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lunedì 31 marzo 2014

STORIA DI UNA LADRA DI LIBRI E DI UN LADRO DI FILM




Storia di una ladra di libri
(USA, Germania 2013)
Titolo originale: The Book Thief
Regia: Brian Percival
Sceneggiatura: Michael Petroni
Tratto dal romanzo: La bambina che salvava i libri di Markus Zusak
Cast: Sophie Nélisse, Geoffrey Rush, Emily Watson, Nico Liersch, Oliver Stotowski, Julian Lehmann
Genere: letterario
Se ti piace guarda anche: La chiave di Sara, Schindler’s List, La vita è bella

"Non c'è nessun volume di Cannibal Kid? Che razza di libreria è mai questa?"
Storia di una ladra di libri è la storia di una ladra di libri.
Nooooo, ma va? Quante cose sorprendenti si scoprono ogni giorno su Pensieri Cannibali.
Un’altra cosa che forse non sapevate già è che nessuno vive per sempre. A parte i vampiri. Prima o poi, tutti moriamo. È così che inizia questo film, con la morte in persona che ci rivela questa eterna verità. Sì, è un inizio all’insegna dell’allegria. Chi è diceva sempre: “Allegria!”?
Mike Bongiorno, e Mike Bongiorno è morto.
Vedete? Il film ha ragione. Tutti muoiono. Persino Mike Bongiorno.
Se l’attacco non è dei più felici, è perché comunque questo è un film ambientato nella Germania nazista ai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Volevate che fosse una pellicola allegra? Non so, volevate per caso chiamarla La vita è bella?
A questo punto vi potete già figurare di fronte ai vostri occhi uno di quei melodrammoni stracciapalle strappalacrime. In parte è così e in parte invece è un film che non è nemmeno così deprimente. Per essere una storia raccontata dal punto di vista della morte ambientata durante la World War II, è un film parecchio vitale.
A quest’altro punto potrete accusare la pellicola di essere troppo leggera, troppo edulcorata, troppo fiabesca. Gli orrori della guerra vengono mostrati in maniera indiretta, di sfuggita, non ci si sofferma troppo su sangue, violenza e distruzione. La morte è sempre lì, con il fiato dietro al collo dei personaggi, e nonostante questo riesce a non essere una visione troppo angosciante.

"Mi sa che era meglio se non gli leggevo l'intera saga di Twilight.
Gli ho dato il colpo di grazia, a 'sto poveretto."
Storia di una ladra di libri è la storia di una ladra di libri, dicevo nella sconvolgente rivelazione di inizio post. Più nello specifico Liesel è una ragazzetta di 10 anni che viene separata dalla madre comunista dal perfido Berlusconi Hitler. Liesel, interpretata dalla giovanissima attrice canadese Sophie Nélisse già vista in Monsieur Lazhar, viene così data in adozione a una coppia formata da un padre bonaccione (Geoffrey Rush) e da una rigida madre nazi (Emily Watson), che però poi in fondo rivelerà di avere un cuore d’oro, come capita con tutti i cattivoni. A parte Berluscon… volevo dire Hitler.
All’inizio, la piccola Liesel avrà vita dura, poi diventerà popolare e andrà alle feste e, dopo essersi fatta desiderare a lungo, perderà la verginità. Ah no, scusate. Questa è la storia di una qualunque serie trasmessa dal network americano The CW.
La piccola Liesel avrà invece una vita dura, circondata dai nazisti, ma in cui oltre ai genitori adottivi troverà un paio di persone cui appoggiarsi per trovare un raggio di sole in un periodo storico nero come la pece, rosso come la bandiera nazista, marrone come la merda. La prima persona è Rudy, un ragazzino dai capelli gialli come il limone con cui farà amicizia e con cui no, non perderà la verginità perché questa non è una serie The CW e la protagonista è ancora troppo giovane. La seconda persona è Max, un giovane ebreo che viene ospitato dal padre a casa loro. Più che ospitato, viene nascosto dall’occhio delle forze del male, quindi dall’occhio di Sauron… pardon continuo a sbagliare, volevo dire l’occhio di Hitler.

"Un libro di Moccia tra le fiamme? Ma che ingiustizia!
Che ingiustizia che non sia ancora bruciato."
Una classica storia sui drammi della Seconda Guerra Mondiale, da qualche parte tra Il diario di Anna Frank e Schindler’s List, insomma, con l’aggiunta di qualche eco alla Fahrenheit 451. Niente di nuovo, se non per la scelta del narratore che, come detto, è Mr. Simpatia, ovvero la Morte. Se un minimo di originalità la possiede e, considerando quanto il tema sia stato inflazionato, è cosa non da poco, a preoccupare è soprattutto un’altra cosa: riuscirà il film a non essere troppo stucchevole, patetico, tutto buoni sentimenti?
Eh, insomma. La missione non si può definire riuscita del tutto, anche perché probabilmente non era tra gli obiettivi della pellicola. Nonostante alcuni passaggi siano un pochino telefonati e altri tendano a ricercare in maniera forzata il coinvolgimento del pubblico, la Storia di una ladra di libri non esagera con i momenti ruffiani, quelli presenti tutto sommato non infastidiscono più di tanto e, anzi, vanno a segno. Il mio cuoricino freddo in almeno un paio di passaggi è stato scalfito dal calore di questa pellicola e poi la scena con i ragazzini protagonisti che gridano “Hitler è una testa di cazzo!” vale da sola il prezzo del biglietto che non ho pagato, perché io sono un ladro di film.

Nonostante in alcuni punti emozioni, Storia di una ladra di libri purtroppo pecca di una regia di tale Brian Percival troppo anonima, piatta, priva di personalità, un tempo si sarebbe definita “televisiva”, non fosse che adesso la qualità delle produzioni seriali spesso fa apparire semmai il termine “cinematografico” come dispregiativo. Se a livello di spettacolo visivo non è niente di che, per una volta ci possiamo accontentare di una storia che, per quanto non del tutto sconvolgente, è una bella storia. Se fosse raccontata in un libro, lo ruberei.

Ah, come? Dite che il film è tratto dal romanzo La bambina che salvava i libri di Markus Zusak?
E allora vado a rubarl… volevo dire a leggerlo.
(voto 6,5/10)

venerdì 17 maggio 2013

VABBE' LA CRISI, MA QUESTA E' DAVVERO LA MIGLIORE OFFERTA?




Per il lotto numero 127 di oggi, battiamo all’asta… Giuseppe Tornatore.
Si tratta di un pezzo antico, un tempo molto pregiato, negli ultimi anni calato parecchio di valore, ma che può comunque ancora vantare la sua schiera di ammiratori. Assurto a clamoroso prestigio sul finire degli anni ’80 con il suo lavoro più celebre, Nuovo Cinema Paradiso, vincitore persino del premio Oscar come miglior film straniero, adesso il suo valore di partenza è sceso a causa di Baaria, una delle peggiori porcherie viste nella storia del Cinema e dell’umanità. Con 100 euro ve lo potete portare a casa vostra per fargli girare il vostro prossimo filmino delle vacanze.
Uh, a sorpresa abbiamo un’offerta.
101 euro.
Qualcuno offre di più?
Nessuno?
101 e uno, 101 e due, 101 e tre. Aggiudicato alla Warner Bros. Pictures.

Passiamo al lotto numero 128 di oggi. All’asta abbiamo Geoffrey Rush.
È un attore australiano anche lui dal valore un po’ decaduto nei tempi recenti. Pure lui può inoltre vantare una statuetta dorata, vinta per l’interpretazione molto sentita del pianista (non sull’oceano come quello di Tornatore) David Helfgott nel film Shine. Bravo, commovente performance, però il film è una di quelle ruffianata alla Forrest Gump che io mal digerisco, scusate la considerazione personale. E poi che ha fatto? Geoffrey Rush vanta in curriculum altre pellicole come Shakespeare in Love, i Pirati dei Caraibi e Il discorso del re, tutti altri film che ho mal digerito, scusate per quest’altra considerazione personale.
A causa della recente (inspiegabile) acclamazione proprio per Il discorso del re, che gli ha fruttato una nuova nomination agli Oscar, il suo prezzo di partenza è più alto di quello di Tornatore.
1000 euro.
Nessuno?
Nessuno nessuno?
Ok, allora ve lo vendiamo a 500 euro insieme a una batteria di pentole.
La signora là in fondo ha alzato la paletta.
500 e uno, 500 e due, 500 e tre. Andato alla signora là in fondo. Congratulazioni. Soprattutto per la batteria di pentole!

Lotto 129, adesso tiriamo fuori un pezzo nuovo, fresco: Jim Sturgess. Ci sono ragazzine là fuori che si struggono per lui più che per i One Direction. Non ci credete? In effetti non è vero, però qualche fan ce l’ha pure lui. Due o tre. Lo Sturgess era partito molto bene, con un ruolo di primo piano nel bel musical sulle canzoni dei Beatles Across the Universe. Poi la sua carriera non è decollata più di tanto e di recente l’abbiamo visto nel mediocre Upside Down e nel pessimo Cloud Atlas.
Ma il giovane, per quanto parecchio inespressivo e con l’eterna faccia da cucciolo abbandonato per strada cucita addosso, è giovane, appunto, ed è ancora promettente. Per lui il prezzo di partenza è quindi di 5000 euro.
Abbiamo un 5000.
Abbiamo un 6000.
Abbiamo un 7000, bene.
Abbiamo un 10000. 10000 e uno, 10000 e due, 10000 e tre. La migliore offerta è pure questa della signora là in fondo che si era già presa anche la batteria di pentole.

Lotto 130, l’ultimo per questa giornata. Si tratta di un pezzo unico, raro, prestigioso. La recensione mai pubblicata prima di Cannibal Kid del film realizzato dai tre pezzi precedenti, Giuseppe Tornatore in veste di regista e sceneggiatore, Geoffrey Rush e Jim Sturgess come interpreti principali. Eccovela qui di seguito.

La migliore offerta
(Italia 2013)
Regia: Giuseppe Tornatore
Sceneggiatura: Giuseppe Tornatore
Cast: Geoffrey Rush, Jim Sturgess, Donald Sutherland, Sylvia Hoeks, Liya Kebede, Philip Jackson, Kiruna Stamell
Genere: nascosto
Se ti piace guarda anche: Copia conforme, Le conseguenze dell’amore

La migliore offerta non sembra un film italiano. Forse perché del film italiano non c’ha molto. Andando a spulciare i nomi del cast, quel razzista di Giuseppe Tornatore ha estromesso tutti i connazionali. Manco il ruolo da comparse, gli ha dato. Considerando lo scompartimento attoriale nostrano, non sembra certo una mossa sbagliata. Le scelte di casting fatte allo stesso tempo non mi esaltano certo. Geoffrey Rush non mi è mai piaciuto ed è uno di quegli attori che sembra scegliere apposta di girare film che mi daranno sui nervi, come Shakespeare in Love o Il discorso del re. Come attore, per carità, è bravo e qui se la cava bene nei panni dell’antipatico e scontroso battitore d’aste ed espertone d’arte di ‘sta cippa. Ma per questa parte sarebbe stato perfetto Toni Servillo e Geoffrey Rush invece continua a non piacermi e basta, gnegnegnegnegné.
Jim Sturgess ai tempi di Across the Universe mi sembrava piuttosto promettente piuttosto che no, mentre negli ultimi tempi mi sembra piuttosto che no che piuttosto promettente. Qui nei panni del piccolo aiutante del battitore d’aste mi sembra piuttosto fuori parte e basta.
C’è poi anche Donald Sutherland, padre del mio preferito Kiefer, che è perfetto. Come Gandalf il Bianco del Signore degli anelli è perfetto. Come collezionista onnipresente a tutte le aste, non tanto.

"Cannibal dice che somiglio a Gandalf? Fatemi guardare meglio..."

"Mannaggia, c'ha ragione!"

Stranieri sono pure tutti gli altri membri del cast e pare che per questo durante le riprese ci siano state manifestazioni di protesta contro lo ius soli, contro il nuovo ministro per l’integrazione Cécile Kyenge e contro Tornatore, accusato di eccesso di esterofilia. Una malattia di cui soffro anch’io.
L’approccio esterofilo di Giuseppe Tornatore si sente anche nella sceneggiatura, da lui stesso firmata. Se gli script nostrani tendono a mettersi in mostra solo per mancanza di idee e spunti, il copione di La migliore offerta invece parte col piede giusto. È accattivante, ruffianello quel che basta, sa come stuzzicare la curiosità dello spettatore e guadagnarsi fin da subito la sua attenzione. I dialoghi, pur non eccezionali, sono ben focalizzati sul concetto di arte, di originalità e di copia, in una maniera che pare un po’ scopiazzata da Copia conforme di Abbas Kiarostami. Ironico parlare di copie copiando un altro film.

Al di là di questo aspetto, la prima parte del film si dispiega come un thrillerone dal sapore internazionale ben costruito. A colpire è soprattutto la storia: il battitore d’aste protagonista viene chiamato al telefono da una tizia per un consulto. La ragazza ha appena ereditato uno sproposito di oggetti d’arte e vuole che a occuparsi della vendita sia il suddetto espertone d’arte di ‘sta cippa. La cosa intrigante e misteriosa è che questa tipa  è sfuggente. In qualche modo riesce sempre a evitare il contatto fisico con il battitore d’aste, fino a che…

"Lynch, che aspetti a chiamarmi?"
Fino a che il mistero si svela. La prima parte del mistero. Per un’ora il film viaggia bene grazie a quest’aura di curiosità che si appiccica addosso. La sceneggiatura funziona. La regia del Tornatore un po’ meno, classicheggiante come al solito e priva di guizzi. A uno script stranamente in grado di stupire, corrisponde quindi una messa in scena molto tradizionale e sbadigliosa, che diminuisce la tensione costruita dalla vicenda. Poco ci può fare l’inserto, comunque curioso, di una nana molto in stile David Lynch.
A dare una mano ci pensano allora le musiche di Ennio Morricone che, insomma, Morricone è sempre Morricone, eccheccazzo. Però è un Morricone che, per quanto super professionale e in grado di costruire adeguate atmosfere, ha perso la genialità e la poesia di un tempo e adesso sembra comporre musiche col pilota automatico. Un pilota automatico di talento, ma pur sempre un pilota automatico. Niente al livello ad esempio dello splendido tema “Ninna nanna per adulti” composto per il film Cuore di mamma e di recente riciclato in maniera splendida in Come un tuono.

Pur con i limiti evidenziati, ci troviamo allora di fronte finalmente a una pellicola italiana degna di essere vista?
La risposta è sì. Però la prima ora è intrigante, poi il film comincia a precipitare. Come molti altri thriller, anche La migliore offerta perde via via fascino mano a mano che si scoprono le sue carte. La pellicola se la cava bene quando indossa la sua poker face, quando riesce a bluffare, poi però quando è il momento di far vedere ciò che ha in mano, scopri che non aveva manco un tris. O, meglio ancora, per restare nel tema delle aste trattato dalla pellicola, è come se un compratore si fosse aggiudicato tutti i lotti più importanti e costosi e poi alla fine, quando arriva il momento di pagare, si scopre che in tasca non ha un euro ed è il classico perdaballe che ha preso in giro tutti.
Si tratta insomma di un thriller dalla prima parte avvincente, dalla seconda parte meno convincente, e con un finale che ho trovato pessimo, per non essere volgare e dire che è una cagata pazzesca. Ci ho anche riflettuto su un po’, al termine della visione, e mi è sembrato decisamente meno profondo di quanto vorrebbe apparire. Nel complesso, comunque, una visione che ha superato le mie più rosee aspettative, considerando come Tornatore arrivasse da quel pasticcio cinematografico di Baaria, eppure allo stesso tempo è anche la classica occasione mancata per realizzare qualcosa che lasci davvero il segno e non sia solo un thrillerino a tratti avvincente. Meglio del solito film italiano medio, a cui non assomiglia per niente, però le 13 nomination avute ai David di Donatello 2013 appaiono un tantino, diciamo pure parecchio, esagerate. Non che la concorrenza offra molto altro, ma se questa è La migliore offerta del cinema italiano, ‘nnamo bene, ‘nnamo.
(voto 6,5/10)

Il lotto 130 è dunque questa splendida recensione cannibale che abbiamo appena letto.
L’offerta di partenza è 1 euro.
Nessuno offre 1 euro?
Nessuno, nessuno?
Il signore in prima fila con una bandana in testa e truccato come uno dei Kiss che mi sembra di conoscere ha alzato la sua paletta. Non mi pare abbia intenzioni benevole nei confronti della recensione e sta ondeggiando la fiamma di un accendino immagino per mostrare la sua intenzione di bruciarla, però non ci sono altre offerte in sala, quindi il lotto 130 è suo.
Si è aggiudicato la recensione di Cannibal Kid de La migliore offerta. Congratulazioni, signor Ford!



lunedì 31 gennaio 2011

Il discorso del re: Un sovrano (e un film) senza voce

Il discorso del re
(UK, Australia 2010)
Titolo originale: The King’s Speech
Regia: Tom Hooper
Cast: Colin Firth, Geoffrey Rush, Helena Bonham Carter, Guy Pearce, Michael Gambon, Timothy Spall, Jennifer Ehle
Genere: biopic storico
Se ti piace guarda anche: The Queen, Elizabeth, Shakespeare in love

Trama semiseria
1925. Il figlio di Giorgio V d’Inghilterra, incaricato di fare un discorso pubblico a Wembley, si blocca e non riesce a parlare frenato dalla sua balbuzie. La moglie allora gli ingaggia un coach per aiutarlo a risolvere questo problema, un po’ come accade con i trainer di Mtv Made che in due mesi trasformano un caso umano nel più figo del liceo. Tutto risolto in fretta come nel programma tv? Non proprio: gli anni passano, il guaio permane e quando tocca a lui salire sul trono come Giorgio VI non può proprio farlo da balbuziente. Ah, nel frattempo l’Inghilterra scende in guerra contro la Germania di Hitler, ma questo in confronto alla drammatica balbuzie del re sembra davvero non fregare niente a nessuno…

Recensione cannibale
Può bastare una storia carina a fare un buon film? Direi proprio di no. Soprattutto se la storia in questione è sì curiosa, ma ha anche alcuni risvolti tragicamente ridicoli. La balbuzie è sì un problema non da poco, così come il parlare di fronte a una grande folla è una cosa di cui io stesso ho un gran terrore. Però in quel periodo accadevano anche cose un tantino più preoccupanti di questa. Quali? Il nazismo, ad esempio. Si dirà allora che questa è più che altro una commedia, peccato non faccia molto ridere, ma fino a che i toni rimangono leggeri le cose funzionano ancora. Le note dolenti arrivano quando questa vicenda viene trattata con solennità e drammaticità mentre, soprattutto se vista all’interno del contesto dello scoppio di una guerra mondiale, appare piuttosto irrilevante per non dire idiota.

Nonostante questo, Il discorso del re ha avuto 12 nomination all’Oscar e sembra il principale concorrente a The Social Network per salire sul trono di film re dell’annata. Perché? Davvero difficile da spiegare, se non per la passione dell’Academy a film storici di una noia mortale come Il paziente inglese o Shakespeare in Love, una passione che negli ultimi tempi sembrava essersi esaurita ma che questo The King’s Speech ha riacceso alla grande.
Mentre alcuni film storici attraverso il passato ci aiutano a capire quello che sarebbe successo dopo, vedi Il nastro bianco di Haneke tanto per dire una pellicola ambientata all’incirca in quel periodo, Il discorso del re sembra invece una storia del tutto scollegata da qualunque collegamento all’attualità. Si può fare eccezione per la vicenda di Edoardo VIII, il re che decide di abdicare in favore del fratello per via di uno scandalo sulla sua vita privata, cosa che a noi italiani può far venire in mente un collegamento con Berlusconi che ad “abdicare” non ci pensa proprio qualunque vicenda lo travolga. Ma questo non credo fosse certo nelle intenzioni della pellicola inglese. Al di là del fatto che cinematograficamente The Social Network è una pellicola di ben altro (e alto) livello, c’è anche da chiedersi quindi se sia più giusto premiare un film che riesce a parlare alla grande della vita di oggi oppure una storiella nel passato della monarchia inglese che poco o nulla a che fare con il presente.
Davvero senza senso poi il fatto che la regia professionale ma anche pomposa e priva di personalità di Tom Hooper sia stata preferita a quella del Christopher Nolan di Inception. Bah.

Bene il cast, ma niente per cui strapparsi i capelli: Colin Firth nel rendere il balbuziente Giorgio VI vince una sfida difficile e quasi certamente vincerà anche l’Oscar, ma allo stesso tempo non è uno di quei ruoli che lasciano un segno nella storia del cinema e lo stesso Firth ha fatto secondo me di meglio in A Single Man. Davvero ottima Helena Bonham Carter nei panni della moglie, così così il sopravvalutato Geoffrey Rush nei panni del logopedista, l’uomo che cerca di aiutare il principino inglese con metodi poco ortodossi (ma nemmeno troppo) a ritrovare la sua voce. Tutto questo, ricordo, mentre nel resto del mondo succedeva una cosa da niente chiamata Olocausto, ma volete mettere con i problemoni di Giorgio VI che deve fare un discorso di ben 2 minuti alla radio?

A tratti sul noioso e sull'odioso andante, Il discorso del re non è nemmeno un bruttissimo film, però dopo aver visto tutte e 10 le pellicole candidate all’Oscar posso dire che questa è di gran lunga quella che mi ha convinto di me. È solo una storiella curiosa raccontata in maniera troppo enfatica che nel finale assume contorni alquanto grotteschi e al limite del ridicolo. All’Academy però amano le storie ruffiane, vedi Forrest Gump, un buon film che però proprio non reggeva e non regge tutt’oggi il confronto con quella pietra miliare di Pulp Fiction. Ma agli Oscar indovinate chi fu a trionfare? E comunque questo discorso del re non vale nemmeno la metà di Forrest e inoltre, dopo lo sguardo originale proposto da Sofia Coppola con il suo Marie Antoinette, rigetta il genere storico concettualmente indietro di decenni, per non dire secoli.
In un’annata strepitosa per il cinema americano come non capitava da anni, con grandissimi film come Black Swan, The Social Network, Inception e Winter’s Bone, vogliamo davvero dare l’Oscar a un film che più che la definizione di “classico” merita quella di “antico” e che sembra furbescamente pensato per vincere… l’Oscar?
Mmm, temo che andrà a finire proprio così.
(voto 5,5)

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