Oggi su Pensieri Cannibali volevo parlarvi di Dark Polo Gang - La serie. Poi però mi sono reso conto che non è una serie tratta da un libro o da un film o da entrambi come Romanzo criminale - La serie o Gomorra - La serie, bensì è tratta da... un gruppo. Più per la precisione è una serie documentaristica su un gruppo, i Dark Polo Gang, solo che molti magari non sanno bene chi sono e allora vi dico che sono un gruppo trap. A questo punto credo però che a molti non sia ben chiaro il concetto di trap, visto che c'è chi pensa:
A) Quella non è musica!
B) Se si può considerare musica, è una specie di versione scazzata del rap fatta da bimbiminkia che c'hanno le parole tatuate sulla faccia
Non hai ancora visto The Get Down?
Come telefilo fai ridere, sei solo un clown
È una serie da non perdere non solo per i fan dell'hip-hop
ma anche per tutti quelli a cui piace far binge-watching non-stop
Lo sapevi che va in onda su Netflix?
È un servizio di streaming più eccitante del sex
E lo sapevi che i protagonisti vivono nel South Bronx?
È un posto più pericoloso di una convivenza con Amanda Knox
Se ti piace guarda anche: Quel fantastico peggior anno della mia vita, Straight Outta Compton, Prossima fermata Fruitvale Station, Spring Breakers
A grande richiesta di ben zero persone
torno a rappare, non sono andato in pensione
dopo Straight Outta Compton un altro film di cui voglio parlare
sentimi a me anche questo non fa per niente cagare
anzi è bello di brutto
come un gran rutto
dopo aver bevuto Coca-Cola
altroché Messi, questo sì merita una ola
Si chiama Dope
è un film hip-hop
ma è pure rock
t'attizza il cock
non lo devi vedere dopo
non fare il loco
guardalo subito
ti piacerà, non ne dubito
si chiama Dope
e spacca tropp!
Cast: O'Shea Jackson Jr., Corey Hawkins, Jason Mitchell, Paul Giamatti, Aldis Hodge, Neil Brown Jr., R. Marcos Taylor, Keith Powers, Alexandra Shipp, Elena Goode, Carra Patterson, Lisa Renee Pitts, Keith Stanfield, Marcc Rose
Genere: hip-hop
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Cast: Gugu Mbatha-Raw, Nate Parker, Minnie Driver, Danny Glover, Machine Gun Kelly, Aisha Hinds, India Jean-Jacques, Estelle
Genere: suicida
Se ti piace guarda anche: Empire, Nashville, Honey, Cadillac Records
Yo yo, bella fra, com'è, come butta?
Oggi yo vi voglio parlare di una nuova pelli-cola, che si beve fresca come una Coca-Cola, e se preferite la Fanta, tornatevene indietro agli anni ottanta, qui non si parla di roba old-school, se ne volete andate a fuck you!
Il suo 2014: la partecipazione al Festival di Sanremo come ospite, il successo anche in Italia del suo album del 2013 “Racine carrée” grazie ai singoli “Papaoutai”, “Formidable” e “Tous les mêmes”, il pezzo “Meltdown” nella colonna sonora di Hunger Games: Il canto della rivolta - Parte I
C'è poco da fare. Il 2014 è stato l'anno del Belgio.
Il piccolo staterello che fino ad ora si era segnalato più che altro perché ospita il Parlamento europeo e perché come monumento più noto ha un bambino che piscia, è stato protagonista su tutti i fronti. Dal Belgio arrivano due dei film più belli degli ultimi mesi, la sorpresa Alabama Monroe - Una storia d'amore e Due giorni, una notte dei fratelli Dardenne, senza dimenticare il delirante e visionario L'étrange couleur des larmes de ton corps, mentre sul campo sportivo la squadra di calcio è stata la rivelazione assoluta degli ultimi Mondiali in Brasile, capace di arrivare fino ai quarti di finale e di mostrare forse il gioco migliore della competizione. Il Belgio sfoggia inoltre uno degli interpreti musicali più interessanti e particolari degli ultimi tempi: il rapper/cantante/cantautore Stromae.
La prima volta che abbiamo sentito parlare di lui in Italia è stata nell'estate del 2010, quando la sua tamarreggiante “Alors on danse” si è trasformata in uno dei tormentoni del periodo. Con un pezzo del genere, Stromae sembrava destinato a essere un one-hit wonder e a scomparire nel nulla, invece no. Dopo l'album d'esordio “Cheese”, nel 2013 ha pubblicato il suo secondo lavoro “Racine carrée”, diventato un grande successo anche dalle nostre parti soltanto nel corso del 2014. Il merito?
Per una volta, diamogliene atto, il contributo di Fabio Fazio è stato fondamentale. È stato lui a volerlo sul palco del Festival di Sanremo, dove Stromae ha interpretato la sua “Formidable” fingendosi ubriaco, tra lo sconcerto e l'incomprensione del pubblico zombie sanremese. Uno dei momenti più sorprendenti e formidabili nella storia della tv italiana, nonché l'unica occasione in cui è valsa la pena tenere gli occhi aperti durante il Festival di quest'anno. E un po' in generale di tutti gli anni.
Il suo 2014: l'album d'esordio “The New Classic”, i singoli “Fancy” con Charli XCX, “Black Widow” con Rita Ora, “Beg for It” con MØ, “Problem” con Ariana Grande, “No Mediocre” con T.I. e “Booty” con Jennifer Lopez
Il 2014 è stato l'anno di Iggy Azalea, almeno nell'ambito della musica hip-hop commerciale. Tutto quello che ha toccato si è trasformato in oro, sia i singoloni tratti dal suo album come “Fancy” e “Black Widow”, che i pezzi cui ha prestato le sue rime, come la hit “Problem” di Ariana Grande.
La rapper (o si dice per caso rapperessa? Nah, fa troppo schifo!) australiana non è però presente in questa classifica tanto per il suo talento con le parole, comunque notevole, o per la sua musica, comunque piacevole, ma per le sue ragguardevoli doti fisiche, sfoggiate in una serie di video dal sapore molto cinematografico. Un sapore non solo molto cinematografico, ma anche molto cannibale, visto che i video di “Fancy” e di “Black Widow” omaggiano due super cult di Pensieri Cannibali.
Il videoclip di “Fancy” altro non è che il remake in formato cortometraggio del teen movie Ragazze a Beverly Hills (Clueless) in cui Iggy Azalea riprende il ruolo che fu di Alicia Silverstone, senza sfigurare affatto. E reggere il confronto con la icona teen per eccellenza degli anni '90 non era impresa facile.
Chi si aggiudicherà l'ambito (eddai, è solo un modo di dire) titolo di Man of the Year ovvero, se non speakkate l'inglese, l'uomo più importante e significativo dell'anno secondo Pensieri Cannibali?
A quei due o tre che vogliono scoprirlo dico di pazientare un po', perché la classifica è appena iniziata. Quest'anno non sarà una Top 20, bensì una Top 10. Prima di cominciare la scalata alla cima della decina 2014, vediamo chi ha conquistato il titolo nelle scorse annate:
La quarta puntata delle guide musicali galattiche fornite da Pensieri Cannibali, dopo Britpop, Grunge e Hip-Hop internazionale, si occupa di un genere molto, come dire? Odiato. Sì. Forse il rap italiano è il genere musicale più odiato d’Italia. La colpa? Fondamentalmente di una scena passata non sempre fenomenale e di una odierna ancora più discutibile, capitanata da nomi sputtanati come Moreno, Fedez ed Emis Killa. Soltanto perché loro fanno schifo, non significa però che sia tutta ‘nammerda.
Un altro motivo per cui il genere non è visto di buon occhio è il fatto che in Italia l’hip-hop tutto, e non solo quello nazionale, viene ancora considerato da molti come un tipo di musica di serie B. Perché questo?
Forse perché in Italia non c’è mai stata una forte comunità black, non come in altri paesi come Francia o Regno Unito, per non nominare gli USA. O forse perché da noi c’è ancora la concezione che solo il rock è musica di serie A, senza però considerare che i dischi rock davvero fondamentali usciti nel nuovo millennio si possono contare sulle dita di una mano. Monca.
Come sia o come non sia, la scena hip-hoppara italiana nel corso degli anni qualche cosa di interessante l’ha anche prodotta. Volendo provare a fare un brevissimo bignamino per babbani, possiamo dire che tra i primi a importare dagli Stati Uniti il rap c’è stato Jovanotti. Proprio lui. Per quanto sia sempre stato un po’ ai margini del movimento hip-hop e sbeffeggiato dagli intregralisti del genere, il Jova ha dato un contributo fondamentale per far conoscere la musica rap dalle nostre parti. La scena si è poi sviluppata negli anni ’90 grazie al successo di Articolo 31 e Sottotono, mentre nell’ underground si sono mosse le posse, oltre a varie realtà locali con il loro rap in dialetto, soprattutto in napoletano uè uè e in romanesco aò.
Dopo un periodo di stallo a livello commerciale, negli ultimi anni il genere è tornato sulla cresta dell’onda, grazie in particolare al fenomeno Fabri Fibra che, nel piccolo dello Stivale, ha rappresentato un po’ quello che Eminem è stato dall’altra sponda dell’Atlantico. Applausi per Fibra, dunque?
Da una parte sì, perché insieme ad altri rappers come Caparezza, Club Dogo, Mondo Marcio, Marracash etc. ha sdoganato definitivamente il genere nel mainstream, dall’altra parte no, perché ha (involontariamente) dato vita a tutta una serie di suoi cloni in tono minore, come i vari rapperoni citati in apertura di post.
Ma adesso basta polemiche e chiacchiere da bar e via alla musica, con i miei 10 pezzi di rap italiano preferiti di sempre. E, a fondo post, trovate anche la mia ormai tradizionale playlist Spotify.
Top 10 – Le canzoni di rap italiano preferite di Pensieri Cannibali
10. Piotta "Super cafone"
9. Club Dogo "Spaccotutto"
8. Sottotono "Tranquillo"
7. Fabri Fibra "Bugiardo"
6. Jovanotti "Non m'annoio"
5. Neffa e I messaggeri della dopa "Aspettando il sole"
4. Frankie HI-NRG MC feat. Riccardo Sinigallia "Quelli che benpensano"
3. Articolo 31 "Tranqi funky"
2. 99 Posse "Comuntwist"
1. Caparezza "Eroe (Storia di Luigi delle Bicocche)"
Ecco la playlist Spotify di Pensieri Cannibali dedicata al rap italiano
Terza puntata delle guide galattiche ai generi musicali realizzate da Pensieri Cannibali. Dopo i primi due capitoli dedicati a Britpop e Grunge, oggi la sfida si fa ancora più impegnativa. Il genere di cui ci occupiamo oggi è l’hip-hop, ed è un campo talmente sterminato che è difficile sintetizzare il tutto in sole 10 canzoni. Ma qui a Pensieri Cannibali non ci facciamo spaventare dalle missioni difficili/impossibili. Altroché Tom Cruise!
Cos’è l’hip-hop?
Non si tratta solo di un genere di musicale, ma di una corrente culturale, di uno stile di vita. Se vogliamo trovare le basi del genere, andando indietro nel tempo si può far risalire le radici del rap ai discorsi di Muhammad Alì, così come ai pezzi spoken-word di artisti come Gil Scott-Heron, senza dimenticare la parte musicale che, grazie a gente come Grandmaster Flash, Afrika Bambaataa e Kool Herc, ha elevato il mestiere del dj a vera e propria figura artistica. Con buona pace di chi continua a non reputare i dj dei musicisti.
Un aspetto che adoro particolarmente di questo genere è la capacità di prendere elementi da altri generi, campionare qualsiasi stile di musica, dalla disco al rock senza disdegnare il pop, e farlo proprio, donandogli una nuova vita come nel cinema fa ad esempio Quentin Tarantino, per me un regista dallo stile profondamente hip-hopparo. Lui non ruba dagli altri film. Lui cita e rielabora. Lo stesso fa la buona musica rap.
In questa sede non ho preteso di racchiudere tutto ciò che è hip-hop, bensì mi sono limitato a fare una Top 10 dei miei brani appartenenti al genere preferiti. Visto che dieci pezzi sono troppo pochi, ne ho messi un bel po’ di più dentro la mia hip-hop playlist Spotify che potete beccarvi a fondo post, in cui trovate roba old-school come Sugarhill Gang, Run-DMC e De La Soul, accanto a hit anni ’90 di Blackstreet, Montell Jordan e House of Pain, insieme a pezzi del nuovo millennio di T.I., Lil Wayne e 50 Cent, più tanto altro ancora.
E il rap italiano? Di quello ci sarà modo di parlarne presto. Ma intanto subito, qui e ora, trovate la mia decina top hip-hop of all times.
E sì, yo riuscirò ad arrivare in fondo a questo post senza usare la parola yo…
D’oh!
Top 10 – Le canzoni hip-hop preferite di Pensieri Cannibali
10. Grandmaster Flash “The Message”
9. Wu-Tang Clan “C.R.E.A.M.”
8. Missy Elliott “Get Ur Freak On”
7. Public Enemy “Fight the Power”
6. Beastie Boys “So What Cha Want”
5. Notorious B.I.G. “Hypnotize”
4. Eminem ft. Dido “Stan”
3. Kanye West “Stronger”
2. Busta Rhymes “Woo Hah!! (Got You All In Check)”
1. 2Pac feat. Dr. Dre “California Love”
La playlist hip-hop di Pensieri Cannibali su Spotify.
Il suo 2013: ha pubblicato il suo nuovo fenomenale e innovativo disco "Yeezus", tra gli album dell'anno per Pensieri Cannibali e per gran parte della critica americana e mondiale (ed era piaciuto pure a Lou Reed), e inoltre ha chiesto la figa mano alla compagna Kim Kardashian, da cui ha avuto una figlia che ha chiamato... North West. Ebbene sì.
Se ti piace lui, ti potrebbero piacere anche: Jay-Z, Pusha T, Kid Cudi, Kendrick Lamar, Tyler the Creator, Drake, Daft Punk
È in classifica: perché, nonostante la sua vita privata e alcune sue dichiarazioni siano spesso discutibili, a livello musicale è uno dei più grandi geni della nostra epoca, sempre avanti e mai fermo a fare due volte lo stesso disco.
Il suo discorso di ringraziamento: "Oooh, finalmente qualcuno che premia me e non quella mocciosetta di Taylor Swift!"
Dicono di lui su cinguettator North West @northwest2013
@kanyewest Papà, ma che razza di nome m’hai dato? Lo sai che m’hai rovinato la vita per sempre, vero? #VoglioMorire
Eminem è un po’ il Beppe Grillo del rap. Si possono condividere o meno i suoi pensieri, alcune sue frasi e prese di posizione possono essere parecchio discutibili, però ogni volta che si fa sentire non si può ignorarlo. Entrambi sono poi partiti come comici, pure Eminem, che all’inizio era il rapper clown di pezzi ironici e strafottenti come “My Name Is” e “The Real Slim Shady”, e poi via via hanno sempre più voluto essere presi sul serio. Non ogni volta con risultati riusciti, in fondo la loro arma principale è quella dell’ironia, più feroce è meglio è, ma se non altro ci provano a essere qualcosa di più di semplici divertenti cazzari.
Entrambi inoltre sono ricchi, popolari e potenti e potrebbero ritirarsi a condurre una vita tranquilla-la-la e nessun avrebbe da dir loro niente. Perché non lo fanno?
Qualcuno dirà per diventare ancora più ricchi, popolari e potenti e magari un pochino è vero. Però c’è un’altra cosa che tutti e due possiedono e che continua a farli andare avanti: la rabbia.
Eminem è ancora arrabbiato, Dio sia lodato. L’ultimo disco di Jay-Z, per dire di un suo amico-collega rapper, suona ad esempio come il passatempo di lusso di un uomo che dalla vita ha ormai avuto di tutto e di più, persino una Beyoncé come moglie, e non ha più nulla da chiedere o da dimostrare. Buon per lui, meno per la sua musica. Per nostra fortuna, magari meno per la sua, di fortuna, Eminem invece non è un uomo pacificato. Continua ad aver voglia di dimostrare di essere il numero 1, di essere l’hottest MC in the game. Un sacco di artisti questa grinta nel corso degli anni la perdono, lui ce l’ha ancora.
Questa ritrovata forza, che si era andata un po’ a perdere nei suoi precedenti lavori, di cui alcuni come l’ultimo Recovery comunque niente male, emerge chiara nel primo pezzo del suo nuovo disco. “Bad Guy” è un inizio della Madonna. Qui Eminem si mette a nudo, confessa di odiare il fatto di essere sempre considerato il cattivo, il villain della situazione, riprende in maniera autoironica la sua hit storica “Stan”, si cimenta con un pezzone di quelli che sembrano usciti da un disco di qualcuno dei nuovi rapper più lanciati, come Tyler, the Creator e Kendrick Lamar, gioca sul loro stesso territorio e li batte, prendendo il volo in una suite degna di Frank Ocean, o di Justin Timberlake, o (quasi) persino di “Paranoid Android” dei Radiohead. “Bad Guy” è uno dei brani più good nell’intera carriera del rapper e, se tutto il resto del programma fosse a questo livello, adesso potremmo urlare al - Capolavorooo! - . Così purtroppo non è.
“The Marshall Mathers LP 2” fin dal titolo di preannuncia come un sequel del suo album più venduto. Un disco che viene citato a campionato qua e là, ma con cui in fin dei conti a livello musicale non ha nemmeno troppo a che vedere. Probabilmente perché si tratta solo di una mossa di marketing, come ammette lui stesso nella citata “Bad Guy”: “And hey, here's a sequel to my Mathers LP/Just to try to get people to buy/How's this for publicity stunt? This should be fun/Last album now cause after this you'll be officially done.”
Il resto del disco non sarà ai livelli dell’apertura ma è comunque ricco di spunti stimolanti, a dimostrazione di un rapper che continua a essere vivo e vitale. A livello produttivo lo zampino di Dr. Dre si sente sempre meno (giusto in “So Much Better” che ricorda “Guilty Conscience”), mentre la parte del leone la fa Rick Rubin, che ci mette dentro il suo tocco rock, più un respiro da hip-hop old-school alla Beastie Boys, omaggiati più che esplicitamente nel cazzutissimo singolone “Berzerk”, una bomba con cui Marshall prende le distanze dai suoi passati successi e si lancia in qualcosa di retrò eppure nuovo.
Il tocco vintage viene fuori anche nei campionamenti, come quello della 70s “Life’s Been Good” di Joe Walsh nell’auto-retrospettiva “So Far…”, o come quello dell’inno anni Sessanta “Time of the Season” dei mitici The Zombies, trasfigurato da Eminem in “Rhyme or Reason”, una delle sue solite filastrocche cantilenanti che ai reduci del Vietnam potrebbe far storcere il naso ma che in realtà funziona alla grande.
Altri bei momenti arrivano con “Legacy”, che fa scattare invece il momento malinconia e suona come una possibile erede di “Stan”, mentre in “Rap God” Eminem va a ruota libera, con un quasi freestyle degno di una rap battle di 8 Mile.
Non tutto è oro colato, va detto; la rockeggiante “Survival” ad esempio appare buona come soundtrack di un videogame (infatti è presente in Call of Duty: Ghosts), meno in un album, e qualche pezzo non del tutto esaltante viene fuori soprattutto nella seconda parte. Non mancano inoltre le concessioni commerciali, dopo tutto la casa discografica di Eminem questo disco deve pur venderlo, ma sono giusto un paio: “The Monster”, nuovo duetto con Rihanna, tra l’altro spakka, mentre convince un po’ meno “Headlights” con Nate Ruess, il cantante dei fun., una canzone piuttosto lagnosa che ben poco ha a che fare con il resto del programma.
Nel complesso, Eminem se n’è tornato con un album convincente assai, con pochi momenti deboli e molti punti forti. Al di là delle singole canzoni, o del fatto che a livello musicale non si tratti certo di un lavoro rivoluzionario, ciò che emerge con maggiore prepotenza è un’altra cosa: Marshall Mathers ha una gran voglia di dimostrare di essere ancora il migliore della scena rap. Probabilmente non lo è. Kanye West a livello sonoro sta troppo oltre, Drake come songwriter ha una classe superiore, Tyler the Creator e Kendrick Lamar possiedono una freschezza da novellini irreplicabile, 2 Chainz è il più tamarro su piazza e A$AP Rocky oggi come oggi è troppo il più cool. Ma non importa che l’impresa di essere il numero 1 assoluto non gli sia riuscita. Mentre gli altri nomi sul grande campo dell’hip-hop cambiano, lui c’è sempre e probabilmente ci resterà ancora a lungo. Fino a che almeno non verrà a mancargli una cosa: la rabbia.
Ill Manors (UK 2012) Regia: Ben Drew Sceneggiatura: Ben Drew Colonna sonora: Plan B alias Ben Drew Cast: Ed Skrein, Natalie Press, Anouska Mond, Riz Ahmed, Nick Sagar, Eloyse Smith, Ben Drew Genere: gangsta opera Se ti piace guarda anche: 8 Mile, Hustle & Flow, Training Day, Skins
Oi, I say Oi mi chiamo Marco Goi e in questo film tutti usano l’intercalare Oi non è l’abbreviazione di “Fatti i fatti tuoi” è solo un modo alternativo per dire hey che cazzo vuoi, chi cazzo sei? Ve lo già detto sono Marco Goi alias Cannibal Kid c’ho più rime io che Rai Yoyo episodi di Peppa Pig Oggi vi parlo del film Ill Manors di Plan B un rapper british da Premier League mica serie B uno al cui confronto Fedez e Moreno yo, fanno proprio un rap osceno il suo nome all’anagrafe è Ben Drew l’ha fatto con pochi soldi e l’aiuto della sua crew l’ha sceneggiato, girato e musicato perché lui è uno di cinema e musica più di me affamato questo non è solo un film è una gangsta opera storie di strada, mica una soap opera qui c’è sesso droga rap e un po’ di bisboccia se vuoi cuoricini e lucchetti rivolgiti pure a Moccia quello che trasforma in merda tutto ciò che tocca sentito? Oggi niente può fermare la mia bocca.
"Se lasci ancora rappare Cannibal Kid, giuro che ti faccio fuori!"
Ill manors è il racconto di un gruppo di disperati ragazzi buttati in strada col rischio di essere affettati oppure sparati Bang Bang! la loro vita è come stare su un ring altro giro altro round, ding! Plan B come me è solo un umile narratore i suoi personaggi vivono non fingono come fa un attore forse deve ancora crescere un po’ come sceneggiatore ma con musiche e testi passa sopra tutto come un trattore. Ne volete ancora? Mi dovete pagare 100 euro all’ora. Ma mi accontento anche di 10 euro a recensione sì lo so questa è uscita un mezzo bidone il film non è un capolavorone ma la merita una visione quanto a me, sganciate i soldi e la smetto di fare il coglione. (voto 6,5/10)
Dio Kanye è diventato papà. La madre del bebé non è la Madonna, è Kim Kardashian. Non proprio la stessa cosa. È da lei che il rapper sabato scorso ha avuto una piccola baby girl, ma non è l’unico figlio che ha visto nascere in questi giorni. Il suo altro bebè è il suo nuovo album, che ha chiamato “Yeezus” e che è stato partorito dallo stesso Kanye West. Questo sì che è un miracolo!
Come mai un titolo poco impegnativo del genere? A spiegarlo è stato lo stesso Kanye in un’intervista: “Simply put, West was my slave name. Yeezus is my god name.”
Dopo aver realizzato il disco più importante del nuovo decennio insieme al nuovissimo “Random Access Memories” dei Daft Punk, ovvero il capolavoro “My Beautiful Dark Twisted Fantasy”, un album in grado di portare la musica hip-hop a un nuovo livello, questa volta West è andato ancora oltre. Il suo nuovo lavoro “Yeezus” è un puro delirio, è sperimentale come nessun disco rock ha più osato essere da parecchi, parecchi, ma parecchi anni a questa parte, e ne è uscita una roba che non è nemmeno definibile come hip-hop. Ci sono molte parti rappate, è vero, ma non è per nulla il classico disco hip-hop. È un oggetto misterioso che sembra provenire da un futuro lontano e che al suo interno contiene di tutto e di più: le produzioni dei Daft Punk così come la supervisione di Rick Rubin (storico produttore non solo rock, ma anche del rap 80s di Beastie Boys, Public Enemy, LL Cool J e Run-DMC), sintetizzatori alla Suicide e R&B, una folle attitudine punk, o meglio post-punk, e allucinate atmosfere rap-horror alla Death Grips o alla Tyler, the Creator. E persino industrial alla Nine Inch Nails.
Di tutto e di più, al punto da sembrare persino troppo per un disco solo. Nonostante questo, non disperate. Non perdete la Fede in Dio Kanye. Ascolto dopo ascolto, Yeezus walks with us e ci rivela in pieno i suoi piani divini.
E ora, vai di autopsia del disco track-by-track
L’apertura con “On Sight” è all’insegna dell’elettronica più spinta, con un beat fornito dai divini Daft Punk. Rispetto al loro ultimo “Random Access Memories”, questo sound devastante sembra rispolverato dall’era del loro precedente lavoro “Human After All”. In ogni caso, una roba potentissima. Il delirio può avere inizio.
“Black Skinhead” campiona il ritmo di “Beautiful People” di Marilyn Manson, trasfigurandolo in un tribal-rap selvaggio e malato. C’è ancora lo zampino dei Daft Punk, c’è persino qualche eco di “Disturbia” di Rihanna però riletta in una chiave molto più disturbata, in quello che è il brano di maggiore impatto di un album che, come vedremo, si rivelerà arduo da decifrare. Se non altro al primo ascolto, perché già a partire dal secondo comincia a diventare famigliare. Non dico easy, dico famigliare.
"Black Skinhead" è un pezzo enorme, appena uscito e già diventato colonna sonora (perfetta) di un trailer. Mica di un film a caso, bensì di The Wolf of Wall Street, il nuovo di Martin Scorsese con Leonardo DiCaprio. Per una pellicola yuppie del genere, chi meglio del rapper yuppie Kanye?
“I Am a God”: fin dal titolo, Kanye West dimostra tutta la sua enorme modestia. D’altra parte, il rapper è già pronto per partire con il suo “Resto umile World Show” personale. Musicalmente siamo dalle parti della follia più completa, tra sintetizzatori, urla terrificanti, un ritmo che cresce sempre più e un’atmosfera che farebbe cacare sotto persino Dario Argento. Che sia la soundtrack della sua vita da incubo con Kim Kardashian? Ma poi di che cosa parlerà un genio come Kanye West con una decerebrata (con tutto il rispetto per i decerebrati) come la Bagashian? Probabilmente non parlano. Trombano come conigli e basta.
Alla fine dell’incubo, firmato ancora Daft Punk, la salvezza finale per l’American Psycho Kanye Bateman arriva sotto forma della voce salvifica di Bon Iver.
Non c’è un cazzo da fare: he is a god. O, meglio ancora, he is God.
“New Slaves” è l’inno minimal dell’album. Padre Kanye West fa il suo sermone anti-razzismo sopra una distesa di bassi, con l’aiuto di Frank Ocean. “Fuck you and your Hampton house, I'll fuck your Hampton spouse. Came on her Hampton blouse and in her Hampton mouth”. Kanye Unchained contro tutto e contro tutti. Fuck yeah.
“Hold My Liquor” è aperta dalla voce di Justin Vernon al secolo Bon Iver, ormai immancabile e onnipresente al fianco del rapper. Che Kanye tradisca la Kardashian con lui? Non solo Bon Iver, comunque, perché arriva anche il featuring del lanciatissimo rapper Chief Keef, in un pezzo rap alcolico non troppo distante dai sentieri del precedente “My Beautiful Dark Twisted Fantasy”, solo ancora più dark.
“I’m In It” si sviluppa come un nuovo incubo, tra urla, trombette da stadio, lampi melodici, accenni dancehall reggae forniti dal featuring di Travis Scott. In fondo in fondo, si tratta di una romanticissima dichiarazione d’amore nei confronti della compagna Kim Kardashian, o qualcosa che nel mondo di Kanye più si avvicina a una tenera serenata: “Your pussy's too good, I need to crash. Your titties, let 'em out, free at last.”
“Blood on the Leaves” va di campione di “Strange Fruit” di Nina Simone che canta il classico di Billie Holiday ed è uno dei pezzi più accessibili, relativamente accessibili, della raccolta. Per quanto possa esserlo un jazz autotunizzato da Kanye e con una base di Hudson Mohawke dei TNGHT. Un frullato di suoni post-moderno che sarebbe suonato perfetto nella colonna sonora de Il grande Gatsby di Baz Luhrmann. Fanno sempre in tempo a girarne un sequel ambientato ai giorni nostri e intitolato Il grande Kanye, con Kim Kardashian che potrebbe rendere il personaggio di Daisy Buchanan ancora più insopportabile di quanto possa averlo concepito Fitzgerald.
“Guilt Trip” è un altro viaggio totale dentro la mente malata di Kanye, con la partecipazione straordinaria di Kid Cudi. Nonostante il titolo no, non ha niente a che fare, almeno non credo, con il film “Parto con mamma - The Guilt Trip” con Seth Rogen e Barbra Streisand. Apparentemente un brano minore del disco, in realtà conduce delicatamente (più o meno delicatamente) dritti per dritti verso il grande finale.
“Send It Up”, ancora una volta prodotta dai due genietti francesi Daft Punk, ti entra dritta in testa. II rap del futuro passa per di qua, per sta roba che non è manco più hip-hop. E che cos’è?
Kanye West con questo album si propone come il Messia di una musica nuova. Il rap così come lo conoscevamo è solo un lontano ricordo, le concessioni pop sono state del tutto accantonate, l’elettronica qui proposta non ha niente a che vedere con la dance tradizionale, e insomma questo disco sta alla musica commerciale come American Psycho sta a una commedia romantica.
“Yeezus” è un disco punk, è un disco electro, è un disco dark, è un disco minimal ed è un disco hardcore. È un lavoro notevole, estremo, a tratti, molti tratti geniale, che sposta i confini dell’hip-hop, ma in generale della musica di oggi, più in là. Oltre. Solo il tempo potrà dirci quale sarà la sua importanza, per ora comunque non si può certo accusare Dio Kanye di non aver avuto coraggio o di essersi adagiato sulla sua popolarità. Dentro “Yeezus” non troverete manco un accenno di un singolo commerciale o di un brano radiofonico, un po’ come nel recente e altrettanto folle “Shaking the Habitual” dei The Knife. L’unica mezza concessione melodica arriva solo con la conclusiva “Bound 2”, scritta con John Legend, che al suo interno contiene la voce di Charlie Wilson della The Gap Band e un paio di campioni irresistibili da “Bound” della poco conosciuta band anni ‘70 Ponderosa Twins Plus e dalla splendida “Sweet Nothin’s” di Brenda Lee. Gran finale, per un disco che non è un disco è una bomba.
“Yeezus” potrebbe essere il “Kid A” della musica hip-hop?
“Yeezus” potrebbe essere il “Kid A” della musica hip-hop.
I Gemelli DiVersi sono una band, o se preferite una crew, composta da 3 rappers e un cantante. Poi forse c’è anche uno che balla soltanto. Ah no, quelli erano gli 883.
3 rappers di quelli che Jay-Z e Kanye West salutano con rispetto quando li vedono passare e con cui Eminem era solito scontrarsi, e pure perdere, ai tempi delle rap battles di Detroit, quando non erano ancora famosi. Né Eminem, né i Gemelli diversi.
Gemelli diversiiii?
E chi sono?
Dite che non sono famosi? Vi siete già dimenticati di loro?
Nulla di più facile. Assurti a effimera notorietà qualche (d)anno fa con agghiaccianti hit come “Mary” e “Fotoricordo”, ogni tanto scompaiono e poi ritornano in vita. Come gli zombie. E come gli zombie, ogni volta è difficile liberarsi di loro.
I Gemelli diversi sono tornati con il singolo “Per farti sorridere”, tratto dal nuovo perdibile album "Tutto da capo", che in questa fine estate Mtv e le radio stanno pompando parecchio. Sarà perché ha un sound ancor a piuttosto estivo e un ritornello ruffianissimo.
Nel suddetto ritornello, il “cantante” dei Gemelli diversi dice:
Scriverò una canzone solo per te
e poi la canterò per farti sorridere
e cercherò parole bellissime
che non saranno mai
belle come te, belle come te, belle come te.
ma nessuna sarà bella come te, bella come teeeee
Parole romanticissime, di quelle capaci di mandare in sollucchero le tipe più smielate.
Attenzione, però, perché in realtà se andiamo a leggere con maggiore attenzione questa non è tanto una dichiarazione d’amore, quanto una dichiarazione d’incapacità da parte del suddetto gemello diversamente abile. Lui infatti non troverà mai parole belle quanto te, tipa, per quale motivo?
Non lo troverà perché è già tanto se riesce a scrivere, figuriamoci se è capace di trovare delle parole belle.
La music week procede ancora, con alcune nuove veloci recensioni musicali di dischi a caso usciti negli ultimi mesi. Dopo quelli rock, quelli pop e quelli indie, oggi ci sentiamo e ci leggiamo qualche album hip-hop/R&B.
Frank Ocean “Channel Orange”
Volete un nome, un nome solo per definire il suono migliore della nuova scena R’n’B o se preferite arrenbì americana?
Nessun dubbio: Frank Ocean.
Già crooner per il collettivo hip-hop Odd Future, già lanciato da Jay-Z e Kanye West, il suo debutto in proprio “Channel Orange” è dinamite pura. Il disco di cui la scena r&B aveva bisogno dopo un periodo più blues che rhythm andato avanti diciamo dall’uscita dell’esordio di Janelle Monae un paio d’anni fa. Apice del disco una “Pyramids” che più che una semplice canzone è un trip alla “Paranoid Android” dei Radiohead e che fa capire come questa non sia roba per soli amanti del genere. Ma per tutti gli amanti della grande musica.
(voto 8/10)
El-P “Cancer for Cure”
Un disco cazzuto. Possiamo definirlo con termini più gentili e politically correct, ma snatureremmo il contenuto dell’album. Potente e incendiario. Mmm… anche se incendiario è un termine che è meglio non usare, dopo giorni di incendi appiccati da firestarters che evidentemente non hanno proprio niente di meglio da fare.
Comunque, questo cancro come cura è un disco hip-hop in grado di far muovere la testa anche al pubblico rock, quello che arriccia il naso al solo sentire la parola rap. Ascoltare per credere, manica di infedeli.
(voto 7,5/10)
Aesop Rock “Skelethon”
Dopo El-P, un altro rapper che fin dal nome può piacere anche al pubblico meno hip-hopparo e più rockettaro.
Ancora non vi fidate della mia sacra Parola? Siete proprio dei miscredenti…
(voto 7/10)
Plan B "ill Manors"
Piano A: diventare un rapper.
Piano B: diventare un artista a tutto tondo.
Indovinate cos’ha scelto uno che si chiama Plan B?
Benjamin Paul Ballance Drew in arte Plan B è uno dei giovani talenti più completi e trasversali del panorama britannico e diciamo pure mondiale. È un rapper, ma è anche un cantante, ma è pure un attore e fa inoltre il regista e sceneggiatore.
E non è come i vari Will Smith e Jennifer Lopez che fanno tutto e male. Lui fa tutto e bene.
Come regista ha già diretto alcuni videoclip ma al cinema è ancora tutto da verificare. Però il suo film d’esordio ill Manors promette bene. Molto bene. La colonna sonora, naturalmente, l’ha firmata lui. Prima parte hip-hop tra nuovi suoni UK e poesia urbana, seconda parte strumentale e atmosferica.
Piano A: ascoltare questo disco/colonna sonora.
Piano B: diventare fan di Plan B.
Cosa scegliete?
(voto 7/10)
"Chissà perché dicono tutti che assomiglio a Steve Urkel..."
Labrinth “Electronic Earth”
Non vi piace il rap italiano stile Fabri Fibra e Club Dogo?
Non vi piace nemmeno il gangsta rap ammericano?
Bene, io vi propongo un’alternativa. L’hip-hop made in UK di Labrinth, molto contaminato con la musica elettronica e con le sonorità dell’underground inglese, dalla dubstep al drum’n’bass.
E se non vi piace nemmeno questo, non so che dirvi. Anzi sì: tornate a sentire i Cugini di campagna!
(voto 6,5/10)
Spoek Mathambo “Father Creeper”
Tanto per non scontentare nessuno, ecco un altro artista che parte dal rap come scelta espressiva, per risputarlo fuori con una proposta estremamente varia e contaminata. Il suo hip-hop ha un approccio molto fisico e live, più dalle parti dei The Roots che di quelle di un Eminem, tanto per dare una vaga idea della sua musica, molto personale e pure un pizzico afro. E poi incide per la Sub Pop Records, un tempo l'etichetta dei Nirvana...
(voto 7+/10)
Two Fingerz “Mouse Music”
Questa è musica che è fatta con il mouse
se non ti piaceva te ne stavi IN DA HOUSE!
Questa di sicuro non è musica rap
non l’ascolta chi ascolta 2Pac
Two Fingerz “Mouse Music”
E a proposito di musica rap che non è proprio musica rap, ecco anche una proposta made in Italy: i Two Fingerz, combo crew electro hip-hop pop italiana formata da Danti e Roofio, hanno tirato fuori un nuovo album. Com’è?
Divertente. Divertente credo sia la parola migliore per descriverlo. Divertente nelle musiche, basi e beats diretti al dancefloor e più veloci rispetto ai ritmi lenti tipici dell’hip-hop. E divertente nei testi, che sono fun-tastici.
(voto 6,5/10)
B.o.B “Strange Clouds”
Se cercate un disco di hip-hop mainstream, commerciale e easy-listening ma non scemo, B.o.B fa al caso vostro. Si fa introdurre dal vocione di Morgan Freeman, poppeggia insieme a Taylor Swift e a Ryan Tedder dei OneRepublic, ma non dimentica di darci dentro con il rap in compagnia di Lil Wayne e Nicki Minaj. Gioca un po’ troppo sulle collaborazioni però alla fine riesce a portare a casa il risultato. Bel gioco di squadra, ma sulle doti individuali il ragazzo deve allenarsi ancora un po’…
(voto 6/10)
Delilah “From the Roots Up”
Voce strepitosa della nuova scena dubstep britannica, dopo la collaborazione con Chase & Status ha esordito ora in proprio con il suo album di debutto in società “From the Roots Up”. Una figatonza che guarda al “vecchio” trip-hop Massive Attack style per riproporlo in una veste nuova e del tutto attuale, suonando come una versione remixata di Emeli Sandé. Il trip-hop 2.0 è qui tra noi.
(voto 7+/10)
Azealia Banks “Fantasea”
Il suo disco d’esordio vero e proprio è stato rimandato al 2013. Per ingannare l’attesa, la nuova fenomena della nuova musica British ci offre giusto un assaggio delle sue enormi potenzialità, con un antipasto. Non un album vero e proprio. Solo un disco mixtape in cui sembra una Missy Elliott per le prossime generazioni. Il suo debutto ci dirà se lo sembra solo, se lo è, o se è pure qualcosa di più.
Se ti piace ascolta anche: Marracash, Ensi, Entics, Emis Killa, Dargen D’Amico, J-Ax
I Club Dogo non sono dei rapper, sono dei selvaggi, capaci di uscite romantiche come questa:
“Pensavo fosse amore e invece era MDMA”.
Anche se non sembra, anche loro però hanno un cuore che batte (a un ritmo hip-hop da 80BPM al minuto, naturalmente) e a conferma di questa azzardata tesi hanno appena fatto uscire un pezzo di beneficenza in favore dei terremotati d’Emilia intitolato “Se il mondo fosse”, in collaborazione con J-Ax, Marracash ed Emis Killa. Il tutto fatto senza buonismi di sorta alla LigaJovaPelù. Ed è proprio questo il punto di forza di ciò che fanno. A parte una parte musicale particolarmente curata, in questo album ancor più che nei precedenti il loro punto di forza sta nelle parole, letteratura di strada nuda e cruda. Cattiva, ma quasi mai gratuitamente cattiva. Se si guarda al di là dei termini più hip-hoppari yo yo fratello tipo “Dicono Dio Gìo Dio Mio Vai Zio, Dio Gìo Dio Mio Vai Zio” o certe sparate gangsta-rap sui soldi o meglio sul ca$h, i loro testi sono piccole perle di ingenio creativo.
Qualcuno potrà accusarli di essersi fatti via via più commerciali: “Siete diventati troppo commerciali, bro!” e in effetti vari pezzi virano parecchio verso il pop, però a livello di rime e testi non hanno smussato alcun angolo e il loro nuovo disco è disseminato di idee e di riferimenti di tutti i tipi. In “Erba del diavolo” ad esempio c’è una rima dedicata a Game of Thrones, visto il loro nome decisamente inevitabile:
La mia lingua è peggio di tutte le spade dentro al trono,
La Furia dei Club Dogo ha la furia di Khal Drogo.
E c’è pure una rima dedicata a me. Forse…
Non metto una rosa tra i denti, sul petto una rosa dei venti,
figlio di Annibale, il flow cannibale, tu pagami gli alimenti.
Nella parte chiamiamola “emotiva” dell’album, i Club Dogo giocano invece a fare gli Eminem all’italiana. “Tutto ciò che ho”, scritta come una lettera da parte dei fan, è la loro “Stan”, mentre “Se non mi trovi” è alla lontana la loro “Love the Way You Lie”.
Il pezzo cult dell’album, oltre al contagioso primo singolo “Chissenefrega (in discoteca)”, è però senza dubbio “P.E.S.” con il ritornello cantato da Giuliano Palma, un irresistibile inno al videogame per eccellenza sul calcio Pro Evolution Soccer. E pure un vago inno al fumo…
Nell’insieme, tra un’ospitata e l’altra, c’è qualche momento più debole e facilmente commerciale (“La fine del mondo” con i Power “Rangers” Francers), ma tutto sommato niente che possa far gridare allo scandalo. I Club Dogo non si sono venduti. Certo, ora sono più accessibili rispetto a un tempo, passano in radio e pure in discoteca. Però chissenefrega?
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