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"Roberto, come la chiamate qui in Italia una terrible actress?"
"La chiamiamo Mastronardi, maestro." |
To Rome With Love
(USA, Italia, Spagna 2012)
Regia: Woody Allen
Cast: Woody Allen, Roberto Benigni, Jesse Eisenberg, Greta Gerwig, Alec Baldwin, Ellen Page, Alison Pill, Flavio Parenti, Alessandro Tiberi, Alessandra Mastronardi, Penelope Cruz, Riccardo Scamarcio, Antonio Albanese, Judy Davis, Fabio Armiliato, Monica Nappo, Ornella Muti, Carol Alt, Vinicio Marchioni
Genere: ao’
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Dopo l’ottimo
Midnight in Paris, non volevo credere alle voci negative riguardo al nuovo film di
Woody Allen ambientato in Rome. Infatti le voci negative si sbagliavano. Oh, se si sbagliavano.
La verità è che è molto ma molto peggio. Ma molto.
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"Woody, se te becco te faccio 'na faccia così!" |
Una prima cosa non proprio positiva da rilevare su quest’ultima ennesima fatica alleniana riguarda gli stereotipi su Roma e sull’Italia. Ma su di quelli si è espresso già molto chiaramente
Carlo Verdone, uno il cui ultimo film
Posti in piedi in Paradiso non sarà un granché, ma al confronto di ‘sta roba è un Fellini. Ecco cos’ha detto:
"Il film di Woody Allen sulla mia città? Non fa per niente ridere, anzi, fa piagne: è un'opera assolutamente inutile, mostra una capitale che non esiste, magari esistesse, e che secondo me non è mai esistita. Non sta né il cielo né in terra: punto. Un'operazione solo turistica, la sua: si voleva fare una vacanza e basta. […] Mi dispiace dirlo di Woody, ma è così: la sua ultima fatica è un presepe finto, in cui non ha fatto altro che giocare coi luoghi comuni. È una Roma vista con gli occhi degli americani, che quando viaggiano sperano di trovarla così: gente bonacciona, un po' sguaiata, i monumenti, se mangia bbene... Roma invece è una città piena di problemi, che amo tantissimo, che mi sta a cuore, ma è diventata impossibile."
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"Ciao Woody, vuoi che reciti nel tuo prossimo film? Eh, come no!
Le cose che ho detto su To Rome With Love?
Ma no. Sai com'è, noi romani stiamo sempre a scherzà..." |
E questa questione l’ha espressa bene il Carletto. Se a ciò aggiungiamo personaggi che si chiamano Michelangelo e Leonardo, ma purtroppo mancano Donatello e Raffaello altrimenti si poteva anche fare una reunion delle Tartarughe Ninja, più qualche marchettona marchionnara della 500 e le note di “Nel blu dipinto di blu” sparate subito subito sui titoli di testa, la cartolina dell’Italia idealizzata è bell’e che servita.
Se vogliamo, anche il precedente di Allen Midnight in Paris era ricchissimo di stereotipi, su Parigi e sull’età dell’oro degli anni ’20, e su Parigi negli anni ’20. Però il film funzionava. Era una splendida fiaba e allo stesso tempo una riflessione nostalgica su come il passato sembri sempre meglio del presente. Vero anche questo: il vecchio Allen era meglio di quello nuovo.
Quello nuovo di To Rome With Love non se pò vedé.
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"Penelope, la prossima scena me la fai un po' più Ruby Rubacuori, ok?" |
Non c’è comunque da disperare troppo. In fondo, dopo il modestissimo
Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni, a sorpresa è tornato in grande spolvero in quel di Parigi. In fondo, Woody Allen è fatto così. Di film ne gira tanti, troppi, alcuni sono belli, altri meno, qualcuno come questo è davvero brutto. Certo, un tonfo imbarazzante del genere non l’aveva mai fatto, almeno non tra le sue pellicole che ho visto (una piccola percentuale, visto che come ho detto ne gira davvero troppi), però chissà che con il suo ritorno negli USA per il suo prossimo progetto ancora senza titolo non ritrovi l’ispirazione perduta.
Gli stereotipi danno fastidio sempre, quando ci vanno a toccare in prima persona in quanto italiani sono ancora più fastidiosi e posso capire l’ulteriore disappunto dei romani come Verdone. Ma quali sono gli altri problemi del film? La questione fondamentale è che al di là della cornice idealizzata, stereotipata ecc., è proprio il film una fetecchiona. La sceneggiatura è imbarazzante. Mette insieme una serie di storielle degne di un cinepanettone. O di una barzelletta. E a tratti, To Rome With Love somiglia persino a una puntata dei Cesaroni, e pure di quelle scritte male. Ammesso e non concesso ne esistano di scritte bene. Siamo talmente dalle parti della fiction di Canale 5 che mi sono stupito di non vedere arrivare Matteo Branciamore da un momento all’altro a cantare “Sai cosa c’è…” poi non so più come va avanti. Che volete? Non sono mica un fan dei Cesaroni come Wudy Aia.
Non ci sarà Branciamore, almeno quello, ma le musiche utilizzate sono penose e fanno molto film di Pierino. Senza offesa per i film di Pierino.
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"Alessandro, perché tutti mi chiamano cagna maledetta? Sai che vuol dire?"
"Chi io? Non ne ho la più pallida idea..." |
Dicevamo comunque delle storielle messe insieme alla buona. La più agghiacciante, e chissà perché non ne sono stupito, è quella che vede come protagonisti gli attori italiani. Dai citati Cesaroni, ecco a voi Alessandra Mastronardi. Se Carla Bruni nel precedente Midnight in Paris era stata molto tagliata nel montaggio finale e compariva giusto per pochi secondi, riuscendo comunque a rimediare una figura barbina, qui la Cesarona ce la dobbiamo sorbire a lungo. E com’è la sua intepretazione? Terribbbile.
Con lei c’è anche Alessandro Tiberi che si vede che ha studiato la recitazione alleniana e ne propone una versione/imitazione italiana accettabile. Ebbravo lo stagista di Boris!
Parecchio spento Antonio Albanese, del tutto fuori parte come latin lover e super divo del cinema italiano, mentre convince Riccardo Scamarcio, che nella sua fugace apparizione arriva, tromba la bernarda della mastronarda e va via. Così si fa!
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"Adoro il tuo social network, Mark. Ci passerei tutto il giorno..."
"Come devo ripetertelo che non sono Zuckeberg? Comunque ti addo agli amici!" |
Nell’episodio compare inoltre la spagnola Penelope Cruz, ennesima “dea dell’amore” alleniana. Diciamo solo che la spagnola ha offerto prove migliori in film migliori.
La storiella (relativamente) più interessante e meglio recitata è invece quella con Mark Zuckerberg Jesse Eisenberg e Greta Gerwig. Lei gli presenta una sua amica attrice, Ellen Page, dicendogli che tutti gli uomini finiscono per innamorarsi di lei e anche lui naturalmente finirà per… innamorarsi di lei. D’altra parte, Ellen Page è la cosa migliore di questo film e il suo personaggio, per quanto anch’esso tratteggiato con enorme leggerezza, è l’unico raggio di sole in una Roma che qui appare cinematograficamente molto nuvolosa. Il personaggio “off” di un buon Alec Baldwin invece no, quello è davvero odioso. Una sorta di grillo parlante non richiesto che rompe le balle a Zuckerberg Eisenberg, alla Page e soprattutto allo spettatore.
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"Va bene, Alec, ti taggo insieme a me!" |
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"Alec, eddaje! Vuoi essere taggato pure qua?" |
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"Woody sta guardando dall'altra parte? Io allora mi do' alla fuga!" |
La storiella di Roberto Benigni è quella nelle intenzioni più “profonda”. Una riflessione su come oggi si possa diventare famosi per niente. Qualcuno ha detto Paris Hilton?
Bella l’idea, che forse sarebbe stata più efficace per un cortometraggio, realizzazione stancante, con un Benigni che per un paio di minuti fa anche ridere, subito dopo stufa. Che poi, il tema della celebrità è una costante in tutte le vicende, peccato sia trattato in una maniera davvero superficiale e non dice fondamentalmente niente di nuovo sull’argomento.
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"Bravo Cannibal. Sul post non siamo molto d'accordo,
però sulla Mastronardi come darti torto?" |
Un’altra storiella di questo puzzle di ispirazione boccaccesca (il titolo iniziale del film era Bop Decameron) vede impegnato lo stesso Woody Allen, di rientro davanti alla macchina da presa, ed è l’unico che azzecca 1 battuta 1 in tutto il film, quando va dai genitori del fidanzato della figlia, che hanno una ditta di onoranze funebri, e dice: “Abbiamo seguito il primo carro funebre e l’abbiamo trovata”. Per il resto, come detto dal bianco rosso Verdone, più che ridere se piagne.
Al di là di questo unico momento ilare della pellicola, la storiella è di quelle talmente ridicole da poter risultare geniali, se solo fossero affidate a uno Spike Jonze o a un Michel Gondry, non a questo spento Woody Allen. Il padre del futuro marito di sua figlia (una sprecatissima Alison Pill) è un tipo che sotto la doccia, e solo sotto la doccia, si rivela un cantante lirico alla Pavarotti, Caruso o Bocelli. Tanto per non farci mancare pure questo stereotipo italiota. E così Allen lo incoraggia a esibirsi a teatro… sotto la doccia.
Uno spunto grottesco potenzialmente interessante che si risolve, come tutto il resto del film, in farsa. Anche se a me è sembrata più che altro una tragedia.
Non so se gliel’hanno gridato a Roma, nel caso rimedio io:
ah Wood Alien, ma vedi di andare a pijartelo 'nder cu..
(voto 3/10)