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mercoledì 6 febbraio 2013

PITCH PERFECT: LA PUNTATA DI GLEE PERFETTA

Voices - Pitch Perfect
(USA 2012)
Titolo originale: Pitch Perfect
Regia: Jason Moore
Sceneggiatura: Kay Cannon
Tratto dal romanzo: Pitch Perfect di Mickey Rapkin
Cast: Anna Kendrick, Skylar Astin, Anna Camp, Brittany Snow, Rebel Wilson, Ben Platt, Alexis Knapp, Hana Mae Lee, Ester Dean, Adam DeVine, Utkarsh Ambudkar, John Michael Higgins, Elizabeth Banks, Har Mar Superstar, Donald Faison, Christopher Mintz-Plasse
Genere: a cappella
Se ti piace guarda anche: Glee, Smash, Breakfast Club
Uscita italiana: non ancora prevista


I film musicali giovanili si rivelano spesso il migliore specchio dei tempi, delle nuove mode e delle nuove tendenze.
Ma che frase d’apertura da vecchio ho usato? Hey, Santo Peter Pan, starò mica invecchiando pure io?
In ogni caso, in genere queste pellicole sanno fare bene il punto della situazione, a livello cinematografico, musicale e pure sociale. La febbre del sabato sera ci ha raccontato tutto (o quasi) sulla tamarraggine disco di fine '70. Film come Flashdance e Footloose fotografavano bene il kitsch degli anni ’80, sia inteso ciò sia in senso positivo che negativo, così come un Save the Last Dance era un film che rendeva alla perfezione l’era di Eminem, in cui l’hip-hop entrava definitivamente in ambito mainstream, a livello musicale quanto come stile di vita.
Pitch Perfect fa la stessa cosa. Rende al meglio (o al peggio?) la musica e la vita dei ggiovani della Glee generation. Non che poi ciò debba coincidere con la realtà vera vera, soprattutto quella italiana, però così almeno è come se la immaginano la gioventù di oggi Mtv o gli autori degli spot tv, quelli che vedono i ggiovani non come delle individualità, ma come un target pubblicitario a cui puntare.

Immagine NON tratta da un episodio di Glee.
Con una premessa di questo tipo, a questo punto potrete immaginarvi partire una dura critica da parte mia al Sistema e a un film come questo, e invece no. I limiti di Pitch Perfect sono quelli di un’eccessiva semplificazione, di una notevole lontananza dalla realtà e dal realismo e quello di presentare personaggi giocati più che altro sugli stereotipi. Però questa è pur sempre una commedia, e la commedia per far ridere sugli stereotipi ci campa. Ci sguazza. E comunque se non altro va dato atto agli autori di aver adottato oltre ai soliti stereotipi (la ragazza ribelle protagonista VS. la solita bionda depersonalizzata), anche dei nuovi stereotipi. Stereotipi da Glee generation, appunto, come il tipo di colore dalla sessualità confusa o la ragazza grassa consapevole di essere grassa e non complessata per questo, giacché è lei stessa la prima che si fa chiamare Fat Amy.
La morale della fiaba qui raccontata è quindi la stessa dei suoi “colleghi” precedenti, come Footloose o Save the Last Dance, ovvero che la musica è più forte di tutti i pregiudizi. I valori su cui punta poi naturalmente sono quelli di amicizia e amore. Tutto prevedibile, tutto nella norma.
Però adesso basta con le critiche. E che roba che sono diventato. Sempre a criticare tutto.

"Nooo, un burrito sprecato! Dio, come puoi permettere una simile atrocità?"
Vediamo allora anche le cose positive: Pitch Perfect è una commedia che funziona. Intrattiene e lo fa bene, dall’inizio alla fine. Diverte, strappa qualche sorriso, ci regala una storia che, per quanto banale e per quanto il finale sia già scolpito fin dall’inizio nelle nostre teste, è carina. Con tutte le cosine al posto giusto. Poco importa che la storia sembri rubata da Glee. La vicenda è infatti quella di una ragazza appassionata di musica che, per fare contento il padre e non essere troppo asociale, si iscrive a una confraternita/gruppo vocale al femminile. Una specie di Glee club.
Pitch Perfect è derivativo, ok, però ricorda il Glee brillante frizzante e scintillante degli esordi, piuttosto che quello spento degli ultimi tempi. Merito anche della presenza di alcuni personaggi davvero spassosi: su tutti la citata Fat Amy, interpretata dalla nuova fenomena della comedy Rebel Wilson, già vista anche in Le amiche della sposa, The Wedding Party e Che cosa aspettarsi quando si aspetta. È con lei che il film vive i suoi momenti più divertenti e diciamo che - eccolo il mio maledetto spirito critico che ritorna a fare capolino - al suo personaggio poteva essere regalato maggiore spazio. Fantastica poi la tipa orientale (Hana Mae Lee) che parla con un livello vocale impercettibile


e simpatico il piccolo ruolo di Christopher Mintz-Plasse, meglio noto come McLovin di Suxbad. Bene anche Anna Camp (vista in The Mindy Project e True Blood) nei panni di bionda tiranna bitch perfect e ancor meglio Anna Kendrick nei panni della protagonista rebel rebel ma non troppo.
Non fatemi fare il bimbominkia, però lo devo dire: Anna Kendrick è FAN-TA-STI-CAzzi! OMG. Oh My God, è troppo la meglio. La candidata agli Oscar che si masturba al cinema guardando Ryan Gosling qui si improvvisa pure rapper in versione Anna Kendrick Lamar sulle note di “No Diggity” dei Blackstreet con Dr. Dre. Cosa pretendere di più?



"Pure tu odi il blog WhiteRussian? Sei davvero la ragazza perfetta!"
Meno bene invece la parte maschile del cast, con tale Skylar Astin che non regge al fianco di una Anna Kendrick. Non regge. Mentre il cattivone sbruffone di turno Adam DeVine con quella faccia da pirla che c’ha un paio di sorrisi ce li regala, però il suo personaggio poteva essere ancora più maligno e perfido.

Un punto di forza del film è invece quello di avere un linguaggio suo e di coniare nuovi termini, come in passato era riuscito ad altri cult giovanili tipo Mean Girls, che può vantare la nascita di termini come frico, stronzilla e strilonza, mentre qui il nuovo termine da inserire nel dizionario è stepmonster, stregamatrigna, oltre ad altri vari giochi di parole, soprattutto con il termine “a cappella”. Perché sì, questo è un film sul canto a cappella. Sì, ho detto cappella e non ci faccio battutacce sceme sopra. Sto maturando. Sono quasi una persona adulta. Sono troppo vecchio per esaltarmi con un film ggiovane del ggenere?
Forse non del tutto.

Da un punto di vista musicale, Pitch Perfect è una pellicola molto vicina anche in questo caso a Glee, con la combinazione tra hit pop recenti (certo che a David Guetta hanno fatto proprio un bel marchettone) e pezzi dal passato, soprattutto dagli anni ’80. Se in Glee erano fissati con “Don’t Stop Believin’” dei Journey, qui il pezzo cult è “Don’t You (Forget About Me)” dei Simple Minds. Il pezzo che chiude il cult movie 80s Breakfast Club di John Hughes, omaggiato esplicitamente. Il film dà quindi una rappresentazione ottimale della musica di oggi, delle playlist dell’iPod in cui tutti i generi e tutte le epoche si mixano tra loro in maniera del tutto random.
Una scena esemplare per fornire le coordinate musicali della pellicola è quella in cui le protagoniste si mettono a cantare tutte insieme sul pullman. Un omaggio a Almost Famous, forse? In ogni caso, laddove là il pezzo che riusciva a riunire il gruppo era “Tiny Dancer” di Elton John, qui la canzone inno da cantare in coro è “Party in the U.S.A.” di Miley Cyrus. Sign o’ the times. The times they are a-changin’.

"Solo 7-? GRRR, ora odio Pensieri Cannibali persino più di WhiteRussian!"
Pitch Perfect nella sua imperfezione è proprio così. Un film piacevole come un disco pop fresco di uscita e pronto a balzare in cima alle charts mondiali. Niente a vedere con quel mattonazzo di Les Misérables, un musical vecchio stile vero e proprio, laddove questo è più una pellicola musicale in cui le canzoni sono usate come canzoni e non per esternare i sentimenti dei personaggi o per sostituire i dialoghi.
Negli USA Pitch Perfect è diventato addirittura un piccolo grande cult e questo mi sembra un filo eccessivo. Noi siamo infinito (The Perks of Being a Wallflower), quello sì che è un nuovo cult adolescenziale. Questo no. Ma magari è colpa mia. Qualche anno fa avrei eletto a cult assoluto pure un film come Pitch Perfect. Adesso invece no. Sarà mica che anche io sto invecchiando?
(voto 7-/10)



martedì 2 ottobre 2012

Ed è subito magazine

È arrivata una nuova rivista di telefilm in città, si chiama Ed è subito serial Magazine ma no, non la trovate nelle edicole.
La trovate comodamente su internet, sfogliabile e se volete anche scaricabile. Gratuitamente.
Cosa c’entro io con questo progetto?
Tutto è partito da un’idea dell’amico e collega Carlo Lanna, che mi ha proposto di cominciare a pensare a un magazine dedicato alle serie tv da mettere online in rete, il progetto poi si è sviluppato attraverso la “partnership” con il sito Ed è subito serial e ora è partito con il primo numero. O meglio il numero zero. O meglio ancora: l’episodio pilota.
Potete sfogliare, leggere, downloadare o fare quello che volete con la rivista QUI.
Dentro questo primo appuntamento ci trovate qualche mio pezzo su alcune serie (True Blood, The Newsroom, Breaking Bad, Beverly Hills 90210, etc.) più una serie di altri articoli molto interessanti su Glee, Gossip Girl, Fringe, Downton Abbey, Pretty Little Liars, fanfiction e parecchio altro…
Buona lettura!
(e cliccate "mi piace" sulla pagina Facebook della rivista, mi raccomando!)

Giusto per darvi un assaggino, ecco il mio articolo su Beverly Hills, 90210 per la rubrica dedicata alle serie del passato, American Telefilm Story appunto.
Ah, quanti ricordi.

AMERICAN TELEFILM STORY
Beverly Hills, 90210

Correva l’anno 1990 e una serie tv si affacciava nella programmazione televisiva americana, per arrivare di lì a poco a sconvolgere le vite di tutti noi ormai quasi anziani cresciuti negli anni Novanta. Quando scrivo sconvolgere, intendo davvero sconvolgere. E magari anche rovinare.
Beverly Hills, 90210 in qualche modo mi ha segnato per sempre, nel bene o nel male. È stata infatti la prima serie che ho seguito con passione maniacale. Ogni giovedì mattina, se non ricordo male era quello il giorno in cui veniva inizialmente trasmessa su Italia 1, mi svegliavo eccitato in attesa che arrivasse la sera per gustarmi un nuovo episodio. E a partire dal venerdì iniziava il countdown per la puntata successiva. Frequentavo ancora le scuole medie, in quel periodo pre-Internet che ora sembra davvero lontano, e sulla mia Smemo dell’epoca cominciavano a comparire i ritagli con le foto dei miei idoli e delle mie girls da sogno. Per lo più, naturalmente, riguardavano il mondo di Beverly Hills, 90210. La mia preferita era Kelly Taylor, ovvero Jennie Garth. La classica bionda, ricca, maniaca dello shopping e con il naso rifatto. In pratica, una sorta di Paris Hilton ante litteram. Intelligente? Nah, però che bona, che era.
Il mio modello di riferimento maschile, più che il troppo figo per essere vero Dylan McKay, era invece Brandon Walsh alias l’attore Jason Priestley. Come lui, il mio sogno (parzialmente realizzato) era quello di scrivere, di fare il giornalista. E, come lui, anche io odiavo (e odio tutt’ora) ballare. Brandon non balla, a meno che non fosse Kelly Taylor a invitarlo. Lo stesso vale per me, con la piccola differenza che Kelly Taylor a me non ha mai chiesto di danzare con lei.
L’anno scorso l’ho persino incontrato di persona, Jason Priestley, nel corso del Montecarlo Television Festival. Mi è capitato di intervistarlo e, anziché ringraziarlo perché il suo personaggio televisivo è stato molto importante per me, sono incappato in una gaffe e gli ho dato accidentalmente del “vecchio”. Sorry, Brandon.

Beverly Hills, 90210 ha insomma segnato nel profondo il mio immaginario e la mia intera esistenza, ma cosa aveva di tanto speciale?
L’ambientazione californiana, dove tutti i giorni c’è il sole e, se si faceva chiodo a scuola, si poteva andare al mare a fare surf. Le belle ragazze. La vita dei ricchi. Ma soprattutto, oltre a regalarmi dei modelli esistenziali irraggiungibili, quello che rendeva la serie davvero fantastica era un’altra cosa: mi faceva sentire grande. Quando ho iniziato a guardarla, ero solo un bambinetto e fantasticavo su come sarebbe stata la mia vita da teenager. Poi non sarebbe stata assolutamente così, anche perché crescere in una cittadina come Casale Monferrato non è proprio come farlo nel quartiere più esclusivo di Los Angeles, eppure la cosa importante era un’altra, la dimensione del sogno. Beverly Hills, 90210 rappresentava alla perfezione l’American Dream. Un suo pregio era quello di mostrare anche qualche crepa al suo interno, introducendo tematiche ostiche soprattutto per una serie teen come droga, sesso, omosessualità e pure AIDS. Alla fine comunque restava pur sempre una celebrazione dei valori tradizionali dell’America e, pur con tutte le sue ingenuità anni Novanta e i suoi intrecci sentimentali quasi da soap-opera, è anche questo ciò che ho sempre amato (e odiato) di Beverly. Oltre al fatto che ha segnato la mia vita. O me l’ha rovinata?

domenica 3 giugno 2012

Season finales, Glee e Smash

Nuovissimo ed ennesimo appuntamento con i gran (non sempre) finali dei serial americani.
Questa sera vanno in scena sul palco le serie musicali, ma prima il recap:


"Evvai, questa pessima stagione di Glee è finita!"
The Walking Dead
The Vampire Diaries

ATTENZIONE: sono presenti SPOILER!

"Ah, ma perché? C'ero anch'io in questa stagione?"
Glee
(stagione 3)

Che è successo a Glee?
È accaduto l’inevitabile, in qualunque produzione americana che si rispetti. Da celebrazione dei loser si è trasformato in una celebrazione del farcela a tutti i costi, un inno all’American Dream. È vero, qualche personaggio non è riuscito a realizzare completamente i propri sogni, eppure ognuno dei ragazzi del Glee club in qualche modo ce l’ha fatta, è cresciuto, è maturato, è diventato sicuro di sé. E se qualcuno non è entrato nell’università desiderata, poco male, così almeno tornerà pure nella prossima stagione.
Il personaggio più rovinato, forse uno dei più rovinati nella storia dei telefilms, non è stato uno degli sfigati dei cantanti del Glee Club, bensì la coach Sue Sylvester: idola totale nelle prime 2 stagioni, si è progressivamente spenta fino a diventare una versione addolcita di se stessa. È diventata una persona che la stessa vecchia Sue Sylvester prenderebbe a pallonate, e non solo, in faccia.
Tralasciando i nuovi personaggi che sono penosi e stendendo un velo pietoso su guest-star degne di una telenovela come Gloria Estefan, già cantante atroce, molti dei “vecchi” si sono fatti incosistenti, come il sempre più ingellato prof. Schuester o una Rachel Berry ormai parodia di se stessa. E vogliamo parlare del gran (?) finale di stagione?

"Gloria Estefan, lo sai che la tua musica mi ha davvero ispirata?"
"Sì, cosa?"
"La miglior cagata della mi vida!"
ATTENZIONE SPOILER
Rachel se ne va a New York City, specifichiamo meglio: a Broadway, coronando i suoi sogni di gloria, mentre Finn che le aveva chiesto di sposarla decide di mollarla per il suo bene e arruolarsi nell’esercito.
Ma dove siamo finiti? Ricordavo Glee come una serie firmata da Ryan Murphy, l’autore di Nip/Tuck e American Horror Story, e mi ritrovo in un romanzo di Nicholas Sparks? Considerando che Le pagine della nostra vita è citato all’interno dello stesso episodio finale, direi proprio che non è un caso.
A tenere in piedi, parzialmente, una serie ormai riempita solo da canzoncine cantate in maniera insopportabile sono le idole gay Brittany e Santana, gli idoli gay Kurt e Blaine e l’idola non gay Quinn. Ma lei il prossimo anno se ne andrà a prendere cazzi a studiare a Yale, lontana da tutti sti sfigati canterini e quindi, comparirà ancora nella serie?
Se la risposta è sì, c’è una possibilità che continui a seguire il telefilm.
Se la risposta è no, dichiaro guerra al Glee club come Sue Sylvester. Quella dei bei vecchi tempi.
(voto alla stagione: 5,5
voto al season finale: 5)

"Questo passaggio della sceneggiatura è terribile.
Chi l'ha scritto, Cannibal Kid?"
Smash
(stagione 1)

Smash ha messo la freccia di sorpasso su Glee.
A inizio serie non l’avrei detto. I primi episodi non mi avevano convinto molto e tutt’ora continuo a non essere convinto al 101%. Eppure Smash ha acquisito un suo fascino, una sua identità, che va al di là dell’essere una semplice versione più matura di Glee. Superare un Glee ormai oltre lo sbando non era certo impresa proibitiva, però Smash è riuscito a smarcarsi dal modello di riferimento con personalità. Discreta personalità, diciamo, visto che rimane pur sempre un serial musical ricco di stereotipi. In questo la produzione di Steven Spielberg si fa pur sempre sentire.
Tra le armi in favore di Smash ci sono una bella rivalità tra le due belle (e brave sia a cantare che a recitare) protagoniste, la bionda marilynnosa Ivy e la mora anti-marilyn Karen, più il fascino da dietro le quinte di una produzione teatrale e poi anche il fascino di Marilyn Monroe, mica la prima zoccoletta che passa, sulla cui vita il musical all’interno del serial è costruito.

"Andiamo, quel Cannibal non scrive poi tanto male.
Non da suicidarsi, almeno..."
Ah, c’è stata anche Uma Thurman come guest-star! E com’è andata?
Uma quando lavora con Quentin Tarantino dà merda a tutte e a tutti. Quando non la dirige il fido QT invece ahimé splende parecchio di meno. Il suo personaggio poi è stato, manco a dirlo, uno stereotipo vivente, quello della diva hollywoodiana che se la tira. Giudizio complessivo finale su Uma in Smash: così così.

La seconda stagione prenderà il via nel 2013 con una serie di personaggi inutili in meno. Tra quelli che si leveranno dalle palle, cioè non faranno più parte del cast fisso della season 2, ci sono infatti Dev, il fidanzato precisino di Karen, Frank il marito di Julia, Will l’ex di Julia, e soprattutto l’assistente di produzione Ellis, uno dei personaggi più odiosi nella storia tutta della tv.
Se, insieme ai personaggi inutili, riusciranno a togliere anche qualche stereotipo di troppo, Smash potrebbe davvero diventare una serie da standing ovation a fine show. Per ora si è guadagnata giusto qualche occasionale applauso.
(voto alla stagione: 6,5
voto al season finale: 7+)

lunedì 5 marzo 2012

Smash and pumpin

Smash
(serie tv, stagione 1, episodi 1-4)
Rete americana: NBC
Rete italiana: Mya
Creata da: Theresa Rebeck
Cast: Katharine McPhee, Debra Messing, Christian Borle, Jack Davenport, Megan Hilty, Raza Jeffrey, Bryan d’Arcy James, Jaime Cepero, Anjelica Huston, Philip Spaeth, Wesley Taylor, Dylan Baker, Joe Jonas
Genere: Broadway
Se ti piace guarda anche: Chicago, Glee, Saranno famosi, Nine

Oggi parliamo di musicaaaal. E quindi il post sarà tutto caaaantaaaaaato cooooooooosì.
Proprio cooooooooooooosìììììììììììììììììì.
Oooooooooh yeeeeeeeeeeeeeah!

Ok no.
Basta.
La smetto visto che comincio a non sopportarmi io per primo.

Tanto pe' cantaaaa
perche' me sento un friccico ner core
tanto pe' sognaaaaa...
Sul serio: BASTA!

C’è una cosa molto positiva in Smash, il telefilm copia di Glee ispirato al successo di Glee che però non vorrebbe essere considerato il nuovo Glee. Perché possiamo girarci intorno fino a che vogliamo, tirare in ballo tutte le differenze tra le due serie che si vuole, ma se Glee non avesse avuto il successo che ha avuto, una serie come Smash non sarebbe mai andata in onda.
Dicevo che c’è una cosa molto positiva in Smash: guardando le prime puntate m’è venuta una gran voglia di vedere… altre puntate di Smash? No, veramente no. M’è venuta invece voglia di recuperare qualche vecchio film con Marilyn Monroe. Considerando che tra i nomi dei produttori della serie compare un certo Steven “tutto ciò che tocco ormai si trasforma in merda” Spielberg, è già qualcosa.
Dopo i pessimi Terra Nova e Falling Skies e il modestissimo The River, questa sembra infatti l’unica produzione decente o quasi recente dell’ex paparino di E.T. telefono casa. Uno che solo per l’atroce War Horse farebbe meglio a cambiare pianeta che se lo incontro per strada lo faccio correre io forte come un cavallo…
"Dopo Will & Grace, finalmente m'han dato un amico etero... ehm, scherzavo!"

In Smash per fortuna il tocco di Spielberg si sente poco, diciamo che si sente soprattutto nella caratterizzazione dei personaggi che, come è consuetudine nelle sue produzioni, se non seguono gli stereotipi lui non è contento. E qui dentro è tutto uno sguazzare dentro gli stereotipi: c’è lo sceneggiatore teatrale gay, la sceneggiatrice teatrale amica dei gay interpretata da Debra Messing che guarda caso l’unico ruolo di rilievo mai interpretato nella sua vita era quella dell’amica dei gay in Will & Grace, c’è il regista piacione che ci prova con l’attrice che vuole la parte, c’è l’attrice zoccola che ci sta perché vuole la parte, c’è l’attrice che non viene presa perché non è zoccola abbastanza e non la smolla al regista per avere la parte.
Azz, che fantasia. Ci siamo sprecati, eh? D’altra parte quando leggi il nome di Steven Spielberg tra i producer sai già che l’originalità è proprio una caratteristica che non devi cercare.

Joe Jonas?! Per il futuro dobbiamo aspettarci pure Justin Bieber?
Peccato che anche il livello delle canzoni e della musica non è proprio tra i più esaltanti. Se già in Glee tra classici di trash rock anni ’80 e pop songs di Justin Bieber c’è sempre meno di che gioire, Smash farà contenti i fan dei musical di Broadway e pochi altri. E quanto nel quarto episodio vedi comparire Joe Jonas dei Jonas Brothers cantare un pezzo di Michael Bublé, capisci che qua la musica non fa per te. O, almeno: non fa per me.

La storia parte da un presupposto assurdo. A due celebrati autori teatrali viene in mente (o meglio rubano l’idea al solito stagista sfigato di turno) di realizzare un musical sulla figura di Marilyn Monroe. La cosa assurda non è questa. La cosa assurda è che nessuno vuole finanziare questo musical e tutti dicono che è un fallimento annunciato e che nessuno andrebbe mai a vedere un musical su Marilyn.
Questo non ha senso.
Proporre un musical con dei Cats che cantano, quella sarebbe un’idea folle e visionaria. Ma un musical su Marilyn, l’icona più celebre del cinema di tutti i tempi, non mi sembra un’idea così stramba. Persino io che non ne capisco una cippa di musical, avessi dei soldi da investire li investirei su un progetto del genere, perché mi sembra un successone assicurato.
Smash racconta delle varie fasi di lavorazione che stanno dietro a un musical sulla Monroe, dalla scelta del cast alla composizione delle varie canzoni, fino alle prove. Se l’idea di seguire i dietro le quinte di una grande produzione di Broadway vi fa esclamare: “Oh mio Dio! Mio Dio! Mio Diooooo” in maniera isterica, allora questa è la serie che fa per voi. Se al contrario vi fa domandare: “Sì, ma la partita del Milan a che ora inizia?” beh, questa di certo non è la serie che fa per voi.

Un elemento positivo di Smash, e che potrebbe riservare ulteriori maggiori soddisfazioni nel corso delle prossime puntate, è la protagonista Katharine McPhee. Lei è la solita attrice barra cantante barra modella barra figa uscita da un talent-show, per la precisione da American Idol, mica Amici della Maria, dove però non aveva vinto ma si era classificata seconda, dietro a Taylor Hicks, un tizio che sembra l’incrocio perfetto tra George Clooney e Jay Leno…


Dopo il secondo posto dietro a questo George Leno o, se preferite, Jay Clooney, Katharine McPhee ha pubblicato una manciata di canzoncine carine di mainstream pop tipo questa…


Fatto sta che la spilungona mora all'interno del musical all'interno della serie vorrebbe interpretare… Marilyn Monroe?!?! E presentandosi all'audizione è tra l'altro l'unica non vestita da Marilyn e canta una canzone che non c'entra una mazza come "Beautiful" di Christina Aguilera...


"In questa serieeeee non cantiaaaamoooo tutto il tempooooo nooooooo"
Katharine McPhee è carina e tutto, però con Marilyn che c’azzecca? Lo scopriremo nel corso degli episodi, in cui dovrà vedersela con Megan Hilty, in pratica la reincarnazione della Monroe, una biondazza che ha vissuto tutta la sua intera vita in attesa soltanto di interpretare la Marilyn più famosa dopo Manson.
È da questo conflitto tra prime donne che possono nascere le situazioni più intriganti di una serie piacevole e carina, ma che sa già troppo di già troppo già visto. Tra delle prove di danza in stile Saranno Famosi e Paso adelante (aaargh!) e momenti musicali ben coreografati e interpretati ma noiosetti, il modello di riferimento, la pietra di paragone inevitabile alla fine ovviamente è… Glee.

Qualcuno ha definito Smash una versione adulta di Glee e in effetti, se immaginate una sorta di spinoff con Rachel Berry in cerca di avventura per i palchi di Broadway, non ci sarete andati molto lontani.
"No, non ho bisogno di farmi il regista per avere la parte. Però, per sicurezza..."
Le differenze rispetto a Glee sono comunque ben presenti. E con Glee mi riferisco a quello spumeggiante della prima stagione, non a quello spento e triste delle ultime puntate, che mi hanno portato a smettere di vederlo perché nun lo reggevo più.
Per prima cosa i personaggi: dalla perfidia esilarante di Sue Sylvester alla genialità in pillole di Brittany, di personaggi singolari e fenomenali in Glee ce ne sono, o meglio ce n’erano parecchi. Mentre in Smash abbiamo giusto il regista inglese che con il suo british humour e la sua cattiveria ogni tanto riesce a far ghignare, sebbene per il momento non lasci nemmeno lui del tutto il segno. Così come una sprecata Anjelica Huston. Lo stile (almeno inizialmente) dalla parte dei loooser e dei disaddattati vari presenti nella serie di Ryan Murphy lascia spazio qui giusto a una tipa vagamente outsider che si ritrova alla sua prima esperienza in un grosso musical. E i numeri musicali, che nel Glee degli inizi riuscivano a essere simpatici e accattivanti, in Smash per lo più sono semplici esercizi di stile, Broadway style, oppure sogni ad occhi aperti della protagonista.
La pecca principale comunque è la più totale mancanza di originalità: Smash sembra essere la solita storia del credere nei propri sogni, del tenere duro finchè non si diventa delle stelle. Un messaggio positivo, che appoggio in pieno, per carità del cielo e delle stelle stesse. Però quante volte l’abbiamo già vista, tanto per non andare troppo in là nel tempo, con praticamente tutti i personaggi di Glee o con qualunque protagonista di qualunque film più o meno musicale da Flashdance alle Ragazze del Coyote Ugly, da Save the Last Dance fino ad Honey?
Questo Smash cosa mi presenta di nuovo? Era davvero necessario?
Nonostante tutte le mie critiche (costruttive? distruttive?) va detto che Smash è un prodotto ben fatto, che nel suo genere funziona, che merita fiducia e che penso continuerò a seguire, almeno per un pochino. Se non altro perché è in arrivo come guest-star una certa Dea Uma Thurman…
(voto 6/10)

domenica 18 dicembre 2011

Le meglio serie tv 2011: n. 40 - 31


Dopo le classifiche dei Man of the year e delle Cotte adolescenziali, continuano per la gioia di tutti (ehm, si spera) le liste cannibali. Adesso è il turno delle migliori serie tv dell’anno. In attesa di scoprire i Top 20, partiamo da lontano, mooolto lontano, e vediamo le posizioni dalla 40 alla 31…
Nel frattempo potete anche recuperare la CLASSIFICA 2010 e pure quella 2009

40. Dexter (stagione 6)
Genere: un serial killer per amico
In pillole: continuano un po’ stancamente le vicende del serial killer “buono” Dexter
Pregi: il personaggio di Brother Sam interpretato dal rapper-attore Mos Def era molto interessante, peccato non duri a lungo… Bene anche la fighetta bionda (interpretata da Brea Grant) che scatenava le uscite divertenti del grande Masuka, peccato pure lei la facciano uscire di scena troppo presto. Potenzialmente interessante il tema di Dexter VS. la Fede, purtroppo non sfruttato a dovere.
Difetti: Dexter ha compiuto il famigerato salto dello squalo? La storia incestuosa con Debra non se pò sentì e vedè, mentre gli sceneggiatori non sapendo che pesci pigliare reintroducono spiriti di personaggi scomparsi a caso (il fratello di Dex), ma soprattutto a non funzionare è il cattivone stagionale interpretato da un poco credibile Colin Hanks, il figlioletto di Tom Hanks, in compagnia del guru cattolico, il professor Gellar, insieme meno temibili di Cip & Ciop. Aridatece Trinity!!
Personaggio cult: Brother Sam (Mos Def)
(l’anno scorso Dexter era sesto)

39. Freaks! (stagione 1)
Genere: (anti)supereroi alla romana
In pillole: web-serie lanciata su YouTube che nonostante il basso budget si è rivelata una delle cose più interessanti prodotte dal panorama tv (anzi off-tv) italiano.
Pregi: un prodotto lanciato in maniera innovativa all’infuori dei soliti circuiti televisivi nostrani, una mini serie veloce e scattante che, nonostante il basso budget, riesce a essere per livello visivo e idee superiore alla gran parte delle altre più costose fiction e serie tv tricolori.
Difetti: un po’ di derivatività nei confronti dei modelli stranieri, in particolare Misfits e Heroes, però l’identità italiana e soprattutto romana riesce a renderlo personale a sufficienza.
Personaggio cult: Silvio (Claudio Di Biagio)
Leggi la mia RECENSIONE

38. Beaver Falls (stagione 1)
Genere: inglesi in America (vacanze edition)
In pillole: piacevole serie estiva made in Britain su tre scapestrati amici inglesi che vanno a lavorare in un campo estivo pieno di giovani ricchi e viziati americani.
Pregi: humour britannico very funny, la serie era perfetta per una leggera e rilassante visione estiva, ma può risultare un buon recupero anche ora per evadere (almeno mentalmente) dall’inverno.
Difetti: oltre ad essere presente una sana e goliardica atmosfera da campeggio estivo, vengono affrontate anche tematiche più pesanti, ma i personaggi nel corso degli episodi non hanno un’enorme evoluzione.
Personaggio cult: Barry (John Dagleish)
Leggi la mia RECENSIONE

37. Downton Abbey (stagione 1)
Genere: English classic
In pillole: le vicende di una famiglia di nobili ma anche della loro servitù all’interno di una prestigiosa tenuta britannica a inizio Novecento.
Pregi: i personaggi sono molto ben approfonditi, sia i riccastri nobili con la puzza sotto il naso che i loro schiavetti personali. Costumi, scenografie, ambientazioni sono realizzate in una maniera strabiliante e insieme agli ottimi dialoghi e a interpretazione di tipica classe british manderanno (e stanno già mandando) in brodo di giuggiole gli appassionati del genere.
Difetti: per chi non ama troppo il genere “in costume” (come il sottoscritto) può risultare a tratti un pochino noioso.
Personaggio cult: la snobbissima Violet (Maggie Smith)

36. Glee (stagioni 2/3)
Genere: musicarello
In pillole: con molti studenti ormai prossimi alla “maturità”, il Glee club cerca di conquistare le provinciali, regionali e nazionali di canto. Come se fosse la cosa più importante del mondo…
Pregi: una grande Quinn (Dianna Agron) che in versione punkettona in pink spacca, e funzionano le coppie gay, da una parte Kurt (Chris Colfer) e Blaine (Darren Criss), dall’altra Santana (Naya Rivera) e la sempre esilarante Brittany (Heather Morris). E poi qualche episodio valido ogni tanto lo tirano ancora fuori, come quello per il Superbowl. L’originalità distintiva degli esordi è però ormai un ricordo.
Difetti: diversi protagonisti sono o quasi scomparsi (vedi il prof. Schuester, ma non è che me ne lamenti troppo), oppure sembrano diventati la parodia di loro stessi, come Sue Sylvester, un tempo un personaggio enorme ed esilarante, adesso a mala pena una guest-star macchietta che compare ogni tanto. Le onnipresenti canzoni da musical poi io nun le reggae più!
Personaggio cult: Quinn (Dianna Agron)
(l’anno scorso Glee era decimo)

35. Bob’s Burgers (stagione 1)
Genere: famiglia stramba
In pillole: Bob gestisce un fast-food anti McDonald’s praticamente 24 ore su 24 con la sua particolare famiglia.
Pregi: possiede un umorismo particolare che non ti prende subito, ma quando ti prende, ti prende bene. E poi il personaggio della figlia pre-adolescente ossessionata dal sesso Tina è un mito.
Difetti: tra Simpson e Griffin non è certo la prima famiglia sconclusionata a cartoni animati del panorama tv, ma nonostante i modelli di riferimento pesanti riesce a smarcarsi con discreta personalità. Non tutti gli episodi però sono indimenticabili.
Personaggio cult: Tina
Leggi la mia RECENSIONE

34. Pan Am (stagione 1)
Genere: favolosi anni ‘60
In pillole: un gruppo di hostess della Pan Am alle prese con avventure di varia natura, sentimentali ma pure spionistiche, il tutto nella super cool cornice degli anni ’60.
Pregi: l’estetica dei 60s ha sempre un grande fascino, sebbene la serie non sia certo ai livelli di Mad Men. La varietà dei toni toccati, dalla commedia al drama alla spy-story, regala inoltre alle puntate una buona varietà e quindi non ci si annoia. Ottime, e pure parecchio affascinanti pure loro, le attrici protagoniste, da Christina Ricci a Kelli Garner, ma su tutte svetta la rivelazione Karine Vanasse, attrice franco-canadese di cui credo sentiremo parlare parecchio in futuro…
Difetti: la serie offre tanti spunti differenti, pure troppi, ma non riesce mai a decollare o a coinvolgere del tutto. Il potenziale c’è, manca però il passaggio dalla serie semplicemente carina alla serie davvero valida.
Personaggio cult: Colette (Karine Vanasse)

33. True Blood (stagione 4)
Genere: vampiri, licantropi, streghe, mutaforme fatine e chi più ne ha più ne metta
In pillole: continuano a incasinarsi sempre di più le vicende della ciuccellona Sookie e compagnia mostruosa assortita in quella tranquilla cittadina che risponde al rassicurante nome di Bon Temps.
Pregi: La sexy da morire (che battuta da vampiri!) Jessica/Deborah Ann Woll domina l’intera stagione, con un triangolo sentimentale tra il fidato boyfriend Hoyt e il farfallone Jason che ruba la scena ai protagonisti della serie. Con il suo essere combattuta tra la sua natura umana e gli istinti vampireschi è inoltre il personaggio più sfaccettato e complesso della stagione.
Difetti: avevamo lasciato Eric Northman come vampiro cazzuto e pericoloso, ce lo ritroviamo in questa stagione ammaestrato e in balia totale della sempre più irritante Sookie. Povero Eric: roba che al confronto persino Edward Cullen di Twilight sembra un vampiro coi controcoglioni! Gli sceneggiatori tirano poi fuori robe sempre più inverosimili, persino all’interno di un contesto fantasy, e tra apparizioni, possessioni e quant’altro la serie e pure gli spettatori (o almeno io) stanno un po’ perdendo la bussola. Manca solo una guest-star da parte di Harry Potter... Peccato perché la stagione, come avevo scritto nella mia RECENSIONE, era partita bene.
Personaggio cult: Jessica (Deborah Ann Woll)
(l'anno scorso True Blood era settimo)

32. The Booth (stagione unica)
Genere: one shot
In pillole: web-serie composta da un’unica stagione da 64 episodi da 2 minuti l’uno (in Italia trasmessa con 5 episodi da 20 minuti). Unica ambientazione: una classica tavola calda americana, in cui un misterioso uomo riceve i suoi “clienti”. Lui esaudisce i loro desideri se loro fanno qualcosa in cambio. Ma chi è quest’uomo? Satana? Dio? Un truffatore?
Pregi: idea geniale, una piccola chicca one-shot da buttare giù tutta d’un fiato o a piccole dosi.
Difetti: vicende troppo veloci e troppi personaggi presenti per potersi affezionare davvero a qualcuno di loro.
Personaggio cult: The Man (Xander Berkeley)
Leggi la mia RECENSIONE

31. Episodes (stagione 1)
Genere: inglesi in America
In pillole: un uomo e una donna inglesi, coppia nella vita ma anche nel lavoro, decidono di accettare di realizzare un adattamento americano della serie british di successo che hanno creato. Non l’avessero mai fatto…
Pregi: la serie unisce il meglio dello humour britannico con quello americano e inoltre ci mostra in maniera esilarante e spietata il mondo degli studi televisivi americani e di come le idee possano essere fatte a pezzi in nome del commercio. A ben guardare non siamo poi molto lontani dalle parti del nostro ottimo Boris…
Difetti: si cade in qualche stereotipo di troppo su come le serie vengano trattate dai produttori come carne da macello, ma alla fine è pur sempre una commedia e questi stereotipi probabilmente sono pure veri.
Personaggio cult: Matt LeBlanc nella parte di se stesso
Leggi la mia RECENSIONE

domenica 18 settembre 2011

No ordinary magazine

Spazio marketta del mese per il mio contributo all’umanità e in particolare alla rivista Telefilm Magazine. Il nuovo numero di settembre è infatti molto ma molto cannibale, visto che il tema della Cover Story sono le nuove serie teen in circolazione, con un occhio di riguardo internazionale rivolto all’americano Glee, all’inglese Misfits e all’italiano Freaks! e con un’introduzione al tema realizzata dal sotto(sviluppato)scritto.
Tra i miei articoli ci sono poi un pezzo su una delle serie migliori ma più sottovalutate degli ultimi anni ovvero Friday Night Lights, una rece del nuovo legal The Defenders, la “famigghia” telefilmica ideale, qualche anticipazione sulle nuove serie americane e un’intervista esclusiva che ho realizzato a Montecarlo (ok, questo è il momento in cui me la tiro) ad Archie Panjabi di The Good Wife. Più le mie solite rubriche tra cui L’antipatico in cui me la prendo con Falling Skies. Oh yes!
Nell’imperdibile numero trovate poi tante altre cose, tra cui le interviste ai protagonisti di Freaks! e servizi su Misfits, Glee, Fringe, Camelot, Borgia, Torchwood, Better with you, Big Bang Theory, Chuck, V, Body of Proof, sulle serie dedicate agli alieni e tante altre fantasmagoriche cose.

Per il mio altro contributo all’umanità, o perlomeno al mondo editoriale, vi segnalo il numero 2 di Split Cartoni, la rivista dedicata al mondo dei cartoni animati e dei fumetti che questo mese regala ampio spazio al mondo di Seth MacFarlane, il papà dei Griffin, nonché di Cleveland Show e American Dad.
Tra i miei pezzi c’è una selezione delle migliori puntate di South Park, in onore del 15esimo (di già!) compleanno della serie animata, più la mia recensione del nuovo divertente Bob’s Burgers e un mio test per scoprire quale personaggi di Hayao Miyazaki sei.

E come mio terzo, e per questo giro ultimo, contributo alle riviste c’è quello a Dark Magazine, con un abbondante Cover Story da me interamente scritta su The Vampire Diaries e il mondo vampiresco in generale, più un mio pezzo sull’ultimo disco dei The Horrors.
Per ora è tutto. Se non trovate le riviste in edicola potete ordinarle anche sul sito MyLightStore.
Buona notte, buone botte e buona lettura.

domenica 15 maggio 2011

Jukebox DeLorean, Fleetwood Mac

Prosegue la settimana dedicata agli anni '70, dopo il dirompente scontro con Mr. Ford per decretare i migliori album della decade (parte I e parte II), che ha provocato persino il "bloggo" temporaneo (quasi 2 giorni, mica tanto temporaneo...) di Blogger. Direttamente dal 1975 ecco allora un super (e tristissimo) pezzo...

Fleetwood Mac “Landslide”
Anno: 1975
Genere: strappalacrime
Provenienza: Phoenix, USA
Scritta da: Stevie Nicks
Album: Fleetwood Mac
Sentita anche in: Glee, Cold Case
Coverizzata tra gli altri da: Smashing Pumpkins, Glee, Dixie Chicks, Tori Amos, John Frusciante
Nel mio jukebox perché: ebbene sì, mi fa venire le lacrime agli occhi ogni volta che la sento

Testo liberamente tradotto
Ho preso il mio amore
e l'ho portato giù
ho scalato una montagna
e ho voltato lo sguardo dall’altra parte
E ho visto il mio riflesso
tra le colline ricoperte di neve
e la frana mi ha trascinato giù

Beh, avevo paura del cambiamento
perché ho costruito la mia vita attorno a te
ma il tempo ti rende più audace
persino i bambini invecchiano
e pure io sto invecchiando


martedì 10 maggio 2011

Pretty Little Bit**es

Nuovo numero nelle edicole di tutta Italia di Telefilm Magazine e nuova markettona su questo blog a firma del sottoscritto. Tra l'altro vi consiglio di non perdervi questa uscita in maniera particolare perché è un numero davvero molto cannibale, visto che c'ho scritto un sacco di roba. Non a caso allora è un numero molto teen e non a caso c'è molto spazio dedicato a Pretty Little Liars, la nuova serie con 4 smandrappate coinvolte in un sacco di casini e di omicidi, delle giovani future desperate housewives più piene di segreti della povera Laura Palmer, l'escort diciassettenne di Arcore Twin Peaks.

Potrete quindi gustarvi alcuni miei pezzi sui personaggi della serie e sulle loro bugie, in più c'è una "Top 10 stronzette" da me stilata sulle 10 giovani più zoccole del mondo dei telefilm, da Georgina Sparks di Gossip Girl alla quasi redenta Santana di Glee...
Tra i miei altri pezzi parlo anche della web-serie italiana Freaks!, difendo a spada tratta Misfits nella rubrica "Alla sbarra", presento il non del tutto riuscito Skins americano e ho trovato i personaggi e i momenti top/flop della seconda stagione di Glee.
C'è poi anche la mia solita rubrica di gossip bastardo e nella rubrica "L'antipatico" prendo di mira la serie colombiana (!) in onda su Mtv Niñas mal, che -lo so, lo so- è un po' come sparare sulla Croce Rossa, soprattutto adesso che sono abituato a ben altre super sfide con Mr. Ford...

(potete anche acquistarlo online QUI)

lunedì 9 maggio 2011

“Sono il numero 4!” Ca**o mene, pirla, io sono il numero 1

Non sono il numero 1, ma solo il numero 4...
Sono il numero quattro
(USA 2011)
Titolo originale: I am number four
Regia: D.J. Caruso
Cast: Alex Pettyfer, Dianna Agron, Timothy Olyphant, Teresa Palmer, Callan McAuliffe, Jake Abel, Beau Mirchoff, Kevin Durand
Genere: (non proprio) fantastico
Se ti piace guarda anche: Smallville, Terminator, Transformers, Twilight

Trama semiseria
Il protagonista è un tizio venuto sulla Terra da un altro pianeta. Esatto: un immigrato da accogliere a braccia aperte per Bersani, un clandestino da mandar “for dai bali” per Bossi, un terrorista da uccidere brutalmente non mostrando poi né immagini né filmati per gli americani.

...come superpotere faccio luce da una mano
e la figa del liceo non me la smolla nemmeno...
A dare la caccia a questo affascinante E.T sbarcato nel nostro paese per rubarci il lavoro e la figa non sono però i terrestri, bensì un gruppo di mostri provenienti dal suo pianeta che già hanno ucciso i primi 3 della lista e ora lui è il numero 4, il prossimo a dover essere eliminato.
A proteggerlo comunque c’è un guardiano, il suo personale Terminator che non ha le fattezze inespressive di Schwarzy ma quelle un pochino più espressive (ma non troppo) di Timothy Olyphant, e che gli suggerisce di non farsi notare troppo in giro per non rischiare di essere beccato. Peccato che il numero 4 sia un tipo alto, biondo, fisicato, un figo da cinema in pratica in mezzo a dei liceali brufolosi, un po’ difficile non si faccia notare… Come escamotage per passare inosservato si mette il cappuccio in testa, ma non è che funzioni più di tanto. Infatti la super gnugna del liceo Dianna Agron (già super gnugna di Glee) lo nota subito. E tra i due biondazzi scoppia l’attrazione fatale e da lì nasceranno tanti bambini geneticamente perfetti. Fu così che nacque la nuova razza ariana.
A no, questa è un’altra storia.

In questo film succede invece che a un certo punto il n. 4 scopre di avere dei superpoteri. Tipo? Tipo che proietta un’accecante luce blu dalle mani… bel potere del cazzo! Mi sa che quando c’è stata l’assegnazione dei poteri Superman, Flash e persino Hiro Nakamura lo hanno fregato alla grande.
...a proteggermi mi han dato un tizio che di solito nei film è lo psicopatico...
Comunque poi il numero 4 scopre di possedere altre doti, come una gran forza e la capacità di fare salti spettacolari, nella solita scena che da Spider-Man in avanti negli ultimi 10 anni ci hanno propinato in ogni film/telefilm di supereroi che si rispetti (e che non si rispetti). Fantasia, portami via.
Dopo un solo giorno che si sono conosciuti, la Dianna Agron, una tizia fissata con la fotografia ma fissata tanto tipo stalker, lo invita subito a cena dai suoi genitori. E poi lo fa salire in camera. Proprio quando il numero 4 sta per pucciare il biscottino alieno nella vagina numero 4 (lascio a voi la libera scelta delle prime 3) del pianeta Terra, ecco che viene interrotto dal suo cane protettore (oltre al Timothy Olyphant/Terminator ha infatti pure un cane che si rivela una specie di Cerbero!).
“Che tempismo da cane!” commenta il nostro numero 4, nella battuta più divertente dell’intera pellicola (fate voi quanto esilaranti siano le altre).
E quindi siamo alle solite. La morale della favola è che in questi film puritani di oggi stile Twilight non si ciula mai!

...ci manca solo che mi fanno cantare come in una puntata di Glee...

Recensione cannibale
La trama rivisitata, ma non troppo, del film è talmente inverosimile che ha risucchiato spazio alla recensione vera e propria, che tanto può essere riassunta in due modi.
Soluzione veloce: questo film è una cagata pazzesca.
Soluzione più lunga: questo film sta ai supereroi un po’ come Twilight sta ai vampiri, quindi regolatevi voi. Comunque rispetto a una pellicola simile tipo L’apprendista stregone è già parecchio meglio, ma anche questa informazione non è che giochi troppo a favore di un filmetto di discreto intrattenimento adolescenziale ma nulla più.

A una trama assurda che fonde insieme alla buona le avventure di Superman e Terminator, aggiungiamo una serie di cattivoni monodimensionali che sembrano usciti da una puntata di Smallville e degli effettacci speciali davvero mediocri: terribile ad esempio l’inseguimento tra il cane-Cerbero e un lucertolone/dinosauro sbucato non si sa da dove che sembra una versione mal riuscita di Jurassic Park, oltre che un esperimento genetico finito male.

...insomma, io me ne vado a Lampedusa che lì mi accolgono meglio!
Piacevole invece la colonna sonora con hit del momento di Kings of Leon, Adele, Temper Trap, Black Keys e XX (splendida la loro “Shelter”). I due protagonisti Alex Pettyfer e Dianna Agron devono ancora crescere parecchio come attori, ma io voglio dar loro fiducia, anche perché in film del genere è difficile fare grandi performance a meno che non ci si chiami Natalie Portman. E poi ancora...
A incorniciare il tutto in una veste (finto) spettacolare ci pensa la regia del DJ Caruso (non un membro degli Articolo 31, bensì il regista di Disturbia e Eagle Eye) e la produzione dell’immancabile Michael “fracassone” Bay.
Attenzione però, perché il finale lascia aperta la strada per un’intera saga. Peccato che, visti gli esiti non del tutto flopposi ma nemmeno troppo esaltanti del film ai botteghini, è alquanto improbabile che prosegua. E se un "Sono il numero cinque" non arriverà, credo proprio ce ne faremo una ragione.
(voto 6-)

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