessuno mai (vabbè mai, diciamo negli ultimi tempi)

Michael Shannon è pazzo?
Apparentemente sì. Le persone non vanno giudicate dalle apparenze, però uno con una faccia così tanto normale non può essere. Così la penso io, ma così la pensano anche i producers di Hollywood, che continuano a tirargli addosso le parti dello schizzato. Il problema di Michael Shannon è proprio questo: rischia di restare intrappolato nell’eterna parte del fuori di testa. L’altro problema, non secondario, che ha è che se continua così rischia di essere rinchiuso per davvero. Gli manca solo una parte in American Horror Story Asylum, e poi le ha fatte tutte, le varianti del pazzo.
In Bug? Pazzo paranoico.
In Revolutionary Road, ruolo che gli ha fatto avere una nomination agli Oscar? Pazzo psicotico.
In My Son, My Son, What Have Ye Done? Pazzo assassino.
Nella serie tv Boardwalk Empire? Federale proibizionista pazzo.
In Take Shelter? Pazzo maya donniedarkiano ossessionato dalla fine del mondo.
In Senza freni - Premium Rush, in arrivo a gennaio in Italia direttamente in home-video? Detective pazzo (più o meno) da ridere.
Prossimo personaggio, nel film che dovrebbe finalmente farlo conoscere al grande pubblico? Il Generale Zod, nemico di Superman nel nuovo L’uomo d’acciaio (Man of Steel). Che tipo di cattivo sarà? Pazzo, naturalmente.
Non dire poi che non ti avevo avvisato, Michael, ma se continui così ocio che la prossima camicia che indosserai non sarà una elegante per andare a qualche cerimonia di premiazione, ma sarà di forza.



giovedì 31 maggio 2012

La f*ga di Martha

La fuga di Martha
(USA 2011)
Titolo originale: Martha Marcy May Marlene
Regia: Sean Durkin
Cast: Elizabeth Olsen, John Hawkes, Sarah Paulson, Hugh Dancy, Brady Corbet, Christopher Abbott, Julia Garner, Louisa Krause, Maria Dizzia
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Non è che si può sempre trovare le parole giuste per tutto.
Per un film come La fuga di Martha, troppe parole sono persino superflue. E alcune sono solo sbagliate.
Già mi immagino in molti pronti a usare parole come: “noioso”, “lento”, o “ma non succede niente”.
Non succede niente? Non ci sono esplosioni, inseguimenti o invasioni aliene, è vero, però se con “niente” intendete un film capace di scavare in maniera magnifica dentro una vita, dentro un personaggio, allora in tal caso avete ragione: in questo Martha Matta Marcy May Marlene non succede un bel niente.

All’inizio della visione si rimane un po’ confusi. Ci si chiede cosa sta capitando. Ma, tempo qualche minuto di pazienza, il film “lento” e “noioso” prende vita insieme alla sua protagonista.
Attraverso uno splendido montaggio di due piani temporali separati, conosciamo Martha, ragazza che ha qualche problema di psiche e di comportamento e non si capisce perché. Lo scopriremo con calma, con quella calma di chi ha la pazienza di vedere un film crescere piano piano, fino a quasi esplodere. E non intendo un’esplosione letterale. Quella lasciamola alle pelli(para)cule di Michael Bay.
Qui siamo da un’altra parte. Un cinema indie molto Sundance, festival a cui è stato presentato nel 2011 e dove l’esordiente Sean Durkin s’è guadagnato meritatamente il premio alla regia. E qui si distingue il mondo: quelli che amano il fracassone/fracassapalle cinemone commercialone e quelli che preferiscono pellicole più silenziose, che ti entrano dentro in punta di piedi.
Quanto era patetica, quest’ultima frase?
Per carità, ci si può divertire con un blockbusterone fracassone e poi godersi l’intimità di un film come questo. Però La Fuga di Martha non è per tutti i palati. È una pellicola davvero davvero davvero ma davvero molto indie. Molto Sundance. Molto autoriale. Ha un montaggio alternato su due piani che mi ha ricordato …e ora parliamo di Kevin e per un discorso dell’educazione/sottomissione anche il greco Kynodontas, contiene una splendida scena-citazione da Persona di Ingmar Bergman, ma soprattutto mi ha fatto tornare alla mente Un gelido inverno - Winter’s Bone. Difficile spiegare perché. Tira la stessa aria. C’è un simile, straordinario, lavoro naturalistico nella costruzione dei personaggi realizzati da Jennifer Lawrence là, e dall’esordiente Elizabeth Olsen qui.
Pazzesca, in tutti i senti, la sua interpretazione.
Pazzesco poi che un’attrice così fenomenale e affascinante sia sorella di quegli sgorbi anti-recitazione delle gemelle Olsen. Mary-Kate ed Ashley, divenute famose negli anni ’80/primi ‘90 come baby protagoniste della sitcom Gli amici di papà (in 2 intepretavano 1 bambina sola). Poi sono cresciute e sono divenute queste due zombie qua…

"Perché non ci chiamano per The Walking Dead?
Non abbiamo nemmeno bisogno di trucco."

E insomma, non si capisce bene come o perché, ma Elizabeth è la loro sorella b(u)ona. Come Cenerentola in mezzo alle sorellastre. Speriamo che questa interpretazione sia solo l’inizio di una folgorante carriera e la mezzanotte per lei scocchi il più tardi possibile.
Da sottolineare anche la sorella in, questo caso cinematografica, della protagonista. Una Sarah Paulson vista qua e là in vari film e serie tv (American Horror Story e Abbasso l’amore tra gli altri) qui in grado di tratteggiare con cura il personaggio più difficile: la sorella infatti non sa quello che poco a poco noi spettatori vediamo. Non comprende i motivi del particolare stato emotivo e psicologico della sorella e finisce ATTENZIONE SPOILER per cedere al conformismo. A ciò che le impone la società, ovvero il marito yuppie du. Come uno spettatore abituato al cinema di Michael Bay, non ha la pazienza per cercare di capire la sister. E così decide di mandarla via. Eliminare, emarginare ciò che non comprendiamo.
Nel super-cast super-indie della pellicola, da tenere d’occhio anche Christopher Abbott, attualmente nel cast della tv serie super-indie pure questa Girls, e Brady “faccia da pazzo” Corbet, visto nel remake americano di Funny Games, pellicola qui ricordata in una sequenza.

Tornando al parallelo con Un gelido inverno, in entrambe queste indie-perle troviamo John Hawkes. Strepitoso. Mi faceva pensare a qualcuno e poi, leggendo la recensione di Alessandro Giovannini, mi è venuto in mente: è una sorta di fratello di Vincent Gallo. E, come lui, sa pure cantare e ci regala una perla per voce e chitarra.


Il suo personaggio è quello di un uomo a capo di una sorte di comune hippie, una misteriosa fattoria-setta che non ha tanto i contorni religiosi. Tende più a essere una negazione dei valori consumistici dominanti. Un ritorno a una vita semplice in campagna. Detto così può sembrare una cosa piuttosto positiva e ammirevole, ma presto scopriamo che ha anche contorni più inquietanti. Altrimenti che setta sarebbe?
La crescita di questa sorta di leader, o guru spirituale che sia, è notevole minuto dopo minuto. Di lui non si rivela mai più di tanto, eppure la sua ombra incombe minacciosa. La tematica della setta non assume comunque mai i contorni cronachistici. Non c’è nemmeno un discorso di tipo moralistico, o una condanna. Il regista e sceneggiatore di questa perla di pellicola lascia la massima libertà di interpretazione allo spettatore. Forse pure troppa libertà, con un finale sospeso che fa rimanere spiazzati ma che riflettendoci su non è così campato per aria, come invece è il finale di questo post che termina così
(voto 8/10)


martedì 7 febbraio 2012

Take Shelter: la follia prima della tempesta

Take Shelter
(USA 2011)
Regia: Jeff Nichols
Cast: Michael Shannon, Jessica Chastain, Tova Stewart, Katy Mixon, Shea Whigham
Genere: questa è la follia
Se ti piace guarda anche: Another Earth, Donnie Darko, Melancholia, Il mago di Oz

Cosa sarebbe successo se Donnie Darko non fosse rimasto intrappolato per sempre nell’ottobre 1988?
Forse crescendo sarebbe diventato un po’ come il protagonista di questo Take Shelter. Non so se avrebbe sposato Jessica Chastain (ma sarebbe stato un bel colpo!) e non so se avrebbe avuto una figlia sordomuta o lavorato in una compagnia di scavatrici. Queste cose probabilmente non le avrebbe fatte, preferendo diventare un ciclista o un sonnambulo professionista. Però a livello mentale credo sarebbe stato messo un po’ come il Michael Shannon di questo film.
Che cosa fa costui per essere paragonato a un Donnie Darko cresciutello?
È fuori di testa. O forse no, forse è un visionario e ha ragione lui.
Pazzo o Nostradamus? O tutt’e due, come Donnie?

"Acciderbolina... mi sa che qui la situazione si fa un filino più grave che a Roma con i suoi 5cm di neve..."

"Parlo pure il linguaggio dei segni...
Chi mi devo scopare per far nominare questo film agli Oscar? Meryl Streep"
Michael Shannon è il tipo giusto per una parte del genere, specializzato com’è con quella faccia lì a fare il tipo fuori di testa, come nella sua interpretazione da nomination all’Oscar in Revolutionary Road.
E avendo nominato gli Oscar, non ce la faccio a trattenermi e mi chiedo come facciano ad aver ignorato del tutto un gioiellino come questo o come 50/50 per candidare merda di cavallo secca come War Horse. La spiegazione va ricercata in questioni politiche e di potere, credo, perché altrimenti la verità impietosa sarebbe semplicemente che quelli dell’Academy Awards di cinema non ne capiscono una cippa.
E sì che in un film come questo ce ne sarebbe da nominare: attore protagonista, attrice non protagonista, sceneggiatura originale, musiche… Invece zero nomination. Vabbè.

Tornando a parlare della pellicola ed evitando di incazzarmi ulteriormente per gli Oscar, il protagonista è un tizio dalla vita piuttosto normale che però all’improvviso comincia a fare strani sogni. Sogni, o meglio incubi apocalittici che gli risucchiano sempre di più il cervello ed entrano anche a far parte della sua ordinaria quotidianità. Il tipo sta talmente in fissa che si convince dell’arrivo imminente di un terribile uragano che spazzerà via tutto e per questo si mette a costruire un rifugio sotterraneo per sé e per la famiglia. Questa ossessione influirà inevitabilmente nel rapporto con la moglie e la figlioletta, con il suo lavoro, con i suoi amici, con la percezione che hanno di lui le altre persone.

"Super Alemanno, proteggici tu!"
Il rapporto tra fine del mondo e psiche malaticcia fa venire in mente il già citato Donnie Darko capostipite di questa sorta di psycho sotto genere, ma pure Melancholia di Lars Von Trier, of course, solo che per fortuna Michael Shannon evita di spogliarsi come Kirsten Dunst, ché non sarebbe lo stesso spettacolo. Per stile cinematografico non siamo invece poi molto lontani dalle atmosfere intimiste di quell’altra poco conosciuta perla Another Earth (ma in uscita in Italia, se tutto va bene, il 18 maggio).
Il film però ha dalla sua una dosa sufficiente di personalità per essere una storia a parte, per raccontarci queste tematiche in una chiave ancora diversa, con un ruolo importante ricoperto dalla famiglia e un’attenzione particolare ai risvolti psicologici del protagonista.

Il valore aggiunto di questa splendida visione è poi Jessica Chastain, nella parte della moglie del folle (?) protagonista. Tralasciando l’elemento fantascientifico di come una come la Chastain possa essersi sposata con quella faccia da manicomio criminale dello Shannon, che nella pellicola per di più manco è ricco o famoso, la sua presenza fa già partire avvantaggiata la pellicola. Ora come ora, averla in un film è come schierare Lionel Messi in squadra, con la differenza che Jessica Chastain è una spilungona ed è anche un bel pezzo di fregna.
"Che faccio, accetto la proposta di matrimonio di Cannibal o vado giù
nel bunker con quel pazzo di mio marito? Vado giù nel bunker!"
C’è una scena, in Take Shelter, in cui il marito ha un attacco pubblico di follia. Lei lo guarda prima disgustata dal suo comportamento, quindi arrabbiata, quindi prova una grande pietà per lui, quindi prova una gran pena per lei e per la sua famiglia. Tutto questo in 5 secondi appena. Jessica Chastain. Che attrice. Che donna. Anche se non è una cantante e non fa tournée, vorrei andare a un suo concerto solo per lanciarle un orsacchiotto di peluche con la domanda: “Will you marry me, Jessica?”


"Senti anche tu puzza di stronzata?"
"Sì, Alemanno dev'essere passato da queste parti..."
L’altra cosa notevole di Take Shelter è come riesca a costruire la tensione. L’inquietudine da fine del mondo che vive il protagonista nella sua testa, la viviamo anche noi. Dall’inizio alla fine la pellicola sa catturare con i suoi ritmi lenti, le sue accelerazioni visionarie, i suoi momenti onirici strepitosi accoppiati a una realtà realistica eppur minuto dopo minuto sempre più surreale.Al contrario di chi scrive questo post, il tocco del regista è quello di chi sa cosa sta facendo. Di chi sa cosa sta raccontando e dove vuole arrivare. Jeff Nichols dimostra una gran padronanza del mezzo cinematografico, sapendo alternare vita vera e vita sognata con una naturalezza impressionante, e la sceneggiatura di cui è autore regge senza flessioni. Una grande sicurezza, eppure è appena al suo secondo film. Il suo esordio Shotgun Stories, con protagonista lo stesso Michael Shannon, sarebbe un bel recupero da fare, anche se ovviamente in Italia non è mai arrivato. Un po’ come questo strepitoso Take Shelter, che non ha ancora una distribuzione nostrana e chissà se mai l’avrà. A questo punto cresce comunque la curiosità di vedere l’opera terza di Nichols, Mud, con Reese Witherspoon, Matthew McCounaghey e ancora una volta il suo feticcio Shannon. In arrivo nel 2013 negli USA e chissà se e quando da noi.

"Oh, non si può parlare male di un fasc...ehm, di uno del Pdl,
che ti staccano subito la luce!"
Impreziosito da una colonna sonora semplice quanto efficace, di quelle un po’ American Beauty e un po' Goblin delle soundtrack per Dario Argento, attraversato da una dose di fenomenale costante e crescente tensione, reso grande da una regia impressionante nel suo alternare visioni e realtà, baciato da due prove attoriali gigantesche, evito di aggiungere ulteriori giri di parole e altre cazzate miste per dire semplicemente: Take Shelter è un grandissimo film. Procuratevelo in qualche modo (suggerimento: in rete con i sottotitoli) e guardatelo, altrimenti arriva un tornado a spazzarvi via la casa.
D’oh! Lo sapevo che non riuscivo a evitare di dire una stronzata finale…
E se il tornado dovesse arrivare comunque, cosa che in questo periodo tra terremoti, nevicate record e catastrofi varie mica è da escludere del tutto, Take Shelter sarebbe davvero perfetto come ultimo film da vedere.
(voto 9/10)

lunedì 22 agosto 2011

Justin Beaver

"Beh, non avete mai visto un uomo
con un castoro sul braccio?"
Mr. Beaver
(USA 2011)
Regia: Jodie Foster
Cast: Mel Gibson, Jodie Foster, Anton Yelchin, Jennifer Lawrence, Cherry Jones, Riley Thomas Stewart
Genere: sì, ma parlare con i castori è normale
Se ti piace guarda anche: Wilfred, American Beauty, Nell, Il mio piccolo genio

Un uomo può affrontare in vari modi una crisi esistenziale. C’è chi si vuole fare la cheerleader del liceo come in American Beauty, c’è chi si vuole fare la ragazzina liceo romano come in L’ultimo bacio, c’è chi si vuole fare tutte le ragazzine come ad Hardcore e insomma sembra che l’unico modo sia farsi qualche ragazzina.
Ma per Mel Gibson le cose vanno diversamente. Inspiegabilmente stanco della sua vita, del suo matrimonio, della sua famiglia felice, di essere il dirigente pieno di soldi di un impero di giocattoli, viene divorato dal male oscuro della depressione e se ne sta tutto il giorno a letto a dormire, arrivando al punto di tentare il suicidio. Fino a che succede qualcosa. Qualcuno entra nella sua vita: non una cheerleader, bensì un castoro pupazzo prende possesso del suo braccio. Mel Gibson se ne va quindi in giro come un ventriloquo con il castoro Mr. Beaver appresso.
Vi sembra una cosa ridicola?
Lo è.

Jodie Foster: "Tuo padre adesso parla tramite Mr. Beaver"
Bambino: "Oh no, Justin Bieber???"
Jodie: "No, Beaver, un castoro pupazzo."
Bambino: "Già meglio, ma a scuola me le daranno lo stesso"
Da uno spunto tanto folle ne può uscire una porcata, oppure una genialata. La base di partenza ricorda da vicino la serie tv Wilfred, in cui il 30enne Elijah Wood, in precoce crisi di mezza età, sta per farla finita, quando all’improvviso si mette a parlare con il cane della sua vicina che lui vede sotto le sembianze di un uomo dentro un costume canino. E da lì la sua vita cambierà per sempre.
Spunto simile, svolgimento diverso. Se Wilfred infatti centra il bersaglio della genialità, grazie alla sua cattiveria, ironia, al suo andare sempre verso il politically scorrect, Mr. Beaver imbocca tutt’altra strada, prendendo la pazza idea di partenza e trasformandola nella solita vicenda buonista hollywoodiana di scoperta e accettazione di se stessi. Retorica, sentimentalismi accessori, dosi abbondanti di moralismo compresi.

La storia, prevedibilissima, attraversa tutte le fasi da manuale della sceneggiatura, come quelle che seguiva uno dei due Nicolas Cage ne Il ladro di orchidee (Adapatation) di Spike Jonze scritto da Charlie Kaufman. Ecco, un film del genere avrebbe avuto bisogno di un’accoppiata del genere per conservare la follia per tutta la sua durata. Invece Jodie Foster, a 16 anni dall’ultima regia, ritorna con una pellicola convenzionale fino al midolla, con la “follia” di Mr. Beaver che inizialmente viene accettata, fa persino successo, si trasforma in un caso mediatico da un talk-show all’altro, prima di sprofondare nella drammatica, scontata, parte finale. Pochi gli spunti di interesse, che comunque ci sono.
Non sto parlando della storia principale. Mel Gibson nei panni dell’uomo in crisi che si mette un castoro al braccio risulta davvero non credibile. Già è un attore (e un uomo) che a me non è mai piaciuto, ma questo non è davvero il suo ruolo; avrei piuttosto visto molto meglio Robin Williams, in una parte che sembra scritta apposta per lui. Lui forse sarebbe riuscito a dare vita a questo strambo allucinato personaggio. Ma Mel Gibson no, neanche lontanamente. Poco convincente pure Jodie Foster, nei panni della sua inconsistente moglie.
Meglio allora la parte legata al figlio del protagonista, quel Anton Yelchin visto in Star Trek, Alpha Dog, Charlie Bartlett, nella serie tv Huff (sempre a proposito di casi psicologici) e che fisicamente ricorda parecchio Elijah Wood, proprio il protagonista del Wilfred di cui parlavamo sopra. Insieme a lui c’è Jennifer Lawrence, l’attrice fenomeno di Un gelido inverno - Winter’s bone, graffitara e pure lei con dei casini famigliari, ma solo accennati. Sono loro due la parte più interessante di questa edificante, poco riuscita novella, che avrebbe dovuto regalare maggiore risalto ai personaggi di contorno, molto più interessanti del Gibson-castoro.
Non bastano comunque nemmeno loro, così come un estratto di “Exit music (for a film)” dei Radiohead, inserita un po’ a casaccio verso la fine, a salvare un film che parte da un’idea ridicola e via via lo diventa ancora di più.
Da uno spunto tanto folle ne può uscire una porcata, oppure una genialata. Per la seconda scendete insieme alla serie tv Wilfred o ai film sceneggiati da Kaufman, per la prima la fermata giusta è quella di Mel Gibson che parla insieme a un pupazzo più ridicolo di Justin Bieber.
(voto 4/10)

martedì 31 maggio 2011

Roba da matti: un manicomio pieno di fi*a

The Ward - Il reparto
(USA 2010)
Regia: John Carpenter
Cast: Amber Heard, Lyndsy Fonseca, Danielle Panabaker, Mamie Gummer, Jared Harris, Mika Boorem, Sean Cook, Laura-Leigh
Genere: questa è la follia
Se ti piace guarda anche: Il seme della follia, Con gli occhi dell'assassino, The Uninvited,  It's kind of a funny story, Qualcuno volò sul nido del cuculo

Trama semiseria
1966. Amber Heard dà fuoco a una fattoria e viene rinchiusa in un manicomio.
“Perché sono finita qui?” chiede.
Il direttore del manicomio scientificamente le risponde: “Perché hai dato fuoco a una fattoria e poi perché sei una bella gnocca e in questo ospedale psichiatrico ospitiamo solo belle gnocche. Ti sta bene questo?”
Amber Heard, che recentemente ha fatto coming out dichiarando la sua omosessualità, ha replicato: "Hell yeah, bitches!"

Recensione cannibale
John il Carpentiere ritorna dopo un'assenza bella lunga sul grande schermo e il tocco del maestro si vede eccome. Non che tutti i suoi film siano capolavori o film memorabili, però l'immensa classe della sua presenza dietro la macchina da presa si fa sempre sentire.
Tra l'altro John Carpenter, per quanto il suo ultimo lungometraggio risalga al 2001 (il poco eccezionale Fantasmi da Marte), non è stato del tutto a poltrire o a girare il mondo in crociera e ha diretto due episodi della serie Masters of Horror, due mini-film di assoluto valore: Il seme del male (Pro-Life), una storia malata di aborto e fanastismo religioso, e soprattutto Cigarette Burns - Incubo mortale, che racconta di un cinefilo a caccia dell'introvabile La Fin Absolue du Monde, una pellicola maledetta che manda letteralmente fuori di testa chi la guarda. Assolutamente consigliato rintracciare non tanto La fin absolue du monde, che potrebbe solo condurvi alla pazzia, quanto piuttosto questo episodio, visto che è tra le cose horror migliori degli ultimi 10 anni (e tranquilli che gli episodi di Masters of Horror sono indipendenti uno dall'altro, quindi non dovete vederveli tutti).

The Ward - Il reparto ci riconsegna Carpenter in splendida forma, con una storia di malattia mentale (quasi) tutta ambientata tra le pareti di un'ospedale psichiatrico. Niente di nuovo, nessuna rivoluzione, ma un lavoro di mestiere notevole, con un'impeccabile scelta sia nelle riprese inquiete che nelle atmosfere irrequiete. Un Carpenter impeccabile pure, diciamolo, nella scelta del cast: Amber Heard è una Dea ed è anche una delle scream queen migliori in circolazione (vedi All the boys love Mandy Lane, And soon the Darkness e Benvenuti a Zombieland, ma anche Drive Angry 3D) e qui è alla sua interpretazione più convincente. Cose da matti succedono in questi giorni e così mentre da Milano finalmente è stata cacciata la Moratti, la cosa davvero pazzesca di quest’ospedale psichiatrico è che è pieno di figa! Più di qualunque villa di Arcore (ma ancora per poco...). E così oltre alla Amber, ci sono Lyndsy Fonseca (Kick-Ass, Un tuffo nel passato, la serie tv Nikita) in versione pseudo nerd e Danielle Panabaker (da non confondere con l'insopportabile sorella Kay Panabaker delle serie Summerland e No ordinary family), impegnate tra l'altro in una splendida scena con un balletto very 60s e very sexy.
E a proposito: il look anni ’60 (ricordo che il film è ambientato nel 1966) regala ulteriore fascino alla pellicola, e a rendere il tutto più Mad Men ancora ci pensa la presenza di uno degli attori della serie nelle vesti del direttore dell’ospedale psichiatrico, ovvero Jared Harris (Lane Pryce in Mad Men).

Non da poco inoltre le riflessioni messe in atto e i quesiti posti dalla pellicola, ovviamente inseriti all'interno di un contesto horrorifico: cosa è reale e cosa solo frutto della nostra immaginazione? La protagonista è una ragazza apparentemente piuttosto sobria e normale, ma sarà davvero così? L’ospedale psichiatrico è infestato da alcune misteriose ed inquiete presenze, oppure sono solo le “pazze” a immaginerselo? Quale posto migliore di un manicomio per porsi interrogativi del genere?
La tensione è costante dall'inizio alla fine e il maestro carpentiere è qui (quasi) ai livelli della sua pellicola che preferisco: Il seme della follia. Nonché un'ulteriore conferma che i film di paura migliori alla fine sono composti da pochi essenziali elementi, in questo caso specifico: follia, visioni & figa. What else?
(voto 7+)

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