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sabato 5 novembre 2011

Il grande basta**o

Il grande capo
(Danimarca, Svezia 2006)
Titolo originale: Direktøren for det hele
Regia: Lars Von Trier
Cast: Jens Albinus, Peter Gantzler, Friðrik Þór Friðriksson, Benedikt Erlingsson, Iben Hjejle, Louise Mieritz, Mia Lyhne, Jean-Marc Barr, Lars Von Trier
Genere: (anti)commedia
Se ti piace guarda anche: The Office UK, In the loop, Fantozzi

A me piacciono i bastardi. Non i cattivi da film che alla fine si scoprono essere più buoni dei buoni. Mi piacciono proprio i bastardi, quelli veri. Perché alla fine tutti lo siamo, solo c’è chi lo nasconde meglio dietro una maschera di ipocrisia. Lars Von Trier invece no. Lui è un provocatore, è apertamente un figlio di puttana. C’è chi ama i “simpatici”, i Will Smith della situazione. Io no. Fanculo loro. Viva i bastardi, viva Lars Von Trier.

Il grande capo era uno dei suoi pochi film che non avevo ancora visto. Non so bene perché, forse perché il fatto che avesse girato una commedia non mi convinceva del tutto, sebbene già all’interno di Dogville e The Kingdom qualche primo sentore di ironia avesse fatto capolino all’interno del suo cinema, per quanto in maniera del tutto obliqua.
L’impressione che Lars fosse un grande comico l’ho avuta allora solo all’ultimo Festival di Cannes, in cui durante una ormai famigerata conferenza stampa aveva fatto dichiarazioni su Hitler e il nazismo degne del miglior Cartman di South Park. E aveva inoltre fatto cenno alla soluzione finale per i giornalisti. Forse se qualcuno di loro avesse visto il suo ultimo film Melancholia avrebbe capito che erano dichiarazioni tanto folli quanto ironiche. O magari no, magari Von Trier è proprio un nazi però chissenefrega. La cosa importante sono i film. Mel Gibson sarà antisemita ma il più delle volte fa film di merda, Lars Von Trier può essere o non essere antisemita ma continua a sfornare film il più delle volte grandiosi.

Ispirato da questa botta di umorismo non compresa da gran parte del mondo, d’altra parte la definizione genio incompreso non è mica nata per caso, mi sono finalmente gettato ne Il grande capo, il suo esordio ufficiale nel mondo della commedia. Una commedia piena come annunciato apertamente a inizio film, dallo stesso Lars che compare riflesso nella finestra dell’edificio aziendale in cui è ambientata gran parte della vicenda.
La vicenda è quella di un tizio danese che ha aperto un’azienda ma non ha detto a nessuno di esserne il fondatore e così si è inventato un capo fittizio. Una presenza misteriosa e sconosciuta, un mega direttore galattico che mai nessuno ha mai avuto l’onore di incontrare di persona. Il giorno in cui il tizio decide però di dare via l’azienda a degli islandesi, questi vogliono (ovviamente) incontrare il capo face to face. E allora il tizio danese ingaggia un attore per impersonare questo misterioso capo che mai nessuno conosce. Tanto se nessuno l’ha mai visto, può avere qualsiasi volto.
E così l’attore ingaggiato si cala nella parte del mega direttore galattico. Si cala persino un po’ troppo nella parte, mentre la vicenda scivola sempre più verso una farsa (e per una volta sono lieto di usare questo termine con un’accezione positiva, miracoli che soltanto Dio Lars è in grado di realizzare). Non la solita girandola di equivoci e gag alla Vacanze di Natale, bensì una folle e perfida spirale discendente nel lato oscuro della comicità per come uno come Von Trier può intendere la comicità.
Non si tratta quindi di un film esilarante dall’inizio alla fine, ma piuttosto di una visione sottilmente divertente, con un umorismo che prende di mira la vita in ufficio, i danesi e soprattutto gli islandesi (ed ecco forse spiegato l’accanimento contro la povera Bjork in Dancer in the Dark), ma lancia anche una bella frecciatina agli attori.
“Noi siamo creativi,” dice l’attore.
“Mah,” gli risponde secco il direttore.

Mentre in una scena in cui l’attore protagonista di questa farsa si deve inventare il nome del mega direttore da lui interpretato, ne esce fuori uno sketch che mi ha ricordato l’Ajeje Brazorf di Tre uomini e una gamba.


Sa far ridere Lars Von Trier, allora, quando dice goodbye Melancholia. Una risata provocata da una comicità malata e deviata, per forza di cose, però sa anche far ridere. E nel finale, pur girando una commedia, una delle più originali e sottilmente divertenti viste negli ultimi tempi o forse anche in tutti i tempi, si conferma un gran bastardo.
E allora viva i bastardi. Viva Lars Von Trier.
(voto 8/10)

venerdì 28 ottobre 2011

C’è chi dice boh


C’è chi dice no
(Italia 2011)
Regia: Giambattista Avellino
Cast: Luca Argentero, Paola Cortellesi, Paolo Ruffini, Myriam Catania, Claudio Bigagli, Marco Bocci, Roberto Citran, Massimo De Lorenzo, Harriet McMasters Green, Edoardo Gabbriellini, Max Mazzotta
Genere: finto contro
Se ti piace guarda anche: Immaturi, Generazione mille euro, Tutta la vita davanti

Figli di papà. Chi non se l’è trovati tra le scatole, nel lavoro, a scuola e più in generale nella vita? (Ho detto figli di papà, in uno strano moto di politically correctismo, ma se preferite definirli figli di puttana siete liberissimi di farlo).
C’è chi dice no ci racconta la storia di 2 tipi (Luca Argentero e Paolo Ruffini) e una tipa (Paola Cortellesi) che si oppongono a questo sistema, a questo regime di nepotismo che affligge il mondo del lavoro, non esclusivamente in Italia, ma diciamo che da noi è il modello imperante e ci sguazziamo alla grande.
Perfetto, come non considerarli simpatici, persino eroici?
I tre uniscono le loro forze per abbattere questo sistema, con ognuno di loro impegnato a demolire il “figlio di papà” dell’altro. Per fare ciò, ricorrono però a tipici modelli all’italiana: lo stalking, le telefonate minatorie, l’assoldamento di extracomunitari per fare il lavoro sporco al posto loro, la (quasi) prostituzione maschile.
Vabbè, ma combattere un’ingiustizia con altre giustizie automaticamente porta alla Giustizia?
Personaggi che sarebbero risultati molto facilmente simpatici fanno quindi di tutto per diventare odiosi, con l’apice di quello interpretato da Luca Argentero, giornalista vittima del sistema di raccomandazioni che però appena intravede una mezza possibilità di carriera personale ci si butta dentro a capofitto in quegli stessi metodi di raccomandazione da lui condannati. Arrivando ad andare (quasi) a letto con la figlia di un pezzo grosso, nonostante nella telefonatissima storiella d’amore presente all’interno del film sia già innamorato della Cortellesi.

C’è chi dice no, a un film del genere. Io, ad esempio. Perché se le intenzioni sono più che lodevoli, i metodi utilizzati dai tre tizi per guadagnarsi la loro Giustizia personale sono parecchio discutibili e il messaggio del film finisce affogato nell’ipocrisia insieme alla marketta Tim che salta fuori puntuale come il titolo di un film italiano preso da quello di una canzone.
Nonostante la pessima scelta qui caduta su un pezzo di Vasco, la colonna sonora tenta una via internazionale con pezzi brit-rock carucci quanto poco in sintonia con le immagini, a far da accompagnamento ad alcune gag riempitivo di cui la sceneggiatura davvero scontata, prevedibile e noiosa è costellata. Pur partendo da un tema di maledetta attualità, il film presenta quindi una serie di personaggi che più stereotipati non si potrebbe e scivola in una sfilza di situazioni inverosimili: la cosa più assurda di tutte è che gli sbirri incastrano i protagonisti utilizzando il computer!
Sì, certo. Come no? L'unica volta che il film prova a uscire dagli stereotipi di turno, mi va a scegliere proprio la cosa più impossibile del mondo???

Altro problema, non da poco per una commedia, è che è davvero poco divertente. Gli attori poi non sembrano del tutto a loro agio nella parte dei falliti in cerca di riscatto: la Cortellesi è molto più convincente in Nessuno mi può giudicare, Paolino Ruffini è uno dei personaggi meno di talento usciti da Mtv e infatti è finito a condurre Colorado Cafè con Belén (e ho detto Colorado Café, non un sextape), Luca Argentero sarà invece anche il personaggio di maggior talento uscito dal Grande Fratello, ma questa non è una cosa di cui vantarsi troppo.
Tra le cose positive, va segnalato l’unico momento divertente e (vagamente) cinematografico, con un “raccomandato” che dopo essere stato drogato dai protagonisti si mette a cantare e a dar vita a un siparietto musical alla Gene Kelly, più l’interpretazione della promettente Myriam Catania, la più convincente del cast e quella cui è stato affidato il personaggio meno scontato, e il discreto finale sulle note dei Baustelle che risolleva un po’ le sorti di un film apparso fino ad allora piuttosto privo di idee azzeccate.

Alla fine l’impressione è comunque pressappoco la stessa di quella avuta da Immaturi (anche se C’è chi dice no è un filino meglio, concediamoglielo), altro sconfortante esempio di attuale immatura commedia all’italiana e altro esempio di tentativo fallito di parlare con intelligenza e con uno sguardo meno superficiale della precaria vita dei 30enni di oggi. La soluzione che propone al sistema di raccomandazioni (ovvero lo stalking, mica il merito o il talento lavorativo) è poi una cosa davvero sconfortante.
Se è facile identificarsi nei protagonisti, ritrovare nei loro problemi a fare carriera senza avere “calci nel culo” da parenti o amici potentati i nostri stessi problemi, questo non significa però automaticamente apprezzare un filmetto dalle capacità cinematografiche davvero limitate. Tanto che, ironia della sorte, si finisce per chiedersi: “Ma regista e sceneggiatore da chi sono stati raccomandati?”
(voto 5-/10)

martedì 4 gennaio 2011

I miei film dell'anno 2010 - n. 27 Tra le nuvole

Tra le nuvole
(USA)
Regia: Jason Reitman
Cast: George Clooney, Anna Kendrick, Vera Farmiga, Jason Bateman, Melanie Lynskey, Danny McBride, J.K. Simmons, Zach Galifianakis, Chris Lowell
Genere: lavoro, oggi
Se ti piace guarda anche: American Life, Elizabethtown, Rachel sta per sposarsi, Somewhere, Thank you for smoking

Trama semiseria
Dopo Departures e Oltre le regole – The Messenger, proseguiamo nella carrellata di lavori non proprio “carini” offerti dal cinema al tempo della crisi: stavolta è la volta di George Clooney in versione tagliatore di teste, ovvero l’uomo incaricato di andare in giro da un’azienda all’altra degli Stati Uniti a licenziare poveri impiegati malcapitati. La sua vita cinica e solitaria sarà però rivoluzionata da un paio di incontri…

Pregi: George Clooney è alla sua migliore prova da attore e si stenta a credere che sia lo stesso che appena pochi mesi dopo reciterà nel terribile The American (che ci sia lo zampino della Canalis?); il film tratta poi una tematica molto attuale con la giusta dose di cattiveria
Difetti: la prevedibile svolta romantica nella trama, che però per fortuna ha un andamento non così prevedibile

Personaggio cult: la giovane “allieva” di Clooney, una tagliatrice di teste perfettina e secchiona ma senza esperienza sul campo interpretata da una strepitosa Anna Kendrick
Canzone cult: Sharon Jones & the Dap-Kings “This land is your land”
Dialogo cult
George Clooney: “Hai presente quando guardi qualcuno negli occhi e ti senti scrutare dentro l’anima e per un attimo hai la sensazione che intorno a te cali il silenzio?”
Anna Kendrick: “Sì!”
George Clooney: “Ecco… io no.”

Leggi la mia RECENSIONE


lunedì 1 febbraio 2010

Con la testa...

Tra le nuvole

Titolo originale: Up in the air
Regia: Jason Reitman
Cast: George Clooney, Anna Kendrick, Vera Farmiga, Jason Bateman

George Clooney: “Hai presente quando guardi qualcuno negli occhi e ti senti scrutare dentro l’anima e per un attimo hai la sensazione che intorno a te cali il silenzio?”
Anna Kendrick: “Sì!”
George Clooney: “Ecco… io no.”

Il film giusto, al momento giusto. Si parla di crisi economica. Del posto di lavoro che un giorno c’è, il giorno dopo chissà. A tagliare le teste ci pensa George Clooney, alla migliore interpretazione della sua carriera (non credo che la Canalis possa avergli dato una grossa mano, in questo). Nella parte del cinico scapolo senza legami affettivi che vaga per aeroporti sembra trovarsi nel suo habitat naturale, quanto un Eminem in un “8 Mile” o un De Niro in un film di Scorsese.

Tra le nuvole è una (finta) commedia romantica alla “Rachel sta per sposarsi” orchestrata con mano esperta da Jason Reitman, figlio del regista di "Ghostbusters" Ivan Reitman. Uno che con tre film ha già surclassato ampiamente il padre (che a parte i fantasmi ha acchiappato solo filmacci come "Junior" o "Gemelli"). Stavolta Jason ha messo da parte la visuale indie del suo hit "Juno" ed è tornato per style e personaggi al cinismo dell'esordio “Thank you for smoking”.

E sì, c’è un maGnifico Clooney, ma la vera rivelazione del film è la giovane Anna Kendrick, che interpreta la sua improbabile discepola tagliatrice di teste. Ha un fascino strano. Malato. Sembra una vampira (non a caso ha una particina nella saga di “Twilight”) e allo stesso tempo sembra anche la classica secchiona che odi ogni volta che puntuale alza la mano per rispondere alle domande della prof., ma di cui inevitabilmente finisci per prenderti una cotta. La nerd perfettina per cui ti ritrovi sempre con la testa tra le nuvole.

sabato 17 gennaio 2009

Tutta la vita didietro

Ho da poco finito di lavorare per un periodo di circa 6 mesi all’interno di un centro commerciale. 6 mesi che sono passati lenti come una ballata country. Mi piace ricordare di essere stato una specie di inviato in incognita mandato a documentare la (non)vita dentro a un ipermercato, anche se ciò non è vero, perché così mi sembrerà di non aver buttato nel cesso parecchi mesi della mia vita in attesa di fare qualcosa di maggiormente stimolante, come riprendere gli studi ad esempio.
Occupandomi unicamente di prestiti e finanziamenti non avevo certo una mole insostenibile di lavoro e la noia risultava il principale nemico da affrontare per arrivare alla fine del giorno senza provare la tentazione insopprimibile di puntarmi una pistola alla tempia. Per fortuna avevo a disposizione un pc tutto per me, ma naturalmente giuro e spergiuro di averlo usato solo e unicamente per finalità appropriatamente lavorative e mai ludiche. La noia è stato il nemico principale ma non l’unico. In un’occasione ho avuto a che fare con una cliente psychopatica che mi ha minacciato di morte solo perché non le era passato un insignificante finanziamento per un cellulare, cosa tra l’altro di cui io non avevo la benchè minima responsabilità.
Da buon osservatore quale sono, l’occasione mi è sembrata allora interessante più che altro per uno studio sociologico della popolazione che si annida all’interno di quello strano cosmo parallelo che è il centro commerciale. Il quadro che ne viene fuori non è certo dei migliori dipinti: zombie che lavorano senza stimoli e senza reali prospettive di un miglioramento futuro solamente per arrivare con le loro lego-paghe alla fottutissima fine del mese. Turni a tutte le ore del giorno, tutti i giorni della settimana, del mese, dell’anno, della vita perché RICORDA il centro commerciale non chiude mai. È la dura legge della giungla, pardon del mercato. Le luci al neon non si spengono mai.
Le persone migliori che mi è capitato di incontrare qui dentro sono, e non lo dico per fare il Bonolis o il Fazio della situazione, le donne delle pulizie. Gente che meriterebbe grandi soddisfazioni di grande si ritrova solo una gabbia mascherata da libertà capitalista. Mascherata poi nemmeno troppo bene, dato che i sistemi di sorveglianza all’interno del centro sono paragonabili a quelli di un carcere di massima sicurezza, ma attenzione soltanto per i dipendenti. I ladruncoli, quelli no. Loro girano numerosi e inarrestabili. La sorveglianza è rigorosa soltanto per coloro che hanno la fortuna di lavorare all’interno.
Se le persone più umili e intelligenti mi sono sembrate le donne delle pulizie, i promoter e gli altri impiegati sul gradino inferiore della fantozziana piramide aziendale, devo dire che non è vero che più sono in alto e più sono peggio. È solo quando più si credono in alto e più sono delle teste di cazzo. Se sei un caporeparto, tanto per fare un esempio a caso, non è che sei Dio. Nel grande disegno delle cose sei un emerito nessuno tanto quanto me o tanto quanto il direttore. Quindi è inutile che ti comporti come se il peso dell’Universo gravasse interamente sulle tue spalle. Rilassati, fratello. Era dai tempi di Stefano Accorsi ne L'ultimo bacio che non vedevo qualcuno così sclerato... Ma è tutto il sistema che sembra aver perso di vista ciò che è reale e che conta veramente.
Lavori interinali, contratti a progetto, co.co.co.coccodè. La realtà sta assumendo contorni sempre più precari e paradossali. Una fuga into the wild per quanto disperata e destinata al fallimento è un’ipotesi mica da scartare a priori, perché almeno lì fuori saprai di respirare ossigeno, non aria condizionata e quando guarderai verso il cielo vedrai le stelle, non dannate luci al neon che non si spengono mai.
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