Cast: Mickey Rourke, Josh Brolin, Joseph Gordon-Levitt, Eva Green, Jessica Alba, Bruce Willis, Rosario Dawson, Christopher Meloni, Juno Temple, Powers Boothe, Dennis Haysbert, Jeremy Piven, Ray Liotta, Jamie Chung, Jaime King, Julia Garner, Christopher Lloyd, Marton Csokas, Jude Ciccolella, Alexa Vega, Lady Gaga
Genere: fumettoso
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La recensione cannibale
Sin City – Una donna per cui uccidere è stato il super mega floppone dell'estate americana. Costato $60 milioni, in patria sta facendo fatica a raggiungere quota $15 milioni e nel weekend d'apertura è riuscito a mala pena a entrare nella Top 10 dei film più visti, nonostante la totale assenza di grandi concorrenti. Perché un tonfo così clamoroso?
Per prima cosa, va detto che Robert Rodriguez non è che sia sempre una garanzia al box-office. Già la poco riuscita operazione Machete Kills doveva fargli fischiare le orecchie in tal senso.
Un altro motivo va secondo me ricercato anche nel tempismo. Il tempismo è tutto nella vita e questo Sin City 2 è giunto nel momento probabilmente meno propizio. Dal primo capitolo del 2005 è passato troppo tempo per poterne sfruttare l'hype e allo stesso tempo ne è passato troppo poco perché si possa parlare di riscoperta vintage.
Il problema fondamentale sta però probabilmente nella natura intrinseca del film stesso. Sin City 1 era un cult movie wannabe, ma non era un cult movie vero e proprio. A livello visivo rappresentava qualcosa di nuovo e di davvero fico, un modo di usare la computer grafica per realizzare un cine-fumetto folgorante, anni luce più avanti di quanto visto prima di allora e che avrebbe aperto la strada a 300 e cloni vari. Peccato soltanto che nell'anno 2014 una pellicola girata in questa maniera non faccia più notizia e la sua indubbia bellezza estetica finisca di affascinare dopo appena pochi minuti.
Una volta che viene a mancare l'effetto “WOW!” della realizzazione tecnica del film, Sin City – Una donna per cui uccidere lascia di fronte a ciò che è veramente, e che forse già il primo Sin City era: una pellicola vuota. Terribilmente vuota.
Cast: Zach Galifianakis, Bradley Cooper, Ed Helms, Justin Bartha, Ken Jeong, John Goodman, Melissa McCarthy, Heather Graham, Sasha Barrese, Jamie Chung, Gillian Vigman, Jeffrey Tambor, Sondra Currie, Oliver Cooper
Genere: analcolico
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"Bravo Cannibal, anche io odio Liam Neeson!"
Ci sono cose che mi fanno incazzare a prescindere: i film sui supereroi, le pellicole con Liam Neeson e i sequel. Pensate un po’ quindi quanto possa essermi piaciuto Taken 2 – La vendetta, seguito del già pessimo di suo Io vi troverò in cui Liam Neeson si comporta come un supereroe.
Con Una notte da leoni 3 per fortuna non mi sono trovato alle prese con un film sui supereroi, Liam Neeson non è presente, però si tratta di un sequel. Di più, del terzo e, se Dio ce la manda buona, conclusivo capitolo di una trilogia. Che poi non doveva essere una trilogia. Una notte da leoni era un film unico e tale doveva restare, era uno spasso totale, una commedia a suo modo originale e con dei personaggi esilaranti e particolari, su tutti il folle (nel senso proprio di malato di mente) Alan, interpretato da un folgorante Zach Galifianakis, per cui si sono subito scomodati paragoni con John Belushi e che probabilmente invece farà la fine dell’altro “nuovo John Belushi”, ovvero Jack Black. Che comunque è pur sempre una fine migliore di quella del vero povero John Belushi.
Considerato il clamoroso successo di quel primo episodio, a Hollywood hanno sentito l’esigenza di farne un secondo, che si limitava ad essere una brutta, stantia e ridicola (ma non divertente) copia carbone del primo, soltanto ambientata a Bangkok anziché a Las Vegas.
"MMMbop, questo Justin Bieber non mi convince. Meglio gli Hanson."
Dopo quel disastroso episodio, ero già intenzionato a mettere una pietra sopra a questa saga, che non doveva essere una saga. L’avventura numero 3 non mi ha fatto certo cambiare idea, ma se non altro va dato atto agli autori un minimo di coraggio in più rispetto al numero 2. Se quello era uno scopiazzamento senza vergogna, in pieno Zucchero style, qui almeno si cerca di variare un minimo la formula.
Attenzione però, perché il cambiamento è più apparente che reale. Questa volta l’avventura non parte con il solito hangover, con i tre protagonisti che si risvegliano in uno stato pietoso dopo una notte di bagordi. Cosa positiva, perché così si evita di fare una copia della copia del primo episodio. Cosa negativa, perché si perde un po’ l’identità e il senso della serie, che si chiama in italiano Una notte da leoni e in originale The Hangover.
In Una notte da leoni 3 non c’è né una notte da leoni, né un hangover, e allora questo film che ca**o l’avete fatto a fare?
Bella domanda, a cui non ho ancora trovato una risposta.
"Cannibal, io pel vendetta svaligiale tua casa."
Todd Phillips a questo giro ha allora avuto le palle di provare a fare qualcosa di diverso? Come detto, apparentemente sì. La prima parte della pellicola promette quasi bene. Sembra concentrarsi soprattutto sulla figura di Alan, quello psicopatico di Alan, l’unico personaggio davvero interessante di questa serie, visto che Mr. Chow (Ken Jeong) non lo si regge più e si spera per tutto il tempo che venga fatto fuori in maniera brutale. I will let you down, I will make you hurt.
A morire è invece il padre di Alan e ciò sembra portare una maggiore introspezione al film. Ci troviamo forse dentro una versione più matura delle altre due notti da leoni?
No. È solo un’illusione. Dopo i primi minuti, Una notte da leoni diventa la solita notte da leoni, solo senza droghe, alcool, figa, deliri, tatuaggi e insomma mica tanto una notte da leoni. Una versione annacquata, analcolica di Una notte da leoni. La struttura narritava sembra cambiata, ma non lo è molto. Come al solito, ci ritroviamo con Bradley Cooper, Ed Helms e Zach Galifianakis chiamati a salvare il loro amico sfigato Justin Bieber Bartha. E pure qui a non mancare è la solita razione di avventure più o meno criminali, con John Goodman chiamato questa volta nella parte del cattivone di turno. In pratica, in questo terzo capitolo manca il meglio del primo episodio, ma non manca il peggio del secondo. Per fortuna almeno le scenette con gli animali questa volta sono contenute al minimo, giusto nella primissima evitabile scena di decapitazione di una giraffa, ma almeno non c’è più la scimmietta cagaminkia della notte in Thailandia. Baby steps. Piccoli progressi.
"Dici che lo vinciamo il Cannibal Award per la scena più sexy dell'anno?"
A livello di risate, siamo lontani dal primo episodio e le cose vanno giusto un cicinin meglio rispetto all’Hangover II. A livello di figa, qui siamo messi invece peggio, visto che Jamie Chung compare in appena mezza scena per circa cinque secondi. Io comunque non ho ancora capito dai tempi del precedente capitolo come fa Ed Helms a stare con Jamie Chung. Capirei stesse con Bradley Cooper, ma con lui no.
A rendere questo terzo episodio un filo migliore del secondo è allora il tentativo, seppure solo abbozzato, di variare un minimo la formula, oltre al fatto di dare maggiore spazio ad Alan e al ritornare sui passi del primo episodio, apparizione di Heather Graham compresa, riuscendo a dare una chiusura al cerchio sulle note di “Dark Fantasy” di Kanye West. Il + del voto se lo merita però + che altro per la divertente partecipazione di Melissa McCarthy, la cui carriera era iniziata come personaggio minore nella serie Una mamma per amica e oggi dopo Le amiche della sposa è una delle attrici comiche più lanciate di Hollywood.
Questo Una notte da leoni 3 è allora un film perfettamente inutile, che non cambia niente. Continuo a pensare che la prima pellicola dovesse rimanere un unico da non replicare, e le cose che mi fanno incazzare a prescindere rimangono le stesse di sempre: i film sui supereroi, le pellicole con Liam Neeson e naturalmente i sequel.
(voto 5+/10)
P.S. Grazie alla scena dopo i titoli di coda il voto cambia. In peggio.
Cast: RZA, Rick Yune, Russell Crowe, Jamie Chung, Lucy Liu, Dave Bautista, Cung Le, Byron Mann, Daniel Wu, Zhu Zhu, Grace Huang, Gordon Liu, Eli Roth, Pam Grier
Genere: kung fiat panda
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Io adoro RZA per svariati motivi. I primi che mi vengono in mente sono:
UNO
RZA è uno dei membri fondatori del Wu-Tang Clan, il clan di rapper più figo nella storia dell’hip-hop.
Dite che non ci sono stati tanti altri clan nella storia dell’hip-hop?
E allora rilancio dicendo che sono il clan più figo nella storia tutta, con buona pace degli scozzesi, di Braveheart, di Mel Gibson e pure dei Lannister!
DUE
RZA è l’autore della colonna sonora di Ghost Dog, il film di Jim Jarmush con Forest Whitaker. Più che una semplice pellicola, per me un modello esistenziale. A parte che non mi farò le treccine e non diventerò un samurai né un sicario e non alleverò piccioni, a parte tutto questo è comunque un mio modello esistenziale.
TRE
RZA è ormai entrato a far parte della Quentin’s Creek. Ha firmato brani per le colonne sonore di Kill Bill e Django Unchained e ora per il suo esordio nel magico mondo della regia si può fregiare del prestigioso marchio “Quentin Tarantino presenta”.
Il fatto che RZA se la cavi bene con la musica, non significa però per forza che debba avere anche del talento cinematografico. Come attore ad esempio non è un fenomeno. Ha fatto qualche apparizione qua e là, oltre alla splendida scena di Ghost Dog in cui compare, in film come Derailed, The Box, American Gangster, Funny People, The Next Three Days e pure nella serie tv Californication. Per il suo debutto alla regia si è assegnato molto modestamente un ruolo di primo piano, è lui infatti L’uomo con i pugni di ferro del titolo e pure qui come attore non è che convinca al 100%.
Sì, ok, ma come regista come se la cava?
RZA è bravo. Magari non posso essere il massimo dell’obiettività, avendolo esaltato fino ad adesso, però se riconosco che come attore non è eccezionale, come regista invece va detto che è bravo. Il ragazzo, oddio ragazzo, i suoi 43 anni li ha già tutti, s’ha ancora da fare. Può crescere molto. Non di statura che mi sembra già parecchio alto. È un talento acerbo e qualcosina deve sistemarla, però il suo film d’esordio è una pura gioia per gli occhi, ha ritmo, intrattiene e diverte. In pratica, fa il suo porco dovere.
L’uomo con i pugni di ferro non riesce nell’obiettivo di essere un nuovo cult assoluto, e per questo magari un pochino di delusione c’è, però è un film figo, molto figo, che si guarda con enorme piacere.
RZA dimostra inoltre di possedere una certa classe. Sa girare scene di combattimento spettacolari, e lo dice uno che con le scene di combattimento spesso si annoia piuttosto che esaltarsi. Qua e là va di scenone splatter, ma senza esagerare troppo e, pur essendo un film ambientato per larga parte dentro un bordello, riesce a non essere troppo volgare o machista. E poi naturalmente la colonna sonora da lui stesso curata è stilosa, hip-hoppara e di livello crazy sexy cool.
La storia che ha deciso di raccontare è ambientata nella Cina feudale e ci si può quindi immaginare un film di cappa e spada tradizionale. Così non è. Vi ho già detto che RZA fa parte della Quentin’s Creek e si vede. L’uomo con i pugni di ferro sta al cinema di cappa e spada classico così come Django Unchained sta al cinema western classico. Ovvero: non c’entra relativamente una mazza. Omaggia il genere nelle atmosfere e nelle ambientazioni, ma poi fa di testa sua, rielaborandolo in una maniera personale. O diciamo: al 50% tarantiniana e al 50% personale.
Veniamo poi ai punti deboli della pellicola, giammai mi si accusi di non essere obiettivo.
VIVA RZA! SEI UN GRANDE! SEI IL MIGLIORE, YO!
Dicevo… devo essere obiettivo. La verità è che RZA non è Quentin Tarantino. A tratti prova a replicare lo style delle sue pellycole, in particolare Kill Bill, epperò non è che adesso un rapper si mette dietro la macchina da presa e diventa subito come Tarantino con un film solo. Non è così facile, yo. RZA si abbevera alla stessa fonte di Quentin, ma i risultati non sono esattamente gli stessi. Per adesso comunque va più che bene così. Il regista rapper sembra possedere tutte le armi e tutti i pugni di ferro per poter migliorare ancora e in futuro credo ci possa regalare un cult a tutto tondo. Magari con una sceneggiatura più articolata e personaggi più sfaccettati.
"Se io c'ho i pugni di ferro, tu c'hai proprio i pugni di merda, caro Bautista ahah!"
Laddove nei film del Tara ormai vi è una cura maniacale nella costruzione dei personaggi, qui questi appaiono invece piuttosto monodimensionali. Oltre alla storia di vendetta tipicamente tarantiniana incarnata dall’uomo con i pugni di ferro interpretato da RZA, abbiamo la sua innamorata, la zoccoletta pardon geisha Jamie Chung, la pappona delle zoccolette pardon geishe Lucy Liu, il combattivo Russell Crowe, attore che di solito non mi convince un granché ma che qui trova la sua dimensione ideale altroché Les Misérables, il guerriero Rick Yune e il cattivone indistruttibile Dave Baustista, wrestler riciclatosi attore con risultati modestissimi, come d’altra parte capita a tutti i wrestler (tiè, Ford!). Tutti personaggi più da cartone animato che da pellicola vera e propria.
Sui personaggi e sulla sceneggiatura il nostro RZA, qui aiutato dall’altro membro del Quentin Team Eli Roth, deve quindi ancora lavorare. A livello visivo invece lo stile c’è già tutto. Basta solo affinarlo un po’, distaccarsi dal suo modello di riferimento, d’altra parte pure il cast tra Lucy Liu, Gordon Liu e un’invecchiata Pam Grier urla: “Tarantino!” a gran voce, e poi il gioco è fatto.
Perché volendo essere obiettivi, RZA è bravo.
E non volendo essere obiettivi che tanto l’obiettività mi fa schifo: VIVA RZA! SEI UN GRANDE! SEI IL MIGLIORE, YO!
Cast: Joseph Gordon-Levitt, Dania Ramirez, Michael Shannon, Jamie Chung, Aasif Mandvi, Christopher Place
Genere: scavezzacollo
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Uscita italiana: dal 23 gennaio direttamente per il mercato home-video
A volte partendo da un presupposto assurdo può nascere una pellicola sorprendente. Spesso anzi sono proprio le idee più strambe quelle che portano alle soluzioni più originali e imprevedibili. Senza freni - Premium Rush nasce proprio da uno di quegli spunti particolari e folli: è la storia di un fattorino che fa commissioni in giro in bicicletta per New York City. Un’idea valida per un videogame in stile Paperboy più spericolato.
Se non avete mai giocato a Paperboy, significa che siete o troppo giovani, o troppo vecchi.
Un’idea valida per un videogame, ma che pare assurda per un film. Quanti soldi avreste il coraggio di scommettere voi, su una pellicola del genere? Personalmente, io non molti. A Hollywood che è il regno dell’irrazionale e dove i presupposti più idioti si possono trasformare in delle gran figate, c’hanno invece investito $35 milioni. Non un budget di quelli strepitosi, ma nemmeno noccioline.
Se io non c’avrei puntato granché, una volta sentiti i nomi coinvolti nell’operazione ho invece preso fiducia.
Regia e sceneggiatura firmata da David Koepp, uno che da regista ha fatto Secret Window e soprattutto gli interessanti Ghost Town ed Echi Mortali, uno che da regista non è mai apparso un fenomeno ma nemmeno uno sprovveduto totale, uno che da sceneggiatore è invece un pezzo grosso e ha lavorato su blockbusteroni come Jurassic Park, Mission: Impossible, Spider-Man e La guerra dei mondi, senza dimenticare La morte ti fa bella e Carlito’s Way.
Joseph Gordon-Levitt sì, è l’idolo indie di (500) giorni insieme e 50/50 diventato grazie a Christopher Nolan un nome quasi famoso anche al grande pubblico con film come Inception e Il cavaliere oscuro - Il ritorno, ed è attualmente nei cinema nostrani con Looper e pure con Lincoln. E poi Michael Shannon, quello con il volto da pazzo che fa sempre parti da pazzo e le fa sempre in maniera pazzesca, da Revolutionary Road al recente stupendo Take Shelter, passando per la tv con Boardwalk Empire. Pazzo pure lì.
Con dei nomi così in bella mostra, decido di giocare a questo Premium Rush, uscito in Italia in questi giorni direttamente per il mercato DVD e Blu-ray con il titolo Senza freni.
E premiamo PLAY, allora. Che aspettiamo?
"No, questi soldi non li ho fatti con i massaggi. Perché me lo chiedete tutti?"
La prima parte del film scorre bene, leggera ma veloce. Joseph Gordon-Levitt corre rapido e spericolato sulla sua bicicletta, con una missione da compiere, come in ogni buon videogioco che si rispetti. Peccato solo che questo sia un film e non un videogioco. Gordon-Levitt interpreta la parte di Wilee, un fattorino che in bici deve consegnare un pacco molto importante affidatogli dalla gnocca coreana Jamie Chung. Il tutto mentre cerca di riconquistare il cuore della sua ex, pure lei una fattorina ciclista interpretata dalla gnocca latina Dania Ramirez, la Maya della serie tv Heroes, e il tutto mentre un detective folle cerca di fregargli il pacco, per ragioni sconosciute. Detective folle ovviamente interpretato dal volto folle del folle Michael Shannon.
Tutto bene, per i primi minuti. Gli inseguimenti sono ben realizzati e la regia di Koepp scivola agevole per le strade di New York City. Dopo un po’, ci si aspetterebbe però che il film si evolva in qualcosa di più. Un minimo. Invece resta fondamentalmente un videogame, piuttosto che una pellicola vera e propria, buona per un intrattenimento disimpegnatissimo, nulla di più. E da Koepp + Gordon-Levitt + Shannon era lecito attendersi qualcosina di più.
A un certo punto, sembra che quel qualcosina di più tanto atteso possa arrivare. L’intreccio del film si fa più complesso, Koepp gioca con i flashback, i ritmi rallentano un attimo e sembra esserci un maggiore sviluppo nei personaggi e nella trama. È solo un’illusione. Presto il film ricomincia a correre, in un inseguimento continuo tra Wilee e il detective. Nonostante il nome, Wilee scappa come Beep Beep e il detective lo insegue come Willy il coyote, ma fondamentalmente la trama del film non è molto più complessa di uno dei mini episodi dei Looney Tunes. Al massimo, quello che Premium Rush offre è una leggera critica al sistema capitalista, a una vita in ufficio dietro a una scrivania, e in più accenna persino al tema dell’immigrazione…
Okay, forse era meglio se il film faceva
"Ok, bella la bici. Però adesso mi date un'auto con il NOS?"
e si limitava unicamente a correre Senza freni. I momenti che vorrebbero essere più profondi sono infatti quelli meno convincenti. Siamo allora più che altro dalle parti di un action in stile Fast & Furious o Fuori in 60 secondi, con le bici al posto delle auto e - sarà per questo - tonnellate di figosità in meno. A meno che non siate patiti totali delle bici, e in tal caso questo Premium Rush vi sembrerà molto più figoso.
Nonostante i nomoni coinvolti, non bisogna aspettarsi niente di più di una visione da far scorrere veloce veloce e da dimenticare altrettanto rapidamente.
Il futuro: Premium Rush di David Koepp con Joseph Gordon-Levitt
Perché è in classifica: perché è un’ottima attrice? Ma và, perché mi fa troppo sesso!
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Jamie Chung con quel nome potrebbe sembrare il fratello (maschio) di Jackie Chan, invece è una samurai girl con i controcazzi, che sa combattare come una Lucy Liu uscita da Kill Bill, o quasi, e sa ammaliare con uno sguardo da porca tenera cucciola indifesa. Un mix letale di fascino orientaleggiante che per ora si è fatta notare in una serie di film spesso non indimenticabili (ma Sucker Punch per quanto non del tutto riuscito ha il suo perché). In attesa che esca dai soliti stereotipi (cui questo stesso post ha contribuito) degli orientali a Hollywood, il prossimo anno potrebbe finalmente emergere anche come interprete accanto a Joseph Gordon-Levitt in Premium Rush. Per adesso la kung fu Jamie ce la teniamo così, deliziosa come e anzi molto più di un involtino primavera.
Ok, la smetto con ‘sti cazzi di stereotipi sui cinesi. Anche perché lei c’ha origini coreane…
Cast: Bradley Cooper, Ed Helms, Zach Galifianakis, Justin Bartha, Ken
Jeong, Paul Giamatti, Jamie Chung, Sasha Barrese, Mason Lee, Jeffrey Tambor,
Yasmin Lee, Mike Tyson
Genere: replica
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Una notte da leoni, Libera uscita, Fatti strafatti e strafighe, Tre uomini e
una gamba, Cose molto cattive, Parto col folle
Una notte da leoni 1 è
stata una delle commedie di maggior successo che la storia d’America abbia mai
conosciuto. Oltre 250 milioni di dollari incassati, un culto cresciuto
settimana dopo settimana, un film riuscito a entrare nell’immaginario
collettivo mondiale su come debba essere fatto un addio al celibato come Dio
comanda. Impossibile non immaginare che sarebbe arrivato un sequel e infatti
eccolo qui, con il cadavere del primo episodio ancora caldo e il ricordo ancora
ben impresso nella mente di tutti. Che poi non è che Una
notte da leoni fosse qualcosa di così rivoluzionario, neppure all’interno del
genere demenziale, visto che ad esempio Fatti strafatti e strafighe con
l’accoppiata di idioti patentati Ashton Kutcher e Seann William Scott partiva
dallo stesso spunto: dopo una sbronza colossale, un hangover (o presunto tale),
i due protagonisti cercano di ripercorrere a ritroso cosa diavolo hanno fatto
durante la precedente folle notte. Un po’ la stessa cosa che succede in Una
notte da leoni, soltanto spostato nell’ambientazione sempre affascinante di Las
Vegas come in Cose molto cattive, di cui pure era in parte debitore.
Il film però era
assolutamente figo e divertentissimo, con uno Zach Galifianakis scatenato in
grado di scomodare paragoni illustri (con John Belushi) e meno illustri (con
Jack Black, negli ultimi tempi sempre più in caduta libera). Una commedia
esilarante e mitica e allora per il sequel che fare? Squadra che vince non si
cambia. Con un bottino così ricco alle spalle, perché rischiare?
Il secondo capitolo
replica così in tutto e per tutto il primo. Peccato che il senso di dejavu si
fa via via fastidioso, o meglio un “leggermente fastidioso” visto che comunque
la pellicola si lascia comunque vedere. Se la mancanza di originalità era già
da mettere in conto, la cosa più tragica qui è allora che questo nuovo capitolo
fa ridere un decimo, o forse anche meno, rispetto all’uno.
Come se ci trovassimo in
una catena di montaggio, o in un nuovo episodio delle Vacanze di Natale, tutto
è stato studiato nel minimo dettaglio per prendere gli elementi che hanno fatto
il successo di Hangover 1 e riproporli giusto quel minimo leggermente
modificati per giustificare una nuova pellicola.
"Ciao Jamie, saputo che sono stato eletto uomo più
sexy del mondo? Adesso vuoi venire a letto con me?"
Da Las Vegas si passa
quindi all’esotica Bangkok, capitale della Thailandia. Ed Helms, quello sfigato
del gruppo che diventa figo soltanto quando si ubriaca pesantemente, si sta
infatti sposare lì con Jamie Chung. Il discorso del padre della sposa riassume
alla perfezione il mio pensiero su Ed Helms, comico insipido che si confonde
con mille altri. Tipo tra lui e Jason Sudeikis o tra lui John Krasinski o tra
Jason Sudeikis e John Krasinski, qualcuno sa trovarmi una sola differenza? Dai,
non è credibile che ‘sto Ed Helms sposi Jamie Chung, il top delle tope
orientaleggianti (e non solo).
"Ma veramente dovrei sposare il tuo migliore amico. Comunque okay..."
Poi c’è Bradley Cooper,
che nel frattempo è diventato una star hollywoodiana ed è persino stato eletto
uomo più sexy del 2011 dalla rivista People. Forse bullandosi per il titolo
conseguito, qui il Bradley è tutt’altro che limitless e si limita fare il
minimo indispensabile, senza mai risultare divertente. Ancora una volta l’arma
in più (e stavolta anche l’unica arma) del film è Zach Galifianakis: lo vediamo
fumare una pipa in aeroporto e poi protagonista di una spassosissima rivalità
con il fratellino 16enne della sposa. Ma presto pure lui si spegne…
"Pensavo avrebbero scelto me come più sexy del mondo..."
Una volta sparati i
proiettili migliori dal sempre fuori di testa Zach, il film si accontenta di
svolgere il compitino recuperando la gag degli animali. È una notte da leoni ma
è anche uno zoo, così dopo la tigre di Mike Tyson questa volta c’è una
scimmietta con addosso un giubbetto dei Rolling Stones pseudo rock’n’roll e per
nulla divertente (al proposito vedi il belligerante post di Chicken Broccoli). Quindi ci
sono le riprese all’interno dell’ascensore, marchio stilistico di fabbrica del
primo, un inutile nuovo siparietto canterino, la comparsa del sempre divertente
Chao e la poco incisiva new-entry Paul Giamatti. Ciliegina amara sulla torta:
l’apparizione finale di Mike Tyson penosa e decisamente evitabile.
Tra le note positive da
segnalare c’è però almeno Kanye West che continua a svettare in colonna sonora
e questa volta con diversi pezzi (Stronger e Monster nel film + Dark Fantasy nel trailer), la scena da revolucion con
i protagonisti che fanno dei casini per Bangkok in pieno stile black bloc,
prendendosi pure le manganellate dalla pula, e quindi la scena del trip mentale
vissuto in flashback da Galifianakis (ma che kazzakis di cognome è!?) come se
lui e gli altri personaggi fossero dei bambini, in pratica l’unica cosa nuova
del film.
Ah, tra le altre note positive
poi l’ho già detto che Jamie Chung?
Tutto il resto, come disse
il poeta (ma anche no), è noia.
Come si sono guadagnati la
pagnotta gli sceneggiatori? Si sono limitati a replicare in tutto e per tutto
il primo episodio, hanno fatto un update come se fosse un videogioco cambiando
semplicemente l’ambientazione. Loro non hanno avuto una notte da leoni, ma una
notte da pecore. Come biasimarli, d’altra parte, con le cifre a molti zeri che
c’erano in ballo? Senza l’ambientazione di Las Vegas, però, la vicenda perde
molto e Bangkok, pur affascinante, è pur sempre la solita città esotica vista
dal punto di vista stereotipato degli americani. Sì, anche Las Vegas era
stereotipata. Però Las Vegas è Las Vegas. E l'unica incognita per il terzo capitolo, visto il successo anche del 2 praticamente certo, è in quale città sarà ambientato: a Cortina? Ah no, mi sa che ho sbagliato saga.
La prima notte da leoni
non si scorda mai. Si fa per dire, visto che nemmeno i protagonisti la
ricordano.
La seconda notte da leoni
però la si scorda eccome. E questa volta non è colpa dell’alcool.
Cast: Emily Browning, Abbie Cornish, Jena Malone, Vanessa Hudgens, Jamie Chung, Oscar Isaac, Jon Hamm, Carla Gugino, Scott Glenn
Genere: fighette in azione
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Sucker Punch è il mio nuovo film preferito!
Scherzo, però non è niente male. Certo, se il vostro ideale di pellicola action è una serie di tipi muscolosi che menano le mani allora state pure alla larga, ma se invece preferite adocchiare delle graziose fanciulle apparentemente innocue ma che in realtà danno del filo da torcere alle piccole e scatenate Hit Girl di Kick-Ass e Hanna di, ehm… Hanna, allora questo sì che può essere il film d’azione che fa giusto giusto per voi.
Scena iniziale: una clip dark molto ah yeah Mtv style sulle note di “Sweet Dreams” ci introduce nel mondo della protagonista (ma sarà davvero lei la vera protagonista?), una Emily Browning uscita fuori da Lemony Snicket e ormai inarrestabile nella sua ascesa verso la grandezza. La bambolina, che non a caso si chiama Baby Doll, ha fatto fuori involontariamente la sorellina (cose che capitano), mancando clamorosamente il patrigno malefico che voleva stuprarla, e così viene rinchiusa in un manicomio barra bordello che assomiglia per concentrazione di figa + follia a The Ward - Il reparto.
Oltre che una fantasia erotica, il regista Zack Snyder mette in scena una combinazione personale di tutto il suo immaginario, che poi non è molto lontano dal mio. Molto azzeccata innanzitutto l’idea della colonna sonora, con brani vari di Bjork, Pixies, Smiths ed Eurythmics rielaborati e riadattati come se fossero delle melodie eterne che vivono da sempre all’interno della nostra memoria e che escono fuori sputate in una nuova veste. Esattamente come le immagini della pellicola, un rimescolamento da altri film, fumetti, videoclip e videogame vari però non effettuato in maniera passiva, con i materiali di partenza che vengono rielaborati e remixati dalla visione di Snyder e donati ai nostri occhi sotto una diversa forma.
La parte migliore viene comunque con il casting femminile, un casting che immagino Snyder e i suoi collaboratori si siano divertiti parecchio a scegliere. Oltre alla splendida Browning (la cui beauty presto rivedremo anche in Sleeping Beauty passato all’ultimo Cannes), c’è la sempre eccellente Abbie Cornish: avere lei in pratica è come avere una Nicole Kidman di nuovo ai massimi livelli, però pagandola con un cachet presumibilmente molto più basso.
A Vanessa Hudgens per la prima volta nella sua vita non è stata data la parte della brava ragazza che le sta stretta e nelle vesti da zoccola rivela finalmente quel potenziale che io ho sempre sostenuto avesse da qualche parte come qualità nascosta. E se le riesce particolarmente bene la parte della zoccola, un motivo ci sarà, no? Quindi sfila anche Jamie Chung, la più bella fighetta asiatica in circolazione, mentre Carla Gugino non convince nei panni di una un po’ troppo stereotipata perfida megera alla Crudelia De Mon.
La migliore è comunque Jena Malone, una che quando c’è lei, so già che il film mi piace: fin dagli esordi da bambinetta in Contact e Nemiche amiche, passando per la fase teenager con Donnie Darko, L’ultimo sogno, The dangerous lives of altar boys, Saved! e Orgoglio e pregiudizio e poi in età da (giovane) adulta in Into the wild, Rovine e Oltre le regole - The Messenger. Una che insomma potrei dire quasi che è la mia attrice preferita, non fosse che a sentirmi la Dea Natalie dall’alto potrebbe fulminarmi. Comunque vedere la Jena in azione è sempre un bello spettacolo.
Non sfruttata a dovere la parte maschile del cast, con un Oscar Isaac promettente ma forse ancora acerbo per la parte del cattivone, mentre il grande grandissimo grandissimissimo Jon Hamm (il Don Draper di Mad Men) è sacrificato in un ruolo troppo piccolo.
Sucker Punch è un film strepitoso a livello visivo e sonoro, ma se non ci troviamo a un nuovo cult assoluto moderno è perché i contenuti sono leggerini, seppur non inesistenti come si nota da un finale (quasi) toccante. La trama gioca su più piani della realtà/fantasia, cosa che una quindicina d’anni fa ci avrebbe regalato un risultato ai limiti del comprensibile, ma nell’era post-Matrix in cui (quasi) tutti siamo abituati ad aprire e chiudere decine di finestrelle contemporaneamente, è ormai un modello consolidato della narrazione odierna e quindi piuttosto facile da seguire. Forse in maniera persino troppo lineare, io avrei voluto un film ancora più incasinato!
Se la sceneggiatura poteva quindi essere rifinita (e complicata) con maggiore attenzione, il divertimento comunque non manca: i combattimenti sono di ispirazione videoludica più che cinematografica e forse proprio per questo riescono nel loro intento di essere altamente spettacolosi, anche se dopo il primo gli altri diventano via via piuttosto ripetitivi.
Potremmo definirlo un cinema videogame allora ma per una volta non in una accezione negativa, visto che Sucker picchia lontano dalle atmosfere di quel fracassone di un Michael Bay o anche dal Francis Lawrence di robacce come Io sono leggenda e Constantine, mentre invece picchia più vicino all’adrenalina pura dei Neveldine & Taylor di Crank e soprattutto Gamer, ma non distante neppure dallo stile narrativo che procede per il superamento di capitoli/livelli usato in Scott Pilgrim Vs. the World. Un film che prevedibilmente sarà quindi odiato da chi crede ancora in una concezione del cinema vecchio stampo, ma si farà apprezzare, almeno per le sue buone intenzioni (magari non riuscite al 100%), da chi è favorevole alle contaminazioni tra media differenti.
Zack Snyder dopo il buon esordio con L’alba dei morti viventi mi aveva progressivamente convinto sempre meno con 300 e Watchmen (il film sui gufi Il regno di Ga'Hoole - La leggenda dei guardiani me lo sono volutamente risparmiato) e ora è ritornato a salire nelle quotazioni dell’immaginario cannibale. Un regista dall’ottimo potenziale non ancora totalmente espresso ma che con la sceneggiatura giusta potrà volare davvero in alto. Per ora comunque Sucker Punch è un sogno scappato dai miei sogni.
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