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venerdì 7 marzo 2014

OLDBOY, OLDREMAKE




"Un remake di Oldboy? Ma che davero?"
Oldboy
(USA 2013)
Regia: Spike Lee
Sceneggiatura: Mark Protosevich
Ispirato al manga: Old Boy di Garon Tsuchiya e Nobuaki Minegishi
Cast: Josh Brolin, Elizabeth Olsen, Samuel L. Jackson, Sharlto Copley, Michael Imperioli, Hannah Ware, Pom Klementieff, Lance Reddick, James Ransone, Max Casella, Rami Malek, Hannah Simone, Grey Damon
Genere: revenge
Se ti piace guarda anche: Oldboy (2003), Io vi troverò, Taken – La vendetta

Ci sono due tipi di remake:
- I remake inutili
- I remake inutili e schifosi

Veramente non erano questi i due tipi di remake che volevo individuare. Ci sono altri due tipi di remake:
- I remake fatti per questioni temporali, ovvero quando si copia prende un film vecchio e lo si riadatta ai tempi moderni.
- I remake fatti per questioni geografiche, ovvero si stupra prende un film di un altro stato e lo si riadatta in base alla propria cultura e agli usi e costumi del proprio paese. E con proprio paese intendo in genere gli Stati Uniti d’America.

Oldboy di Spike Lee appartiene a quest’ultimo tipo di remake. Di certo non al primo, visto che è il rifacimento di un film recentissimo, l’omonimo Oldboy del 2003 di Park Chan-wook. Si è passati così da un’ambientazione sudcoreana e da un tipo di revenge movie molto orientale, a un thriller molto americano.
La domanda è: perché?
Io in generale sono contro i remake. Nella maggior parte dei casi si tratta di prodotti che cercano di sfruttare senza troppi sbattimenti l’idea brillante avuta da qualcun altro. A essere gentili si può parlare di rielaborazione creativa.
Ma rielaborazione creativa stocazzo!
Chiamiamo le cose con il loro nome: furto o, per essere più eleganti, scopiazzamento.

"Dopo questo film, per la vergogna non esco più da qui."
Nell’arte del remake gli americani sono dei professionisti. Stanno diventando quasi peggio dei cinesi. Battuta razzista taaac, alla faccia del politically correct alla Fabio Fazio. In alcuni casi, l’operazione può anche avere un senso. Homeland ad esempio è ispirata a una serie israeliana, The Killing a una danese. Considerando che il grande pubblico difficilmente avrà visto gli originali, ci può stare.
Il film sudcoreano Oldboy non sarà stata un campione di incassi, però è un piccolo grande cult piuttosto noto. Era uscito persino nelle sale italiane. Ricordo che a vederlo c’ero io insieme a quattro gatti, ma se non altro era arrivato anche nei nostri cinema. Si tratta inoltre di un film d’autore, di nicchia, non è una pellicola che sembrava prestarsi a un adattamento commerciale. Infatti questo remake si è dimostrato un flop mostruoso.
Non si capisce poi il passare da un Autore cinematografico dalla sua forte impronta stilistica come Park Chan-wook a un altro Autore, un grande Autore, almeno fino a qualche anno fa, come Spike Lee. Perché un regista con una carriera ancora brillante, il suo ultimo film degno di nota, Inside Man, risale al non lontano 2006, decide di cimentarsi con una pellicola a suo modo perfetta, efficace e non migliorabile?
È un mistero destinato a non trovare risposta.

I remake in genere sono inutili, questo appare quindi ancora più inutile già in partenza. Lasciamoci però alle spalle, per quanto possibile, il ricordo del film originale. L’ho visto una sola volta, una decina d’anni fa, e non l’ho più rivisto. Non perché non mi fosse piaciuto, tutt’altro. Mi aveva davvero angosciato nel profondo, come poche altre pellicole. L’inquietudine presente in quel film qui è invece del tutto evaporata. Spike Lee non dirige male. Tecnicamente il suo lavoro è valido e in alcuni passaggi rende omaggio all’originale. A mancare è l’atmosfera, è quel non so che che rende un film unico, speciale, irreplicabile e irremakeabile (ho inventato una nuova parola, americani non copiatemela, per favore). Quelle parti grottesche, al limite del kitsch, che rendevano così speciale l’originale, avevano un senso all’interno del loro contesto orientale. Scopiazzate malamente qui all’interno di un contesto pulitino e precisino da thrillerino medio americano appaiono solo delle forzature ridicole. Questo remake è ridicolo. L’originale faceva star male fisicamente, tanto intenso com’era. Questo rifacimento fa ridere, al massimo. A un certo punto semplicemente stufa.

"Svegliati Josh, il film è quasi finito."
"Uff, lasciami ronfare fino ai titoli di coda..."
Sto comunque continuando a paragonare le due pellicole. Prendiamo allora Oldboy US version come un film a sé stante. Facciamo finta di non aver mai visto il lavoro di Park Chan-wook. Anche in questo caso, l’Oldboy di Spike Lee è una pellicola penosa, che fa acqua da tutte le parti, con una trama che non si concentra tanto sugli aspetti psicologici del protagonista, ma diventa il solito banale giallo investigativo. Senza avere una degna capacità nella costruzione della tensione.
Malissimo poi il cast. Sulla carta non è nemmeno niente male, alla prova dei fatti i risultati sono disastrosi. Josh Brolin, attore che dai Goonies a W. di solito mi piace parecchio, qui è del tutto fuori parte, inadeguato anche a un livello fisico a dar vita a un personaggio del genere. Sembra un elefante che si muove in una cristalleria, laddove il grande Choi Min-sik con il suo aspetto più minuto danzava leggiadro come una ballerina ninja.
Elizabeth Olsen, alle prese con il personaggio femminile principale, è irriconoscibile. In film come La fuga di Martha, Red Lights e Silent House sembrava destinata a essere la migliore attrice dei prossimi 20 anni, qui pare un’attrice pronta per le fiction Mediaset dei prossimi 20 anni, al fianco dell’immancabile Gabriel Garko, ovvio. Come cattivoni ci sono invece Samuel L. Jackson, che quando non recita per Quentin Tarantino perde un buon 50% delle sua capacità e in questo caso perde fino a un 90% del suo potenziale, e Sharlto Copley, attore che aveva avuto la botta di culo ad avere il ruolo da protagonista in District 9, mentre per il resto è un attorucolo e qui risulta persino tremendo. Ma roba che al confronto ad avercene, di Gabriel Garko…

Vogliamo salvare qualcosa?
NO!
Questo film non s’aveva da fare, e non è finita qui, perché il risultato è persino inferiore alle più catastrofiche attese. Più che all’originale, di cui sembra una parodia, finisce per somigliare a schifezze con Liam Neeson come Io vi troverò e Taken – La vendetta. Oldboy firmato Spike Lee è in pratica la versione americana e soprattutto la versione scazzata di un grande film sudcoreano. Un caposaldo del genere revenge movie che a questo punto grida: “Vendetta!”.
(voto 2/10)

sabato 19 novembre 2011

The real Boss (Bruce Springsteen chiiiii?)

Boss
(serie tv, stagione 1)
Rete americana: Starz
Rete italiana: non ancora arrivato
Creato da: Farhad Safinia
Regia pilota: Gus Van Sant
Cast: Kelsey Grammer, Connie Nielsen, Kathleen Robertson, Hannah Ware, Jeff Hephner, Troy Garity, Martin Donovan, Francis Guinan, Rotimi Akinosho, Karen Aldridge, Jennifer Mudge
Genere: giochi di potere
Se ti piace guarda anche: Homeland, Breaking Bad, The Killing, 24, Huff, Milk

Gli esempi di sindaci che la televisione ci ha mostrato non è che siano proprio il massimo della vita, dal Joe Quimby dei Simpson all’Adam West dei Griffin, la migliore finisce per essere il sindaco donna McDaniels di South Park. Adesso un nuovo personaggio, questa volta in carne e ossa, si va ad aggiungere alle figure dei sindaci tv.
Il protagonista di Boss è infatti il sindaco di Chicago interpretato alla grande da Kelsey Grammer, attore noto per le sitcom Cin Cin e Frasier e negli ultimi tempi risalito alla ribalta delle cronache americane più che altro per vicende personali, tra alcool, droghe, matrimoni e divorzi. Una sorta di Charlie Sheen II, in pratica. Non da meno anche il suo nuovo personaggio.

Il suo Tom Kane (ogni riferimento al Citizen Kane di Orson Welles, pure citato in un episodio, è puramente voluto) è un sindaco autoritario e tiranno mascherato da benefattore ed è in grado di controllare le sorti della città, ma non della sua vita. Nella primissima scena conosciamo subito il suo infausto destino: gli viene diagnosticata una forma di disordine neurologico che lo porterà nel giro di pochi anni alla morte, anticipata da sintomi come perdita della memoria, tremori e altri disagi che creerebbero problemi a chiunque, figuriamoci al Boss di una delle città principali d’America. Per evitare che questi problemi si manifestino, ricorre quindi in maniera poco legale a medicinali che però potrebbero portare a degli inevitabili effetti secondari…
Anche la sua vita personale non sembra andare proprio a gonfie vele, visto che ha un rapporto conflittuale con la figlia, con cui non parla da anni, e pure con la moglie (la glaciale attrice danese Connie Nielsen, vista ne L’avvocato del diavolo ma anche in Vacanze di Natale ’91: ebbene sì!), che fa fatica a guardarlo in faccia e dorme in un’altra stanza.

Insomma, dietro alla classica facciata di uomo che ha di tutto e di più, si nasconde un’altra realtà. Meritata? Forse, visto che questo Tom Kane  non sembra certo né un Santo, né un simpaticone, considerando anche il suo atteggiamento nei confronti dei suoi collaboratori. Tra loro spicca Kathleen Robertson, attrice bellissima e dal potenziale notevole, finora troppo sottoutilizzata: qualcuno la ricorderà nei panni di Clare in Beverly Hills 90210, dopo di ché ha fatto Scary Movie 2 e ha lavorato per Gregg Araki in Ecstasy Generation e Splendidi amori (dove finalmente aveva la parte della protagonista). Ora, alla soglia dei 40anni portati alla grande, ecco che sembra arrivato per lei un ruolo potenzialmente parecchio interessante. E dannatamente sexy. Altro nome da tenere d’occhio è poi Jeff Hephner, apparso la scorsa stagione nella sfortunata e non troppo riuscita serie di cheerleader Hellcats, e ora in una serie d’autore con un ruolo importante, quello del potenziale erede politico di Kane, una specie di “delfino” alla Alfano.
E a chi assomiglia invece Kane, almeno un pochino? Esatto, proprio a un certo nostro "caro" ex Premier… ed è forse proprio per questo che la serie, pur essendo molto americana, potrebbe paradossalmente aver maggior presa da noi rispetto agli Usa, dove non sta ottenendo un gran seguito di pubblico. Un peccato, visto che insieme a Homeland è tra le cose più potenti e incisive viste negli ultimi tempi. Il motivo per cui non sta conquistando gli americani? Forse perché non ci sono personaggi positivi o moralmente adeguati per gli standard yankee, visto che tutti i personaggi non sono hanno comportamenti esattamente impeccabili e persino la figlia del sindaco, pur lavorando in una clinica e in una chiesa (però non come suora), frequenta uno spacciatore e si droga; l’unica eccezione (almeno per ora) è allora il giornalista integro che cerca di smascherare i misfatti dietro la candida facciata di Kane.

Dicevamo serie d’autore, comunque, e infatti a firmare la regia del pilot vi è un certo Gus Van Sant, mica un pirletti qualunque, e il suo tocco si vede, per quello che è uno degli episodi meglio diretti dell’annata americana. Ma anche in quelli successivi, pur non mettendoci direttamente la macchina da presa, la sua mano come producer si fa sentire.

A restare un’ingognita è il coinvolgimento emotivo. Se infatti la serie è girata alla stra-grande, interpretata ottimamente da un cast in stato di grazia, con uno sguardo che può risultare molto attuale anche per il pubblico italiano (tra escort e un problema rifiuti che avvicina Chicago a Napoli), con dialoghi acuti e ben curati, sebbene a volte troppo verbosi ed eccessivamente politici, a latitare un pochino è il cuore. Boss appare infatti un pochino fredda, andando in questo senso ad affiancarsi a telefilm come Nip/Tuck o Breaking Bad, cosa che in fin dei conti è tutt'altro che un difetto. Proprio per questo loro distacco emotivo e per il loro evitare facili scorciatoie e trabocchetti sentimentali/paraculi, queste serie ci mettono un po’ a ingranare e a guadagnare l’affezione e la fedeltà del pubblico, ma quando lo fanno, ti fregano per sempre. Ce la farà anche Boss?
(voto 7,5/10)

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