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venerdì 19 maggio 2017

Chris Cornell goodbye, le sue mie canzoni preferite





Ci ha lasciati Chris Cornell. Il cantante dei Soundgarden, ma anche di Audioslave e Temple of the Dog e pure artista solista, è morto all'età di 52 anni, suicida.
Un'icona del grunge anni '90 di Seattle morta suicida?
Sarà uno stereotipo, un cliché, ma è anche la triste realtà. Perché l'ha fatto? Ci avrà forse lasciati delle audiocassette in cui spiega i motivi del suo gesto come Hannah Baker di Tredici – 13 Reasons Why, o magari delle musicassette con dentro tanta musica inedita?

Non penso. In ogni caso, si tratta di un altro eroe della mia adolescenza che se ne va via. Un altro pezzo della mia gioventù che svanisce. Ciò che rimane però è la musica. Ciò che rimane, quello che resta per sempre sono le canzoni e Chris Cornell ne ha scritte e cantate di splendide. Eccone alcune. Ecco la mia personale classifica dei brani della sua carriera che preferisco e a cui sono più legato.

sabato 5 dicembre 2015

Scott Weiland era





Scott Weiland era il cantante degli Stone Temple Pilots e dei Velvet Revolver.
Scott Weiland era una delle ultime rockstar in circolazione.
Scott Weiland era un animale da palcoscenico.
Scott Weiland era un figo della Madonna.
Scott Weiland era un'icona della musica grunge e degli anni '90.
Scott Weiland era uno dei miei idoli adolescenziali.
Scott Weiland era.

 Scott Weiland (1967 - 2015)

giovedì 4 giugno 2015

COBAIN: MONTAGE OF HECK, IL DOKURTMENTARIO





Cobain: Montage of Heck
(USA 2015)
Regia: Brett Morgen
Sceneggiatura: Brett Morgen
Genere: dokurtmentario
Se ti piace guarda anche: Last Days, Kurt & Courtney, Sugar Man

Hello, hello, hello how low?
Non so voi, ma io oggi mi sento stupido e contagioso. Un mulatto, un albino, una zanzara e forse i testi di Kurt Cobain non volevano dire niente o forse volevano dire tutto. Io che ne so? E voi cosa ne sapete?
Dopo aver visto Cobain: Montage of Heck qualcosina in più penso di saperla. Almeno credo. Non preoccupatevi comunque se ancora dovete guardarlo. Anche dopo averlo fatto, quel gran mistero di Kurt Cobain, forse il punto interrogativo più grande nella storia del rock'n'roll, resta tale. La pellicola non racconta cose radicalmente nuove. Non a chi conosceva già bene la sua breve, intensa, tragica storia. Non punta a fare lo scoop, a rivelazioni incredibili alla Quarto grado. Montage of Heck ci fornisce un ritratto molto intimo di Kurt Cobain l'uomo e Kurt Cobain l'artista.

sabato 10 maggio 2014

GUIDA GALATTICA ALLA MUSICA GRUNGE




Secondo appuntamento delle guida musicali galattiche di Pensieri Cannibali. Dopo aver parlato di Britpop, oggi tocca all’altra grande corrente musicale in voga negli anni ’90, in questo caso soprattutto (ma non solo), sull’altra sponda dell’Atlantico. Mi riferisco al grunge. Sì, quel genere che ascoltavamo noi teenager depressi in quel decennio. Allora non eravamo emo, eravamo grunge. Indossavamo camicione a quadretti sformate in flanella e jeans strappati, non ridevamo mai e ascoltavamo questo strano rock che mescolava influenze punk e metal, testi nonsense ed era costruito per lo più sull’alternanza di momenti acustici con improvvise accelerazioni elettriche.
La scena ha avuto come cuore pulsante Seattle, allora capitale dell’angoscia adolescenzial-esistenziale, oggi città hipster e ipertecnologica, in cui per di più sono ambientati Grey’s Anatomy e 50 sfumature di grigio. Che dire? I tempi cambiano.

Breve storia per i babbani del genere: la scena grunge ha avuto come basi fondamentali tra fine 80s e primi 90s l’alternative rock di band come Melvins, Mudhoney, Sonic Youth, Pixies, Dinosaur Jr. e Meat Puppets, ha poi raggiunto l’apice della popolarità con i paladini del genere, i Nirvana di Kurt Cobain, i Pearl Jam, gli Alice in Chains e i Soundgarden, senza dimenticare le Hole di Courtney Love, per arrivare poi alle derive post grunge di band come gli australiani Silverchair e gli inglesi Bush, che ne hanno proposto una versione se vogliamo più “commerciale” (il grido: “Venduti! Venduti!” riecheggia ancora nelle mie orecchie), mentre in Italia qualche ispirazione grunge la si è sentita nel suono degli Afterhours e dei primi Verdena.

Ecco ora le mie personali 10 canzoni preferite del genere. Ho scelto solo 1 canzone per band, altrimenti i Nirvana avrebbero rischiato di occupare da soli metà classifica…
Per un’immersione completa nel grunge, potete inoltre ascoltarvi tutta la mia playlist su Spotify (che trovate in fondo al post) e recuperare qualche bel filmetto di quel periodo come S.F.W. – So Fucking What, Assassini Nati - Natural Born Killers, Singles – L’amore è un gioco e Giovani, carini e disoccupati.


Top 10 – Le canzoni grunge preferite di Pensieri Cannibali

10. Afterhours “Male di miele”



9. Foo Fighters “Everlong”



8. Alice in Chains “Heaven Beside You”



7. Radiohead “Creep”



6. Bush “Swallowed”



5. Pearl Jam “Jeremy”



4. Hole “Violet”



3. Stone Temple Pilots “Plush”



2. Soundgarden “Pretty Noose”



1. Nirvana “Heart-Shaped Box”




La playlist Grunge di Pensieri Cannibali su Spotify

lunedì 12 novembre 2012

Soundgardenia

Soundgarden “King Animal”
Genere: Lagrange
Provenienza: Seattle, USA
Se ti piace ascolta anche: Chris Cornell, Audioslave, Pearl Jam, Bush, Creed




Ci volevano ben 16 anni per partorire un nuovo (ma dove?) disco al cui confronto Chinese Democracy dei Guns suona (quasi) come un glorioso ritorno?
(voto 5-/10)


sabato 24 settembre 2011

Non importa?

Per una volta voglio essere banale. Lasciatemi essere banale, per favore. Sono passati esattamente 20 anni (20, cazzo!) dall’uscita di Nevermind dei Nirvana e quindi, per quanto prevedibile possa essere e anche se ne hanno parlato e ne parleranno tutti, persino la vostra vicina di casa di 80 anni (80, cazzo!), non posso esimermi dal farlo pure io che questo disco mi ha cambiato la vita, mi ha cambiato. E poi perché fondamentalmente, nelle ultime due decadi, di altri album rock che hanno avuto lo stesso impatto socio-generazio-epocale io proprio non ne ho visti né soprattutto sentiti. Dieci anni fa usciva Is This It degli Strokes e anche quella è stata una bella botta rock’n’roll, però l’effetto - volete mettere? - non è minimamente paragonabile a quello di Kurt Cobain e soci.
Il riff di chitarra di Smells like teen spirit che esplodeva su Mtv, l’album che raggiungeva la classifica di Billboard superando il simbolo degli anni ’80 e del pop Michael Jackson, il volto di Kurt che cominciava a fare capolino sulle t-shirt e sulle pareti di ogni adolescente arrabbiato che si rispettasse… è stata una rivoluzione, è stata una stagione, purtroppo breve, in cui le cose sembravano davvero poter cambiare. L’epoca degli yuppie, del consumo superficiale U.S.A. & getta, dell’ostentazione, del pop commerciale e del trash rock delle band con le bandane in testa era giunta alla fine (e Dio solo sa se era ora!) e faceva capolino un mondo parallelo in cui l’alternative rock dominava insieme a una rockstar drogata e depressa cui del successo non poteva fregare di meno. Una rockstar poco propensa a brillare come una star e molto destinata, ahinoi, a bruciare in fretta come una cometa.
E come suona oggi, questo benedetto maledetto Nevermind che ha stuprato la nostra adolescenza, portandoci via non la tramezza bensì l’innocenza e la spensieratezza? Rimbomba ancora come quel colpo di fucile che ci ha portato via Kurt per sempre. È una scossa che fa venire sempre le lacrime agli occhi per l’emozione e allo stesso tempo fa venire una gran voglia di pogare in camera da soli, urlare YEEEAH YEEEEEEEEAH e spaccare tutto. Quanti dischi rock usciti nei 20 anni successivi possono vantarsi di fare lo stesso effetto?
È stata una stagione che è durata poco, è vero, poi tutto è tornato alla normalità, sono arrivate le boybands, sono arrivate le girlbands, la musica commerciale è ritornata a dominare le classifiche, e Seattle è passata da capitale del grunge a capitale della new economy, le chiavi della città finite dalle mani di Kurt Cobain a quelle di Bill Gates. Il mondo ha insomma ricominciato a girare nel suo solito verso, intorno al successo e ai soldi (il poppante sulla copertina già lo sapeva), ma per quel breve periodo tra camice pesanti a quadroni e disperate urla YEEEAH YEEEEEEEEAH (e fatemi gridare ancora un po’!) abbiamo sognato che potesse girare in un modo diverso. Nel modo giusto. Massì, non poteva andare che così alla fine, già lo sapevamo, e in fondo non importa. Nevermind.
Oppure importa?

venerdì 23 settembre 2011

Winter is coming

Di tutte le reunion di rockband degli anni ’90 più o meno grunge, su un ritorno riuscito dei Bush non avrei puntato più di tanto.
Nati come band "vagamente" derivativa dai Nirvana, Gavin Rossdale e compagni erano certo un gruppo dal suono derivativo, che non inventava nulla, ma nonostante questi dettagli non da poco sono riusciti comunque a regalarci una manciata di canzoni esaltanti, come la splendida ballatona Glycerine, l’adrenalinica Machinehead e soprattutto quella bomba di Swallowed.



Bush “The sea of memories”
Genere: revival grunge
Provenienza: Londra, Inghilterra
Se ti piace ascolta anche: Nirvana, Stone Temple Pilots, Silverchair, Feeder, Gavin Rossdale, Institute


Dopo l’ultimo album nel 2001, i Bush venuti alla ribalta durante il governo di Bush Senior si erano separati nell’era Bush Junior, con Gavin Rossdale che poi si è dato senza troppo successo a una nuova band (Institute) e alla carriera solista (con l’album Wanderlust), ma soprattutto si è dedicato al ruolo di marito di Gwen Stefani con cui ha sfornato qualche erede, così tanto per impiegare il tempo.
E adesso in era Obamiana ritornano i Bush e lo fanno con un album che certo non inventa niente di nuovo, ma d’altronde mai l’hanno fatto, però a differenza di altre band tornate sulla ribalta giusto per fare cassa con una manciata di B-side, qui dentro le canzoni ci sono. Alcune belle (il primo singolo The sound of winter), alcune ispirate (All my life, The Afterlife), qualcun'altra emozionante (la classica bushiana nel midollo Baby come home, un pezzo che una 15ina di anni fa avrebbe conquistato la Billboard chart americana).
Un bel dischetto rock. Può sembrare poco, ma io di nuovi bei dischetti rock negli ultimi tempi non è che ne abbia sentiti in giro poi parecchi.
Quindi viva Bush, o meglio, per scansare equivoci politici: viva i Bush!
Può sembrare che mi riferisca ancora a H.W. e W. Bush junior?
E allora viva la band dei Bush!
Va bene così?
(voto 6,5/10)

mercoledì 3 agosto 2011

In vacanza con Jake e Jared

Fuga da Seattle
(USA 2002)
Titolo originale: Highway
Regia: James Cox
Cast: Jared Leto, Jake Gyllenhaal, Selma Blair, John C. McGinley, Jeremy Piven, Kimberley Kates
Genere: on the road
Se ti piace guarda anche: S.F.W. So Fucking What, Paura e delirio a Las Vegas, Go - Una notte da dimenticare, Spun

Nonostante la presenza di due miei idoli supremi come Jake Gyllenhaal e Jared Leto e nonostante sia un film ambientato a Seattle (anzi, verso Seattle) proprio nel bel mezzo del periodo grunge, fino a pochi giorni fa non sapevo minimamente dell’esistenza di questo film. Poi per caso cazzeggiando su imdb l’ho trovato e subito scaricato (scoprendo che esiste persino in italiano!) e vrooom, ora viaggia veloce sulla highway dei pensieri cannibali.

Impressioni live
Jake Gyllenhaal è ancora in periodo post-Donnie Darko forse post-drunk e infatti mantiene lo sguardo allucinato da chi si è appena fumato un cannone insieme a un coniglio parlante che gli ha annunciato la fine del mondo as we know it. Ma molto probabilmente non era un coniglio, era solo Michael Stipe o forse Ligabue che rubava una canzone a Michael Stipe o forse entrambi la rubavano al repertorio dei Maya
2012, la fine del mondo aaaaaaaaaaaaaaaaaaah
Jared Leto sfoggia invece una pettinatura mohawk appena pre-30 Seconds to Mars, che proprio quell’anno (il film è del 2002) avrebbero sfornato il loro interessante omonimo album d’esordio.
Il film è totalmente fuso di testa, folle, visionario, esilarante in maniera demenziale ahahahahahahaahhahaahahahahahahahahahahah non riesco a smettere di ridere uuuuuuuuuuah

Tutti i personaggi sono stravolti, sconvolti o semplicemente idioti. Idioti come il titolo italiano messo al film, visto che è sbagliato. I protagonisti sono di Las Vegas e scappano verso Seattle, quindi se mai doveva chiamarsi Fuga da Las Vegas o Fuga verso Seattle. Ma almeno li guardano i film, i tizi che si occupano della distribuzione italiana? Domanda retorica, scusate.
Fatto sta che Jared Leto in questo film è conosciuto come "il Re della scopata” di Las Vegas, peccato che un giorno si scopi (da Re) la donna sbagliata, ovvero la moglie di un pericoloso boss cittadino che ha l’abitudine di gambizzare, anzi piedizzare, i suoi rivali. Una volta beccato a letto con la moglie dallo stesso boss, Jared Leto è costretto a scappare via dalla città e il suo migliore amico Jake Gyllenhaal gli propone di dirigersi a Seattle, visto che c’è una ragazza per cui aveva una cotta al liceo che vorrebbe rincontrare. E così i due partono per un’avventura on the road tra Kerouac e Paura e delirio a Las Vegas, solo che in questo caso si tratta di un Paura e delirio via da Las Vegas e nel mentre fanno di tutto, da una gita al Dan D Fine, un locale di prostitute, fino a una capatina a vedere un ragazzo alligatore (?!?), e nel frattempo tirano su anche una ragazza, la Selma Blair di Cruel Intentions ed Hellboy che (inizio spazio gossip) è appena diventata mamma a rischio visto che i 9 mesi erano già passati da un pezzo (fine spazio gossip).
A un certo punto, Jake & Jared (che fa tanto Bo & Duke) beccano pure John C. McGinley, ovvero il bastardissimo divertentissimo idolissimo (nonché vero precursore del Dr. House) Dr. Cox di Scrubs, qui presente in versione rastafariano.


Sullo sfondo di tutto questo c’è il suicidio di Kurt Cobain, visto che la storia è ambientata nell’aprile del 1994, e avrà la sua conclusione proprio a Seattle durante il raduno per ricordarlo. Quello grunge è comunque solo un contorno, con il film si concentra più che altro sul folle viaggio dei due protagonisti e alla fine di cosa parla? Macchenesoio? Ah no, questa la so: parla di amicizia. In maniera cazzara, eppure non stupida, ma parla fondamentalmente di amicizia.
Sono questi i film di cui il mondo ha bisogno? Non lo so, probabilmente no, ma di certo sono questi i cult movie di cui io ho bisogno.
Uuuuuuuuuuuuah
(voto 7+)


mercoledì 26 gennaio 2011

I nuovi Nirvana?

Creepoid “Horse Heaven”
Genere: slow grunge
Provenienza: Philadelphia, USA
Se ti piacciono ascolta anche: Alice in Chains, Vaselines, Nirvana
Pezzo cult: "Wishing Well"

I Creepoid sono i nuovi Nirvana. Nooo, vabbé adesso non esageriamo e non spariamo cazzate, era giusto per creare un po’ di sano e ingiustificato scalpore. Il cantante però ha una voce e soprattutto un modo di cantare piuttosto simili a Kurt Cobain, cosa che li rende degni almeno di un ascolto.
A livello di suoni c’è un numero minore di chitarre elettriche distorte (a un certo punto però arrivano pure qui), ma pur intrappolandoci dentro atmosfere meno soniche, i brani sono comunque nervosi, inquieti. La seconda cantante della band ha poi una gradevole voce che rende più varia la loro proposta, come fossero dei Sonic Youth acustici, mentre qualche pezzo va in direzioni radioheadiane. Dopo tutto, voglio dire, si chiamano pur sempre Creepoid (Creep + Paranoid Android?).
Un gruppo quindi leggermente derivativo che però sta cercando di trovare la sua strada e il suo suono. Acerbi, ma promettenti.
(voto 7-)

giovedì 16 dicembre 2010

Man of the year 2010 - n. 9 Stephen Dorff

Stephen Dorff
Genere: bad boy
Provenienza: Atlanta, Georgia, USA
Età: 37
Nel 2010 visto in: Somewhere
Il passato: S.F.W. - So Fucking What, A morte Hollywood!, Backbeat, Blade, Nemico Pubblico, Shadowboxer, Oscure presenza a Cold Creek
Lo vedremo in: Born to be a star, Rites of passage, Immortals
Perché è in classifica: dopo anni di attesa ha finalmente avuto il ruolo della vita

Stephen Dorff è stata l’eterna promessa di Hollywood così a lungo che credo persino lui avesse ormai smesso di puntare fiches su se stesso. Errore, perché poi un giorno ti arriva una Sofia Coppola in casa e ti fa diventare protagonista del suo nuovo “Somewhere” e finalmente ti si riaprono le porte del Nuovo Cinema Paradiso.

Due sono i miei cult personali che lo vedono protagonista: la scoppiettante satira del mondo cinematografico “A morte Hollywood!” di John Waters e il sottovalutatissimo “S.F.W. So Fucking What”, il film manifesto del grunge (per musica, attitudine, stile registico, interpretazione di Dorff) che nel 1994 anticipava di un decennio riflessioni molto interessanti sulla tv reality e la spettacolarizzazione della cronaca. Una pellicola che fotografa alla perfezione gli anni ’90 e prefigurava gli anni zero, insomma un piccolo capolavoro da riscoprire. Quindi nel 1998 in “Blade” interpreta un perfido straordinario vampiro; anche stavolta però è arrivato troppo in anticipo sui tempi, visto che eravamo lontani non solo dalla moda dei vari “Twilight”, “True Blood” e “The Vampire Diaries” ma eravamo anche prima dell’esplosione di “Buffy”.

Dopodiché sono arrivate per lui parti in filmicini action, un video splendido (per una volta NON sono ironico) e censuratissimo di Britney Spears in versione suicida ma più spesso, con quella faccia lì, interpretazioni nelle vesti di pazzo psicopatico. Pellicole poco interessanti, fino a un ruolo in “Nemico pubblico” di Michael Mann e quest’anno l’apoteosi con “Somewhere”. Se ce l’ha fatta Robert Downey Jr. (eterna promessa dai lontani anni ’80 e diventato big di Hollywood solo negli ultimi anni) adesso forse è arrivato anche il suo momento. Dai, cazzo!



martedì 19 ottobre 2010

Jurassic Pork

Dinosaur Pile-Up “Growing Pains”
Provenienza: Leeds, Inghilterra
Genere: rock tirato
Se ti piacciono ascolta anche: Nirvana, Vines, Foo Fighters, Subways, Johnny Foreigner, Sky Larkin, Weezer, Ash

I Dinosaur Pile-Up sono uno di quei gruppi da spararsi a tutto volume la mattina al posto (o in aggiunta) della caffeina. O la sera tardi per non addormentarsi. Una botta di adrenalina yeeeah che ha molti debiti nei confronti dei Nirvana e che trova l’unico momento di pausa nella (peraltro pregevole) ballatona radioheadiana “Hey You”.
Già tra le band consigliate dall’NME, “Growing Pains” (che è pure il titolo originale della serie “Genitori in blue-jeans”) è un disco fresco e incosciente, come solo un album d’esordio può essere.
Cosa faranno questi ragazzi tra un paio di anni? Magari saranno spariti. Magari no. Nel dubbio, io intanto alzo il volume.
(voto 7)

domenica 4 aprile 2010

LA Grunge

Pasqua. Periodo di resurrezioni e nuovi inizi. Molti sono i gruppi risorti ultimamente dalle ceneri degli anni Novanta. Chi per soldi, chi per una ritrovata ispirazione e sintonia, chi ancora per... ehm, soldi.
Cranberries, Skunk Anansie, a breve i Soundgarden, tanto per dirne alcuni. Io vi propongo il comeback di uno dei più grandi, ma allo stesso tempo sottovalutati, gruppi del periodo grunge. Direttamente non da Seattle, ma dalla California: gli Stone Temple Pilots.
Nei 90s hanno avuto un paio di grandi hit



inciso una manciata di buoni album e splendide canzoni



ma a causa di qualche eccesso di droga di troppo e una creatività che andava e veniva a fasi alterne non sono mai riusciti ad imporsi definitivamente nell’immaginario collettivo, nonostante il leader Scott Weiland sia stato (è ancora?) uno dei più carismatici e rock’n’roll personaggi emersi negli ultimi due decenni. Dopo una rapida avventura da solista e con i Velvet Revolver (insieme a Slash), Weiland si è infine ricongiunto con i suoi vecchi compari grunge-rockers. Un nuovo album è in arrivo a breve e il primo pezzo rilasciato mette la carica e anche un tantinello di nostalgia da anni Novanta.
Adesso però mettiamo da parte i fazzoletti e prepariamoci al pogo con questo pezzaccio molto Scott Weiland, ma anche molto Kurt Cobain.
Stone Temple Pilots. Between the lines. Tirate su il volume.

you always were my favourite drug
even when we used to take drugs

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