Visualizzazione post con etichetta hbo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta hbo. Mostra tutti i post

domenica 3 agosto 2014

THE LEFTOVERS E IL MISTERO DEI POST SCOMPARSI NEL NULLA





The Leftovers
(serie tv, stagione 1, episodi visti finora 1-5)
Rete americana: HBO
Rete italiana: Sky Atlantic
Creata da: Damon Lindelof, Tom Perrotta
Ispirata al romanzo: Svaniti nel nulla di Tom Perrotta
Cast: Justin Theroux, Amy Brenneman, Margaret Qualley, Chris Zylka, Christopher Eccleston, Liv Tyler, Ann Dowd, Emily Meade, Carrie Coon, Michael Gaston, Max Carver, Charlie Carver, Frank Harts, Amanda Warren, Annie Q.
Genere: misterioso
Se ti piace guarda anche: Les Revenants, Twin Peaks, Lost

Avevo scritto un post bellissimo dedicato alla nuova serie HBO The Leftovers. Peccato sia sparito. Dove?
Nessuno lo sa. Un giorno, il 2% dei post di tutti i siti del mondo è scomparso. Svanito nel nulla.
Da allora, il web non è più stato lo stesso. Noi autori di blog vaghiamo per la rete con lo sguardo assente. Non ci fidiamo più di nessuno. Continuiamo a fare copie di backup dei nostri pezzi, spaventati dal fatto che si possa ripetere di nuovo qualcosa del genere. Quell’esperienza ormai ci ha cambiati per sempre e non potremo mai dimenticare quei meravigliosi post andati perduti.
A dirla tutta, in quel 2% di pubblicazioni c’erano anche un sacco di schifezze che non mancheranno a nessuno, ma questo non importa. Niente può cancellare il dolore per aver perso per sempre le nostre opere.

Anche sforzandomi, non riuscirò più a scrivere un post meraviglioso quanto quello che avevo preparato con tanto amore su The Leftovers. Era un pezzo che univa l’asciuttezza stilistica di un Ernest Hemingway, il sarcasmo di un giovane Bret Easton Ellis, l’epicità di un William Shakespeare, la solennità di Giovanni, Matteo, Luca e Marco ovvero Gli Evangelisti all-stars, la spudoratezza commerciale di un Dan Brown, la poetica di un Giacomo Leopardi e la libertà espressiva di un Allen Ginsberg, il tutto scritto in terzine incatenate di versi endecasillabi come la Divina Commedia.
Adesso quelle stesse parole non mi vengono più. Perché è davvero difficile descrivere il fascino di una serie come The Leftovers a chi non l’ha mai vista. Al suo interno si respira un’aria malsana. In ogni scena traspare il senso di angoscia esistenziale dei suoi protagonisti. Non passa un momento in cui non si venga presi da un’inquietudine di quelle vicine alla visione di Twin Peaks o Les Revenants. Allo stesso tempo c’è anche una splendida costruzione del mistero che ricorda Lost. Non è certo un caso che il co-creatore della serie, insieme al Tom Perrotta autore del libro Svaniti nel nulla da cui è tratta, sia Damon Lindelof, una delle tre menti deviate e geniali che ci hanno regalato il cult con Jack, Kate, Sawyer, Hurley, Locke e tutti gli altri.

Questi riferimenti possono essere però fuorvianti e far pensare a un prodotto derivativo. Nonostante le vicinanze con queste e ad altre serie (FlashForward, The 4400, Resurrection etc.) e oltre alla regia nei primi episodi di Peter Berg che rimanda col pensiero a Friday Night Lights, The Leftovers brilla di luce propria. Ha una sua identità precisa e ben definita, di quelle che le sole parole non bastano a descriverla. Bisogna vederla, bisogna sentire le splendide musiche composte da Max Richter, quello della grandiosa colonna sonora di Valzer con Bashir, bisogna viverla. Insieme alla sua gente, insieme ai suoi personaggi, come i tizi della setta che non parlano ma fumano soltanto come delle ciminiere tutto il giorno, o come il capo della polizia interpretato da Justin Theroux. Sì, proprio quel tipo che tutti ci chiedevamo che fine avesse fatto dopo essere stato il protagonista maschile del capolavoro Mulholland Drive di David Lynch e poi si è scoperto che non era sparito proprio nel nulla, ma si stava ciulando Jennifer Aniston.

Poi c’è Liv Tyler. Dov’era finita pure lei? Boh, dopo i video per gli Aerosmith del paparino Steven, Armageddon e Il signore degli anelli nessuno l’ha praticamente più vista per anni e ora rieccola qua, con un fascino più maturo, più misterioso. Inoltre ci sono un sacco di personaggi teen, personaggi teen inquietanti, personaggi teen che si masturbano mentre si fanno strangolare, personaggi teen che non sono i soliti bimbiminkia delle serie adolescenziali. Tra loro spiccano Chris Zylka che fino a poco fa nelle serie bimbominkiose ci sguazzava (The Secret Circle e Twisted), così come i gemelli Max e Charlie Carver di Teen Wolf, in più c’è la gnocchetta Emily Meade e soprattutto la splendida rivelazione Margaret Qualley, che con quei suoi occhioni tristi sembra una versione aggiornata di Lara Flynn Boyle AKA Donna Hayward di Twin Peaks.
E infine ci sono i cani. Quali cani?
Sembrano quelli di una volta, eppure non sono più i nostri cani.

Non avete idea di cosa sto dicendo?
C'è un unico modo per rimediare. Se ancora non avete visto The Leftovers, guardatela. È una delle cose migliori che passano quest’estate sulla tv americana e pure su quella italiana, grazie a Sky Atlantic. Quando lo farete, vi sentirete come se aveste recuperato qualcosa. Qualcosa che era andato perso per sempre e nessuno sa perché.
Adesso vado a fare una copia di backup di questo post. Che non si sa mai.
(voto 8/10)

venerdì 6 giugno 2014

THE NORMAL HEART, UN CUORE MICA TANTO NORMALE




The Normal Heart
(USA 2014)
Regia: Ryan Murphy
Sceneggiatura: Larry Kramer
Ispirato all’opera teatrale: The Normal Heart di Larry Kramer
Cast: Mark Ruffalo, Matt Bomer, Julia Roberts, Taylor Kitsch, Jim Parsons, Alfred Molina, Jonathan Groff, Joe Mantello, Stephen Spinella, Adam B. Shapiro, Denis O’Hare, Finn Wittrock, Rob Tunstall, Corey Stoll
Genere: gay
Se ti piace guarda anche: Dallas Buyers Club, Milk, Dietro i candelabri, Looking

Pensate alla cosa più gay che avete mai visto.
Vi si ripropongono davanti agli occhi gli abiti e l’arredamento di casa Liberace in Dietro i candelabri?
State pensando a una maratona di episodi delle serie tv Looking e Queer as Folk?
O a Valerio Scanu con i boccoli biondi alla Lady Oscar?
O magari proprio a Lady Oscar?
O vi viene per caso in mente la guida galattica alle boy band di Pensieri Cannibali?
In ogni caso prendete tutte queste cose insieme, moltiplicatele per mille e non sarete andati nemmeno vicini alla cosa più gay che ho visto io: la prima scena di The Normal Heart.
I primi 5 minuti del nuovo film tv della HBO The Normal Heart sono quanto di più omosessuale si possa immaginare. Lo dico in senso positivo. Guardando i personaggi della pellicola che se la spassano mi è venuto il rimpianto di non essere un gay all’inizio degli anni Ottanta, quegli anni di rivoluzione sessuale in cui tutti scopavano con tutti liberamente, senza legami e senza problemi.
Perché mi piace la figa? Perché???
È una maledizione! Sarei potuto essere così felice, come gay e in particolare come gay all’inizio degli anni Ottanta.

Questo per quanto riguarda i primi 5 minuti di film, poi entra in scena il dramma ed essere gay negli anni Ottanta non appare più soltanto nei suoi risvolti tutti rose e fiori. In scena compare ciò che all’inizio di quel decennio veniva chiamato “il cancro dei gay” e successivamente diventerà noto come AIDS.
AIDS?
Hey, Pensieri Cannibali si sta per occupare di un argomento serio?


La pellicola va a indagare in una pagina parecchio oscura e misteriosa, quella dell’origine del virus. Nel 1981 cominciano i casi inspiegabili di morti all’interno della comunità omosessuale e nessuno capisce il perché o il per come la malattia si diffonda. La dottoressa sulla sedia a rotelle Julia Roberts suggerisce loro a questo punto di evitare orge e sesso promiscuo, ma viene vista come una repressa sessuale e in pochi le danno ascolto. Negli anni successivi si cerca di capirne di più, solo che il governo degli Stati Uniti non fa nulla per studiare la malattia. Sembra quasi un complotto per eliminare tutti i gay dalla faccia della Terra e l’amministrazione del conservatore bigotto yuppie repubblicano Ronald Reagan comincerà a interessarsi al problema soltanto quando a essere colpiti dal virus saranno pure uomini e donne eterosessuali.

La vicenda raccontata in The Normal Heart a grandi linee è questa ed è parecchio interessante anche e soprattutto per chi come me è nato nel 1982 ed è cresciuto con la consapevolezza che l’AIDS c’era e basta, senza sapere come ha cominciato a diffondersi. Al di là della ricostruzione storica, medica e pure politica, in cui il film si avvicina alle parti di Milk di Gus Van Sant, la carta vincente di questa bella pellicola tv HBO, che come Dietro i candelabri non ha nulla da invidiare alle produzioni per il grande schermo, è il suo cuore. Il suo normal heart. In più momenti la pellicola sa emozionare e lo fa per merito di una serie di interpretazioni magistrali di attori in stato di grazia che riescono a dare vita a dei personaggi pieni di vita (la ripetizione è voluta, bitches!).

"The streets of Philadelphia...
Ah, come? Siamo a New York?"
Una nota di merito particolare va a Mark Ruffalo, protagonista principale che porta sullo schermo Ned Weeks, uno scrittore che si batte in maniera molto sentita per sensibilizzare un’opinione pubblica e un governo cui del problema dell’AIDS pare non fregare un tubo. Mark Ruffalo che una decina d’anni fa appariva ovunque, dal cinema d’autore (Se mi lasci ti cancello, In the Cut) alle commedie romantiche (Se solo fosse vero, 30 anni in un secondo) ai thrilleroni (Collateral, Zodiac) e sembrava destinato a diventare una delle più grandi star che Hollywood avesse mai avuto e poi invece, come accade a un sacco di attori, non è mai esploso del tutto. Questo ruolo televisivo molto intenso (in alcune scene forse persino troppo) potrebbe rappresentare una svolta per la sua carriera, così come per quella di Taylor Kitsch che fa dimenticare i dimenticabili ruoli da macho in flopponi come John Carter e Battleship per tirare fuori un inaspettato e molto credibile ruolo da gay. Bravissimi poi anche attori noti soprattutto al pubblico delle serie tv come Jim Parsons, lo Sheldon Cooper di Big Bang Theory, e Matt Bomer, il bellone di White Collar che qui dà tutto se stesso, con una trasformazione fisica degna di Christian Bale.

In mezzo a tanti lui c’è poi una lei, la divina Juliona Roberts che, dopo la pazzesca interpretazione ne I segreti di Osage County, giganteggia un’altra volta. Che le è successo?
Probabilmente ha cominciato a prendere le stesse droghe di Matthew McConaughey, visto i due che sono passati dal titolo di reuccio e reginetta delle commediole romantiche al diventare un attore come Dio comanda e un'attrice della Madonna.

"Già sono tutti gay, in più sono su una sedia a rotelle e poi mi hanno pure imbruttita.
Le mie probabilità di chiavare in questo film le vedo un po' bassine..."

"Per favore, aiutatelo:
ha appena scoperto che Sex & the City non andrà mai più in onda!"
E perché invece tanti attori, soprattutto negli ultimi tempi, si stanno cimentando in pellicole a tematica gay?
Chiamatelo "effetto Brokeback Mountain". Quel film ha rappresentato una svolta a Hollywood, facendo poi avvicinare attori dalla forte identità etero come Michael Douglas e Matt Damon e in questo caso Mark Ruffalo e Taylor Kitsch a parti omo.

A firmare la regia c’ha pensato uno che nella tematica gay c’ha sempre sguazzato e che qui ha avuto il modo di metterci dentro se stesso al 100%. Sto parlando di Ryan Murphy, l’autore delle serie Nip/Tuck, American Horror Story, Glee, Popular e The New Normal, che come regista firma la sua opera più personale e riuscita, dopo i poco convincenti Correndo con le forbici in mano e Mangia prega ama. Il suo stile mi ricorda un po’ quello di Gabriele Muccino e, prima di considerarlo un insulto, preciso che sembra una versione gay del Muccino migliore, quello dei primi tempi, quello delle sue pellicole italiane, prima che si sputtanasse a Hollywood con una serie di lavori uno più terrificante dell’altro. Come quel Muccino, il Muccino quando era magro, Murphy utilizza riprese vorticose, tiene alto e concitato il ritmo per quasi tutte le oltre 2 ore di durata, spinge i suoi attori sempre al limite del melodramma, a tratti in maniera eccessiva, ma sempre intensa. The Normal Heart è proprio così: intenso, super gaio, esagerato, troppo lungo e con al suo interno troppi temi e troppi personaggi, eppure allo stesso tempo non si fa mancare l’elemento più importante in grado di fare da collante al tutto. Un cuore normale? No, un cuore eccezionale.
(voto 7,5/10)

domenica 14 aprile 2013

GLI HITCHCOCK PREFERISCONO LE BIONDE


"Mi piacciono gli uccelli.
E non pensate subito male..."
The Girl
(UK, Sud Africa, USA 2012)
Regia: Julian Jarrold
Sceneggiatura: Gwyneth Hughes
Tratto dal libro: Spellbound by Beauty: Alfred Hitchcock and His Leading Ladies di Donald Spoto
Cast: Sienna Miller, Toby Jones, Imelda Staunton, Conrad Kemp, Penelope Wilton
Genere: famo un film
Se ti piace guarda anche: Hitchcock, Gli uccelli, Marnie, Factory Girl, Marilyn

Alfred Hitchcock era un maniaco?
Non lo sappiamo, almeno io non lo so, ma il film The Girl fa venire un pochino il dubbio.
Alfred Hitchcock era un guardone, o se preferite un voyeur e anche un mezzo stalker?
Questo è parecchio probabile. I suoi film sono pieni di indizi in tal senso. Molti dei suoi più grandi capolavori sono infatti giocati sullo spiare, sul guardare, sull’osservare in silenzio, dal Norman Bates di Psyco fino persino ai pennuti stalker de Gli uccelli, per non dire poi del caso più clamoroso, quello de La finestra sul cortile, una vera e propria celebrazione del voyeurismo.

"Se te lo stai chiedendo: sì, c'ho messo del roipnol."
Più che un film biografico sul grande regista, The Girl è il resoconto del suo rapporto di amore-odio malato nei confronti delle bionde dei suoi film e in particolare è la storia della sua ossessione per Tippi Hedren, la protagonista de Gli uccelli e di Marnie. Segnalata dalla moglie di Hitch, questa bionda dalle esperienze cinematografiche pressoché inesistenti ha subito folgorato il regista, affascinato dall’idea di prendere una completa sconosciuta per il film che doveva seguire al grande successo di Psyco. In tale modo, i veri protagonisti assoluti erano loro, gli uccelli.
Modella di origini campagnole, Tippi Hedren si è ritrovata così catapultata al centro di una grossa produzione hollywoodiana, tra le mani del più grosso (in tutti i sensi) regista hollywoodiano dell’epoca. E forse non solo dell’epoca.

Laddove nell'altrettanto recente film Hitchcock abbiamo una visione più benevola del regista, in questo film tv prodotto da HBO troviamo un suo ritratto più inquietante. Il cattivo, il mostro di The Girl è proprio lui, Hitchcock. È questa l’idea più intrigante di una produzione televisiva di livello cinematografico che si avvale dell’interpretazione di due ottimi attori. Personalmente ho trovato più adatto al ruolo del regista Anthony Hopkins, per età e per “mole” fisica, ma a livello attoriale il piccolo Toby Jones ha svolto pure lui un lavoro impressionante. L’attore 46enne, minuto e piccolino, non ha il physique du role, se così vogliamo dire, del grosso cineasta britannico, ed è troppo giovane per fare Hitch quando questi era già oltre i 60 anni. Eppure la sua interpretazione è così convinta da farci quasi dimenticare questi aspetti.
Perfetta nella parte di Tippi Hadren è una notevole Sienna Miller, attrice dotata di una classe molto 60s già mostrata in Factory Girl, in cui interpretava Edie Sedgwick, una delle muse di Andy Warhol. Vedendo Gli uccelli, l’attrice contemporanea che più mi ha ricordato Tippi Hadren è stata però Naomi Watts, ma comunque anche la Miller le somiglia molto e qui è parecchio convincente.
Naomi Watts avrebbe dovuto prendere invece la parte che fu della Hadren nel vociferato remake de Gli uccelli in preparazione pochi anni fa. Quello che, come accennavo ieri, doveva realizzare Michael Bay ma che ora è in stand-by.

È su loro due, sui due protagonisti, che l’intera pellicola è costruita. Sul loro rapporto controverso che, più che a una storia d’amore, somiglia a quello tra Philip Seymour Hoffman e Joaquin Phoenix in The Master di Paul Thomas Anderson.
Per il resto, The Girl offre anche qualche retroscena interessante riguardo alla lavorazione de Gli uccelli e poi anche di Marnie, l’altro film girato insieme dalla coppia non-coppia Hitch/Hedren. Da questo punto di vista, il film Hitchcock risulta più interessante, sarà perché la preparazione di Psyco è più mitologica, mentre sul piano della costruzione dei personaggi la figura del regista viene qui trattata in maniera più coraggiosa. Come detto, ne esce un suo ritratto parecchio spaventoso.
Alfred Hitchcok, il maestro del brivido?
No. Alfred Hitchcock, un uomo da brividi.
(voto 6+/10)



lunedì 2 luglio 2012

Uguale uguale a Studio Aperto

"Vi comunichiamo che sì: Bonucci sta ancora piangendo!"
The Newsroom
(serie tv, stagione 1, episodio 1)
Rete americana: HBO
Rete italiana: non ancora arrivata
Creatore: Aaron Sorkin
Cast: Jeff Daniels, Emily Mortimer, Alison Pill, Thomas Sadoski, John Gallagher Jr., Sam Waterston, Dev Patel, Adina Porter, Olivia Munn
Genere: giornalistico
Se ti piace guarda anche: The Hour, Sports Night, West Wing, Studio 60 on the Sunset Strip, The Social Network, Good Night, and Good Luck., 24, Mad Men, The Office, Veep

Ci sono un paio di ragioni per seguire The Newsroom, la nuova serie tv di HBO. Veramente, ce ne sarebbero ben più di un paio, però cominciamo con le prime due: Aaron Sorkin e la tematica del giornalismo.

Aaron Sorkin è il Cristiano Ronaldo, il Mario Balotelli, la Spagna degli sceneggiatori. Fa cose mostruosamente difficili, con una facilità impressionante. Come nella straordinaria sceneggiatura di The Social Network che gli è valsa il premio Oscar. Premetto che non ho seguito le serie che ha creato in precedenza: Sports Night, sul dietro le quinte della realizzazione di un programma sportivo, West Wing, ambientato alla Casa Bianca, e il più recente Studio 60 on the Sunset Strip, ancora sul dietro le quinte della realizzazione di un programma tv, questa volta uno show comico stile Saturday Night Live.
Il mio entusiasmo nei confronti di questa sua nuova creatura può quindi dipendere da questo, mentre altri autorevoli critici americani e italiani hanno sottolineato che si tratta di una buona serie, ma della “solita” buona serie sorkiniana. Ad avercene, in ogni caso.
Il suo stile in effetti c’è tutto e anche di più. I dialoghi rapidissimi sono puro Sorkin all’ennesima potenza. Con una sceneggiatura da lui curata, si possono anche evitare grandi movimenti di macchina da presa, il montaggio può rilassarsi, tanto sono le sue parole affilate e tambureggianti a dettare il ritmo. Un ritmo infernale.

La prima scena di The Newsroom credo sia una delle più belle aperture di serie che abbia mai visto dai tempi di Twin Peaks. E con questo non voglio dire che abbia qualcosa a che fare con Twin Peaks, qualità eccelsa a parte. Rispetto al ritrovamento di Laura Palmer, il contesto qui è del tutto differente.
Siamo in uno studio tv, il luogo prediletto da Sorkin, in un talk-show politico. Pensate a Santoro, quando ancora lo facevano stare in Rai, oppure a Matrix, quando ancora c’era Enrico Mentana e non quel manichino che l’ha sostituito.
Come in ogni buon, ma pure cattivo, talk-show politico che si rispetti, è il solito fiume di parole bla bla bla inutili bla bla bla. Tra gli ospiti c’è anche il giornalista veterano Will McAvoy (Jeff Daniels), definito una sorta di Jay Leno dei giornalisti, perché è uno che non si espone mai troppo: “È popolare perché non disturba nessuno.” Il classico tipo che non pesta i piedi ai potenti, come Ezio Greggio a Striscia la notizia. Strappa la risata, quando va bene e ultimamente non va molto bene, però è innocuo.

"Volete sapere perché Cannibal Kid è il miglior blogger del mondo?
La verità è che non lo è affatto!"
Quando una ragazza del pubblico gli chiede: “Perché l'America è il miglior paese del mondo?”, Will McAvoy/Jeff Daniels gigioneggia come al solito. Tira fuori qualche risposta ironica, indugia, fino a che, sotto l’insistenza del conduttore, sbrocca e decide di dire esattamente ciò che gli passa per la testa. Il succo del discorso? Gli Stati Uniti non sono per niente il paese migliore del mondo, lo sono stati un tempo, potrebbero esserlo in futuro, ma ora come ora non lo sono.
Apriti cielo. Il discorso viene bollato da tutti come anti patriottico, nonostante nella seconda parte McAvoy abbia invece riflettuto su come gli USA potrebbero tornare ad essere di nuovo grandi. Ma i bei ragionamenti alla stampa non interessano. Alla stampa interessa solo la polemica.
E così, l’America sembra voltare le spalle a McAvoy, che nel giro di una sola ospitata televisiva controcorrente è passato dall’essere il Bruno Vespa lacchè benvoluto o almeno ben sopportato da tutti, a tornare ad essere una mina vagante. Tornare ad essere un grande giornalista, una sorta di Enrico Mentana americano. Eppure, se pensate a un personaggio del tutto positivo, a un modello da imitare, a livello di rapporti interpersonali McAvoy ha parecchie lacune e a livello umano non sembra molto lontano dal cinismo di un Dr. House.

"Dopo la risposta di Jeff Daniels, siamo invasi da
telefonate di protesta dei lettori di Pensieri Cannibali..."
Tutto questo solo nei primi grandiosi minuti di questa serie. Quello che succede dopo, ve lo lascio scoprire da voi. Giusto per anticiparvi qualcosa, il tema principale è quello del giornalismo, dell’integrità professionale e, come nella serie british The Hour, di come costruire un vero grande notiziario. Proprio quello che fanno a Studio Aperto ogni giorno, nevvero?

Il tutto è orchestrato con grande maestria da un Aaron Sorkin in forma strepitosa, con un monologo iniziale da Premio Nobel per la letteratura e una serie di dialoghi al fulmicotone da applausi. Intorno al fuoriclasse Sorkin, per la prima volta autore per una tv via cavo e quindi con una libertà espressiva pressoché totale, ruotano un cast e una troupe tecnica di primissimo livello.
Il protagonista, come abbiamo visto, è Jeff Daniels, attore spesso sottovalutato, spesso sotto utilizzato e ora alle prese con un personaggione con cui sembra avere tutte le possibilità di lasciare un segno indelebile. Poi c’è Emily Mortimer, vista qua e là in Shutter Island, Hugo Cabret, Lars e una ragazza tutta sua e nel nuovo Quell’idiota di nostro fratello, pure lei spesso parecchio sotto utilizzata e pure lei alla grandissima occasione di riscatto.
E poi: Alison Pill (Milk, Scott Pilgrim, nonché Zelda Fitgerald in Midnight in Paris), bravissima, con il personaggio dell’assistente di produzione del programma già protagonista fin dal primissimo episodio di un promettente triangolo amoroso. No, niente roba alla Twilight, tranquilli.
C’è spazio poi per lo “stereotipo di informatico indiano”, played by Dev “The Millionaire” Patel, mentre la gnoccolona della serie nella puntata pilota non è comparsa ma dovrebbe arrivare a breve e si tratta della star in forte ascesa Olivia Munn.
Non dimentichiamo infine quello che potrebbe essere il personaggio cult dello show: Sam Waterston, che interpreta il capo di rete ubriacone. Sembra uscito da altri tempi. Sembra uscito da Mad Men e, giusto per fare il solito paragone esagerato che tanto mi piace fare, questo The Newsroom potrebbe diventare il Mad Men ambientato nel mondo del giornalismo di oggi, anziché nel mondo della pubblicità anni ’60.

Non dimentichiamo poi che a dirigere l’episodio pilota c’è stato Greg Mottola, il regista del divertente Suxbad, del molto bello Adventureland e del deludente Paul, mentre le musiche sono firmate da Thomas Newman, quello di American Beauty, una delle soundtrack con dentro più beauty nella storia del cinema.
Avevo detto che ci sono un paio di motivi per non perdervi questa serie, alla fine spero di avervene dati parecchi di più. Che altro aspettate ancora a recuperarvi l’episodio pilota, che ne parlino a Studio Aperto?
(voto 8,5/10)

UPDATE: dopo appena un paio di episodi, la serie è stata rinnovata da HBO per la seconda stagione.

lunedì 7 maggio 2012

Girls just want to have f*ck

Girls
(Serie tv, stagione 1, episodi 1-3)
Rete americana: HBO
Rete italiana: non ancora arrivata
Creata da: Lena Dunham
Cast: Lena Dunham, Allison Williams, Jemima Kirke, Zosia Mamet, Adam Driver, Christopher Abbott
Genere: (anti) sex and the city
Se ti piace guarda anche: Bored to Death, Louie, Sex and the City, Don’t Trust the B---- in Apartment 23, Le amiche della sposa

Credo che potrei essere la voce della mia generazione,
o almeno una voce di una generazione.

"Chissà cosa combinerà adesso Carlà Bruni? Spero solo non torni a recitare..."
HBO goes teen. Ehm, forse.
Non so se ci avete mai fatto caso, probabilmente no perché nella vita avrete di meglio da fare, però le serie HBO di solito sono vecchie. Molto vecchie. Il recente noiosissimo Luck, la serie sulle scommesse di cavalli (ebbene sì…) con Dustin Huffman, ad esempio a livello di protagonisti ha un’età media intorno ai 70 anni suonati e il pubblico cui si rivolge probabilmente si sposta ancora con i cavalli. Almeno risparmiano sulla benzina…
Proprio così, ci sono poche serie giovani su HBO. A essere generosi possiamo metterci dentro giusto True Blood o How to Make It in America, ma ora con Girls le cose potrebbero cambiare. Aspettate un minuto, comunque. Non si tratta proprio di una serie rin teen teen, però almeno il target di riferimento non è più a tre cifre.

Come si può intuire fin dal titolo, Girls è una serie molto femminile e molto indie.
Molto femminile, ok, ci siete arrivati tutti. Si chiama Girls: ragazze.
Però Girls è anche il nome di una indie band di super cult. E se non li conoscete, significa che siete troppo poco indie…


"Il libro di Cannibal è persino meglio di quanto mi aspettassi!"
Girls ora è anche il nome di una serie tv e dannazione a chi l’ha scelto perché trovare gli episodi su Internet è un casino. Si rischia sempre di scaricare un purnas con protagoniste “girls gone wild” o “real drunken girls” o “orgy girls”. Che peccato…
Girls è incentrato sulla vita di 4 ragazze che vivono in quel di New York City. Detto così potrebbe sembrare un nuovo Sex and the City e un po’ lo è. Diciamo che è un Sex and the City per chi ha sempre odiato Sex and the City. Comunque potrebbe piacere pure a chi ha amato Sex and the City, anche se non ne sono del tutto sicuro visto che io ero tra quelli che lo odiavano. Ma non è tanto che odiassi Sex and the City. Odiavo Carrie Bradshaw. Che cagacazzo. Lei e la sua voce fuori campo. E soprattutto odiavo Sarah Jessica Parker. Ma che dico? Odio Sarah Jessica Parker. Lei e la sua faccia da cavallo, o meglio da whore horse. Contro le altre 3 tipe della serie invece non avevo niente contro. Charlotte e Samantha mi piacevano pure. La rossiccia no, pure lei era una discreta mazzata sui coglioni.
Se potete immaginare un Sex and the City più indie e, grazie a Dio, senza Sarah Jessica Parker, ecco a voi una fotografia più o meno precisa di Girls.

"Vado a controllare se su Pensieri Cannibali è uscito un post su di noi..."
C’è di più: non solo non c’è Sarah Jessica Parker, ma la protagonista è una idola totale. Lena Dunham è infatti sia l’attrice protagonista, che la creatrice, produttrice, sceneggiatrice e regista della serie. Una specie di Louis C.K. in gonnella. Per quanto io odi l’espressione “in gonnella”. Non ai livelli dell’odio nei confronti di SJ Parker, sia chiaro, però comunque un discreto odio.
L’umorismo di Lena Dunham è meno dirompente rispetto a quello di Louis C.K., diciamo che siamo più dalle parti di Bored to Death, tanto per rimanere in tema HBO, oppure di un Woody Allen… in gonnella.
Basta: odio me stesso perché continuo a usare questa cazzo di espressione.

Per il momento, nelle prime puntate, i riflettori sono soprattutto su di lei, Lena. È grassottella, bruttina o comunque non una bellona alla Seriiina Van Der Woodsen di Gossip Girl, ha un look ben poco glamour, vive una relazione sessuale con un maniaco pervertito, è fresca di laurea in discipline umanistiche, è alla ricerca di un lavoro dopo essere stata licenziata dallo stage che svolgeva gratuitamente e deve cercare di mantenersi nella carissima NYC dopo che i genitori le hanno dato il benservito. È lei per ora la grande trascinatrice della serie. Non aspettatevi battute a raffica, o situazioni comicissime. Il suo è un umorismo sottile, che prende poco a poco.
"Pensavo fosse più divertente questo party dei socialisti francesi...
Non è che siamo finite alla festa scudetto della Juve?"
Più abbozzati per ora i caratteri delle altre Girls, ma credo che già nei prossimi episodi impareremo a conoscerle meglio. Perché se le prime puntate sono carine, la cosa più interessante di questa serie è che sembra possedere un potenziale potenzialmente davvero potenziale, volevo dire davvero notevole. Se per ora non è ancora un cult, insomma, potrebbe diventarlo molto a breve.
E se la mattatrice è Lena, nel resto del cast di volti nuovissimi che presto scommetto si faranno largo in un sacco di film indipendenti (Sundance sei avvisato!), si segnala come unico volto (più o meno) conosciuto Zosia Mamet, già vista in United States of Tara e in qualche puntata di Mad Men. Ma attenzione pure  a Jemima Kirke, una Chloe Sevigny con la faccia più da fattona, e ad Allison Williams che è una figa cla-mo-ro-sa.

Ah, non l’ho detto? Tra i produttori di Girls c’è anche Judd Apatow, il king of comedy della nuova scena comica americana, il regista di Molto incinta, 40 anni vergine e Funny People nonché producer di un sacco di robe spassose come Le amiche della sposa e Strafumati. Dopo i vari Seth Rogen, Jonah Hill, Adam Sandler etc., Apatow questa volta punta su una girl, anzi sulle girls di Girls. Capito, boys & girls?
(voto 7+/10)

domenica 12 febbraio 2012

Luck: fortunato sì, chi arriva al traguardo sveglio

Luck
(serie tv, stagione 1, episodi 1 e 2)
Rete americana: HBO
Rete italiana: non ancora arrivata
Creato da: David Milch
Cast: Dustin Hoffman, Jason Gedrick, Ian Hart, Richard Kind, Kevin Dunn, Dennis Farina, Ritchie Coster, Jill Hennessy, Nick Nolte, Chantal Sutherland, Kerry Condon
Genere: scommesse
Se ti piace guarda anche: Seabiscuit, Febbre da cavallo, Deadwood

Fate il vostro gioco. Cosa preferite? Puntare al casinò? Le corse di cavalli?
Bingo.
Non intendevo Bingo il gioco. Intendevo “Bingo” se le corse di cavalli sono il vostro affare, siete i benvenuti in Luck. Se invece dei cavalli e soprattutto delle corse di cavalli non ve ne può fregare di meno, galoppate pure al largo.

"Ma io pensavo fosse una serie sulle cavalle, le belle cavallone intendo..."
"Invece ti abbiam fregato, Dustin. E ormai il contratto l'hai firmato!"
Luck è la nuova serie di HBO con protagonista Dustin Hoffman.
Oooooooh
tutti a gridare di stupore. Tutti a parlare di capolavoro imprescindibile. Di nuova pietra miliare nella storia della tv senza mai nemmeno averne visto un solo istante.
Io però ho un dubbio: qualcuno ricorda forse quando Dustin Hoffman ha fatto l’ultimo film decente?
A qualcuno devo per caso rinfrescare tutte le merdate di film che Dustin Hoffman ha fatto di recente?
Mi presenti i tuoi?, Vi presento i nostri, Mr. Magorium in cui trascinava con sé nel baratro persino la sola e unica Natalie Portman?
Diciamolo, è tipo dal 1991, anno del mitico Hook - Capitan Uncino, che Dustin Hoffman non fa un film davvero degno di essere ricordato. E diciamo pure che è dagli anni ‘60/’70 che Hoffman vive di rendita, non solo economica ma anche a livello artistico. Ché poi a dirla tutta ma proprio tutta è un attore che a me, personalmente, non è mai piaciuto. Il suo film che preferisco è Il laureato, ma forse con un altro attore protagonista al suo posto sarebbe stato ancora meglio. Chi può dirlo?

Chiuso il capitolo Hoffman che mi avrà fatto guadagnare l’odio di tutti coloro che lo ritengono uno dei più grandi attori viventi (ma ne siete davvero convinti? Really?), andiamo al secondo capitolo di questo romanzo breve: HBO.
Luck, l’abbiamo detto, è una produzione HBO, noto e rispettato network americano, sinonimo di tv di grande qualità. Su questo nulla da dire, ha sempre realizzato ottimi prodotti. Ha anche aperto qualche inarrestabile piaga sociale, come Sex and the City, ma in generale ha realizzato serie, film e film tv di notevole qualità? Assolutamente sì. Spesso però anche un tantinello sopravvalutati. I Soprano? Sopravvalutatissimi. Boardwalk Empire? Splendidamente realizzato ma pure una palla allucinante. Six Feet Under? Bello eh, però un filino macabro da seguire con costanza per tutte le stagioni. Big Love? Il manuale di come partire dall’intrigante idea di un uomo poligamo e realizzare una delle serie più noiose di sempre. Band of Brothers e The Pacific? E chi c’ha mai avuto voglia di vederle, quelle?
Insomma, HBO fa serie che seguo, e con piacere, come Game of Thrones e True Blood, però difficilmente qualcuna che rientri davvero tra le mie preferite in assoluto.
Per quelle c’è già la AMC, quella che io chiamo anche “La versione figa di HBO”, casa di serie capolavoro come Mad Men e Breaking Bad.

"Sì, siamo più espressivi del cavallo di War Horse, però non è che ci va tanto..."
Okay, questo giusto per dare subito una mazzata a due mostri sacri come Dustin Hoffman ed HBO. Così ho la coscienza a posto.
Passiamo ora al terzo capitolo, quello fortunato (sì, solo nel titolo), del post: Luck.
A proposito di talenti bolliti, non bastasse Dustin Hoffman, eccone degli altri: la sigla dello show è Splitting the Atom dei Massive Attack. Grandissimi Massive Attack: sì, ‘na vorta pure loro. Questo pezzo è invece tratto dal loro ultimo deludentissimo album, quindi complimentoni per la scelta!
Gli altri attori? C’è l’invecchiato Nick Nolte che, nonostante la nomination ai prossimi Oscar per Warrior, a me continua a non convincere e c’è pure Jill Hennessy, qualche anno fa protagonista di Crossing Jordan, una serie che non m’ha mai attirato manco per sbaglio.

I biglietti per la Juve eran finiti, nè?
Se il cast non è di quelli che mi facciano ribollire il sangue nelle vene e battere forte il cuore per l’emozione, il problema vero della serie è comunque soprattutto il tema affrontato.
Riuscite a immaginare qualcosa di meno affascinante delle corse di cavalli?
A me vengono in mente giusto una serata al karaoke o Enrico Brignano che tenta di far ridere. E poche altre cose. Una serata al karaoke CON Enrico Brignano, ad esempio, e poi le corse di tartarughe, forse. Che pure queste ultime potrebbero magari anche avere il loro fascino, chissà? Chi ha mai visto una corsa di tartarughe?
A livello personale dunque l’unico elemento di interesse nei confronti di questa serie è dato dalla regia, nell’episodio pilota, di Michael Mann. Grande Michael Mann, ma pure lui per quanto non sia bollito del tutto, è da Collateral che non fa davvero un film fenomenale. Ammettiamolo candidamente.

"Punto tutto sulla vittoria di
Pensieri Cannibali nella prossima Blog War!"
Nella miriade di personaggi che la serie creata da David Milch (già autore di Deadwood) presenta ce ne fosse poi uno decente, ce ne fosse. Tra Dustin Hoffman che è il solito re del gioco d’azzardo appena uscito di galera e pronto a ritornare in sella e un branco di “scommetitomani” che si giocano tutto alle corse, più qualche addestratore di cavalli corrotto, c’hanno messo dentro persino il tizio balbuziente interpretato dal caratterista  Richard Kind che vorrebbe magari replicare con un Emmy l’Oscar vinto rubato da Colin Firth con Il discorso furto del re. Peccato che nessuno di questa miriade di personaggi sia un minimo interessante. Dico un minimo...

Le musiche invece non sarebbero affatto male, peccato che siano inserite in maniera del tutto casuale, vanno a coprire i dialoghi e soprattutto non c’azzeccano una mazza con le ambientazioni della serie. Sono inserite proprio alla cazzo di cane. “Me and the Devil” di Gil-Scott Heron ad esempio è un pezzo che adoro, ma è stato messo in una scena in cui non c’entra niente ed è sfumata a malo modo. Dimostrazione lampante di come in colonna sonora non basti avere delle belle canzoni, ma si debba anche sapere come usarle.
N.C.S. = Non Ci Siamo.
Fa fa strano vedere uno come Mann combinare un pastrocchio del genere, considerando l’unione fenomenale di musica + immagini realizzata ad esempio in Collateral, o anche nel più vecchiotto Manhunter - Frammenti di un omicidio, con una “In-a-Godd-Da-Vida” degli Iron Butterfly usata magistralmente per creare inquietudine.

Nonostante una valida regia di Mann, comunque lontano miglia dai tempi d’oro, e una realizzazione tecnicamente impeccabile, i dialoghi tra i meno interessanti sentiti EVER e la tematica delle scommesse di cavalli BORING fanno di Luck uno degli episodi pilota meno APPEALING nella storia della HBO. E forse nella storia della tv americana tutta.
Se siete fan di Dustin Hoffman, di HBO e di corse di cavalli, state comunque certi che questa sarà la vostra serie dell’anno. Per quanto mi riguarda, io invece preferisco giocare a poker, mentre insieme ai cavalli di Luck non credo correrò a lungo. Questo noioso (ma per fortuna mai quanto War Horse) puledro nelle sue gambe potrebbe anche possedere del potenziale, va bene, ma certo che nemmeno alla seconda puntata le cose migliorano. E allora, che fare? Mi sa che gli concederò ancora uno o due giri, pardon puntate, di fiducia. Ma poi basta…
(voto 5/10)

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

DISCLAIMER

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica, pertanto non può considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001. L'autore, inoltre, non ha alcuna responsabilità per il contenuto dei commenti relativi ai post e si assume il diritto di eliminare o censurare quelli non rispondenti ai canoni del dialogo aperto e civile. Salvo diversa indicazione, le immagini e i prodotti multimediali pubblicati sono tratti direttamente dal Web. Nel caso in cui la pubblicazione di tali materiali dovesse ledere il diritto d'autore si prega di Contattarmi per la loro immediata rimozione all'indirizzo marcogoi82@gmail.com