Tratto dall’opera teatrale: Molto rumore per nulla di William Shakespeare
Cast: Amy Acker, Alexis Denisof, Clark Gregg, Reed Diamond, Fran Kranz, Sean Maher, Riki Lindhome, Spencer Treat Clark, Nathan Fillion, Tom Lenk, Jillian Morgese, Ashley Johnson
Genere: whedonshakespeariano
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C’è gente, un sacco di gente soprattutto nei paesi anglosassoni, cresciuta con le opere di William Shakespeare e poi c’è gente, un pochino meno gente, cresciuta con le opere di Joss Whedon. Io faccio parte della seconda categoria. Un pochino sono cresciuto pure io con il Bardo, ma soprattutto con Whedon, paparino di Buffy – L’ammazzavampiri. Non potevo allora proprio perdermi la pellicola Molto rumore per nulla, in cui i due talenti creativi di epoche differenti si sono congiunti in un lavoro solo.
"Oh Romeo, perché sei tu Romeo?
Ah no, scusa, ho sbagliato opera shakespeariana..."
Cosa c’è di Shakespeare nel film Molto rumore per nulla?
Molto.
La trama è la stessa e anche i dialoghi sono gli stessi dell’opera originale scritta dall'autore di fortunate hit mondiali come Romeo e Giulietta e Amleto. A cambiare è l’ambientazione, contemporanea. Nonostante questo, gli attori parlano nell’inglese shakespeariano e ciò all’inizio crea un effetto straniante, però tempo pochi minuti e ci si fa l’abitudine e soprattutto l’orecchio, un po’ come accade anche con il Romeo + Giulietta di Baz Luhrmann. Laddove quest’ultimo è una rivisitazione in chiave pop pulp anni ’90 del super classico del Bardo, Much Ado About Nothing mantiene un’impronta più classica, più teatrale, aderente allo stile shakespeariano riportato però in ambienti e costumi moderni. Dimenticate allora gli eccessi bazluhrmanniani, così come potete dimenticare anche il Joss Whedon di The Avengers. Scordatevelo del tutto, quello.
Joss Whedon gira qui usando un bianco e nero sopraffino, avvolgendo il tutto con musiche da lui stesso incise, riarrangiando persino un paio di canzoni composte dallo stesso Shakespeare per l’opera teatrale originale. Il suo è un vero e proprio omaggio al vecchio Will, talmente appassionato che riesce persino a evitare le accuse di manierismo o di mero esercizio di stile che all’inizio pure potrebbero venire in mente. Nonostante una cura formale splendida, la realizzazione è così genuina e casereccia (ma non amatoriale), che il testo di Shakespeare prende vita sotto una forma nuova, molto sincera.
"Era ora che mi davi una parte da protagonista, dannato Whedon!"
È evidente la distanza dai suoi lavori più celebri, Buffy, Angel, The Avengers, Agents of S.H.I.E.L.D. (di cui è co-creatore), Quella casa nel bosco (di cui era co-sceneggiatore), così come da quelli più di nicchia, come la sci-fi di Firefly, Serenity e Dollhouse, o il geniale esperimento di web-serie musical comedy horror Dr. Horrible’s Sing-Along Blog. Allo stesso tempo, i fan capiranno subito di sentirsi dentro a un’opera di Joss Whedon. La ragione? Soprattutto la scelta del cast.
Manca giusto Sarah Michelle Gellar, per il resto i pupilli dell’autore ci sono tutti: i protagonisti principali sono una sontuosa Amy Acker, attrice affascinantissima e sottovalutatissima che lavorissima soprattutto in tv e nelle produzioni whedoniane, e che qui alle prese con la scanzonata femminista Beatrice offre un autentico saggio di bravura. Al suo fianco si ritrova Alexis Denisof (Wesley nella serie Angel), meno bravo della collega eppure capace di rendere degnamente il divertente personaggio dello scapolone Benedetto. Intorno ai loro esilaranti battibecchi e alle loro scaramucce d’amore ruota la comedy di Shakespeare, e intorno a loro gira anche tutta una serie di personaggi molto ben delineati, interpretati da altri vari volti whedoniani come Tom Lenk (Andrew di Buffy), Fran Kranz (visto in Dollhouse e Quella casa nel bosco), Clark Gregg (quello di Agents of S.H.I.E.L.D.) e uno spassoso Nathan Fillion (quello della serie Castle, oltre che il protagonista di Firefly).
"Manco solo Buffy. Ma perché nessuno l'ha chiamata?"
"Troppo manesca, quella cattivona!"
In pratica è come trovarsi allo stesso tempo dentro un’opera whedon e non-whedon: sai che è un suo film, ma c’è qualcosa di diverso dal solito. Contemporaneamente, è come essere in un’opera teatrale di Shakespeare, ma con qualcosa di differente dal consueto. È il classico piccolo gioiellino prezioso, un film strano che a suo modo riesce a farsi amare. Ha incassato circa un millesimo rispetto al super successo The Avengers, un film cui l’espressione Molto rumore per nulla calza a pennello, ma vale mille volte tanto.
(voto 7+/10)
P.S. Il film non è previsto in uscita nei cinema italiani, ma si trova in rete sottotitolato.
Cast: Kristen Connolly, Chris Hemsworth, Fran Kranz, Anna Hutchison, Jesse Williams, Richard Jenkins, Bradley Whitford, Amy Acker, Brian White, Tom Lenk, Jodelle Ferland, Sigourney Weaver
Genere: horror sci-fi
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Geniale.
Ecco cosa ho pensato di Quella casa nel bosco - The Cabin in the Woods dalla prima all’ultima scena. Non che mi aspettassi niente di meno da quel genio di Joss Whedon, però insomma… temevo che negli ultimi tempi si fosse perso troppo tra i suoi progetti da superstar hollywoodiana, leggi il pessimo The Avengers, e avesse smarrito la retta via.
E invece no. Joss Whedon domina ancora. Quando vuole.
Per chi non conosce i suoi precedenti lavori, un film come Quella casa nel bosco può essere sembrato davvero sorprendente. Per chi è un whedoniano di lunga data come me invece è stata una piacevole riscoperta di tutte le sue tematiche, frullate qui dentro in una forma compiuta ed efficace. Come in passato, più che in passato. E pensare che il primo passo nel mondo dello show business di Whedon è stato tutt’altro che memorabile.
Buffy - L’ammazza vampiri, film del 1992 con Kristy Swanson e Luke Perry da lui sceneggiato, si rivela infatti un mega flop colossale ai botteghini e cinematograficamente non è certo niente di eccezionale.
"Bella ed Edward chiiiiiiiiiiiii?"
Nonostante quest’esperienza fallimentare, la Warner Bros. gli vuole comunque dare fiducia e qualche anno più tardi, nel 1996, accetta di produrre una serie di Buffy. Questa volta con protagonista la ben più efficace Sarah Michelle Gellar e questa volta è tutta un’altra storia. Eppure, anche in questo caso l’inizio non è subito folgorante. La prima stagione di Buffy è carina, ma non ancora del tutto straordinaria. Whedon evidentemente è uno lento a carburare. Ma quando lo fa, non ci sono ca**i che tengano per nessuno. Dalla stagione 2, Buffy conquista del tutto, grazie anche all’amore tormentato tra la cacciatrice di vampiri e un vampiro vegetariano, Angel, che ispirerà suo malgrado i vari succhiasangue della nuova generazione, da Twilight a The Vampire Diaries fino a True Blood, molto più di quanto fatto dall’ormai pensionato Dracula. E forse, ma solo forse, persino più del mitico Conte Dacula.
(ecco un video di quando Canale 5 proponeva ancora programmi decenti)
Buffy nel corso delle sue sette pazzesche stagioni ha rivoluzionato il genere vampiresco, ma pure quello teen, ma ha pure proposto personaggi nerd in una maniera approfondita e lontana degli stereotipi come mai prima, ma ha pure proposto con coraggio (e venendo censurata dalla bacchettona Italia 1) la tematica lesbo anticipando persino The L Word, ma ha pure dato nuova linfa e idee al mondo dei supereroi (perché Buffy è a tutti gli effetti una supereroina), ma ha pure regalato alcuni degli episodi più memorabili nella storia della tv.
Tanto per citarne uno, L’urlo che uccide (Hush), della stagione 4. Un episodio che è un omaggio al cinema muto stile The Artist solo anni prima di The Artist e in cui tutti gli eventi clou e le vicende della stagione raggiungono il loro climax, il tutto senza l’uso di parole. Che parola usare allora per qualcosa del genere se non: geniale?
Qualcosa del genere avviene anche con l’episodio probabilmente più celebre e imitato nella storia di Buffy, La vita è un musical (Once More, With Feeling), la puntata musical della sesta stagione. Siamo nel 2001, prima del successo di Moulin Rouge, prima degli Oscar a Chicago, molto prima di Glee, e il musical è un genere morto, che nessuno si fila e a cui nessuno darebbe una minima opportunità. Soprattutto in televisione. E invece l’episodio si rivela un successone, le canzoni composte dallo stesso Whedon all’esordio musicale con la collaborazione del compositore della serie Christophe Beck sono davvero notevoli, e tutti i nodi principali della stagione vengono al pettine proprio grazie ai brani interpretati dagli attori. Tra cui James Marsters, il vampiro Spike, ovviamente in versione Billy Idol, e Sarah Michelle Gellar, che ha una voce davvero strana. Non brutta, non bella. Solo strana. Da lì in poi, il musical risorgerà a nuova vita e pure in tv diventeranno tutti pazzi per il genere, da serie come Glee e Smash, fino agli episodi musicali di Scrubs e Grey’s Anatomy, per arrivare persino all’Italia con Tutti pazzi per amore.
Tra le puntate più belle e toccanti c’è poi stata anche quella della morte della madre di Buffy, Un corpo freddo (The Body) della stagione 5, in cui l’orrore del soprannaturale cui la serie ci aveva abituati fino ad allora scompare, in favore di un realismo nudo e crudo del tutto raggelante.
Ma il punto di forza principale di una serie come Buffy, insieme a Twin Peaks e Lost sicuramente uno dei telefilm più importanti e che più ha cambiato il mondo della televisione (così come quello del cinema), è l’ironia. Oggi può suonare come una cosa normale, però a fine anni ’90 non lo era tanto. La maggior parte delle serie tv si prendeva ancora troppo dannatamente sul serio. Buffy ha invece portato una ventata di freschezza tutta nuova, con riferimenti molto nerd e geek ai fumetti, così come al soprannaturale vissuto a 360 gradi, riflettendo e giocando allo stesso tempo sul suo essere un prodotto di fiction. In cui tutto può succedere, persino cose del tutto nonsense.
All’inizio della stagione 5, ad esempio, sbuca fuori dal nulla il personaggio di Dawn Summers, la sorellina di Buffy, e per tutti gli altri personaggi è come se lei ci fosse sempre stata. Cosa che portava lo spettatore a chiedersi: “Ma che ca**o sta succedendo qui?”. Solo successivamente e con calma veniva spiegato cosa diavola stava succedendo lì.
Whedon insomma si è divertito a sorprendere e a lasciare senza riferimenti il suo pubblico spesso e volentieri all’interno di Buffy, cosa che ha ripetuto alla grande con Quella casa nel bosco, dove non gli è interessato tanto fare un film horror. Nonostante sia un grande, grandissimo horror, Quella casa nel bosco è anche e soprattutto una riflessione sulla narrazione. Sul cinema. Sul guardare e sull’essere guardati. Sui reality-show, senza parlare in maniera diretta dei reality-show. Jossh Whedon ancora una volta ha fatto un prodotto di genere, apparentemente diretto soprattuto ai nerd, ai fan della sci-fi, del fantasy e dell’horror, e ancora una volta ha realizzato un prodotto che in realtà parla pure di altro e affronta tematiche alte con una leggerezza e un divertimento unici.
Benché Buffy sia la sua creatura più celebre, Whedon ha inoltre realizzato altri lavori maledettamente interessanti. Se la serie Firefly e la sua versione cinematografica Serenity me li sono persi perché troppo startrekkosi per i miei gusti, non mi sono invece fatto sfuggire la mini-serie in 3 soli episodi realizzata per il web Dr. Horrible’s Sing-Along Blog con Neil Patrick Harris. Una storia pure questa contaminatissima tra generi vari, musical + supereroi + commedia + nuove tecnologie, e una storia pure questa geniale. Potete recuperarla in rete velocemente, la durata totale è di circa un’oretta.
Prima di approdare nei lidi dorati di Hollywood con The Avengers, la pellicola di maggiore incasso di tutti i tempi escludendo quelle girate da quel furbone di James Cameron (ovvero Avatar e Titanic, se negli ultimi 15 anni aveste vissuto su Pandora anziché sulla Terra), Joss Whedon ha però tirato fuori un’altra serie. Notevolissima quanto sottovalutatissima. Parlo di Dollhouse.
Come per Buffy, la partenza si è rivelata un po’ in sordina ma poi, episodio dopo episodio, è cresciuta in maniera esponenziale. Al contrario di Buffy, purtroppo, non ha mai riscosso un grande successo ed è stata cancellata dopo appena 2 stagioni. 2 stagioni parecchio interessanti che vi consiglio di recuperare.
Perché?
Perché è una figata, e poi perché Dollhouse è il riferimento principale per Questa anzi per Quella casa nel bosco. Il tema fondamentalmente è infatti lo stesso: siamo noi che decidiamo il nostro destino, o c’è qualcuno dietro che ci pilota, che ci guida?
Una tematica universale e antica quanto il mondo, che spinge molte persone a trovare una risposta nella Fede, qualunque nome dia al suo Dio, e che spinge invece i più geek come Whedon a cercarla nel cinema, nelle serie tv, nel racconto di fiction.
In Dollhouse, un gruppo di uomini e donne di bell’aspetto venivano “noleggiati” da dei facoltosi clienti per farne ciò che volevano, per realizzare le loro fantasie più profonde e perverse. Erano delle specie di prostituti di ingeniosa e raffinata concezione, in pratica. Per ogni cliente, alla persona/bambola veniva impiantata una nuova personalità con delle caratteristiche specifiche e a ogni nuova lavoro la loro memoria veniva resettata. Fino a che qualcuno di loro non capiva che forse c'era qualcosa di strano...
Dal cast di Dollhouse non a caso provengono un paio di attori, Amy Acker, già affezionata di Whedon dai tempi di Angel, lo spinoff di Buffy, e poi l’idolo indiscusso sia di Dollhouse che di Quella casa nel bosco, Fran Kranz. Mentre da Buffy è un piacerissimo rivedere, seppure in un minuscolo ruolo, Tom Lenk, il mitico Andrew del mitico Trio di super cattivoni super ridicoli.
Per quanto riguarda il resto del cast, segnalo anche la presenza di Jesse Williams da Grey's Anatomy, Chris Hemsworth al primo film interessante della sua carriera, e Kristen Connolly, che è la solita rossa whedoniana, erede della Alyson Hannigan di Buffy e della Felicia Day di Dr. Horrible's.
"Wow, questo è persino meglio di YouPorn!"
ATTENZIONE SPOILER
In Quella casa nel bosco, il “gioco” è differente eppure simile a quello di Dollhouse, con i personaggi che sono burattini nelle mani di qualcosa che sembra il destino, ma potrebbe essere qualcosa altro.
Ci troviamo di fronte a 5 personaggi che rappresentano uno stereotipo tipico del cinema horror: la verginella, il tipo serio e studioso, il tipo atletico, la zoccola e il nerd fattone. Raccontato così, il film potrebbe prendere una piega prevedibile. Potrebbe diventare il classico horrorino su un gruppo di ragazzotti che va in gita in una casa sperduta nel nulla e, come da copione, finisce massacrata brutalmente.
Un po’ è così, però è solo una parte. È solo un film nel film.
A questo punto, potrete pensare allora a una sorta di parodia del genere, alla Scream. Ancora una volta, avrete un pochino di ragione. Perché c’è anche questa componente.
Eppure, avrete pure torto, perché Quella casa nel bosco è anche altro. Molto altro. È cinema in continua evoluzione, che muta i suoi punti di riferimento, non lascia certezze. Sorprende e stupisce di continuo. Il tutto girato alla grande dall’esordiente dietro la macchina da presa Drew Goddard, un talento che Whedon si è coltivato da lunga data. Goddard ha infatti scritto la sceneggiatura di alcuni episodi di Buffy, tra cui uno dei più interessanti dell’ultima stagione (“Conversations with Dead People”), oltre a puntate assortite di Angel, Alias, Lost e aver realizzato lo script del valido Cloverfield.
Di più, preferisco non dirvi. Anche perché mi rendo conto di essermi dilungato a dismisura, per quanto abbia parlato più di Whedon che del film. Aggiungo solo: guardatelo e aspettatevi uno dei migliori e più originali horror degli ultimi anni. Ma non aspettatevi solo questo. Perché Quella casa nel bosco è grande cinema che riflette su se stesso e sulla vita e sul destino e sul libero arbitrio e su Dio.
Quella casa nel bosco è…
non mi viene in mente altra parola:
geniale.
(voto 9/10)
"E se poi ci infila dentro una scena così, va pure oltre il geniale!"
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