"Forse mi conviene mettere su gli occhiali da sole. Forse..." |
Oggi è il Primo Maggio. Festa del lavoro o anche Festa dei lavoratori. Lo sapevate già, eh? Non posso mica sempre inventarmi cose nuove. Sì, potrei dire che oggi è il giorno di Natale, ma ciò mi farebbe apparire solo psicopatico, più che originale.
In occasione di questa festa, allora, Pensieri Cannibali dedicata un post speciale al lavoro più bello del mondo.
Il pornodivo?
L’imprenditore pedofilo?
Il politico imprenditore pedofilo?
Il ballerino di Amici che si piomba Belen?
No, no, no e ancora no.
Il mestiere più bello del mondo è… il giornalista.
‘Azzo ridete? Non ho detto il più remunerativo.
E non ho detto nemmeno il più rispettabile, se come giornalista consideriamo l’inviato a Londra di Studio Aperto che ogni giorno deve pescare una notizia contro Murdoch se no lo fustigano pubblicamente.
Mi riferisco a un mestiere che, se fatto con passione, può essere molto soddisfacente.
No, eh?
Vabbè, era solo una scusa per parlare oggi del seguente film. Perché in fondo è anche questo ciò che fanno i giornalisti: scovano collegamenti inesistenti tra le notizie (e a volte sono inesistenti pure le stesse notizie).
E a (s)proposito di lavoro, giornalismo e collegamenti inesistenti, vi segnalo i miei nuovi pezzi per Ed è subito serial e per Wait! Music. Tenete d'occhio questi due siti, mi raccomando!
E a (s)proposito di lavoro, giornalismo e collegamenti inesistenti, vi segnalo i miei nuovi pezzi per Ed è subito serial e per Wait! Music. Tenete d'occhio questi due siti, mi raccomando!
"Ma perché ho girato questo film?" |
The Rum Diary - Cronache di una passione
(USA 2011)
Regia: Bruce Robinson
Cast: Johnny Depp, Amber Heard, Aaron Eckhart, Giovanni Ribisi, Michael Rispoli, Richard Jenkins, Bill Smitrovich, Amaury Nolasco, Marshall Bell
Genere: annacquato
Se ti piace guarda anche: Paura e delirio a Las Vegas, Zodiac, Chico & Rita
Se avete qualche dubbio sul fatto che quello del giornalista possa essere il mestiere più bello del mondo, guardatevi questo film e ve ne convincerete. Di certo non è il film più bello del mondo, però Johnny Depp se la spassa alla grande: beve tutto il giorno, va ai party, entra in contatto con i potenti di turno, si fa Amber Heard. Devo aggiungere altro?
Detto così, sembra una figata, e lui probabilmente se l’è spassata alla grande nel girarlo. Noi a vederlo, un po’ meno…
"Ora ricordo il perché: per farmi Amber Heard!" |
Johnny Depp torna a interpretare una pellicola tratta da un romanzo del giornalista e scrittore Hunter S. Thompson, dopo Paura e delirio a Las Vegas. Il film di Terry Gilliam può suscitare impressioni del tutto diverse nello stesso spettatore:
- Se lo guardi da lucido, è una cazzata pazzesca.
- Se lo guardi da fatto, è una figata pazzesca.
- Se lo guardi da lucido, è una cazzata pazzesca.
- Se lo guardi da fatto, è una figata pazzesca.
- Se lo guardi da strafatto, beh, è il trip definitivo.
Adesso che vi ho citato quel film, toglietevelo subito dalla mente. The Rum Diary infatti è più rassicurante e, in qualunque stato fisico e/o mentale lo si guardi, resta sempre un film loffio.
Ma si può trarre un film loffio da un romanzo cult di uno dei giornalisti e autori più fuori e "gonzi" di sempre?
Evidentemente si può. Soprattutto quando decidi di aprire la pellicola sulle note di Volare nella versione Dean Martin.
Cos’è? L’ultimo di Woody Allen?
Anche se da una simile intro potrebbe sembrare, il film non è ambientato in Italia bensì a Porto Rico. Nel caliente Porto Rico. Non esattamente il posto più indicato per lavorare in maniera professionale e per restare sobri. Paul Kemp, l’alter-ego di Hunter S. Thompson intepretato da Johnny Depp, a smettere di bere non ci prova nemmeno. A parole dice che ha intenzione di farlo, ma i suoi occhi (rossi) raccontano un’altra storia.
Quale storia?
"Amber, quando hai capito di essere lesbica?" "Facile: la prima volta che mi sono guardata allo specchio." |
Questo film non racconta nessuna storia. Si limita a seguire il protagonista nelle sue peregrinazioni. Detto così ci potrebbe anche stare bene, più che bene. Un sacco di film splendidi non raccontano niente, eppure finiscono per raccontare tutto. Peccato che il regista Bruce Robinson segua il protagonista da lontano, senza mai farcelo vivere. Questo personaggio ci piace o non ci piace? Ci sta simpatico? Dobbiamo fare il tifo per lui? Boh, la pellicola si mantiene sempre troppo distante per farcelo capire con chiarezza.
Bruce Robinson era assente dalla regia da una ventina d'anni, da Gli occhi del delitto con Uma Thurman del 1992, e fondamentalmente non è che sentissimo granché la sua mancanza. Il suo stile è molto classicheggiante, per essere gentili e non dire piatto. La forza della scrittura di Hunter S. Thompson sta proprio in un forte stile, quello ricreato alla perfezione dall’altrettanto allucinato Terry Gilliam, mentre qui lo beviamo annacquato in una forma priva di spunti e di idee. L’unico momento “visionario” è quello del trip da droga vissuto dal protagonista insieme all’amico con la lingua che si allunga, ma è giusto una scena una e tra l’altro appare slegata da tutto il resto.
"Me lo rinfaccerai ancora a lungo che ero in Avatar?" "Almeno per tutta la vita, come minimo." |
Non male invece il cast. Johnny Depp va avanti in modalità pilota automatico. Questa non verrà certo ricordata come una delle sue interpretazioni più brillanti, però se non altro sembra ritornato su livelli decenti dopo le sue agghiaccianti performance negli ancor più agghiaccianti The Tourist e Alice in Wonderland: qualcuno, vi prego, mi dica che la Deliranza in realtà non è mai esistita e me la sono solo immaginata durante un trip da LSD.
Quindi c'è il sempre valido e (quasi) sempre sottoutilizzato Aaron Eckhart e in un piccolo ruolo c’è pure Giovanni Ribisi. Giovanni Ribisi, it boy negli anni ’90, che fine aveva fatto? Boh. Ah sì, aveva avuto una piccola parte in Avatar, ma pure quello come la Deliranza desidererei cancellarlo dalla memoria.
E poi, have you heard? C’è Amber Heard. Compare in maniera molto misteriosa come una sirena e altrettanto misteriosamente a un certo punto sparisce dalla scena. È lei il vero motore della vicenda, se in questo film c’è una vicenda principale. Peccato sia sfruttata davvero poco, troppo poco.
Anche il rum tanto sbandierato nel titolo, non è che giochi poi tutto questo ruolo centrale. Il film si adagia su ritmi sonnacchiosi, in perfetto stile Porto Rico poco fico e con poca musica, zero ritmo, finendo paradossalmente per essere una pellicola fredda invece che caliente come ci si poteva aspettare dall’ambientazione o come l’ingannevole trailer lascerebbe supporre. Per respirare di più l’odore del sesso (come direbbe Figabue Ligabue) e i ritmi latinoamericani, vi consiglio allora Chico & Rita, che pur essendo una pellicola d’animazione è molto più hot e sexy di questo rum on the rocks.
Vediamo Johnny Depp bere in più di un’occasione, eppure non sentiamo mai l’odore dell’alcool. Come effetto alcolico, The Rum Diary non provoca l’eccitazione di quando si comincia a bere. Provoca piuttosto l’intontimento delle ore successive, e verso la fine pure un cerchio alla testa da hangover. Un film con i ritmi da pennichella pomeridiana, anziché da venerdì sera alcolico. Più che di rum, un film che sa di birra. Birra analcolica.
(voto 5,5/10)