Tratto dal romanzo: Educazione siberiana di Nicolai Lilin
Cast: Arnas Fedaravicius, Vilius Tumalavicius, John Malkovich, Eleanor Tomlinson, Jonas Trukanas, Vitalij Porchnev, Peter Stormare
Genere: racconto di formazione
Se ti piace guarda anche: C’era una volta in America, Romanzo criminale, La promessa dell’assassino
Chi sa, fa. Chi non sa far niente, insegna. Chi non sa insegnare, insegna educazione fisica. E chi non sa insegnare manco educazione fisica, insegna l’educazione siberiana. In questo caso John Malkovich, il nonno del protagonista del film di oggi.
La recensione è iniziata da appena un paio di righe e io non voglio fare subito il pignolino, ma qualcuno mi spiega perché John Malkovich è considerato un grande attore? Mistero, come direbbe Enrico Ruggeri con la sua vouce fastidiousa.
È dai tempi di Essere John Malkovich, in cui peraltro interpretava se stesso - che fatica! -, che non fa un film decente e anche prima non è che abbia avuto tutti ‘sti ruoli memorabili o girato chissà quali enormi capolavori. Senza offesa, o forse un po’ sì, ma John Malkovich poi ha pure la faccia da scemo come pochi. Oltre a delle orecchie enormi.
Essere John Malkovich?
No, grazie.
Ho attaccato John Malkovich e ora per par condicio attacco me stesso.
Chi non sa fare cinema, fa il critico. Chi non sa fare il critico, mette su un blog di cinema, come me.
Contenti adesso, fans di John Malkovich?
"Cannibal ce l'ha con me solo perché non prego il suo Dio: Kanye West."
E dopo aver attaccato John Malkovich e me stesso, passo ora a prendermela anche con Educazione siberiana. Nessuna pietà per niente e nessuno, oggi.
Educazione siberiana è la versione brutta di un bel film. Tratto dal romanzo omonimo di Nicolai Lilin che pare abbia avuto un discreto successo ma che non ho letto e che, dopo aver visto l’adattamento cinematografico, manco m’è venuta la minima voglia di recuperare, Educazione siberiana è la classica storia di formazione. Allo stesso tempo è anche una vicenda criminale. In pratica, si tratta di una formazione criminale.
In Moldavia, il bimbominkia Kolyma è cresciuto insieme all’amichetto Gagarin dal nonno John Malkovich, che insegna loro i precetti base della comunità criminale siberiana. Secondo la sua particolare visione del mondo, i soldi non vanno mai tenuti in casa. Roba che se passa uno da te e ti regala un milione di euro (fatto che potrebbe realmente capitare) tu devi dire: “I soldi? No, bleah, che schifo. Vade retro Satana.” I soldi sono banditi, ma non la violenza. In pratica è su queste basi, e su qualche altra cacchiata che ora non ricordo, che si fonda l’educazione siberiana.
Bella, eh? Vi è venuta una gran voglia di iscrivervi subito a un corso di educazione siberiana dance, vero?
"Ma tu hai capito cos'è, 'sta educazione siberiana?"
"Macché, io da quella materia e da religione mi sono fatto esonerare..."
La vicenda del film ci viene presentata su due piani temporali. In uno, Kolyma è ormai cresciuto ed è diventato un soldato, nonostante ciò sia contrario ai comandamenti siberiani. Nell'altro, attraverso una serie di flashback, andiamo inoltre a rivivere il passato da bambino prima e ragazzetto poi del protagonista e dei suoi amici. Chi sono, questi amici?
Gagarin è un po’ la mela marcia della band e, da bravo giovane delinquentello qual è, finisce dritto per dritto in galera. Non importa sia solo un bambino. In Moldavia si scherza mica. Vai in galera subito. Non devi aspettare l’appello, in controappello, il via libera del Parlamento…
Gli altri due della baby-gang sono Vitalic (Vitalij Porshnev), quello un po’ indie-nerd con gli occhiali che sembra uscito da un film di Wes Anderson, e Mel (Jonas Trukanas), quello grassottello che sembra uscito da Animal House e che, in teoria, dovrebbe essere il simpa della cumpa. Due personaggi potenzialmente interessanti che invece rimangono sullo sfondo, senza ritagliarsi grossi momenti memorabili, se non una tragedia che riguarda uno dei due. Chissà chi?
Peccato, perché i giovani siberiani avrebbero potuto formare un quartetto di amiconi come gli hobbit de Il signore degli anelli. È anche qua che sta la differenza tra il cinemino italiano attuale e i filmazzi americani. Per quanto stereotipati e ripetitivi possano essere pure questi ultimi, di solito c’è una buona costruzione dei personaggi secondari. Fosse stato un film americano, Vitalic e Mel sarebbero probabilmente diventati degli idoli. Ma vabbè, l’importante è che almeno i personaggi principali siano costruiti al meglio, giusto?
Giusto, solo che sono proprio loro ad essere i problemi principali del film. Il protagonista non suscita il minimo di simpatia, né empatia. Perché dovrebbe fregarcene qualcosa di lui? È un personaggio del tutto anonimo, che non ci viene mai mostrato davvero da vicino. Capisco la tipica freddezza dei russi, ma davvero è impossibile affezionarsi a un protagonista del genere. Non aiuta di certo l’interpretazione dell’esordiente lituano Arnas Fedaravicius. Raramente ho visto un attore più inespressivo, action heroes degli anni ’80 esclusi. Va un po’ meglio con l’amico del protagonista, Gagarin (Vilius Tumalavicius), personaggio cattivello che però pure lui non viene sviluppato a dovere.
In mezzo ai due protagonisti, come al solito, ci si mette una donna. Ed è una donna particolare. Una un po’, come dire? In maniera politically incorrect potremmo definirla una “ritardata” mentre nel film viene definita in modo molto politically correct una “voluta da Dio”. Un personaggio singolare che potrebbe dare un tocco di originalità alla pellicola e invece no. A completare un cast pessimo, ma d’altra parte cos’aspettarsi da un regista che come attore feticcio ha Diego Abatantuono?, c’è la nota più negativa: Eleanor Tomlinson, già impalpabile presenza de Il cacciatore di giganti, che nei panni della tipa “voluta da Dio” offre una delle peggiori interpretazioni femminili dai tempi di Keira Knightley in A Dangerous Method.
"Ma come? Fai tanto il duro e poi vuoi che ti tatui il volto angelico di Justin Bieber?"
A proposito del cinema di David Cronenberg, Gabriele Salvatores ha voluto girare un po’ il suo La promessa dell’assassino, così come evoca vagamente anche City of God, Romanzo criminale e I guerrieri della notte. Anche se il riferimento principale del regista italiano sembra essere un altro, molto poco impegnativo: C’era una volta in America di Sergio Leone. In teoria, nelle sue intenzioni è una specie di C’era una volta in Siberia. In pratica, è una copia sbiadita girata a tratti con stile da videoclip anni ’90, perché fa figo, a tratti con stile più classicheggiante. Indeciso su quale direzione prendere, Salvatores ci infila dentro pure la splendida “Absolute Beginners” di David Bowie, in quella che (teoricamente) dovrebbe essere una delle scene emotivamente più forti della pellicola. Ma una bella canzone non basta per fare una bella sequenza, né tanto meno un bel film.
Il risultato finale è una pellicola che non riesce minimamente a lasciare il segno. Laddove probabilmente il romanzo riusciva a far avvicinare il lettore all’esperienza della vita in queste gang criminali post-URSS, provata in prima persona dall’autore Nicolai Lilin, l’adattamento di Salvatores appare del tutto distaccato e non coinvolge. Va bene la freddezza, ma qua tira proprio un gelo siberiano.
Un film che non ha nulla da dire, ma lo dice maledettamente bene. Happy Family è un puro esercizio di stile firmato Gabriele Salvatores, il piacere del narrare anche senza avere una storia vera e sentita da raccontare. Che poi è quello che fa il protagonista del film Fabio De Luigi qui in versione pirandelliana: crea personaggi, inventa aneddoti, si fa viaggi mentali, inventa storie. E cosa c’è di più bello dell’inventare storie?
La piacevolezza della visione lascia comunque spazio a qualche riserva. In primis proprio il Fabio De Luigi, ottimo comico che non mi sembra sia, non ancora almeno, un attore vero. Troppo impostato e finto, persino per un film in cui tutto è esplicitamente fiction come questo.
E poi Valeria Bilello: come vj di Mtv e AllMusic mi piaceva, ma pure lei come attrice deve ancora studiare parecchio; diciamo che per il momento è alle elementari, vediamo se arriva all’università o perlomeno al liceo. Intorno ai due imballati protagonisti della storia d’amore particolare qui presentata ci sono però per fortuna una serie di personaggi più o meno strambi e alcuni molto riusciti.
Diego Abatantuono di solito faccio fatica a sopportarlo ma qui dentro, con un piccolo ruolo da padre cannaiolo, mi è risultato decisamente simpatico. Poi c’è la parte teen, con il ragazzino effemminato che a 16 anni si vuole sposare con la fidanzatina emo prima di scoprirsi gay. C’è appunto la ragazzina emo combattuta sulla decisione di sposarsi. C’è un Fabrizio Bentivoglio invecchiatissimo e in perenne punto di morte. Ma il personaggio migliore è senz’altro la vecchina con l’Alzheimer: comicità allo stato puro. Da sola vale l’intera visione della pellicola. Altra protagonista del film: Milano, filmata in una maniera inedita e affascinante.
Ah, dimenticavo: c’è anche Margherita Buy che tanto per cambiare fa la parte della nevrotica. Ma non si è stufata?
E poi qualche riserva anche per la colonna sonora, in un impeto da sindrome de Il laureato composta unicamente da pezzi di Simon & Garfunkel. Simon & Garfunkel? Come dice lo stesso De Luigi a inizio pellicola: “Sì, è musica che non ascolta più nessuno, me compreso. Però è l’unica musica che ho.” Alla fine risulta un sottofondo anche piacevole e serve a dare unità e compattezza a un film che altrimenti poteva risultare più confusionario, però un consulente musicale Salvatores, se proprio aveva finito i dischi, poteva anche prenderselo.
Gabriele Salvatore dopo Come Dio comanda si conferma un buon regista ma non si può considerare un vero e proprio Autore. Con la macchina da presa ci sa indubbiamente fare, però è come se gli mancasse la personalità, una sua visione del mondo. Conosce le tendenze del cinema contemporaneo ed è bravo a imitarle, come in questo ritratto di famiglia anomala alla Tenenbaum, però sembra decisamente come il suo protagonista/alter-ego De Luigi: un autore in cerca di autore.
Cast: Filippo Timi, Alvaro Caleca, Elio Germano, Fabio De Luigi, Angelica Leo
“Il mondo è fatto per la gente come te. Il mondo è fatto su misura per i mediocri.”
Finalmente Gabriele Salvatores è uscito dalla mediocrità e ha fatto un film come Dio comanda. Ho sempre avuto un rapporto conflittuale con il suo cinema: diciamo subito che considero l’Oscar dato a Mediterraneo uno di quei colpi di culo inspiegabili che nemmeno il Mondiale vinto nel 2006… D’altra parte del regista napoletano milanesizzato apprezzo la voglia di sperimentare, di cambiare, di proporre qualcosa di sempre diverso e (talvolta) coraggioso per il panorama italiano. Peccato che i risultati spesso siano stati disastrosamente al di sotto delle premesse, vedi il tentativo di fare il suo Il quinto elemento con Nirvana (1997) o un Trainspotting in poco gustosa salsa italo-spagnola con Amnèsia (2002). Quando si trova a che fare con il materiale di Niccolò Ammaniti però finalmente la voglia di cinema di Salvatores si trasforma in un risultato concreto, aiutato da sceneggiature e storie finalmente convincenti. È quanto successo con il valido Io non ho paura (2003) e ancor di più con Come Dio comanda.
Salvatores pure qui non smette di guardare a modelli stranieri, in questo caso direi certo cinema indipendente americano, ma li fa per una volta totalmente suoi e riesce a rendere la remota provincia del nord-est Italia con atmosfere apocalittiche che sembrano uscite da The Road o dal mondo-discarica di Wall-E, per poi trasformarsi nella seconda parte in un incubo notturno da film de paura.
Salvatores ha anche il merito di aver azzeccato completamente il cast, lasciando per una volta fuori dalle balle quell’incapace di Abatantuono e scegliendo un Filippo Timi che qua è al top dei top: con un numero alla Edward Norton riesce a diventare un magistrale personaggio da Italian History X. Quindi, Elio Germano è un “ritardato” credibile, il giovane dal volto scavato Alvaro Caleca e la bionda Angelica Leo sono due rivelazioni. Meno convincente un insopportabile Fabio De Luigi urlante, decisamente preferibile ai tempi di “Ah, la tauromachia!”
Leitmotiv del film è la rassicurante e allo stesso tempo inquietante “She’s the one” di Robbie Williams, che ci accompagna in questa strana storia di un padre disoccupato con tendenze nazi che tenta di non perdere la custodia del figlio (da notare come non si faccia praticamente riferimento alla madre). Tra pazzi, esaltati, disoccupati, disadattati, assassinati, padri e figli disastrati: anche questa è l’Itaglia, oggi.
(voto 7/8)
Potete trovare il film QUI
Piccola curiosità: nel locale dove Timi va a “rimorchiare” ci sono i Tre Allegri Ragazzi Morti che suonano!
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