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venerdì 14 febbraio 2014

UNA CANZONE D’AMORE PER SCARLETT JOHANSSON




Una canzone per Bobby Long
(USA 2004)
Titolo originale: A Love Song for Bobby Long
Regia: Shainee Gabel
Sceneggiatura: Shainee Gabel
Tratto dal romanzo: Una canzone per Bobby Long di Ronald Everett Caps
Cast: John Travolta, Scarlett Johansson, Gabriel Macht, Deborah Kara Unger, Dane Rhodes, David Jensen, Clayne Crawford, Warren Kole
Genere: esistenziale
Se ti piace guarda anche: La mia vita a Garden State, Scoprendo Forrester, Paradiso amaro, Wonder Boys, A proposito di Davis

Se dovessi dedicare una canzone a Scarlett Johansson, sarebbe “You’re Beautiful” di James Blunt.
Se dovessi dedicare una canzone a John Travolta, sarebbe “YMCA” dei Village People, ma mica do’ troppo retta alle voci che circolano sui gusti sessuali dell’attore...
Se dovessi dedicare una canzone a Bobby Long, il personaggio interpretato da John Travolta in questo film, sarebbe una ballata triste, tipo “Hurt” dei Nine Inch Nails nella versione cantata da Johnny Cash. Perché la pellicola fa respirare un’aria country, più ancora che jazz, nonostante l’ambientazione in quel di New Orleans potrebbe farlo immaginare. E poi perché sul personaggio di Bobby Long si stende un’ombra di malinconia perenne, dall’inizio alla fine. Bobby Long è un ex professore dalla vita dissoluta, è un grande appassionato di letteratura, vive insieme a un suo “protetto”, Lawson (Gabriel Macht della serie Suits), un aspirante grande scrittore. L’altra passione di Bobby Long, oltre alla letteratura, all’alcool e al fumo, è la figa. Parla sempre volentieri di figa, solo che quando se ne ritrova una, e pure enorme, per casa la tratta male.
Quando la “amica” di Bobby, Lawson e mezza New Orleans, la cantante Lorraine muore, lascia infatti un terzo della sua casa a Bobby, un terzo a Lawson e l’altro terzo alla sua figlia, che non vedeva da anni. Figlia che è Scarlett Johansson e che andrà a vivere insieme ai due letterati alcolizzati, stravolgendo le loro vita. D’altra parte, una Scarlett Johansson che gira per casa ti sconvolge per forza di cose l'esistenza.

"Hey Bobby, sai che mi piacerebbe proprio scoprire perché di cognome fai Long?"
"Ti accontento subito."
A Love Song for Bobby Long è un romanzo di formazione, più che una canzone d’amore. È una pellicola sulla famiglia, sul particolare rapporto famigliare che si va a creare tra questi tre personaggi: l’anzianotto Travolta, il 30 e qualcosa Gabriel Macht e la giovane Scarlett. Loro danno qualcosa a lei, lei dà qualcosa a loro. No, non quella cosa. Sempre a pensare a quella cosa. Siete proprio fissati, siete!
I due uomini la spronano a continuare con gli studi, le fanno leggere i libri giusti, la coinvolgono nel loro mondo costruito su citazioni letterarie, e lei in cambio li aiuta a disintossicarsi dall’alcool e a rimettere in piedi le loro vite depravate.
Una storia che puzza forte di letteratura e non a caso è tratta dal romanzo omonimo di Ronald Everett Caps. Un’influenza che si sente molto forte, che rappresenta un pregio, visto che il film si fa leggere come un libro, un libro piacevole, e anche un limite del film, con la regista esordiente Shainee Gabel che non riesce a dare una forte impronta cinematografica al tutto. La regia è piuttosto piatta, a livello visivo non ci sono grosse invenzioni, ma questo comunque è un film di quelli che riescono a far vivere i propri personaggi. Merito di tre ottime interpretazioni da parte dei tre protagonisti e merito dei personaggi stessi.

"Mmm, mi sa che devi cambiare cognome in Short..."
A Love Song for Bobby Long non è una canzone innovativa che sposta i confini della musica. Ha una di quelle melodie che ti sembra di aver già sentito da qualche altra parte e che ti rimane subito in testa. Ha il sapore di un pezzo acustico suonato lento solo per voce e chitarra. Di quelli che non cambiano la storia eppure non di meno ti rimangono dentro. Un po' come il recente coeniano A proposito di Davis.
Se dovessi dedicare una canzone a questo film, sarebbe allora una ballata, ma non una Balada di Gusttavo Lima, Dio ce ne scampi, bensì una ballata tipo “Every Rose Has Its Thorn” dei Poison. Qualcosa dal forte sapore americano, ma dal sapore di classico moderno americano. Qualcosa di forte, eppure in grado di dare la carica. Qualcosa di dolce e al contempo amaro.
(voto 6,5/10)

E se volete altra Scarlett, la potete trovare anche qui...



Oppure QUI,
e pure qui...

martedì 30 agosto 2011

Suits for my sweets

Suits
(Serie tv, stagione 1)
Rete americana: USA Network
Rete italiana: non ancora arrivato
Creato da: Aaron Korsh
Cast: Gabriel Macht, Patrick J. Adams, Meghan Markle, Rick Hoffman, Gina Torres, Sarah Rafferty, Tom Lipinski
Genere: avvocati cool
Se ti piace guarda anche: The Good Wife, Damages, Mad Men, Fairly Legal, Eli Stone

Gli avvocati possono essere cool? Se pensate a Perry Mason, la risposta probabilmente è no. Se pensate a Ally McBeal, lei era simpatica e tutto, ma era anche più sfigata che cool. Se poi vi viene in mente Ghedini, allora siete proprio fuori strada.
Da adesso però per fortuna ci sono due nuovi avvocati in città che sono pronti per diventare i vostri nuovi idoli. Egocentrici, sbruffoni, troppo sicuri di sé eppure idoli. O forse idoli proprio per tutti questi motivi.


Gabriel Macht interpreta l’avvocato in grado di risolvere qualunque situation meglio di The Situation di Jersey Shore e in grado di vincere qualunque causa, una sorta di Lionel Hutz dei Simpson al contrario quindi, ed è anche un selfish motherfucker che pensa solo a se stesso, al suo interesse personale e sembra incapace di una relazione stabile o di vere amicizie. In pratica è il nuovo Christian Troy (il mitico chirurgo plastico di Nip/Tuck): appassionato di soldi, auto costose, belle donne e vestiti firmati. Ma è anche una sorta di Don Draper moderno e da qui è nato qualche affrettato paragone con Mad Men, per il resto invece piuttosto distante da questo Suits, oppure un Patrick Bateman solo meno American Psycho, visto che (al momento) non ha ancora ammazzato nessuno.

Nella vita glamour ma anche solitaria dell’avvocato, irrompe un giorno il suo possibile erede interpretato da Patrick J. Adams, uno da tenere d’occhio anche in prospettiva futura. Mentre sta facendo i colloqui per assumere un nuovo associato del suo studio legale, nel suo ufficio fa letteralmente irruzione un giovane talento portento che stava scappando dagli sbirri per una consegna di droga finita male. Il ragazzo non ha conseguito la laurea, ma è una sorta di genio del cazzo cui basta leggere un libro una volta per comprenderlo e memorizzarlo perfettamente. Vedendo un giovane se stesso in questo fenomeno, l’avvocato decide di assumerlo al volo, fingendo si sia laureato ad Harvard e da lì in poi, laurea o non laurea, i due saranno così pronti a formare una nuova coppia di colleghi/amici degna di serie come Breaking Bad o il già citato Nip/Tuck.

Suits è una serie con un gusto leggero, frizzante, con due protagonisti molto forti, in grado di fare già scintille nei primi episodi e di prometterne ulteriori in quelli futuri. Intorno a loro promette bene Meghan Markle, gnoccolona esperta nelle ricerche legali cui manca solo un esame per diventare un avvocato vero e ad aiutarla nell’impresa potrebbe farsi avanti proprio il giovane avvocato truffatore, suo possibile probabile interesse sentimentale. Ulteriori sviluppi potrebbero poi arrivare dal rapporto di complicità ma anche rivalità tra i due avvocati, mentre qualche ulteriore momento divertente è assicurato dall’altro associato, il rivale della coppia di protagonisti, interpretato da Rick Hoffman, una facia da pirla già vista come guest-star in mille e più altre serie tv.
Come limite, o almeno io lo vedo come un limite, c’è la presenza di trame autoconclusive, con i singoli casi legali che vengono risolti nel giro di una singola puntata. Per quanto riguarda la trama orizzontale invece ho qualche dubbio in più, ma l’efficacia e la coolness con cui sono costruiti i personaggi principali lascia ben sperare riguardo alla tenuta sulla lunga distanza della serie. Anche se poi, per quanto ami autocelebrarmi, non sono Nostradamus o Donnie Darko, e quindi non posso prevedere ogni cosa. Per intanto USA Network l'ha già giustamente confermato per una seconda stagione.
Se di solito non mi appassiono molto alle serie legali, negli ultimi tempi continuano a spuntarne fuori di ottime in grado di smarcarsi dalla noia delle sedute di tribunale, vedi Damages, The Good Wife, il nuovo Fairly Legal e ora pure questo elegante spassoso Suits.
E allora dimenticate Ghedini: gli avvocati possono essere cool. Parecchio cool.
(voto 7+/10)

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