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giovedì 9 marzo 2023

Niente di nuovo sul fronte occidentale: appunto





Niente di nuovo sul fronte occidentale


Niente di nuovo sul fronte occidentale. Appunto.

lunedì 3 febbraio 2020

Ah, che bello vivere nel 1917, se solo ci fosse stato WhatsApp





1917
Regia: Sam Mendes
Cast: George MacKay, Dean-Charles Chapman, Benedict Cumberbatch, Andrew Scott, Mark Strong, Richard Madden


1917. Prima Guerra Mondiale. Due soldati sbarbatelli vengono chiamati ad assolvere un compito cruciale, che può salvare la vita di 1600 loro commilitoni, tra cui anche il fratello di uno dei due. Hanno poche ore di tempo per consegnare un messaggio importante sotto forma di lettera, giacché il telefono non prende (probabilmente non c'era campo), inoltre allora le e-mail non le avevano ancora inventate e non c'era a disposizione manco WhatsApp. Really? Pensate un po' in che epoca demmerda vivevano. In compenso i due sono impegnati in una missione dai contorni moderni che sembra un incrocio tra le corse contro il tempo di Kiefer Sutherland alias Jack Bauer in 24, Crank con Jason Statham (ma con meno tamarraggine & divertimento) e una partita di Fortnite. Perché, come dice Benedict Cumberbatch nel film: “Questa guerra può finire solo in un modo, vince chi sopravvive”, cosa che vale benissimo anche appunto per Fortnite. Come filmare una storia del genere, ispirata ai racconti di suo nonno? Il regista Sam Mendes non ha dubbio alcuno: bisogna girarla con un unico piano sequenza, o fingendo con stratagemmi vari che sembri un unico piano sequenza. Idea geniale, non lo metto in dubbio, perché si tratta della prima volta che viene applicata a un film di guerra e, soprattutto per una vicenda del genere, per una lotta contro il tempo senza pause, scelta migliore non c'è. Se andiamo invece a vedere a un livello più generale, non è che si tratti della prima volta in assoluto nella storia del cinema. Il primo ad averlo fatto, con un unico piano sequenza finto, è stato Alfred Hitchcock nel 1948 con Nodo alla gola. Il primo ad aver girato tutto un film con un unico piano sequenza vero, almeno credo, è stato Aleksandr Sokurov nel 2002 con Arca russa. Dopodiché è stato il turno nel 2014 anche di Birdman di Alejandro González Iñárritu, premiato (giustamente) con l'Oscar. E nel 2015 c'è stato il tedesco Victoria di Sebastian Schipper, bellissimo. Rispetto a un Birdman, c'è da dire che Sam Mendes nel suo 1917 girato nel 2019 ha una trama sì potente e “impegnata”, visto che si parla di guerra, ma anche piuttosto esile, da action puro, e può inoltre contare su interpretazioni meno efficaci. Al di là del solito ottimo Andrew Scott, in una piccola ma convincente parte, i due giovani protagonisti George MacKay e Dean-Charles Chapman fanno anche del loro meglio, solo che sono ancora piuttosto acerbi, e insomma Michael Keaton, Edward Norton e soprattutto Emmina Stone in Birdman volavano più alto. Comunque adesso lasciamo stare il confronto con Birdman, che questo è un altro film. Più che sulla sceneggiatura o sulle interpretazioni, qui è tutto un gioco di regia. Di potenza visiva del cinema. E su questo a Sam Mendes che gli vuoi dire? Fa un lavoro magistrale, tecnicamente mostruoso e non oso manco immaginare la difficoltà nel realizzare una ripresa unica, o finta ripresa unica che sia, del genere. L'Oscar per la migliore regia quindi ci starà, io poi per carità a lui voglio bene fin dai tempi di American Beauty, per me il suo vero capolavoro, anche se il mio cuore batterà per Quentin Tarantino e pure Bong Joon-ho non lo demeriterebbe. Registicamente quindi 1917 è una pellicola strepitosa, con almeno un paio di scene da applausi a scena aperta, entrambe con George MacKay che corre più veloce di Forrest Gump. Nel complesso però è un film bellissimo, il migliore dell'anno? Se andiamo a valutare a un livello emotivo, a un livello puramente personale, io di emozioni forti non ne ho sentite molte. Sarà colpa mia, o della mia avversione nei confronti dei film di guerra? Eppure La sottile linea rossa, Apocalypse Now e Full Metal Jacket, a pensarci bene, mi avevano fatto emozionare, eccome. O sarà che, almeno per la prima oretta, questo sfoggio di bravura tecnica mi ha fatto sbadigliare, più che esaltare? Nella seconda parte c'è da dire che la pellicola prende qualche via inaspettata, entra finalmente il fattore umano, solo che i brividi, quelli tanto cercati, ad esempio nella scena “canora”, a me non sono venuti. Nella sequenza conclusiva, che vede la partecipazione di uno degli attori meno espressivi del mondo, tantomeno. Tutto è bello, tutto è persino troppo perfetto, in un film sicuramente fenomenale, che però nella sua corsa a perdifiato non è riuscito a portare a termine una missione, magari facoltativa per Sam Mendes ma soggettivamente importante per me spettatore: far breccia nel mio cuore.
(voto 6,5/10)

martedì 12 dicembre 2017

Il massacro di Dunkirk... hey, ma non era il miracolo di Dunkirk?





Dunkirk
Regia: Christopher Nolan
Cast: Fionn Whitehead, Kenneth Branagh, Tom Hardy, Mark Rylance, Harry Styles, Cillian Murphy, Aneurin Barnard, Tom Glynn-Carney, Barry Keoghan, James D'Arcy, Jack Lowden


Oh mio Dio! Dunkirk sta per essere bombardata. Sta per essere rasa al suolo. Sta per essere massacrata, fatta a pezzettini. Dai nazisti?

No. Mi riferisco alla pellicola Dunkirk, non alla città nel Nord della Francia. Sta quindi per essere bombardata da qualche perfido critico cinematografico?

No di nuovo. La critica ha generalmente molto apprezzato il lavoro. Ancor prima che uscisse, c'era chi gridava al miglior film dell'anno, basandosi sulla semplice addizione Christopher Nolan + film bellico ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale = Capolavoro.
C'è anche chi ha subito parlato di filmone da Oscar. Dopo essere stato per lo più snobbato con i suoi lavori precedenti fantascientifici e supereroistici, sembra davvero arrivato il momento giusto per la consacrazione del regista britannico anche presso l'Academy Awards, che adora le storie vere, le storie di guerra e in particolare le storie ambientate nella World War II.
La pellicola poi è sbarcata nelle sale e l'accoglienza è stata positiva. È piaciuto a tutti. Proprio a tutti. Dal cinefilo più accanito, fino a chi non ha mai visto un film in vita sua ma Dunkirk sì, l'ha visto e l'ha apprezzato. Più che amore, c'era una sorta di grande rispetto reverenziale nei suoi confronti. Tutti a parlarne bene, molto bene, ma mi sembrava di notare una certa mancanza di entusiasmo, persino tra i fan più accaniti del regista. Non è che forse ci si attendeva qualcosina di più da Nolan?

L'unica voce fuori dal coro di consenso unanime generale non era quella di un critico cinematografico. Era quella di... una pornostar?!?

lunedì 13 febbraio 2017

La battaglia di Hacksaw Ridge e il primo obiettore di coerenza della Storia





La battaglia di Hacksaw Ridge
Regia: Mel Gibson
Cast: Andrew Garfield, Teresa Palmer, Vince Vaughn, Luke Bracey, Sam Worthington, Hugo Weaving, Rachel Griffiths


La battaglia di Hacksaw Ridge è un film che parla... della battaglia di Hacksaw Ridge, of course, ma anche e soprattutto di Desmond T. Doss, il primo obiettore di coscienza nella storia dell'esercito degli Stati Uniti.
Desmond era un tipo fortemente contrario all'uso di qualunque arma è questa è una scelta che io apprezzo, ma non condivido al 100%. In alcuni casi secondo me le armi servono. Ad esempio per difendere il mondo del Cinema da porcatone come questo film. Per farlo, la mia scelta è quindi quella di scendere in trincea e imbracciare le armi più potenti in assoluto, che sono anche le mie preferite: le parole.

mercoledì 25 novembre 2015

Beasts of No Nation - Bambini, giochiamo a fare la guerra?





Beasts of No Nation
(USA 2015)
Regia: Cary Joji Fukunaga
Sceneggiatura: Cary Joji Fukunaga
Tratto dal libro: Bestie senza una patria di Bestie senza una patria
Cast: Abraham Attah, Idris Elba, Kobina Amissah-Sam, Francis Weddey, Ama K. Abebrese, Grace Nortey, Emmanuel Nii Adom Quaye, Kurt Egyiawan
Genere: bestiale
Se ti piace guarda anche: Rebelle - War Witch, Re della terra selvaggia

Bambini, giochiamo a fare la guerra?
No, non vi sto proponendo un nuovo gioco disponibile per PlayStation o Nintendo 3DS. È qualcosa di più vero del 3D. Qualcosa di più realistico persino della realtà virtuale. È un'esperienza di gioco nuova e innovativa. Per provarla bisogna recarsi sul posto di persona.
Vi dico la location in cui potrete andare a giocare: Africa. Proprio come quella de Il re leone. Vi stuzzica l'idea, vero?
Rispetto a Il re leone però ci sono meno animali e più bestie. Bestie che non appartengono a nessuna nazione. Bestie senza una patria. Bestie umane. Non pensate ci siano solo adulti. Si sono anche e soprattutto dei bambini come voi. Un sacco di bambini. È quasi come se fosse Disneyland, solo in versione War Edition. In giro vedrete tutti questi piccoli guerrieri soldato, ognuno con il proprio fucile personale. Non vi sembra uno spunto fighissimo per un gioco? Non volete partire subito anche voi per l'Africa?
Negli ultimi tempi si parla un sacco della questione dei migranti dall'Africa verso l'Europa, ma volete sentirla una cosa? E se invece tra qualche anno il flusso migratorio non avvenisse al contrario, dall'Europa all'Africa?
Prevedo che un sacco di bambini come voi vorranno venire qui a giocare alla guerra. È un'esperienza molto intensa. Una vera e propria full immersion, che comprende armi, violenza e droga, più che in qualunque episodio di Grand Theft Auto. È anche un'esperienza dura, ve lo dico subito. Se non avete le palle per affrontarla, state a casa con mammina, che è meglio.

sabato 24 ottobre 2015

'71: Odissea nell'Irlanda





'71
(UK 2014)
Regia: Yann Demange
Sceneggiatura: Gregory Burke
Cast: Jack O'Connell, Sam Reid, Sean Harris, Charlie Murphy, Paul Popplewell, Adam Nagaitis, Barry Keoghan, Martin McCann
Genere: surviwar
Se ti piace guarda anche: Eden Lake, Unbroken

'71 è l'horror survival dell'anno.
Ma come, non è un film di guerra?
No, non proprio e per fortuna. Io infatti le pellicole belliche, salvo qualche splendida eccezione come Apocalypse Now o La sottile linea rossa, non le reggo più di tanto e questa è una cosa che credo di aver raccontato parecchie volte. Come i vecchi che ripetono sempre le stesse storie. Storie di guerra, in genere.
Ho quindi patito parecchio la prima ventina di minuti di questa pellicola, che preannunciavano un classico film sulla vita militare e sull'addestramento. Non un addestramento fico (almeno da vedere) come quello di Full Metal Jacket o del recente The Fighters - Addestramento di vita, solo un addestramento palloso. Sono stato coraggiosamente in trincea, resistendo ai bombardamenti di questo inizio non proprio esaltante e ho fatto bene, perché il film presto cambia pelle. Subito dopo veniamo scaraventati in mezzo alle strade della Belfast indovinate un po' di che anno?
Esatto: il 1971. Lo scenario è quello del conflitto nordirlandese anche noto come The Troubles, che ha visto contrapposti cattolici contro protestanti, IRA contro governo inglese, tutti contro tutti e chi non è molto familiare con questi scenari, e io non lo sono, dalla visione di questa pellicola non è che ne uscirà capendoci molto di più.

lunedì 2 febbraio 2015

ANGELINA, IL TUO FILM SARÀ UNBROKEN, MA DUE COSE A ME LE HA ROTTE





"Gesù Cristo, chi?"
Unbroken
(USA 2014)
Regia: Angelina Jolie
Sceneggiatura: Joel Coen, Ethan Coen, Richard LaGravenese, William Nicholson
Ispirato al libro: Sono ancora un uomo. Una storia epica di resistenza e coraggio di Laura Hillenbrand
Cast: Jack O'Connell, Domhnall Gleeson, Finn Wittrock, Takamasa Ishihara, Jai Courtney, Garrett Hedlund, Luke Treadaway, John Magaro, Spencer Lofranco
Genere: rotto
Se ti piace guarda anche: Forrest Gump, Vita di Pi, Jona che visse nella balena

Angelinaaaaa, ti va un'altra Grey Goose?
A me sì. Devo bere. Bere per dimenticare il tuo film. Una pellicola che presenta un titolo disonesto e ingannevole. Unbroken un paio di palle! Proprio come quelle che avevo e la tua pellicola di 2 esagerate ore e 20 esagerati minuti mi ha rotto.
Angelina, io sono proprio come te. Proprio come te uguale uguale no. Non sono una donna, non sono ricco, non sono famoso, non ho adottato 20 figli e insomma con te non centro niente, se non per un aspetto. Intendevo dire che sono un pacifista, proprio come te. Non è tanto che sia contro la violenza. Se c'è un motivo per cui odio la guerra è perché è dannatamente noiosa!
Cosa c'è di più noioso della guerra, Angelinaaaaa?
Durante la guerra si ferma tutto. Stop alle Olimpiadi. Stop ai Mondiali di calcio. Interrotti un po' tutti gli sport, tranne il tiro al piattello. Nei cinema non danno più niente di interessante, solo film di propaganda come Süss l'ebreo o American Sniper. I libri vengono bruciati, tranne quelli di Moccia che per precauzione sono fatti anche in tempo di pace con materiale che non si può bruciare. Credetemi, c'ho provato e proprio non vogliono saperne di prendere fuoco. Di figa in giro poi non ce n'è. Gli uomini stanno a guardare altri uomini, e manco in senso omosessuale. La vita dei prigionieri certo è terribile, ma anche quella dei carcerieri che devono passare l'intero a controllarli dev'essere un gran bello smaronamento. La guerra non è solo piena di morte. È piena di tempi morti. Di attese. Di osservarsi. Di stare fermi per non farsi vedere. Di nascondersi. Di aspettare il momento giusto per attaccare. Di non fare niente. Di noia per tutti.

martedì 27 gennaio 2015

FURY CARRO ARMATO DEL WEST





"La Seconda Guerra Mondiale sta per finire?
Ma nooo, io non c'ho voglia di tornare a casa da Angelina!"
Fury
(USA, Cina, UK 2014)
Regia: David Ayer
Sceneggiatura: David Ayer
Cast: Brad Pitt, Logan Lerman, Shia LaBeouf, Jon Bernthal, Michael Peña, Jim Parrack, Brad William Henke, Jason Isaacs, Xavier Samuel, Alicia von Rittberg, Anamaria Marinca, Scott Eastwood
Genere: furioso
Se ti piace guarda anche: La sottile linea rossa, Salvate il soldato Ryan, End of Watch - Tolleranza zero

Fury è una pellicola che parla di Fury, un carro amato del West. O, per essere più precisi, un carro armato che avanza nella West Germany.
Cioè, un attimo, mi state dicendo che hanno fatto un film su un carro armato?
Ebbene sì. Ormai girano pellicole su qualunque cosa, persino su una bambola comparsa brevemente in un horror, volete che non girino una pellicola su un carro armato?
Quindi è così, il grande protagonista di Fury è proprio Fury, il carro armato Fury, ancor più di Brad Pitt che qui, per quanto ritorni su livelli recitativi più decenti rispetto a quelli zombie di World War Z, è ben lontano dalla performance da Oscar che probabilmente era convinto di fare quando ha deciso di girare questo film. Una pellicola ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale, già solo per questo si candiderebbe a essere una roba da Academy, visto che all'Academy adorano le pellicole ambientate in quel periodo e i film bellici in generale. Guerre e/o film sugli handicappati e/o malati e/o con attori fighi che diventano brutti e/o basta che ti chiami Meryl Streep e la nomination è garantita.

venerdì 16 gennaio 2015

AMERICAN SNIPER, STAY AWAY FROM ME





Obiettivo avvistato. Ce l'ho nel mirino. Clint Eastwood questa volta non mi sfuggirà. Non può scapparmi ancora. Sono stato sempre fin troppo buono nei suoi confronti. Da quando Pensieri Cannibali è in attività ho esaltato Invictus persino al di là dei suoi reali meriti; ho salvato alla grande quel polpettone di J. Edgar nonostante fosse piuttosto noiosetto e avesse un trucco da spavento; ho trattato con i guanti quella brutta copia di Shyamalan che rispondeva al nome di Hereafter; più di recente ho regalato persino una generosa sufficienza a un film del tutto dimenticabile e banalotto come il musicarello Jersey Boys, ma adesso basta.
Chiamatelo se volete rispetto nei confronti dei vecchietti, per quanto di solito non mi faccia problemi nei loro confronti, gli Expendables ne sanno qualcosa, però adesso non è che posso graziarlo tutte le volte. Devo ricordarmi che sono pur sempre, o almeno lo ero, uno dei blogger cinematografici più spietati della rete. Sono stato addestrato a seguire il Lato Oscuro della Forza da Darth Vader, Blair Waldorf e Marilyn Manson, non posso continuare a deluderli. Ho avuto il vecchio Clint nel mirino ben 4 volte e non ho mai premuto il grilletto fino in fondo. Ce la farò questa volta?
Calma. Prima di arrivare a lui, ho da prendere di mira qualche altro obiettivo legato al suo ultimo film, American Sniper.


mercoledì 7 maggio 2014

MONUMENTS MEN, UN MONUMENTO ALLA NOIA




Monuments Men
(USA, Germania 2014)
Titolo originale: The Monuments Men
Regia: George Clooney
Sceneggiatura: George Clooney, Grant Heslov
Ispirato al libro: Monuments Men. Eroi alleati, ladri nazisti e la più grande caccia al tesoro della storia di Robert M. Edsel e Bret Witter
Cast: George Clooney, Matt Damon, Bill Murray, John Goodman, Jean Dujardin, Hugh Bonneville, Bob Balaban, Cate Blanchett, Dimitri Leonidas, Alexandre Desplat
Genere: military comedy
Se ti piace guarda anche: Storia di una ladra di libri, La vita è bella, Bastardi senza gloria

A dispetto del titolo ingannevole, Monuments Men non è la storia di un gruppo di uomini che di professione fanno le statue, come questo qua…



Monuments Men racconta invece le vicende di un gruppo di uomini valorosi che, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, anziché salvare vite umane decisero di voler salvare le opere d’arte. Quel birbante di Hitler aveva infatti rubato un sacco di cimeli artistici e li aveva fatti nascondere in attesa di piazzarli nel suo museo personale. Nel caso in cui lui venisse ucciso, il Fuhrer aveva dato l’ordine di distruggerli tutti. L’ammericano George Clooney arruola così una squadra di esperti d’arte, soprannominati Monuments Men, per andare nella vecchia Europa a recuperare quante più opere possibili.


Chi chiama a far parte del suo team?
Embè, naturalmente la prima scelta è lui, il massimo esperto d’arte mondiale: Vittorio Sgarbi, che però rifiuta con i suoi soliti modi cortesi.


Dovendo rinunciare a malincuore a Sgarbi, George Clooney convoca allora il suo amichetto Matt Damon, più un gruppo variegato formato da Bill Murray, che dovrebbe essere il simpa di turno ma invece è meno simpa del solito, da John Goodman, che una buona forchetta ci sta sempre bene soprattutto in Europa, da Jean Dujardin, perché è un po’ il Clooney francese, da Hugh Bonneville, poiché a quanto pare George è un fan di quella lagna di Downton Abbey, e da Bob Balaban visto che, a parte Wes Anderson, non se lo fila mai nessuno.
Il Dream Team di attori esperti d’arte americani, dopo un rigido addestramento militare stile Full Metal Jacket (insomma, più o meno…), sbarca in Normandia. Dalla scena del loro arrivo in Europa, possiamo capire che i toni del film sono molto differenti ad esempio da un Salvate il soldato Ryan di Steven Spielberg. Il modo in cui i magnifici sette affrontano la missione è giusto un filino più sciallato rispetto a quello di Tom Hanks e compagni, che tra l’altro in quell’occasione dovevano salvare il culetto al prezzemolino Matt Damon.

"Bella raga, era dai tempi delle gite al liceo che non mi divertivo così.
Dovremmo andare in guerra più spesso!"

La pellicola di George Clooney fondamentalmente è una commedia. La rappresentazione che qui viene data del secondo conflitto mondiale piuttosto che Salvate il Soldato Damon Ryan ricorda i toni fiabeschi dello Spielberg di un altro film e di un’altra guerra: la World War I del terribile War Horse. Siamo un po’ anche dalle parti del recente Storia di una ladra di libri o, se vogliamo, addirittura de La vita è bella del Benigni. Monuments Men è una pellicola bellica all’acqua di rose, senza sangue, senza violenza, senza l’atmosfera sporca e pericolosa di una guerra. Si tratta sicuramente di una scelta voluta da parte del Clooney, però allo stesso tempo è una scelta discutibile. Non è che il bel George, ora che ha deciso di mettere la testa a posto e sposarsi con l’avvocatessa Amal Alamuddin, si è addolcito troppo?


Dopo un film che dava una rappresentazione spietata della politica come Le idi di marzo, nel suo nuovo lavoro da regista Clooney ha optato per una gran bella storia vera, di quelle positive. Monuments Men è un film classico, d’altri tempi, e da questo punto di vista riesce anche a farsi apprezzare. La partenza poi è pure buona, grazie a una presentazione senza troppi fronzoli dei personaggi e grazie a una sceneggiatura ravvivata da qualche ottima battuta vecchio stampo tipo:

“Ora sono astemio.”
“Da quando?”
“Dalle 9 di stamattina.”

Più passano i minuti, però, e più il film non riesce a crescere di ritmo. Si può anzi dire che questo è un film dai ritmi sonnacchiosi per gran parte della sua durata. Le missioni dei vari Monuments Men che vanno in giro per l’Europa a recuperare opere si sviluppano in maniera banale, con qualche momento drammatico che non riesce a risultare particolarmente emozionante e con qualche gag più o meno comica che non fa troppo ridere, ma che se non altro consente di destarsi dal dormiveglia in cui si era inevitabilmente finiti.
La classicità a cui ambisce Clooney finisce così per trasformarsi in prevedibilità. Tutto procede senza grossi scossoni, con l’attore/regista che ritaglia qualche momento importante per ogni personaggio, ovviamente anche per se stesso, senza però che nessuno spicchi in maniera particolare. Nonostante i grandi nomi del cast, tutti appaiono parecchio spenti e anonimi, i super divi Clooney e Damon in testa, ma anche l’unica femmena della pellicola, Cate Blanchett. Il problema principale di questo film è che è pure troppo impeccabile nella messa in scena, con nessuno degli attori che compare mai con un capello fuori posto e con le ambientazioni che appaiono finte, ricostruite in studio. L’insieme rimane freddo, senz’anima. Come la copia di un’opera d’arte.

"Oh, finalmente Amazon m'ha mandato la copia di Call of Duty che avevo ordinato.
Tutta questa guerra reale cominciava a stufarmi..."

A mancare sono quindi le emozioni, così come le sorprese. Monuments Men è in pratica l’esatto opposto di Bastardi senza gloria. C’è persino una scena con un tedesco delle SS che viene “braccato” dagli americani per aver nascosto dei quadri in casa sua che sembra una versione a parti invertite degli interrogatori del colonnello Hans Landa nella pellicola di Quentin Tarantino. Laddove quest’ultimo si divertiva a riscrivere la Storia alla sua maniera, Clooney si limita a raccontare la vicenda in maniera professionale quanto piatta, come un professorino liceale. Il suo film ci regala anche un paio di bei momenti, ma nel complesso è parecchio moscio e dimenticabile. Una nota di demerito la merita poi la scena finale, così smielata che farebbe venire un attacco di diabete a Winnie the Pooh.
George, così non si fa, nemmeno Spielberg avrebbe osato tanto.
(voto 5,5/10)

lunedì 31 marzo 2014

STORIA DI UNA LADRA DI LIBRI E DI UN LADRO DI FILM




Storia di una ladra di libri
(USA, Germania 2013)
Titolo originale: The Book Thief
Regia: Brian Percival
Sceneggiatura: Michael Petroni
Tratto dal romanzo: La bambina che salvava i libri di Markus Zusak
Cast: Sophie Nélisse, Geoffrey Rush, Emily Watson, Nico Liersch, Oliver Stotowski, Julian Lehmann
Genere: letterario
Se ti piace guarda anche: La chiave di Sara, Schindler’s List, La vita è bella

"Non c'è nessun volume di Cannibal Kid? Che razza di libreria è mai questa?"
Storia di una ladra di libri è la storia di una ladra di libri.
Nooooo, ma va? Quante cose sorprendenti si scoprono ogni giorno su Pensieri Cannibali.
Un’altra cosa che forse non sapevate già è che nessuno vive per sempre. A parte i vampiri. Prima o poi, tutti moriamo. È così che inizia questo film, con la morte in persona che ci rivela questa eterna verità. Sì, è un inizio all’insegna dell’allegria. Chi è diceva sempre: “Allegria!”?
Mike Bongiorno, e Mike Bongiorno è morto.
Vedete? Il film ha ragione. Tutti muoiono. Persino Mike Bongiorno.
Se l’attacco non è dei più felici, è perché comunque questo è un film ambientato nella Germania nazista ai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Volevate che fosse una pellicola allegra? Non so, volevate per caso chiamarla La vita è bella?
A questo punto vi potete già figurare di fronte ai vostri occhi uno di quei melodrammoni stracciapalle strappalacrime. In parte è così e in parte invece è un film che non è nemmeno così deprimente. Per essere una storia raccontata dal punto di vista della morte ambientata durante la World War II, è un film parecchio vitale.
A quest’altro punto potrete accusare la pellicola di essere troppo leggera, troppo edulcorata, troppo fiabesca. Gli orrori della guerra vengono mostrati in maniera indiretta, di sfuggita, non ci si sofferma troppo su sangue, violenza e distruzione. La morte è sempre lì, con il fiato dietro al collo dei personaggi, e nonostante questo riesce a non essere una visione troppo angosciante.

"Mi sa che era meglio se non gli leggevo l'intera saga di Twilight.
Gli ho dato il colpo di grazia, a 'sto poveretto."
Storia di una ladra di libri è la storia di una ladra di libri, dicevo nella sconvolgente rivelazione di inizio post. Più nello specifico Liesel è una ragazzetta di 10 anni che viene separata dalla madre comunista dal perfido Berlusconi Hitler. Liesel, interpretata dalla giovanissima attrice canadese Sophie Nélisse già vista in Monsieur Lazhar, viene così data in adozione a una coppia formata da un padre bonaccione (Geoffrey Rush) e da una rigida madre nazi (Emily Watson), che però poi in fondo rivelerà di avere un cuore d’oro, come capita con tutti i cattivoni. A parte Berluscon… volevo dire Hitler.
All’inizio, la piccola Liesel avrà vita dura, poi diventerà popolare e andrà alle feste e, dopo essersi fatta desiderare a lungo, perderà la verginità. Ah no, scusate. Questa è la storia di una qualunque serie trasmessa dal network americano The CW.
La piccola Liesel avrà invece una vita dura, circondata dai nazisti, ma in cui oltre ai genitori adottivi troverà un paio di persone cui appoggiarsi per trovare un raggio di sole in un periodo storico nero come la pece, rosso come la bandiera nazista, marrone come la merda. La prima persona è Rudy, un ragazzino dai capelli gialli come il limone con cui farà amicizia e con cui no, non perderà la verginità perché questa non è una serie The CW e la protagonista è ancora troppo giovane. La seconda persona è Max, un giovane ebreo che viene ospitato dal padre a casa loro. Più che ospitato, viene nascosto dall’occhio delle forze del male, quindi dall’occhio di Sauron… pardon continuo a sbagliare, volevo dire l’occhio di Hitler.

"Un libro di Moccia tra le fiamme? Ma che ingiustizia!
Che ingiustizia che non sia ancora bruciato."
Una classica storia sui drammi della Seconda Guerra Mondiale, da qualche parte tra Il diario di Anna Frank e Schindler’s List, insomma, con l’aggiunta di qualche eco alla Fahrenheit 451. Niente di nuovo, se non per la scelta del narratore che, come detto, è Mr. Simpatia, ovvero la Morte. Se un minimo di originalità la possiede e, considerando quanto il tema sia stato inflazionato, è cosa non da poco, a preoccupare è soprattutto un’altra cosa: riuscirà il film a non essere troppo stucchevole, patetico, tutto buoni sentimenti?
Eh, insomma. La missione non si può definire riuscita del tutto, anche perché probabilmente non era tra gli obiettivi della pellicola. Nonostante alcuni passaggi siano un pochino telefonati e altri tendano a ricercare in maniera forzata il coinvolgimento del pubblico, la Storia di una ladra di libri non esagera con i momenti ruffiani, quelli presenti tutto sommato non infastidiscono più di tanto e, anzi, vanno a segno. Il mio cuoricino freddo in almeno un paio di passaggi è stato scalfito dal calore di questa pellicola e poi la scena con i ragazzini protagonisti che gridano “Hitler è una testa di cazzo!” vale da sola il prezzo del biglietto che non ho pagato, perché io sono un ladro di film.

Nonostante in alcuni punti emozioni, Storia di una ladra di libri purtroppo pecca di una regia di tale Brian Percival troppo anonima, piatta, priva di personalità, un tempo si sarebbe definita “televisiva”, non fosse che adesso la qualità delle produzioni seriali spesso fa apparire semmai il termine “cinematografico” come dispregiativo. Se a livello di spettacolo visivo non è niente di che, per una volta ci possiamo accontentare di una storia che, per quanto non del tutto sconvolgente, è una bella storia. Se fosse raccontata in un libro, lo ruberei.

Ah, come? Dite che il film è tratto dal romanzo La bambina che salvava i libri di Markus Zusak?
E allora vado a rubarl… volevo dire a leggerlo.
(voto 6,5/10)

giovedì 27 febbraio 2014

LONE SURVIVOR – NE RESTERÀ SOLTANTO UNO




Lone Survivor
(USA 2013)
Regia: Peter Berg
Sceneggiatura: Peter Berg
Ispirato al libro: Lone Survivor: The Eyewitness Account of Operation Redwing and the Lost Heroes of Seal Team 10 di Marcus Luttrell, Patrick Robinson
Cast: Mark Wahlberg, Taylor Kitsch, Emile Hirsch, Ben Foster, Eric Bana, Alexander Ludwig, Jerry Ferrara, Yousuf Azami, Ali Suliman, Rick Vargas
Genere: bellico
Se ti piace guarda anche: Captain Phillips, Zero Dark Thirty, Friday Night Lights

Avete visto Zero Dark Thirty?
No?
Risposta sbagliata. Questa non era una domanda in cui tutte le risposte vanno bene. No è la risposta sbagliata, quindi correte subito a vederlo.

L’avete visto adesso?
Bravi. Cosa c’entra Lone Survivor con Zero Dark Thirty?
A livello cinematografico non molto. Zero Dark Thirty è un quasi capolavoro, Lone Survivor è un film quasi decente. A livello di tematica hanno però qualcosa in comune. Il filmissimo di Kathryn Bigelow si concentrava soprattutto sull’ossessione di una donna nei confronti di un uomo. Non si trattava però né di una romcom, né della pellicola su una stalker psicopatica. L’uomo a cui dava la caccia era infatti un certo bin Laden.
Ma uno più bello cui dare la caccia no, eh?” si chiederà qualcuno a questo punto.
La parte finale di Zero Dark Thirty comunque era incentrata sulla missione compiuta dai Navy SEALs per stanarlo e catturarlo.
Lone Survivor è su questi ultimi che si concentra. Non ci racconta della stessa missione, ma ce ne presenta un’altra, avvenuta qualche anno prima, più precisamente nel 2005. Una vicenda veramente accaduta raccontata in un libro diventato ora una pellicola cinematografica, tra l’altro di grande successo negli USA dove ha sfondato il muro dei $100 milioni di incasso, traguardo niente male per un film bellico.

Se in Zero Dark Thirty la protagonista era Jessica Chastain, esticazzi, qui in Love Survivor la storia è incentrata sui Navy SEALs, buuu. Nella prima mezz’ora, la parte migliore della pellicola, assistiamo a un interessante spaccato della loro esperienza nell’esercito, con qualche lampo riguardante la loro vita privata che ci consente di avvicinarci un pochino a loro. Una cosa che in altri recenti film survival, perché pur sempre di questo alla fin fine fondamentalmente si tratta, come All Is Lost e Gravity non avviene. Un aspetto positivo che metterei di certo tra i punti, purtroppo non molti, a favore del film.

"SOS! Sullo smart phone non mi funzionano più le app.
Potete fare subito qualcosa che devo finire una partita a Quiz Duello?"
La parte iniziale è quindi promossa, anche perché fin dal primo istante si sente il tocco del regista Peter Berg.
Chi è Peter Berg?
È quello di Friday Night Lights, pellicola sul football americano di una decina d’anni fa diventata anche una omonima fortunata, almeno negli USA, serie tv di cui dalle parti di Pensieri Cannibali si è parlato sempre bene. I primi minuti fanno ben sperare, grazie alle musiche post-rock degli Explosions in the Sky e a dialoghi e atmosfere delicate che paiono dirigerci nella visione di una specie di versione bellica dello stesso Friday Night Lights, con i mitra al posto dei palloni ovali. Pure in questo caso, così come nella serie tv, si riesce ad andare oltre i classici stereotipi da cameratismo militaresco per provare a proporci un’immagine un pochino diversa dal solito dei soldati: dei ragazzi che vanno ai concerti dei Coldplay, ballano sulle note di Jamiroquai e a tavola disquisiscono amabilmente di carta da parati e arredamento. Verosimile o meno che ciò sia, non è la tipica rappresentazione di militari che si limitano a ruttare, scoreggiare, masturbarsi e ascoltare i Metallica. Quando si va oltre gli stereotipi, è sempre un bene.

Bene, bravo Peter Berg. Se il film si fermasse dopo mezz’ora, ci troveremmo di fronte finalmente a una pellicola bellica recente decente e originale. Poi però Peter Berg si ricorda di essere non solo l’autore di Friday Night Lights, ma anche il regista di Battleship e così Lone Survivor si trasforma nell’ora successiva in un filmone fracassone che spettacolarizza la guerra.
Io non ho niente contro la spettacolarizzazione della violenza. Il mio regista preferito è un certo Quentin Tarantino, ormai dovreste saperlo. Laddove però la sua è una violenza esagerata e fumettistica, persino quando si muove in contesti storici come quelli di Bastardi senza gloria e Django Unchained, qui ci troviamo in una pellicola tratta da una storia vera e che punta a un certo realismo di fondo. In un contesto del genere, certe scene spettacolarizzate non le ho davvero capite, come la tragicomica e insistita caduta da un dirupo, che mi ha ricordato quando Homer Simpson saltava la Gola di Springfield e cadeva rovinosamente. In quel caso l’effetto era comico, qua si rimane soltanto senza parole. Stesso discorso per la scena della morte di uno dei personaggi del film. Perché mostarcela in un modo così esagerato e con un tatto quasi degno di Vittorio Feltri? Bah.

"Forse la mattina appena sveglio dovrei prendere l'abitudine di lavarmi la faccia..."
Dopo Battleshit, ehm Battleship, Peter Berg si conferma allora come un Michael Bay intimista. Ha buone intuizioni, ci regala qualche momento niente male, ma poi finisce nella trappola del cinema-spettacolo ammericano più facile. Non stupisce che il pubblico yankee abbia apprezzato tanto la pellicola. Laddove come film giocattolo funziona ancora, se non altro più di un altro survival-realistico analogo come il soporifero Captain Phillips, a mancare alla visione è un minimo di profondità.
Il film non cerca di impelagarsi in implicazioni politiche. Questo da una parte è un bene, perché se non altro non scade nella propaganda pro-Bush che sarebbe apparsa discutibile già nel 2005, figuriamoci oggi. Dall’altra parte, non proponendo alcuna visione politica, Lone Survivor resta un action fine a se stesso. Una celebrazione dell’eroismo da parte di un gruppo di ragazzi, di uomini pronti a dare la loro vita, ma non si sa bene per quale motivo.

ATTENZIONE SPOILER
I titoli di coda che ci mostrano i veri soldati che sono morti durante l’operazione rappresentata nel film vorrebbero essere emozionanti, e immagino che per una parte del pubblico lo siano anche, ma a me sono sembrati una ruffianata degna di Studio Aperto. Del tutto fuori luogo poi le note di “Heroes” di David Bowie, qui proposta nella cover di Peter Gabriel. Che fossero uomini coraggiosi non lo metto in dubbio, ma eroi? Per quale motivo? Perché hanno combattuto per George W. Bush?

George W. Bush con Marcus Luttrell, interpretato nel film da Mark Wahlberg

Al di là di un discorso di tipo moralistico, sì oggi mi sento molto moralizzatore delle Iene, da un punto di vista cinematografico Lone Survivor è una pellicola troppo lunga, incerta se proporre una visione umanista oppure fracassona della guerra, con una serie di interpretazioni non molto memorabili da parte del solito poco efficace Mark Wahlberg e dei questa volta parecchio sottotono Ben Foster ed Emile Hirsch. Quello più in parte sembra Taylor Kitsch, cocco di Peter Berg che non è mai stato un mostro di recitazione. E il fatto che il migliore sia lui la dice lunga sull’impegno da parte degli altri…

Lone Survivor è allora la classica occasione sprecata. Non partivo con grosse aspettative ma la prima mezz’ora, dannato Peter Berg, era accattivante e promettente e mi aveva fatto ben sperare, peccato che poi il film diventi la solita americanata. E allora vai, anche questo post adesso si trasforma in un’americanata!

Dai, tutti con la mano sul cuore a cantare:

Oh, say can you see by the dawn's early light
What so proudly we hailed at the twilight's last gleaming?
Whose broad stripes and bright stars thru the perilous fight,
O'er the ramparts we watched were so gallantly streaming?
And the rocket's red glare, the bombs bursting in air,
Gave proof through the night that our flag was still there.
Oh, say does that star-spangled banner yet wave
O'er the land of the free and the home of the brave?
(voto 5,5/10)

domenica 16 febbraio 2014

HOW I LIVE NOW E LO SDOGANAMENTO DEL SESSO TRA PARENTI




How I Live Now
(UK 2013)
Regia: Kevin Macdonald
Sceneggiatura: Jeremy Brock, Tony Grisoni, Penelope Skinner, Jack Thorne
Tratto dal romanzo: Come vivo ora di Meg Rosoff
Cast: Saoirse Ronan, George McKay, Tom Holland, Anna Chancellor, Harley Bird, Danny McEvoy
Genere: incestuoso
Se ti piace guarda anche: Il domani che verrà – The Tomorrow Series, Hunger Games, The Spectacular Now

How I Live Now parte come un classico teen movie. Evvai, il bimbominkia che è in me sta già esultando!
Saoirse Ronan, ah la splendida piccola grande Saoirse Ronan, è un’americana che se ne va in Inghilterra, spedita dal padre a passare l’estate insieme ai cuginetti che non ha mai visto prima. Ci aspetta una classica pellicola in cui la fanciulletta, una tipa ganza troooppo dark e troooppo scontrosa, vivrà l’estate della sua vita, tra primi bacini e primi pompini?
Sì, in parte sì. Nella prima parte Saoirse Ronan poco a poco entra in confidenza con i cuginetti più piccoli e si fa il più grande…
Ma cos’è ‘sta moda che tra cugini si fanno tutti come se niente fosse, in questo film così come ne I segreti di Osage County e The Wolf of Wall Street (grande Jonah Hill!)?
A quanto pare, il cinema sta sdoganando alla grande l’antica tradizione delle ciulate in allegria tra parenti. Un altro tabù che cade. Il mondo di oggi fa sempre più progressi. Oppure era forse meglio se questo tabù rimaneva?
Nah, non facciamo tanto i bacchettoni e facciamoci anche noi le cugine che è la tendenza dell’anno! Vorrete mica essere sorpassati e fuori moda?

"Che fai, cugino, mi baci?"
"Sì, e non solo..."
La prima parte di How I Live Now è quindi una storiella di formazione mista a una storiella romantica, più o meno discutibile. Eppure c’è qualcosa che non va. Qua e là emerge un senso di pericolo, la sensazione che nel mondo intorno sta succedendo qualcosa d’importante. Qualcosa di grave. Roba tipo governi che vengono messi in piedi senza che nessuno li abbia votati, o anche peggio. Mentre questi ragazzi trombano come conigli tra cugini, là fuori scoppia la Terza Guerra Mondiale o qualcosa del genere. L’Inghilterra è in guerra, Londra è stata bombardata e la situazione comincia a farsi drammatica anche nei paesini di campagna, persino dove Saoirse Ronan sta insieme ai suoi cuginetti trottolini amorosi e dudu dadadà. È qui che la pellicola si trasforma in un film bellico dai contorni post-apocalittici!
Mizzega, e chi se l’aspettava?
Oddio, chi ha già visto il non troppo esaltante film australiano The Tomorrow Series - Il domani che verrà, molto simile a questo, qualcosa del genere poteva anche attendersela.

"Cioè raga, mi sparo Emma Marrone a tutto volume. Sono troppo alternativa!"
Nonostante questa svolta drammatica, i toni lievi e delicati della prima parte non svaniscono del tutto. How I Live Now non ci scaraventa in mezzo agli orrori della guerra. Ce li fa vivere in maniera piuttosto distante, senza mostrarci troppo. Non ci vengono nemmeno spiegati i motivi del conflitto e non ci sono riferimenti politici. La scelta precisa delle pellicola, tratta dal romanzo Come vivo ora di Meg Rosoff, è quella di presentarci la guerra da un punto di vista infantile/adolescenziale, come qualcosa che gli adulti combattono senza ragione alcuna. Una scelta in parte apprezzabile, non fosse che così il film taglia via un sacco di aspetti che sarebbero potuti essere interessanti. La guerra non ha senso, okay, ma poi che altro vuole dirci questo film?
Il suo messaggio fondamentale, e un pochetto moralistico, è che un evento tragico come la guerra può cambiare del tutto la prospettiva di una persona. Una ragazza superficiale che un tempo si preoccupava di cose come la dieta e il conteggio delle calorie, dopo la guerra capisce che quelle cose non erano poi così fondamentali. E vabbè, grazie, te credo. Però cos’altro c’è, qui dentro?

"Pare che non tutti vedano molto bene il sesso tra parenti..."
"Aaah, in che terribile mondo di bigotti viviamo!"
A parte un’altra valida prova recitativa di Saoirse Ronan, comunque lontana dai vertici raggiunti in Espiazione, Hanna e Amabili resti, davvero poco. I dialoghi sono scarni, per essere gentili e non dire scarsi. I personaggi sono dipinti solo in superficie, così come l’amore che sboccia tra i due protagonisti. Chiudendo un occhio sul fatto che sono cugini, Saoirse Ronan e tale George McKay si amano tanto, ma perché si amano così tanto?
Boh, non si capisce. La fase del corteggiamento viene saltata e i due passano direttamente a ciulare, cosa che va anche bene, solo attenti che se non usate precauzioni poi vi nascono dei figli con dei problemi.
Il regista Kevin Macdonald, quello de L’ultimo re di Scozia, cerca di movimentare un po’ la situazione con un montaggio veloce e l’inserimento di qualche scena visionaria, ma non basta. La situazione, nonostante le bombe alla televisione, malgrado le mine, come cantavano i Baustelle, resta sempre soporifera. Il film è sempre lì lì sul punto di decollare, peccato che ciò non accade mai e si arriva a un finale che non vi spoilero, ma che a me è sembrato scontato, buonino buonista e parecchio deludente.
Un po’ come tutta la pellicola, da cui mi aspettavo parecchio di più, per via della presenza della mia idola Saoirse Ronan e per via di una colonna sonora realizzata dall’ottimo compositore e artista elettronico Jon Hopkins, che ha firmato anche lo splendido pezzo “Garden’s Heart” con Natasha Khan alias Bat for Lashes. Un brano che è l’unica cosa che rimane mentre scorrono i titoli di coda di un film che, per il resto, non resta certo impresso. Un film che poteva essere grande e invece ha scelto di essere piccolo.
(voto 5,5/10)



Per ritrovare di nuovo Saoirse al top comunque non dovremo aspettare a lungo. Tra poco la vedremo in The Grand Budapest Hotel di Wes Anderson, che ieri si è aggiudicato il Gran Premio della Giuria al Festival di Berlino, mentre l'Orso d'Oro è andato al cinese Bai ri yan huo (Black Coal Thin Ice) di Diao Yinan.

giovedì 7 giugno 2012

Batt*na navale

Battleship
(USA 2012)
Regia: Peter Berg
Cast: Taylor Kitsch, Brooklyn Decker, Alexander Skarsgård, Rihanna, Jesse Plemons, Tadanobu Asano, Liam Neeson, Hamish Linklater, Adam Godley, Louis Lombardi, Stephen Bishop
Genere: fanta-naval-bellico
Se ti piace guarda anche: Armageddon, Transformers, 2012, Top Gun, Independence Day, Pearl Harbor


"Ho bisogno di rinforzi! A Rihanna uno solo non basta..."
E così hanno fatto un film tratto da Battaglia navale.
Cosa? Un adattamento cinematografico di Battaglia navale???
Battaglia navale, quella roba a cui giocavamo tutti, almeno noi figli degeneri degli anni ’80, ma penso ci giocassero anche prima. Non so se oggi ci giochino ancora. Adesso non ho intenzione di dire: “Ah, bei tempi, quelli in cui c’erano giochi come battaglia navale”, perché era un gioco abbastanza di merda, diciamolo. Molto meglio le diavolerie tecnologiche di oggi.
Il prossimo passo comunque quale sarà? Una pellicola su rubamazzetto? Sullo scopone scientifico l’hanno già fatto, con Alberto Sordi, ma a quando un remake americano? Qualche anno fa avevo sentito persino di un progetto cinematografico dal Monopoli cui starebbe lavorando Ridley Scott. Ma spero di averlo solo immaginato.
E l’impiccato?
Da quel gioco, sì che ne uscirebbe un bel film horror. Cazzo, quasi quasi la scrivo io una sceneggiatura basata sull’impiccato. Ne potrebbe uscire fuori una discreta porcheria commerciale. Hollywood, arrivo!

"Buonasera... sempre pronto a sacrificarmi per la patria!"
Parlare di “adattamento cinematografico” qui è peraltro esagerato. Questo Battleship non è cinema. Non può essere considerato cinema. È un giocattolone. Come tutti i giocattoli, il suo unico scopo è quello di intrattenere e, possibilmente, divertire. Obiettivo riuscito solo in parte. La prima parte, la prima mezz’ora, da questo punto di vista è ottima. Vabbè, decente più che ottima. Ha una buona dose di umorismo e introduce per bene i personaggi, seppure siano ovviamente molto stereotipati: il protagonista cazzaro che non sa cosa combinare nella vita opposto al fratello militare rigido e precisino. Per metterlo in riga dopo l’ennesima bravata, il soldatino lo fa arruolare in marina insieme a lui e, nel giro di appena pochi mesi, misteriosamente diventerà uno dei sottoufficiali più importanti del corpo della marina americano. Misteri del cinema (e forse anche della marina) americani, visto che in Italia per raggiungere un simile livello di potere devi avere almeno 60 anni. Di esperienza, non di età.

"Rihanna, vuoi che partecipi anch'io alla tua personale battaglia anale navale?
Oltre alla storia dell’arruolamento, il protagonista Taylor Kitsch, già visto nel memorabile telefilm Friday Night Lights e nel dimenticabile film John Carter, si innamora. Ma non di una tipa qualunque. Di una delle più grandi fighe mai viste su grande schermo (e non solo) dai tempi di Megan Fox in Transformers, ovvero Brooklyn Decker. Per gli amici, anche Poppe di Brooklyn. Giusto per fare un po’ di vera cul-tura, vi informo che è una modella divenuta famosa grazie alle sue “apparizioni” (è proprio il caso di usare questa parola) su Sports Illustrated, mentre nel cinema aveva esordito con l’orrido Mia moglie per finta. Se già lì il suo body si ergeva a unica cosa decente del film, in Battleship buca davvero lo schermo. Come attrice non sarà fenomenale, però è fin da ora una seria candidata all’Oscar di Miglior Corpo cinematografico dell’anno.
Ma se lei è la Dea del film, la Battona navale cui è dedicato il titolo del post è un’altra.


Rihanna, chi se non lei?
Rihanna è talmente una battona navale, che non ce la fa a non fare la zoccola nemmeno in presenza di quello stoccafisso di Chris Martin dei Coldplay.


Rihannal che qui è al vero e proprio esordio cinematografico. A lei a sorpresa è stato dato il ruolo non della ninfomane, che avrebbe interpretato benissimo, bensì di personaggio simpatico del film. Non sorprende quindi se la pellicola, dopo una prima parte in grado di strappare più di un sorriso, quando affida a lei i momenti divertenti non è che faccia proprio morire dal ridere. Sentirla dire: “Mahalo, stro**o!” prima di uccidere un alieno, infatti più che ridere fa piangere.


"Recitare? What is recitare???"
Non so voi, ma io comunque con una Rihanna che mi protegge il culo da una minaccia aliena, mi sento un po’ più sicuro. Per aiutare le popolazioni terremotate, ad esempio, un po’ di Rihanna non farebbe male. Un qualche modo per tornare utile, credo si riesca a trovarglielo.

Tornando dalla battona navale alla battaglia navale, è qui che arrivano le note dolenti del film. Se la parte introduttiva della pellicola funziona bene, tra gag più o meno comiche e qualche risvolto romantico alla Michael Bay di Armageddon, dopo la prima mezzoretta arrivano gli alieni e il film diventa una guerra intergalattica fracassona e noiosa. In perfetto stile Michael Bay di Transformers.
Comunque la si veda, il riferimento cinematografico (?) massimo del film è Michael Bay.
Ci sarebbe anche un filo di Top Gun, soprattutto all’inizio, peccato che la parte dedicata all’addestramento del protagonista, che sarebbe potuta essere la più interessante e divertente, sia saltata a piè pari e si ritrovi  il ragazzo già bell’e che pronto a guerreggiar in mezzo al mar.
(non prima di aver tirato durante una partita di calcio un rigore alle stelle che manco il Baresi di USA '94!)


"Siamo i Daft Punk. Siam venuti sulla Terra per liberarvi dalla musica di Rihanna."
Peccato, perché il regista Peter Berg è l’autore di Friday Night Lights, serie davvero interessante e originale, mentre qui non osa niente e sembra essersi limitato giusto a svolgere il compitino per fare una pellicola spettacolare e commerciale il giusto. Obiettivo agganciato sulla griglia della battaglia navale solo in parte, visto che negli USA si sta rivelando un floppone notevole mentre nel resto del mondo è ancora andato benino.
Da Friday Night Lights, oltre al protagonista Taylor Kitsch qui con un taglio di capelli corto da bravo aspirante novello Tom Cruise, Peter Berg si è portato appresso anche il rosso Jesse Plemons, vero spirito umoristico del film (altroché Rihanna), nonché idolo incontrastato della pellicola. Nel cast figurano poi Alexander Skarsgård, tanto per far bilanciare il rapporto fighi-fighe all’interno del film in maniera equilibrata, e Liam Neeson che di solito non sopporto ma che qui nella parte del marine scorbutico e odioso calza a pennello.
"Ma fo**etevi, Daft Punk alieni!"

La cosa che riesce a tenere un po’ vivo l’interesse nei confronti del film, oltre alla Brooklyn Decker che se ne va a spasso in un’ambientazione hawaiiana ma più che altro lostiana, è la commistione di generi.
Fondamentalmente, è una pellicola bellica, visto che le estenuanti scene di guerra occupano un numero esagerato di minuti. Però è anche una storia catastrofica, di cui in questi giorni tra l’altro faremmo pure volentieri a meno. Ed ha anche un minimo di componente fantascientifica, visto che la minaccia arriva dallo spazio, da dei misteriosi alieni la cui psicologia non è manco minimamente spiegata. Sono arrivati qui con dei caschi alla Daft Punk, vogliono distruggerci e gli umani, o meglio gli americani (con un piccolo aiuto cinese, perché oggi la Cina è diventata un mercato cinematograficamente importante) salvano il mondo.

ATTENZIONE SPOILER
Per la precisione è Rihanna che sparando un missile ci salva tutti.
E che Rihanna con un pistolone per le mani ci sapesse fare, credo nessuno avesse il minimo dubbio.


Non fosse stato ispirato a Battaglia navale e non ci fossero un’ora e mezza di noiose battaglie navali di troppo, sarebbe anche stato un discreto intrattenimento action. Così com’è uscito, invece, è un giocattolone di quelli che ti divertono per qualche minuto, ma che dopo poco hai già dimenticato in fondo all’armadio, seppellito da nuovi e più esaltanti games. Fino a che non ti decidi a buttarlo via.
Sorry, Battleshit: colpito e affondato.
(voto 5,5/10)

lunedì 20 febbraio 2012

War Horse: non aprite quel cavallo

"Sono un tipo all'antica, io: quindi niente
sesso selvaggio equino fino a dopo il matrimonio, ok?"
Terminata l’atroce settimana sanremese, inizia la Oscar Week. Una settimana di programmazione speciale per Pensieri Cannibali, con alcuni recensioni dei film in corsa per l’ambita stutuetta, una speciale Blog War, pronostici, toto-awards e altro…
Apriamo però la settimana in bruttezza, tanto per dare un segno di continuità con l’ultimo Festival di Sanremo, con il peggio film candidato agli Oscar 2012: War Horse, of course...

Se c’è una cosa che non sopporto è chi sfrutta i bambini o gli animali per far provare compassione. Capisco usarli per rimorchiare qualche MILF al parco, però al cinema non si fa.
Steven Spielberg è era uno specialista nei film con protagonisti bambini. Cosa che non significa che facesse film infantili. Sa Sapeva fare pellicole ad altezza di bimbo (odio questa espressione, però rende l’idea) come il suo sommo capolavoro E.T., ma allo stesso tempo sapeva farlo senza parlare ai bambini come se fossero dei ritardati mentali. Per questo, non credo che il vecchio Spielberg abbia mai sfruttato i bambini, ma li abbia usati per raggiungere livelli cinematografici notevoli. E lo dice uno che ha apprezzato anche suoi film che hanno diviso parecchio la critica come A.I. con Haley Joel Osment e La guerra dei mondi con Dakota Fanning.
Ben diverso il discorso per quanto riguarda gli animali, dove lo Spielberg con War Horse raggiunge livelli persino peggiori di questi…


War Horse
(USA 2011)
Regia: Steven Spielberg
Cast: Cavallo Joey, Jeremy Irvine, Peter Mullan, Emily Watson, David Thewlis, Niels Arestrup, Tom Hiddleston, Benedict Cumberbatch, Celine Buckens, Toby Kebbell, Eddie Marsan, David Kross, Matt Milne, Robert Emms
Genere: equino
Se ti piace guarda anche: Babe, Free Willy, Furia cavallo del West, Luck, Seabiscuit, L’uomo che sussurrava ai cavalli, Mio Mini Pony

Un film su un cavallo?
Già mi sento male. Ancora mi devo riprendere dall’idea malsana di ambientare un’intera serie (Luck con Dustin Hoffman) nel mondo delle corse dei cavalli, ma ecco che dopo Seabiscuit, Furia cavallo del West, Black Stallion e Il ritorno di Black Stallion, pure Steven Spielberg, uno che ormai non sa più davvero cosa inventarsi per passare il tempo e fare soldi, si mette in sella e decide di diventare l’uomo che sussurrava ai cavalli.
Attenzione però, perché qui ci troviamo di fronte non a un cavallo da trotto, ma a un cavallo da tro…ia?!
Oops. No, scusate. Ho sbagliato traduzione. Pensavo che il titolo del film fosse Whore Horse.
Un cavallo da guerra, quindi, nientepopodimenoche un cavallo da guerra. Mizzega, ma dove le trovi certe idee, Steven, nel Dixan?
Ok, questa battuta è davvero vecchia. Quasi quanto il cinema di Spielberg e i monologhi di Celentano.

L'amore tra il cavallo Joey e l'attore Jeremy Irvine è proseguito anche
all'infuori del set... Ormai sono una delle coppie più invidiate di Hollywood.
Avete presente la commedia In & Out?
All’inizio, quando fanno vedere i filmati-parodia dei classici film da Oscar?
Ecco, War Horse utilizza dall’inizio alla fine tutti quegli espedienti enfatici tipici del classico film da Oscar. E io già al primo minuto mi son frantumato le palle, tanto per dirla in maniera delicata, con tutte queste riprese dall’alto di paesaggi immensi che tanto piacciono allo SfigSpielberg.
Al peggio però non c’è mai fine. Anzi, non siamo che all’inizio!
Subito dopo si passa al primo piano toccante (?) di un ragazzino che invece di stare a guardare dallo spioncino la Edwige Fenech o la Lory Del Santo di turno che fanno la doccia come in un film con Lino Banfi, è lì che si tocca mentre guarda un cavallo. Pervertito d’un pervertito!
Il culmine dell’amore interspecie si raggiunge però solo dopo, con uno scambio di sguardi ultra romantico tra il ragazzetto e il cavallo. E prendetevi una camera! O ancora meglio: prendetevi una stalla.

Steven, starai mica per addentrarti in un nuovo genere che mai hai esplorato fino a ora: quello del porno uomo/cavallo? Già Cicciolina ci aveva provato con discreti risultati, ma da te non me l’aspettavo.
Grande Spielberg che ancora mi sai sorprendere. Certo, se facevi un E.T. 2 ero più contento, per quanto io odi i sequel, ma invece hai lasciato il compito al tuo nuovo figlioletto J.J. Abrams con il suo riuscito Super 8. E tu sei finito a fare i porno con gli animali, che pure alla Ilona Staller riuscivano un po’ meglio. Ebbravo il vecchio sporcaccione!


Ma cos'ha di speciale questo cavallo che è più conteso di Bella in Twilight?
La storia d’amicizia (o dovremmo dire d’amore??) tra il ragazzo e il cavallo per quanto è troppo ruffiana per essere vera e i dialoghi (o meglio monologhi, ovviamente) tra i due sono una roba talmente fastidiosa che si finisce per invidiare Gesù Cristo quando è finito in croce.
Ma Joey, il cavallo protagonista, oltre che l’oggetto dell’interesse sentimentale di turno, è anche l’eroe della vicenda. La fattoria e l’intera famiglia del ragazzo sono infatti messe nelle mani, o meglio negli zoccoli, di questo cavallo inespressivo che dovrebbe imparare ad arare la terra, altrimenti so’ cazzi.
A completare il quadro da lacrima facile ci mettiamo dentro pure un padre alcolizzato. Cos’altro manca per rendere il tutto ancora più toccante ed epico? Ma la guerra, naturalmente.
Il film è ambientato durante la Prima Guerra Mondiale, ovvero la versione noiosa della Seconda Guerra Mondiale, senza scene con eroine tarantiniane che danno fuoco ad Alemanno, pardon ai nazisti.

Il cavallo Joey in un'espressione felice
L’idea geniale (chiamiamola così) del film è quella di seguire non le vicende dei personaggi umani, bensì di seguire le avventure e disavventure del cavallo Joey attraverso tutti i suoi passaggi di padrone in padrone. Quindi dal ragazzino piagnone si passa al soldato che lo usa in guerra, poi passa ai tedeschi (che non erano tanto stereotipati nemmeno in Sturmtruppen) e quindi a una ragazzina francese che vive in una cascina insieme al nonno, in un quadro che più strappalacrime non si potrebbe immaginare: la tipa in seguito a un incidente infatti non può più cavalcare. Siete già in lacrime? Riuscite a pensare a qualcosa di più patetico di questo?
Quindi c’è qualche altro passaggio di proprietà che non ricordo, fino al finale che non vi rivelo, ma tanto se siete un attimo svegli già lo sapete come va a finire.
Eddai, che lo sapete…
ATTENZIONE SPOILER
Il primo proprietario, il ragazzino ormai cresciuto, corona finalmente il suo sogno d’amore insieme al suo ritrovato cavallo, i due si sposano e hanno tanti bei bambini interspecie, dei Centauri metà uomo e metà cavallo. Belli di mamma.
Il film non va a finire proprio in questo modo? Nella mia testa sì.

Il cavallo Joey in un'espressione triste
L’unica nota positiva sarebbe il cast di umani, che si comporta anche decentemente. Il problema è però che il film non è tanto su di loro, ma è tutto incentrato sul cavallo Joey. È lui il protagonista assoluto.
Avete presente quei film in cui gli animali recitano ai livelli o persino meglio degli animali?
Avete ancora fresco il ricordo dei cani divi di The Artist e Beginners?
Perfetto, non è questo il caso. Per niente. Perciò, caro Spielberg, almeno i primi piani sul cavallo ce li potevi risparmiare, visto che è del tutto inespressivo. È un po’ lo Steven Seagal dei cavalli! Anzi è la Elisabetta Cavallis dei cavallis.

Quanto al resto della confezione del film, tutto appare finto e stucchevole.
L’odore della guerra non si sente mai. Qui sembra che stiamo dentro un (brutto) film della Disney. Ogni cosa è in ordine, precisa e pulita. Praticamente tutti i soldati sono buoni e amorevoli nei confronti degli animali e pure dei nemici. La guerra non dovrebbe essere sporca, cattiva, violenta? Non esistono i cattivi?

Il cavallo Joey in un'espressione arrabbiata
Parentesi colonna sonora.
Il fatto che le scontatissime musiche composte da un imbolsito John Williams, ma più che composte ripescate a caso da uno qualunque dei suoi vecchi lavori, siano state preferite tra le nomination delle migliori soundtrack a quelle spettacolari dei Chemical Brothers per Hanna o a quelle di Alex Turner degli Arctic Moneys per Submarine la dice lunga sull’età media dei membri dell’Academy Awards. Roba che al confronto persino Sanremo fa la figura dello spettacolo innovatore. O quasi.
E a proposito di Chemical Brothers e cavalli, beccatevi la loro spettacolare Horse Power, con cui almeno ci rifacciamo un po’ le orecchie, alla facciazza di quei babbioni dell’Academy e dell’Ariston…


Tanto per non farsi mancare nulla, nel film c’è pure un dialogo tra due soldatini tedeschi offensivo nei confronti delle donne italiane. Così, totalmente gratuito:

“Il cibo in Italia è ottimo.”
“E le donne?”
“Non buone come il cibo.”
“Perché... hanno mangiato troppo?”

Tra i numerosi momenti scult, scultissimi del War Horse spielberghiano, segnalo poi la scena della fugona del cavallo dal campo di guerra, talmente esagerata e inverosimile che manco in un film con Will Smith s’era mai visto osare tanto.
Il limite massimo dell’inverosimile e del patetico si tocca però nel momento in cui un soldato inglese e uno tedesco depongono le armi e uniscono le forze per salvare il povero piccolo mini Pony rimasto intrappolato in un filo spinato. Sì va bene, e magari si sono presi pure una tazza di tè Earl Grey e hanno giocato alle bambole insieme.
"Vai pure con quel Jeremy Irvine che sarà più giovane e bello, ma ricorda
che senza di me non saresti nessuno, sgualdrino d'un whore horse!"
Spielberg, altroché Incontri ravvicinati del terzo tipo e Minority Report: il film più di fantascienza della tua intera carriera è questo!
Al peggio però non c’è mai fine, lo dicevo già prima, visto che la scena conclusiva è talmente scontata e smielata che secondo me andrebbe VIETATA alle persone diabetiche. Persino Winnie the Pooh soffrirebbe una crisi.

Tanto per citare Nancy Olson in Viale del tramonto, dopo che ha letto un copione scritto dal protagonista: “È una vera boiata. È un vero intruglio di melensaggine, non c’è che da gettarlo via.”
E War Horse è così: è la pellicola più disgustosamente buonista, paracula, ruffiana mai concepita, girata e ahimé realizzata. Roba da mattatoio del Cinema.
Se non si fosse capito fino ad ora, riassumo dicendo che questo film è la perfetta rappresentazione di tutto ciò che per me un film NON deve essere. Una pellicola che oltre a scadere nel facile pietismo, è pietosa e basta. Mentre tu, Steven, più che da cavallo, sei caduto davvero in basso.
Eppure War Horse è anche un film seriamente candidato. All’Oscar? Purtroppo sì, ma anche al titolo di pellicola più ridicola nella Storia del Cinema.
"Vooola mio Mini War Horse, vooola, quante avventure tu vivrai!"
E adesso da buon Kid faccio come i bambini, metto su il broncio, e con te Spielberg non ci gioco più.
(voto 0/10)

Nessun animale è stato maltrattato durante la scrittura di questo post.
Soltanto Steven Spielberg, considerabile dopo questo film non un ex grande regista ma proprio un ex regista e basta, cui ogni tanto ho dato qualche violenta frustata sulla schiena.

Di seguito il trailer ufficiale del film.

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