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martedì 29 aprile 2014

NYMPHOMANIAC – VULVUME 2, SE NON VIENI FRUSTATO GODI SOLO A METÀ




Nymphomaniac – Volume 2
(Danimarca, Belgio, Francia, Germania, UK, 2013)
Titolo originale: Nymphomaniac: Vol. II
Regia: Lars von Trier
Sceneggiatura: Lars von Trier
Cast: Charlotte Gainsbourg, Stellan Skarsgård, Stacy Martin, Shia LaBeouf, Jamie Bell, Christian Slater, Willem Dafoe, Mia Goth, Udo Kier, Jean-Marc Barr, Ananya Berg
Genere: sadomaso
Se ti piace guarda anche: La vita di Adele, Antichrist, Dogville, Kill Bill

Una cosa, una delle tante a dirla tutta, che non condivido degli sport è il fatto che una squadra in casa di solito giochi meglio e abbia risultati migliori rispetto a quando è in trasferta. Capisco che il tifo a favore possa essere un bell’incitamento, ma non lo condivido. A me fa piacere ricevere complimenti, come a tutti, però è dalle critiche che ricevo lo stimolo più forte a fare meglio. Se fossi una squadra sportiva, probabilmente darei il massimo in trasferta. Credo che lo stesso valga per Lars von Trier. È dalle critiche, spesso anche feroci, nei confronti dei suoi ultimi lavori Antichrist e Melancholia, i primi due capitoli della cosiddetta Trilogia della Depressione, così come verso le sue dichiarazioni non grate al Festival di Cannes 2011, che è venuta fuori la rabbia per tirare fuori un film come Nymphomaniac, nuovamente amatissimo e altrettanto odiatissimo e criticatissimo, per le più svariate ragioni.

Nymphomaniac è un film malato, misogino, sessista, satanista, razzista?
Malato, questo è certo. Talmente malato da meritarsi su Pensieri Cannibali non solo un primo post orgasmico, non solo un secondo post più riflessivo, ma anche un terzo post sadomaso e infine oggi un quarto post, che proverà ad addentrarsi attraverso quelle sopra citate e altre spinose questioni. Il mio ruolo? Quello dell’avvocato difensore di Lars von Trier. Esatto, faccio l’avvocato del diavolo. Chiametemi – ma solo per oggi – Niccolò Ghedini.


ATTENZIONE SPOILER
A uno sguardo superficiale, alcune accuse nei confronti del regista danese possono venir fuori in maniera semplice. In Nymphomaniac – Volume 2, la protagonista utilizza la parola “negro”, mentre Lars von Trier usa i personaggi di colore in base unicamente alla loro caratteristica sessualmente più stereotipata: il cazzo grosso. Attraverso un dialogo della pellicola, emerge il punto di vista del regista sulla questione.

Joe/Charlotte Gainsbourg dice: “Ogni volta che una parola diviene proibita, si va a togliere una pietra miliare nelle fondamenta democratiche. La società rivela la sua impotenza di fronte a un problema concreto, rimuovendo termini dal vocabolario.
Il moralista Seligman/Stellan Skarsgård a ciò ribatte: “Penso che la società sottolineerebbe che l'essere politicamente corretto è una forma di democratica preoccupazione per le minoranze.
Joe/Charlotte Gainsbourg, non convinta, ribadisce: “E io dico che la società è codarda tanto quanto le persone che la formano che, secondo la mia opinione, sono troppo stupide per la democrazia.

Nel corso del Vulvume 1 di Nymphomaniac, non era ancora del tutto chiaro da che parte stesse Lars von Trier, se più da quella dell’uomo, Seligman, o della donna, Joe. Con questo Vulvume 2 appare piuttosto evidente che Lars è Joe. Joe è Lars. Lars è una vulva. Alla faccia del regista misogino e maschilista. Se già con Melancholia le figure maschili apparivano parecchio deboli e l’ultima possibilità di una qualche salvezza per l’umanità era rappresentata dalle donne, qui il regista alza ulteriormente il tiro alla sua critica a una società maschiocentrica, identificandosi nella sua protagonista. La ribelle, la depravata, la rinnegata, la “persona non grata”.


Laddove nella società odierna il sesso viene spesso indicato come un peccato, qui la colpa sembra invece essere l’amore. La dittatura dell'amore. Quando Joe pensa di essere innamorata di Jerome e sembra pronta a una vita monogama e dedicata alla famiglia, ecco che perde il suo “superpotere”. Diventa frigida, incapace di provare piacere. A questo punto è l’amore il vero peccato da espiare. Per ritrovare la sua sessualità perduta, Joe si affida alle pratiche sadomaso. Qui Lars von Trier indugia in maniera sadica sulle torture che le sono inflitte, tanto da far apparire le frustate de La passione di Cristo e quelle di 12 anni schiavo come delle carezze al confronto. E qui possono piovere giù di nuovo le critiche di misoginia. Lars ci gode a vedere le donne soffrire e bla bla bla. Attenzione però, perché nel finale c’è la vendetta di Joe e la vendetta di Lars, con un colpo di pistola che uccide queste accuse e fa del regista un autentico femminista. Se von Trier è effettivamente sessista, forse andrebbe considerato anti-uomo piuttosto che anti-donna. La prova più evidente di ciò, ancor più che nel finale, sta nella scena del parcheggio presente nel Volume 1. Donna al volante, pericolo costante? Non per von Trier, visto che Joe fa un parcheggio da manuale che Shia LaBeouf si può solo sognare. E quella automobilistica, signori e signore, è l’umiliazione più grande che può essere inflitta da una donna a un uomo.


Riguardo alle possibili accuse di essere un film satanista o quantomeno blasfemo, alla fine della fiera ci sono giusto un paio di passaggi controversi, come la preghiera cattolica “Mea culpa” storpiata nel divertente “Mea vulva mea maxima vulva”, e l’apparizione mistica non della Vergine Maria, bensì di un paio di figure un po’ meno vergini. Al di là di queste sequenze e della "musica satanica", la musica metal dei Rammstein presenti in colonna sonora a inizio pellicola, Nymphomaniac offre semmai delle riflessioni interessanti sulla religione. Non credo che il pur progressista Papa Francesco Vol. I riuscirebbe a sostenere la visione della pellicola senza rimanerne oltraggiato o schifato, però non è nemmeno un lavoro così irrispettoso da un punto di vista religioso, soprattutto nel capitolo 6, intitolato “La chiesa orientale e la chiesa occidentale (l'anatra muta).”


Torniamo ora alla questione d’apertura: il razzismo. Al di là della discutibile, ma comunque parecchio divertente, scenetta con protagonisti i “negri”, l’accusa principale che viene rivolta a Lars von Trier è quella di essere un nazi. E questo “soltanto” per aver detto durante un’ormai famigerata conferenza stampa nel corso del Festival di Cannes 2011:

Capisco Hitler, capisco l'uomo che è po' pieno di male, certo sono contrario alla seconda guerra mondiale e non sono contro gli ebrei, ma in realtà non troppo perché Israele è un problema, come un dito nel culo, fa cagare.” (da Repubblica)

Alla fine del capitolo 8, il capitolo conclusivo “La pistola”, Joe fa fuori il suo ascoltatore/spettatore, Seligman, che è ebreo, come aveva dichiarato durante il vol. 1, però è un ebreo non praticante, quindi non starei a concentrarmi tanto su questo aspetto. Il proiettile che esce dalla pistola di Joe, ovvero la pistola di Lars, non credo sia rivolta al popolo ebreo. È semmai rivolto contro i critici, i giornalisti che l’hanno accusato, la società che subito l’ha messo in un angolo perché se n’è uscito con delle dichiarazioni del tutto all’infuori dei canoni del politically correct. Alla fine di Nymphomaniac, Lars von Trier fa fuori lo spettatore della storia di Joe, Seligman, e fa fuori lo spettatore del film, lasciandolo solo nel nero della sala cinematografica.


Se le intenzioni iniziali del regista forse erano quelle di realizzare un porno d’Autore, o - chissà? - costruirsi un posto al sole da nuovo Tinto Brass, il risultato finale di Nymphomaniac è qualcosa di molto diverso e molto di più. Il sesso c’è, ce n’è tanto e ci sono un sacco di nudi, eppure Lars non c’è nemmeno andato giù troppo pesante, sarà per il fatto che da noi il film è approdato in versione censurata. Abdellatif Kechiche con La vita di Adele aveva ad esempio proposto delle trombate lesbo ben più lunghe ed esplicite. L’intento provocatorio di un’Opera mastodontica come Nymphomaniac non è allora tanto a livello visivo, quanto come contenuti dei dialoghi. Nymphomaniac è un manifesto esistenziale del Rust Cohle dei registi. Un film politico. Una rivoluzione del cazzo, anzi una rivoluzione della vulva contro la dittatura dell’amore.
Come enunciato nel capitolo 7, “Lo specchio”, attraverso le parole di Joe:

"L'empatia che declami è finta, perché voi tutti lo siete. È la morale religiosa il cui compito è di cancellare la mia oscenità dalla faccia della terra, così che i borghesi si sentano meglio. Non sono come voi. Io sono una ninfomane e amo esserlo. Ma soprattutto amo la mia vagina e la mia sporca, lurida lussuria."

C’è così tanto, dentro Nymphomaniac. È una riflessione a 360° sulla sessualità, non solo sulla dipendenza della ninfomane protagonista, ma c’è spazio anche per l’amore omosessuale, con una versione più soft del citato La vita di Adele, per il sadomaso, e poi, nel passo più estremo dell’intera pellicola, si parla persino di pedofilia, in un modo ovviamente ancora una volta lontano anni luce dal politically correct:

Il pedofilo che riesce a vivere la sua vita con la vergogna del suo desiderio senza mai metterlo in pratica, meriterebbe una fottuta medaglia” dice Joe.

"Aaah, sì, Lars. Tu sì che mi ecciti, altroché i One Direction!"

In passaggi come questo emerge chiaramente la voglia di von Trier di andare oltre le convenzioni, oltre al pensiero unico di una società fascista nel suo ipocrita buonismo di facciata, non tanto per una provocazione fine a se stessa, ma perché lui è fatto così e lo conferma tramite le parole del suo alter ego cinematografico Joe:

Ho capito che la società non ha un posto per me e io non ho un posto per la società.

In Nymphomaniac si possono scorgere i riflessi di tutte le accuse piovute addosso al regista dopo Cannes del 2011. La sua risposta è arrivata con un lavoro rabbioso, incazzato al punto giusto, ma non solo. Nymphomaniac è anche un film profondamente riflessivo, esistenziale, il cui valore è superiore alla semplice somma delle parti. Dietro le scene di sesso, le frustate e i momenti più forti ed estremi, possiamo vedere l’ombra di un uomo, Lars von Trier. Una persona non grata, ma una persona bellissima, un essere bastardo e complesso che in realtà non è malvagio come la società vuole dipingerlo. È la società a essere malvagia. È la società il vero mostro.
(voto 9/10)

lunedì 28 aprile 2014

NYMPHOMANIAC – L'APPUNTAMENTO SADOMASO




Allora, Lars, cominciamo?

Come, hai già iniziato da solo?

Uffa. Te lo concedo, ma solo perché è il secondo capitolo della tua personale sega cinematografica.

Tutto bene, comunque, Lars?
Che ti succede? Mi sembri un pochino diverso rispetto all’altro appuntamento. Rispetto al Volume 1 dei nostri incontri. Lì eri più ironico, brillante, leggero, direi quasi. Adesso mi sembri più riflessivo e cattivo.

Cattivo ragazzo, che ci fai con quella divisa da SS addosso?
Ah, ok, ho capito: oggi ti va di fare giochi di ruolo.

Hey, ma quella frusta è proprio necessaria? Stai cominciando a farmi paura, Lars.

No, fermo, che fai?

Nooooooo.

Non voglio.

NOOOOOOO!


Ahia. Che dolore!


AAAHI, heeey che diavolo combini?


Però… non è così male come pensavo...

A dire il vero è piacevole. Chi l'avrebbe detto?
Sadomaso è bello.
E allora sì, Lars.


Sììì

Sììììì

Sììììììì, Lars!!!


Oh, Lars. Anche questa volta sei riuscito a stupirmi. È un piacere differente rispetto a quello dell’altro volume, però è pur sempre un piacere.
Un piacere notevole.
Dai allora, vai avanti che ormai c'ho preso gusto.


Sììììì.


Ahi.


Sììììììììììììì.


AAAAAAAAAAAAHIAAAAAAAA!


Fai di me il tuo schiavo.
Fai di me il tuo 12 anni schiavo.

Bello violento, porcellone di un Lars, bravo!
Lo sapevo che eri un animale, a letto. L’altra volta sei stato persino troppo romantico e teneroso, adesso sì che ci vai giù pesante.
Non smetti proprio mai di sorprendermi, tu. Sei riuscito persino a far passare Christian Slater per un vero attore. E dico Christian Slater, uno che sono almeno vent’anni che non fa un film decente e negli ultimi tempi ha collezionato solo una lunga serie di serie tv subito cancellate. Come una versione per il piccolo schermo del Jep Gambardella de La grande bellezza, Christian Slater non vuole solo partecipare alle serie televisive. Lui vuole avere il potere di farle fallire.
Ma dimentichiamoci di Slater e pensiamo solo a noi, Lars.
Al nostro rapporto malato.

Vai, non ti fermare!

Aaah, sì, ahia.

Dai, continua a farmi del male, Lars, che mi piace.

Sì, daaai.

Una frustata contro il cinema edificante.
Sììì!

Una frustata contro il buonismo.
Sìììììì, così!

Una frustata contro la dittatura dell’amore.
Aaaaaaah, sììììì Lars, sto
VENENDOOOOOOOOO!!!


Nymphomaniac – Volume 2
(Danimarca, Belgio, Francia, Germania, UK, 2013)
Titolo originale: Nymphomaniac: Vol. II
Regia: Lars von Trier
Sceneggiatura: Lars von Trier
Cast: Charlotte Gainsbourg, Stellan Skarsgård, Stacy Martin, Shia LaBeouf, Jamie Bell, Christian Slater, Willem Dafoe, Mia Goth, Udo Kier, Jean-Marc Barr, Ananya Berg
Genere: sadomaso
Se ti piace guarda anche: La vita di Adele, Antichrist, Dogville, Kill Bill
(voto 9/10)

mercoledì 26 marzo 2014

SNOWPIRLA




Snowpiercer
(Corea del Sud, USA, Francia, Repubblica Ceca 2013)
Regia: Bong Joon-ho
Sceneggiatura: Bong Joon-ho, Kelly Masterson
Ispirato alla serie a fumetti: La Transperceneige di Jacques Lob, Benjamin Legrand e Jean-Marc Rochette
Cast: Chris Evans, Jamie Bell, John Hurt, Tilda Swinton, Song Kang-ho, Ko Ah-sung, Octavia Spencer, Ewen Bremner, Alison Pill, Luke Pasqualino, Tómas Lemarquis, Steve Park, Ed Harris
Genere: arca di Noè 2.0
Se ti piace guarda anche: 2013 – La fortezza, Atto di forza, Brazil

Snowpiercer è il nuovo Blade Runner?
Il nuovo Matrix?
Il nuovo Brazil?
Il nuovo Strange Days?

A essere ancora generosi, a me Snowpiercer è sembrato piuttosto il nuovo 2013 – La fortezza, film dei primi anni ’90 con Christopher Lambert impegnato a lottare contro un sistema oppressivo. O anche una pellicola un po’ alla Paul Verhoeven, tra Atto di forza e Starship Troopers. Ma il nuovo Blade Runner?
ARE YOU FUCKING SERIOUS?

Certo che quelli del marketing sanno come vendere un film, dobbiamo ammetterlo. Quella che l’astuta strategia promozionale ha cercato di spacciare come la migliore pellicola di fantascienza degli ultimi 100 miliardi di anni, o qualcosa del genere, altro non è che l’ennesima banalità sci-fi degli ultimi tempi. Non ai livelli irraggiungibili di Cloud Atlas, però insomma, tra i film dei Wachowski di sicuro siamo più vicini a quelle parti che non a quelle di Matrix.

"Oh, andiamo. Sono l'unico qui dentro con un biglietto
e volete farmi la multa solo perché non l'ho obliterato?"
Il film parte dal solito spunto apocalittico. È arrivata una nuova era glaciale, ma questa volta Scrat non è stato chiamato a far parte del cast, poverino, e gli unici esseri umani sopravvissuti stanno su un treno che gira tutto intorno alla Terra. Contenti loro…
Il treno è una specie di moderna Arca di Noè, anche se a me la storia della sua realizzazione ha più che altro fatto venire in mente l’episodio dei Simpson “Marge contro la monorotaia”. Un’idea strampalata ma se non altro piuttosto originale, sebbene i meriti di ciò vadano assegnati alla serie a fumetti francese Le Transperceneige da cui è tratta, più che alla pellicola di per sé.

La singolare variante trenistica di un film a caso di Roland Emmerich si scontra però contro due problemi principali. Il primo è la sua struttura narrativa da videogioco, ovvero completare un livello per passare a quello successivo, solo con le carrozze al posto dei livelli. La sceneggiatura del film si limita quindi a spostare i protagonisti ribelli, i poveri delle ultime carrozze, in quelle davanti, dove incontreranno avventure incredibili… si fa per dire. Detto in parole povere: cinema-videogame alla Zack Snyder spacciato per cinema d’autore.
Carrozza dopo carrozza, diventa chiaro sia ai protagonisti che allo spettatore il funzionamento del treno. Il superamento dei livelli avviene attraverso vari combattimenti, scazzottate o sparatorie, in cui il regista sudcoreano Bong Joon-ho si diverte un mondo. Peccato che, tra momenti concitati alternati a rallenty, appaiano come l’ennesima scopiazzatura fuori tempo massimo delle sequenze action del menzionato Matrix. L’unica scena impressionante è la battaglia con le fiaccole, il solo momento davvero notevole a livello visivo.

"Charlotte Gainsbourg, preparati che sto arrivando!"
Per il resto, il film è una successione di scenette a metà tra il grottesco e il risibile, con ottimi attori come Tilda Swinton, Alison Pill, John Hurt, Octavia Spencer e Ewen Bremner (il mitico Spud di Trainspotting) ridotti a interpretare dei personaggi macchietta che sembrano usciti dalla parodia di un film di Terry Gilliam. Per non parlare dell’attore feticcio del regista, Song Kang-ho, cui è affidata la parte del tossico patito di Kronol che poteva essere il personaggio simpa di turno e invece no, è una lagna pure lui. In un cast sulla carta di buon livello in cui si segnala pure Jamie Bell che ormai vedo ovunque, da Il lercio all'imminente Nymphomaniac e presto pure Cosa nei nuovi Fantastici 4, il protagonista principale – sempre a proposito di Fantastici 4 – è Chris Evans. Ecco, io non ho niente contro Chris Evans, mi sta simpatico fin dai tempi dell’esilarante Non è un’altra stupida commedia americana, ma, se anche in Snowpiercer tutto il resto avesse funzionato a dovere, un film con Chris Evans protagonista NON può essere un cult. Mi si viene a dire che Channing Tatum è inespressivo, ed è vero, ma allora che dire di Chris Evans?

"Vi prego, sparatemi ma risparmiatemi il finale di questo film!"
Oltre a essere un film-videogame, il secondo grande problema della pellicola, anzi il terzo visto che il secondo è Chris Evans, è la sua ambizione di contenere chissà quale altissimo messaggio. Solo che Snowpiercer ha lo spessore politico di un discorso di Matteo Renzi. Hunger Games viene tanto criticato perché propone una visione socio-politica semplicistica, come fosse un 1984 per teenager, cosa che infatti è, ma al confronto di Snowpiercer appare come una saga ultra impegnata.
Nel film di Bong Joon-ho tutto è troppo spiegato. Sul fatto che il treno sia una metafora della società umana, con le classi più agiate nelle carrozze di prima classe davanti e i morti de fame in quelle in fondo, ci potevamo arrivare anche da soli. Invece no. Il film deve esplicitare pure quello, attraverso una serie di dialoghi ridicoli che raggiungono il top nella parte finale. L’apparizione del creatore, del Dio del treno, tale Wilford interpretato da Ed Harris, fa andare giù le mutande quanto quella dell’Architetto in Matrix Reloaded. E allora si torna lì, al cinema dei Wachowski, ma non certo al loro film migliore, il primo Matrix, quanto ai suoi penosi seguiti. Che fantasia poi prendere per questa parte Ed Harris, già uomo dietro le quinte del The Truman Show. Morgan Freeman, che di solito in questi ruoli ci sguazza, era per caso troppo impegnato?
La claustrofobia provocata da Snowpiercer non è allora causata tanto dall’ambientazione interamente all’interno di un treno, quanto dalla presenza di questi soffocanti spiegoni, che non lasciano spazio a molte interpretazioni. Il film concede una carrozza a chiunque, tranne al libero pensiero dello spettatore.

"No, sparate prima a me!"
Dopo 2 ore di corsa in cui si è stati per lo più in piedi e giusto per una manciata di minuti seduti, neanche tanto comodamente, si arriva al termine stremati e si rimpiange addirittura di non aver viaggiato con Trenitalia. Perché?
Perché come film d’intrattenimento Snowpiercer è a malapena mediocre, da un punto di vista del messaggio politico è scontato e ci regala un finale penoso che, alla faccia della fonte di ispirazione francese e del regista orientale, sa tanto di solita americanata buonista, con tanto di ATTENZIONE SPOILER sacrificio supereroistico di Chris Evans. Ciliegina sulla torta: un’ultimissima inquadratura dedicata a un tenero orsetto bianco, che vorrebbe rappresentare come sulla Terra all'infuori del treno ci sia ancora spazio per la vita. Peccato che il tenero orsetto sia pronto a cenare con gli ultimi umani rimasti.
E questa roba qua sarebbe il nuovo Blade Runner?
Gente, prendete meno Kronol, per favore!
(voto 5/10)

"Che finale imbarazzante!"

martedì 18 marzo 2014

IL LERCIO. E NIENTE, IL TITOLO È GIÀ BELLO COSÌ




"Benvenuti su Pensieri Cannibali!"
Filth - Il lercio
(UK 2013)
Titolo originale: Filth
Regia: Jon S. Baird
Sceneggiatura: Jon S. Baird
Tratto dal romanzo: Il lercio di Irvine Welsh
Cast: James McAvoy, Shauna Macdonald, Eddie Marsan, Shirley Henderson, Imogen Poots, Jamie Bell, Joanne Froggatt, Kate Dickie, Iain De Caestecker, Pollyanna McIntosh, Natasha O’Keeffe
Genere: sporco
Se ti piace guarda anche: Trainspotting, Un poliziotto da happy hour, In Bruges, The Acid House, American Psycho, The Wolf of Wall Street

Irvine Welsh. Sono cresciuto con Irvine Welsh. Non è che siamo andati a scuola insieme o altro. Sono cresciuto con lui nel senso che il suo Trainspotting è stata una lettura per me fondamentale. Un po’ come la Bibbia per un cristiano. Per me è un Libro Sacro che ha influenzato il mio modo di scrivere e anche di vedere il mondo. Ma no, non mi ha inizato all’eroina.
Ho frequentato altri libri di Welsh, di recente mi sono ri-innamorato del suo stile grazie a Porno, il sequel proprio di quel fenomenale Trainspotting, mentre invece non ho letto Il lercio. Per colmare questa lacuna arriva in mio soccorso ora la sua versione cinematografica, quarto adattamento per il grande schermo di un lavoro welshiano dopo il cult tossico Trainspotting girato da Danny Boyle, il non troppo riuscito The Acid House e l’inedito dalle nostre parti Irvine Welsh’s Ecstasy.
Nonostante sia diretto dall’ancora un po’ acerbo Jon S. Baird, Il lercio è un film in qualche modo debitore dello stile di Danny Boyle, il Boyle dei tempi migliori e non quello bollito del recente fallimentare In Trance. Un Boyle richiamato attraverso un montaggio adrenalinico e un ritmo sfrenato, oltre a un bell’uso della colonna sonora. Soprattutto è una pellicola debitrice dello stile di Welsh, per quanto riguarda dialoghi espliciti, personaggi più stronzi inside che buoni outside e situazioni al confine tra grottesco e farsesco.

Di cosa parla, Il lercio?
Ve lo dico anche, di cosa parla, però non prestateci troppa attenzione. Come spesso accade, non è tanto importante cosa si racconta ma come la si racconta.
La trama sa di già sentito. Ci troviamo di fronte a un caso di omicidio abbastanza banale. Un ragazzo viene ucciso in un sottopassaggio da una gang di teppisti davanti agli occhi di una testimone. Sull’assassinio indaga un team di investigatori che comprende Bruce Robertson, il lercio del titolo, interpretato da un James McAvoy finalmente brutto, sporco e cattivo. Brutto per quanto McAvoy possa esserlo, ma sporco e cattivo, quello sì. Bruce è un pezzo di merda. È sposato e ha una figlia, ma scopa in giro, beve e si droga, maltratta tutti quelli che gli capitano sotto il naso e il suo unico scopo nella vita pare quello di avere la promozione a ispettore capo.

"Davvero piacevole la tua musica! Quasi quanto quella di Antonella Ruggiero..."
Questa è la trama a grosse linee, non è un granché, ve l’ho detto, ma alla pellicola non interessa raccontare tanto le indagini o il caso da risolvere in sé, come la maggior parte delle pellicole thriller banali farebbero. Qui si racconta più che altro la discesa negli inferi personali del protagonista, nella sua vita dissoluta, passando attraverso i suoi demoni interiori, i suoi intrallazzi, le sue deliranti (dis)avventure, le sue visioni lerce. Siamo dalle parti del Jordan Belfort di The Wolf of Wall Street, solo in versione scozzese, economicamente più modesta e con un’ambientazione poliziesca anziché nell’alta finanza… sì, in pratica i due film non c’entrano una mazza l’uno con l’altro, se non per lo sprofondare nel delirio esistenziale dei loro protagonisti e soprattutto per l’effetto tossico che provocano. Entrambe le visioni fanno l’effetto di una droga. Stai attaccato tutto il tempo a vederli, con un misto di euforia e disgusto, eccitazione e repulsione. Il lercio non riesce a raggiungere gli stessi vertici cinematografici e dopanti del recente capolavoro di Scorsese, questo no, eppure riesce a creare un effetto parecchio travolgente. Inoltre, com’è tradizione con le pellicole made in Britain, sono garantiti i soliti elevati standard recitativi, grazie a un validissimo cast che, oltre a un McAvoy imbastardito, sfoggia il caratterista fuoriclasse Eddie Marsan, più Jamie Bell ex Billy Elliot e prossima Cosa dei Fantastici 4, la simil-Scarlett Johansson Imogen Poots, la trainspottinghiana Shirley Henderson, l’affascinante Joanne Froggatt prelevata da quella menata di Downton Abbey, il giovane Iain De Caestecker (The Fades e Agents of S.H.I.E.L.D.) e il sempre bravo Martin Compston (Sweet Sixteen, La scomparsa di Alice Creed, Sister, etc).
Se cercate un classico thriller, non è questa la scelta ideale. Se invece siete alla ricerca di qualcosa di zozzo, malato, deviato, qualcosa di lercio insomma, non lasciatevelo sfuggire. È folle, alcuni passaggi non sono del tutto azzeccati, il finale può lasciare piuttosto spiazzati, ma è una bella botta.
(voto 7+/10)

P.S. Come al solito il film si trova in lingua originale con sottotitoli, mentre non vi sono ancora notizie riguardo a una sua eventuale distribuzione italiana.


"Arrivederci da Pensieri Cannibali!"

venerdì 22 novembre 2013

LARS E UNA NINFOMANE TUTTA SUA


Dopo le varie video anticipazioni e i poster orgasmici dedicati all’intero cast, ecco il primo orgasmico trailer ufficiale di Nymphomaniac, il nuovo orgasmico film di Lars Von Trier.
Così si fa, capito Darren Aronofsky?

sabato 28 aprile 2012

40 cariati

"Ehm, qualcuno ha una scala? No, eh?"
40 carati
(USA 2012)
Titolo originale: Man on a Ledge
Regia: Asger Leth
Cast: Sam Worthington, Elizabeth Banks, Jamie Bell, Genesis Rodriguez, Edward Burns, Titus Welliver, Kyra Sedgwick, Anthony Mackie, Ed Harris
Genere: (finto) suicida
Se ti piace guarda anche: Phone Booth, ATM - Trappola mortale, Buried - Sepolto

Lo dicevo già a proposito di Hugo Cabret di Martin Scorsese. Certi film non dovrebbero essere fatti. Per prima cosa, perché non ce n’è bisogno. Per seconda cosa, perché esistono già dei videoclip che in una manciata di minuti appena danno loro merda. Succedeva con “Tonight Tonight” degli Smashing Pumpkins, omaggio parecchio più riuscito a Méliès e alla magia del suo cinema delle due ore del capretto scorsesiano.
Vale ancora di più per questo 40 carati, titolo originale Man on a ledge, ovvero uomo su un cornicione.
E sulla situazione “uomo su un cornicione”, il video di “Pure Morning” dei Placebo aveva già detto tutto e in maniera molto più affascinante e misteriosa.


"Cannibal è armato? Allora me ne rimango qui sopra!"
Il film comunque l’hanno voluto fare lo stesso, e com’è?
Come volete che sia?
40 carati è il solito ennessimo thriller (thriller?) prevedibile dalla prima all’ultima scena. Fin da subito capiamo infatti che il tizio non è un suicida sul cornicione qualunque, ma ha in testa un piano ben preciso. E questo la pellicola ce lo racconta immediatamente, facendoci rivivere in flashback i suoi trascorsi come carcerato.
Il mistero? Questo film manco sa cos’è. Tutto ci viene rivelato senza sorprese, non c’è manco mezzo colpo di scena imprevedibile che di solito si vede anche nel peggiore tra questi thrillerini americani prodotti in serie.
Prodotti da zero carati, tra l'altro. Il solito fantasioso titolo italiano chi vuole ingannare?

Se a salvare alcuni di questi prodotti, perché non sono film sono prodotti, a volte è il cast. Ma non è questo il caso. Assolutamente no. Il protagonista Sam Worthington è l’uomo meno espressivo del mondo. Che si trovi sopra il cornicione di un grattacielo, su Pandora in mezzo ai cazzo di Na’vi o al fianco di Jessica Chastain, la sua faccia non cambia mai.
MAI
Se in Texas Killing Fields notavo nella sua recitazione qualche vago segno di miglioramento, VAGO, qui devo fare un secco dietrofront. L’unico motivo di interesse nel vederlo stare tutto il tempo sul cornicione è aspettare solo che decida di saltare giù e spiaccicarsi brutalmente. Voglio vedere se dopo l'impatto col suolo la sua espressione non cambia... Secondo voi però capiterà?
Ricordo che si tratta di un film prevedibile, MOLTO prevedibile.

"Cannibal è disposto a trattare, Sam. Se prometti che non girerete Avatar 2,
ti lascia rientrare in casa."
Chi altri c’è? C’è anche Elizabeth Banks. Attrice che pure lei non mi ha mai convinto molto. Mi ricorda Elisabeth Shue, altra attrice pure lei, guarda caso, che mai mi ha esaltato. Sì, è comparsa in Ritorno al futuro, però quello era una figata a prescindere. Le due si assomigliano talmente tanto, ma talmente tanto, che forse Elizabeth Banks è in realtà Elisabeth Shue da giovane ritornata al futuro con la Delorean.
Attenzione però, Elizabeth, che a recitare con Sam Worthington si può invecchiare in fretta. E lì poi nemmeno la Delorean ti può venire in soccorso. In almeno un paio di scene insieme a lui, mi è sembrato di vederti spuntare qualche capello bianco per la paura, Elizabeth o dovrei dire Elisabeth? Paura - specifico - provocata dall’inespressività del Worthington, non dalla situazione sul cornicione.

Per il resto si segnalano (per modo di dire) Jamie Bell, anche conosciuto come l’ex bimbo ballerino Billy Elliott Jamie Bell, e la gnoccolona latinoamericana Genesis Rodriguez, non so se sia parente di Belen, però che nome ha? Genesis? La perdono solo per il fisichetto che sfoggia.
Ma comunque si può andare DAVVERO vestiti così a compiere una rapina?


Se sei la figa di turno in un film americano sì, si può.
In caso contrario, è più consigliabile un passamontagna.

"Va bene, Cannibal, mi arrendo: non sono capace a recitare, contento?"
E poi ancora ci sono Titus Welliver, l’uomo in nero di Lost, e il sempre più sprecato Anthony Mackie ed Ed Harris che ogni tanto ricompare in qualche pellicola a caso e c’è pure una svogliatissima Kyra Sedgwick che a parte la serie tv The Closer dove ha trovato il ruolo della sua vita nei film raramente è convincente ma di certo non qui e comunque sono tutti attori che fanno delle particine in un thrillerino in cui il protagonista assoluto Sam Worthington si butta o non si butta giù dal cornicione?
Incrociando le dita e sperando che la faccia finita al più presto, il film procede senza il minimo brivido.
L’ennesima variante del thriller ambientato nei posti più improbabili possibili. Dopo la cabina telefonica di Phone Booth, dopo la bara di Buried - Sepolto, dopo il bancomat di ATM, dopo l’auto di Renzo Bossi, cosa si inventeranno ora i sempre meno fantasiosi sceneggiatori hollywoodiani?
Non voglio scoprirlo.
Ridateci Brian Molko. Ridateci Pure Morning. Ve lo chiedo come si chiede un favore a un amico, perché a friend in need’s a friend indeed.
(voto 4/10)

martedì 11 ottobre 2011

Jane in a bottle

Jane Eyre
(UK, USA 2011)
Regia: Cary Fukunaga
Cast: Mia Wasikowska, Michael Fassbender, Judi Dench, Jamie Bell, Sally Hawkins, Imogen Poots, Craig Roberts, Valentina Cervi, Holliday Grainger, Tamzin Merchant
Genere: vittoriano
Se ti piace guarda anche: Bright Star, La duchessa, Orgoglio e pregiudizio

Trama semiseria
Jane Eyre, rimasta orfana, può scegliere se venira data in affidamento alla nonna e diventare la giovane streghetta protagonista di The Secret Circle oppure andare a stare con la ziastra che al confronto Crudelia de Mon è una cara persona. Sceglie la seconda. La ziastra le vuole talmente bene che la manda in un istituto dove il primo giorno la mettono in punizione e dicono a tutte le altre bambine che se mai parleranno con lei finiranno a condurre la rubrica “Salviamo le forme” di Studio Aperto per tutta la vita. Uscita da questo simpatico istituto, la nostra Jane diventa un’insegnante privata per una bambina che parla solo francese e scoprirà poi…
che il padre della bambina è Sarkozy e sua madre è Carlà?

Recensione cannibale
Beata ignoranza.
C’è chi sostiene che la felicità consista nell’ignoranza del vero. Un certo Leopardi, ad esempio. Forse ha ragione. Ad esempio se ignori che la Gelmini è l’attuale Ministro dell’istruzione, sei più felice. Oppure se ignori che un pianeta sta per colpire la Terra, è più improbabile tu sia depresso rispetto a uno che lo sa. Ma su quest’ultimo punto torneremo in occasione di Melancholia. Fatto sta che forse ha ragione Leopardi. Meglio non saperle, le cose.
Tutto questo per dire che io, dall’alto della mia ignoranza sulle opere delle Brontë sisters (che per gli altri ignoranti come me in ascolto non sono una nuova cool band al femminile, ah yeah, ma delle sorelle scrittrici dell’Ottocento) non conoscevo Jane Eyre. O meglio, la conoscevo di nome ma non conoscevo la sua storia, non avendo letto il romanzo della Charlotte Brontë e non avendo mai visto nessuna delle miliardi di trasposizioni per il cinema e la tv realizzate fino ad oggi. No, nemmeno quella di Zeffirelli con la mia adorata Charlotte Gainsbourg, sulla quale pure in questo caso torneramo sempre in occasione di Melancholia.
Tutto quest’altro per dire che mi è piaciuta, questa nuova versione cinematografica di Jane Eyre prodotta dalla BBC, e magari a chi ha ben presente la storia sembrerà una versione non eccezionale. Io però non so dire se possa rientrare tra i migliori o peggiori adattamenti del romanzo, né so quali elementi qui presenti siano più originali rispetto alle altre versioni e quali elementi siano stati tralasciati. Quindi in pratica questa pseudo recensione è del tutto inutile.

Quello che posso dire dal basso del mio personale ignorante punto di vista è quanto ho apprezzato di più: i due attori riescono a rapire lo sguardo, conducendoci al cuore della vicenda. Lei, Jane Eyre, è Mia Wasikowska (ora sui nostri schermi anche con L'amore che resta di Gus Van Sant), l’attrice australiana di origini polacche (sempre sia tu lodata, Wikipedia libera) il cui cognome viene ormai usato come scioglilingua nelle principali accademie di dizione del mondo. A parte quelle dell’Est Europa, perché vabbé lì immagino non lo trovino così complesso da pronunciare. Lui, Mr. Rochester, è Michael Fassbender, attore tedesco naturalizzato irlandese (sempre e always thank you, free Wikipedia), coppa Volpi all’ultimo Festival di Venezia per il film Shame. Vergogna. No, non è una vergogna che abbia vinto, volevo solo dire che “shame” in italiano significa “vergogna”. Il film invece non l’ho ancora visto (altra ignoranza), ma considerata la solita bravuta dell’interprete di certo il premio non è stato una vergogna.
La cosa più affascinante del film è proprio la tensione sessuale sottesa che all’improvviso si sprigiona tra le due anime in pena. Questa è una frase che forse alla Brontë sarebbe piaciuta. Eh sì, bambini, avete letto bene, ho detto: tensione sessuale. Siete arrossiti come Jane al primo incontro con il macho Rochester? Lui, il Fassbender, fin dall’inizio ha infatti lo sguardo (vedi foto a destra) di chi pensa: “Puoi provare a resistermi, piccola, ma tanto te trombo!”. Lei, la Wasikowska, ha invece lo sguardo peccaminoso (vedi foto sopra) di quella che pensa: “Faccio finta di resisterti, ma al terzo appuntamento te la smollo.”
E così la coppia di protagonisti funziona alla grande, anche perché al di là della tensione sessuale, sono due signori attori, tra i più lanciati del panorama attuale.

"Hey, Billy Elliot, mai pensato di iscriverti al Glee club?"
"Hey, Alice, vuoi che mi tolga i pantaloni e ti mostri il paese delle meraviglie?"
A funzionare meno, ma ricordo ancora che non conoscendo l’opera originale non so se ciò sia amputabile al romanzo o a questa versione, è invece il contorno. Gli altri personaggi rimangono per forza di cose minori, dalla perfida zia Sally Hawkins (la grande Sally Hawkins, qui convincente nella parte della stronza), al cugino Craig Roberts (il mitico protagonista del mitico Submarine, dove pure lì c'era anche la Hawkins), dall’aspirante provolone Jamie Bell (proprio il ballerino gay Billy Elliot; come, non era gay? stupidi stereotipi!) alla governante Judi Dench. Ma ad essere sacrificato è soprattutto il personaggio della pazza Bertha Mason, interpretata dalla “nostra” Valentina Cervi (anche in versione cantante in soundtrack con la sua versione del traditional Ada), che avrebbe meritato un maggiore approfondimento in grado di regalare alla pellicola un ulteriore gothic touch e invece si ritaglia appena una misera scena.

Se la fotografia è di ottimo livello e ci (o almeno mi) riporta alla mente le atmosfere sospese di Bright Star, manca però una forte impronta registica come quella di Jane Campion, ma comunque Cary Fukunaga, qui alla sua seconda opera dopo l’acclamato Sin Nombre (che pure questo, continuo ad ammettere la mia ignoranza, non ho visto), dimostra di possedere un buon occhio e uno sguardo attento.
La colonna sonora dell’altro “nostro” Dario Marianelli (premio Oscar per Espiazione) è azzeccata e conferma, manco ne avessimo bisogno, la teoria della fuga dei cervelli. E qui ritorniamo alla questione di partenza. Se, ad esempio, ignorassimo di vivere in un paese in cui il talento viene considerato come la Peste, saremmo più felici?
Penso di sì.
E allora beata ignoranza.
(voto 7/10)

P.S. Confesso che il finale ha (quasi) sciolto il mio freddo cuore.

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