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venerdì 1 dicembre 2017

Mudbound: Sento le voci (fuori campo)





Mudbound
Regia: Dee Rees
Cast: Carey Mulligan, Jason Clarke, Garrett Hedlund, Jason Mitchell, Mary J. Blige, Jonathan Banks, Rob Morgan


Senti una voce fuori campo e subito ti viene in mente Terrence Malick. Non che l'uso della voce fuori campo l'abbia inventato lui, è solo che ne ha fatto talmente il suo marchio di fabbrica, che quando ne senti una pensi a lui. O almeno è ciò che faccio io. Che poi chissà che voce ha, uno come Terrence Malick? Una voce profonda, solenne, divina, come i suoi film (quelli più riusciti almeno)?
Senti una voce fuori campo e subito ti viene in mente Terrence Malick, ma questo non è un film di Terrence Malick. A questo punto qualcuno esclamerà: “Dio grazie!”, perché inspiegabilmente a molti il suo cinema è venuto a noia.
Inspiegabilmente?
Qualcun altro invece si rammaricherà che non l'abbia girato lui, perché come dirige Malick, pochi altri al mondo.
Giusto per fare un po' di sana concorrenza a Terrence Malick, in Mudbound ci sono un sacco di voci fuori campo. Tutti i personaggi principali ci snocciolano ciò che passa per la loro testa in continuazione e questa è la cosa più bella, e per alcuni sarà la più brutta, del film. Di certo è questo il suo tratto distintivo a livello narrativo, mentre a livello registico Dee Rees gira senza particolari guizzi e in maniera molto classica, molto in stile da tradizionale film da Oscar. Anche questo è un aspetto che può essere letto in maniera positiva così come negativa. Dee Rees non è Terrence Malick, per fortuna o purtroppo, e il suo lavoro a livello visivo non riesce a essere un sogno a occhi aperti come quelli del collega, ma allo stesso tempo è anche molto più lineare, più semplice da seguire e da comprendere. Qualcuno aggiungerà quindi che è anche meno noioso. E di cosa parla, ordunque, questo Mudbound?
Parla di razzismo, di guerra, di problemi coniugali e ci mette dentro pure un triangolo sentimentale. Non manca niente, solo che forse c'è persino troppo. Si rischia di fare confusione.

lunedì 23 novembre 2015

Ain't no mountain high enough, ma forse l'Everest è alto abbastanza





Everest
(USA, UK, Islanda)
Regia: Baltasar Kormákur
Sceneggiatura: William Nicholson, Simon Beaufoy
Cast: Jason Clarke, Keira Knightley, Josh Brolin, John Hawkes, Jake Gyllenhaal, Michael Kelly, Emily Watson, Sam Worthington, Elizabeth Debicki, Martin Henderson, Naoki Mori, Ingvar Eggert Sigurðsson, Chris Reilly, Robin Wright, Mia Goth, Vanessa Kirby
Genere: montanaro
Se ti piace guarda anche: 127 ore, Wild, Into the Wild - Nelle terre selvagge


Una gita in montagna può essere un'esperienza distruttiva, almeno per il sottoscritto.
Una gita in montagna può però anche rivelarsi un'esperienza istruttiva. Ecco ad esempio le numerose cose imparate dalla visione di Everest:

mercoledì 26 agosto 2015

Terminator Genisys: obsoleto, non vecchio





Terminator Genisys
(USA 2015)
Regia: Alan Taylor
Sceneggiatura: Laeta Kalogridis, Patrick Lussier
Cast: Arnold Schwarzenegger, Jai Courtney, Emilia Clarke, Jason Clarke, Matt Smith, J.K. Simmons, Dayo Okeniyi, Courtney B. Vance, Byung-hun Lee, Michael Gladis, Sandrine Holt, Gregory Alan Williams
Genere: scaduto, ma purtroppo non ancora terminato
Se ti piace guarda anche: gli altri Terminator, Transformers, Avengers - Age of Ultron, Kingsman - Secret Service

Sono stato mandato dal futuro per proteggervi. Per mettervi al riparo da un film con Arnold Schwarzenegger. Vi sembra una storia già nota?
Sì, è vero. Già in passato ho tentato in tutti i modi di dissuadervi dal vedere suoi film, come il recente Contagious - Epidemia mortale, ma questa è un'altra storia...
Sì, beh, insomma, più o meno un'altra storia. Terminator Genisys non è una storia nuova, ma nemmeno un remake vero e proprio. Sembra ricalcare la vicenda del primo Terminator, quello diretto da James Cameron nel 1984, ma poi prende un'altra piega. Quindi non osate definirlo un remake. Questo è un reboot. È così che si etichettano oggi le idee riciclate. Reboot, non remake. Allo stesso modo in cui il T-800 interpretato da un (più o meno) redivivo Arnold Schwarzenegger vuole essere definito vecchio, non obsoleto. Peccato che, per quanti giri di parole si possano usare, la sostanza non cambi poi molto.

lunedì 27 maggio 2013

STI GRAN GATSBY!


Il grande Gatsby è un grande film.
Grande quanto?

GRANDE COSI’


Fine della recensione.

Dopo aver dedicato una intera retrospettiva ai precedenti lavori di Baz Luhrmann, ovvero

me la cavo così?
E no, dai. Vi beccate un post completo. E pure uno di quelli GRANDI

"Io ancora ridere per recensione cannibale di Australia."
Il grande Gatsby
(Australia, USA 2013)
Regia: Baz Luhrmann
Sceneggiatura: Baz Luhrmann, Craig Pearce
Tratto dal romanzo: Il grande Gatsby di F. Scott Fitzgerald
Cast: Tobey Maguire, Leonardo DiCaprio, Carey Mulligan, Joel Edgerton, Elizabeth Debicki, Isla Fisher, Jason Clarke, Adelaide Clemens, Callan McAuliffe, Gemma Ward
Genere: grandioso
Se ti piace guarda anche: Romeo + Giulietta, Moulin Rouge!, Quarto potere, The Aviator, Boardwalk Empire, Big Fish

Uno nella vita dovrebbe fare quello che gli riesce meglio. Va bene sperimentare, tentare cose differenti, arrischiarsi su sentieri poco conosciuti, ma poi è meglio raccogliere le esperienze fatte e utilizzarle all’interno di ciò che si sa fare in una maniera migliore di chiunque altro. Per me con Il grande Gatsby Baz Luhrmann ha fatto qualcosa di simile ai Daft Punk. Con il loro nuovo album capolavoro “Random Access Memories” sono tornati a suonare la musica che gli riesce meglio, la Disco, come in Discovery. Senza proporre una sterile e nostalgica replica di quell’album, o della Disco anni Settanta, bensì riformulandola con una sensibilità nuova.
Baz Luhrmann con la sua versione de Il grande Gatsby sembra seguire lo stesso approccio. Il suo precedente Australia si era rivelato un melodrammone troppo old-style, in cui giusto nei primi minuti di pellicola si intravedeva intatto il suo stile, per poi trasformarsi in una copia poco inventiva dei film della vecchia Hollywood. Con Australia, non è come se Luhrmann avesse voluto girare il suo personale Via col vento, è come se avesse voluto girare proprio Via col vento, in versione australiana, rinunciando quasi del tutto al suo spumeggiante approccio post-moderno.
Chiusa quella sbadigliosa parentesi classica, il Baz nostro è tornato a fare quello che sa fare meglio. Lo sborone post-moderno. E sti gran Gatsby se gli riesce bene!

"Smettetela subito di chiamarmi Caz Luhrmann e concentratevi!"
Baz Luhrmann dà il suo meglio quando gioca in trasferta. I suoi film australiani sono i più deboli della sua filmografia: Ballroom - Gara di ballo è un esordio promettente, però è ancora parecchio acerbo e lascia intravedere solamente i barlumi della grandeur futura. Australia come detto è un noioso, seppur non del tutto disprezzabile, inno d’amore al cinema classico e poco altro. È invece solo quando si confronta con l’estero, che il Baz nostro disputa le sue partite migliori. Con Romeo + Giulietta si è confrontato con il mito assoluto della drammaturgia britannica, Will the Pelvis in Stratford Shakespeare, e ne è uscito vincitore. Con Moulin Rouge! ha pigliato il locale simbolo di Parigi e della Francia bohèmienne tutta e ha siglato una nuova splendida rete. Adesso è andato a tirare fuori dallo scaffale uno dei grandi classici della letteratura americana del Novecento, Il grande Gatsby di F. Scott Fitzgerald, ha soffiato via la polvere e gli ha aggiunto colore.
Ora, potrei fare un confronto tra romanzo e pellicola, ma non lo farò perché:
1) Risulterei ancora più pretenzioso di quanto sono di solito.
2) Volevo leggere il libro prima di vedere il film, ma non ho fatto in tempo e così si va ad aggiungere al lungo elenco di letture che dovrei assolutamente recuperare prima di morire.

"Ma che ci troverà tanto di sospetto nelle mie feste, questa Ilda Boccassini?"
Non avendo letto il libro, non so quanto ci sia di fitzgeraldiano in codesta pellicola. Quel che so di certo è che i personaggi sono stati resi al 100% luhrmanniani. Su tutti lui, il grande del titolo. Jay Gatsby va a raccogliere il testimone dei precedenti idealisti, quelli innamorati dell’amore, quelli che tutto è sempre una questione di vita e di morte, quelli come Romeo (il giovane Leo DiCaprio) e come Christian (Ewan McGregor) di Moulin Rouge!. Oltre che un inguaribile ottimista, uno che vive nell’eterna speranza, Gatsby è anche un personaggio estremamente misterioso. Uno che farebbe di tutto pur di incontrare Daisy (Carey Mulligan) e che, se non avesse le splendide fattezze di Leonardo DiCaprio, sembrerebbe solo uno schifoso inquietante stalker e basta.
Invece no. Gatsby non è uno stalker. Gatsby è un grande punto interrogativo, un uomo che tutti conoscono, ma che nessuno conosce veramente. Come Don Draper della serie tv Mad Men. O ancora come il colonnello Kurtz di Apocalypse Now. Un uomo sul cui conto girano le leggende più disparate, alcune delle quali messe in giro da lui stesso, proprio come l’Ed Bloom di Big Fish, che Ewan McGregor ha intepretato subito dopo Moulin Rouge!, sarà un caso?
Il grande Gatsby assomiglia allora a un thriller, con il narratore Nick Carraway (un Tobey Maguire perfetto) che cerca di risolvere il mistero, prova a farsi largo in quella nebbia che è la vita di Gatsby. Una nebbia dietro alla quale si cela una luce, verde come la speranza.
La speranza è rappresentata da Daisy, una Carey Mulligan di una bellezza abbagliante, che illumina lo schermo e illumina anche un personaggio non particolarmente simpatico, ma che nel romanzo pare fosse ancora più disprezzabile. Peccato solo che Daisy sia sposata con quel gran pezzo di stronzone di Tom Buchanan, un Joel Edgerton bravo davvero a fare il gran pezzo di stronzone, sarà anche questo un caso?

"Chissà se in questo film riuscirai a sopravvivere fino alla fine, eh Leo?"
Una storia d’amore, dunque? Oppure un thriller alla scoperta dei misteri di Gatsby?
Il primo mistero è: da dove arrivano i suoi soldi? Dalla compravendita immobiliare? Dalla mafia? Da Craxi?
Il secondo e più grande è: chi è, chi è davvero Gatsby?
Il film è allora più di ogni altra cosa un’indagine ad personam alla Quarto potere, cui il regista sembra guardare come modello d’ispirazione e che ripropone in una riuscita chiave post-moderna. La sua chiave, il suo cavallo di battaglia, ché come fa il post-moderno Luhrmann nessuno mai.
Al Baz nostro non sembra interessare parlare solo degli anni ’20, lui preferisce raccontare l’America degli ultimi 100 anni tutta. Il decennio in cui è stato scritto il romanzo rivive nelle scenografie sfavillanti, nei costumi firmati da Prada, nei completi di Brooks Brothers e altri marchi molto fashion, nella Rapsodia in blu di George Gershwin, nei suoni jazzati campionati (o, se siete tra i detrattori, stuprati) da vari artisti di oggi, su tutti Jay-Z che ha curato in prima persona la colonna sonora. Elementi retrò remixati però con uno stile attuale, in maniera analoga a quanto fatto in Moulin Rouge! o più di recente anche dal Quentin Tarantino di Django Unchained; western-rap in quel caso, swing-hop in questo. Una scelta azzeccata (sebbene un will.i.am ce lo poteva anche tranquillamente risparmiare e al suo posto avrebbe potuto svettare un Justin Timberlake), con vertici nell’esaltante “Who Gon Stop Me Now” di Jay-Z e Kanye West nella splendida scena della prima seconda sbronza di Tobey Maguire, nel languido leitmotiv “Young and Beautiful” di Lana Del Rey e nella dolce “Together” dei The xx. Una scelta in grado di rendere più appetibile la vicenda al pubblico di oggi. Non una ruffianata, forse giusto un pochetto, ma il marchio tipico dello stile di Baz Luhrmann. A questo giro, il regista non stupisce più come ai tempi di Romeo + Giulietta e Moulin Rouge!, ovvio, però lo propone adesso con una naturalezza impressionante e imprimendo al racconto un ritmo e una tensione drammatica come pochi altri registi al mondo sanno fare.
“Non si può ripetere il passato,” Nick avverte Gatsby nel film, ma Luhrmann, così come Gatsby, non sembra dello stesso avviso. Ripetere il passato si può. Eccome se si può. Basta ripeterlo nella propria personale maniera. Il tempo per Baz Luhrmann è qualcosa che scorre in una maniera diversa da come scorre per tutti gli altri essere umani. Passato e futuro si mescolano in un eterno presente. I suoi film non sono retrò, non sono classici, non sono moderni e forse non sono nemmeno post-moderni. Semplicemente esistono ed è come se fossero sempre esistiti.

"Giulietta, sono contento che sei ancora viva e sei diventata un'agente della CIA.
Adesso però attacco, che sto aspettando una telefonata da quella stronza di Daisy!"
Il grande Gatsby di Baz Luhrmann non è quello di Fitzgerald. È il suo Gatsby. Il grande Gatsby di Luhrmann è una storia lacerante nascosta sotto una patina glamour, è Quarto potere e Gossip Girl, è Boardwalk Empire e Revenge, è George Gershwin e Lana Del Rey, è Romeo + Juliet e Jay-Z + Beyoncé, è gli anni ’20 e il presente, è tradizione e modernità, è il battesimo dell’idealismo romantico e il suo inevitabile funerale, è guardarsi dentro e vedere il mondo fuori, è grande letteratura che si fa grande cinema.
Alle critiche nei confronti del film, la risposta migliore la dà Nick Carraway/Tobey Maguire: “Loro sono tutti marci, tu da solo vali più di tutti loro messi insieme.”
Perché, checché se ne dica in giro, Il grande Gatsby è un grande film, vecchi miei.
(voto 9/10)



Dove correte?
Aspettate a lasciare la sala. Per voi ammiratori del grande Gatsby, ma anche per quei birboni dei suoi detrattori, ecco a voi…

IL GRANDE TEST
Dimmi cosa mangi e ti dirò quale personaggio de Il grande Gatsby sei


1 - La tua arma di seduzione:
A) Lo sguardo da nerd imbambolato
B) Lo sguardo da cucciolo bastonato
C) I muscolazzi
D) Un finto sorriso di circostanza

2 - Suona il telefono…
A) Non rispondo, tanto saranno quelli di Infostrada
B) Uff, sarà qualche mio fans
C) Meglio rispondere in privato, non si sa mai…
D) Corro al telefono, magari è il mio amato/la mia amata

3 - La canzone che potrebbe fare da colonna sonora alla tua vita:
A) Caparezza “Fuori dal tunnel”
B) Lana Del Rey “Young and Beautiful”
C) ABBA “Money Money Money”
D) Blondie “Call Me”

4 - Il tuo film preferito:
A) La finestra sul cortile
B) La rivincita delle bionde
C) Wall Street
D) Romeo + Giulietta

5 - Questa sera c’è un party…
A) Ci vado, ma solo dietro invito ufficiale
B) Che noia, so già che sarò di certo la persona più bella presente
C) Evvai che mi sbronzo!
D) Arrivo fashionably late e poi me ne vado via subito dopo

6 - Quale tra questi personaggi stimi di più?
A) Gatsby
B) Paris Hilton
C) Il Trota
D) Lapo Elkann

7 - Quali sono stati i tuoi studi?
A) Scienze della Comunicazione, ma poi mi sono dedicato all’economia
B) Scuola di moda
C) Cepu, ma non è bastato e allora il papi m’ha comprato la laurea
D) Sono andato ad Oxford. Ehm, più o meno…

8 - Ti piace raccontare bugie?
A) No, mi interessa cercare la verità
B) Se solo inventarsele non fosse così faticoso
C) Sono il re delle balle
D) Tutta la mia vita è una menzogna

9 - L’obiettivo più importante della tua vita è…
A) Scrivere il grande romanzo americano
B) Essere per sempre giovane e bello/a
C) Ciulare e fare soldi!
D) Passarla insieme alla persona che amo

E ora... leggi il tuo profilo
MAGGIORANZA DI A
Nick Carraway (Tobey Maguire)
Sei un narratore e anche quando vivi delle esperienze in prima persona ti sembra di viverle dall’esterno. E sì, di certo sei anche un po’ nerd.

"Volevi essere come DiCaprio... e invece sei come me, UAH AH AH!"

MAGGIORANZA DI B
Daisy Buchanan (Carey Mulligan)
Sei superficiale, attaccata ai soldi e al lusso, sei pure un po’ stronzetta, però che te frega? Tanto sei figa.

"Ma come, nemmeno io sono venuta con la maggioranza di B?"

MAGGIORANZA DI C
Tom Buchanan (Joel Edgerton)
Sei prepotente, un filo nazistello, egoista e ti interessa solo e soltanto di te stesso. Quindi di questo test non te ne potrà fregar di meno.

"E io ho sprecato il mio tempo a fare questo stupido test, anziché giocare a polo o trombare?"

MAGGIORANZA DI D
Jay Gatsby (Leonardo DiCaprio)
Sei come Gatsby, quindi sei… boh. Sei davvero un gran mistero.

"Non pensavo si potesse sudare tanto per fare un semplice test..."



martedì 12 febbraio 2013

ZERO DARK THIRTY, PER BECCARE BIN LADEN CI VOLEVA UNA BELLA F…

Zero Dark Thirty
(USA 2012)
Regia: Kathryn Bigelow
Sceneggiatura: Mark Boal
Cast: Jessica Chastain, Jason Clarke, Kyle Chandler, Reba Kateb, Jennifer Ehle, Joel Edgerton, Nash Edgerton, Chris Pratt, Harold Perrineau, Taylor Kinney, Jeremy Strong, Mark Strong, Lauren Shaw, Scott Adkins, Mark Duplass, James Gandolfini, Édgar Ramírez, Stephen Dillane, Frank Grillo, Mark Valley
Genere: antiterrorismo
Se ti piace guarda: Homeland, 24, The Hurt Locker

Vi siete mai chiesti come abbiano fatto a scovare e uccidere Osama sim sala bin Laden? Non la versione ufficiale. Come hanno fatto davvero a scovarlo.
E vi siete chiesti perché Fabrizio Corona si è costituito alla polizia?
Per entrambe le spinose questioni, la risposta è semplice. Hanno messo alle loro calcagna Jessica Chastain. Quando Bin Laden l’ha scoperto si è subito arreso e pare abbia dichiarato con un’inaspettata parlata alla Christian De Sica: “Ah bella Jessica, e famme tuo!”. Lei però spietata l’ha fatto uccidere. A Corona è andata un po’ meglio, visto che su di lui pendava solo un mandato di cattura alive, and not dead. Per Corona sono scattate le manette, ma non al letto come si aspettava lui.
Volete scovare un latitante in fuga? Semplice: basta chiamare Jessica Chastain. Al ché la CIA e l’FBI si sono domandati: “Ma perché cazzo non c’abbiamo pensato prima? Altroché J. Edgar, altroché Intelligence, altroché Jack Bauer. Ma va da via il cù, e vada via il CTU. Bastava chiamare una bella fregna, e tutti i criminali li stanavamo in due secondi!”.

UPDATE
Pare che Jessica Chastain possa essere anche la vera motivazione dietro alla decisione del Papa di dimettersi. Dopo aver visto la fanciulla ignuda in Lawless, sembra che il pontefice uscente si sia dedicato a lunghe riflessioni. Chiuso in bagno.

Abbiamo sparato la nostra razione quotidiana di cacchiate?
L’abbiamo sparata. Bene, adesso ricominciamo da Zero.

“Non dimenticatemi!”

"Tutti su Pensieri Cannibali, raga! Cannibal Kid sta per postare
un sex tape di Jessica Chastain!"
Non te, Renato Zero, statte bono. Ricominciamo da Zero Dark Thirty.
Zero Dark Thirty è la versione reale (dire reality non mi piace) di serie come Homeland e 24. Laddove in quelle usano nomi di terroristi fittizi tipo Abu Nazir, qui ci troviamo di fronte al lungo e tortuoso percorso che ha portato all’individuazione e alla cattura all’assassinio di Osama bin Laden. La storia ha inizio l’11 settembre 2001 e ha fine il 2 maggio 2011. Una caccia all’uomo, una guerra al terrore andata avanti ben dieci anni e portata avanti da una donna, Maya (Jessica Chastain). Tutto vero quello che vediamo nel film? Forse sì, o forse no. Kathryn Bigelow e lo sceneggiatore Mark Boal sono partiti sì da una ricostruzione accurata di fatti realmente accaduti, ma la regista ci ha tenuto a dichiarare che il suo è pur sempre un film, non un documentario.

Tutta la pellicola è costruita su questa Maya interpretata da una Jessica Chastain per cui non ci sono nemmeno parole nel dizionario adatte a descriverla a dovere. Fino a un paio di anni fa era un’emerita sconosciuta, oggi ha vinto un Golden Globe, è candidata agli Oscar per la seconda volta, nelle ultime settimane ha avuto due film al vertice del box-office americano (l’horror La madre e questo). Ma da dove è sbucata fuori, ve lo siete mai chiesto?
Dio, te la tenevi nascosta tutta per te?

"Mmm... non mi convince questo Pensieri Cannibali.
Penso che venderò il mio video a un altro sito."
In Maya/Jessica Chastain possiamo vedere la regista Kathryn Bigelow e il suo riuscire a farsi strada in un ambiente al maschile come quello di Hollywood.
Ma Maya/Jessica Chastain è anche e soprattutto l’America. L’America ossessionata dalla guerra al terrore, alla ricerca di un fantasma che sembra sparito nel nulla. In questo film, nel suo personaggio, ci sono tutti gli Stati Uniti degli ultimi dieci anni. Un’ossessione che diventa unico scopo nella vita e annulla il resto. Maya non ha nessun vero contatto umano. Zero Dark Life.
Zero Dark Thirty è una pellicola coraggiosa anche perché non gioca in alcun modo sui sentimenti. Non cade nella trappola della storia d’amore, o magari nel dramma famigliare. Di Maya non sappiamo molto, a parte questa sua continua ricerca. Questo è anche l’unico limite del film, che qualcuno potrà vedere come freddo a livello emotivo. In realtà è un diluvio di emozioni trattenute, una visione giocata su una tensione costante e crescente, nonostante sappiamo già come andrà a finire. Sappiamo come andrà a finire la storia di bin Laden, ma questa non è la storia di bin Laden, presenza nel senso di spettro che si aggira per tutto il film. Questa è la storia dell’ossessione di Maya. Questa è la storia dell’ossessione degli Stati Uniti.

L'auto di Cannibal Kid mentre viene fatta saltare per aria
perché non ha postato il sex tape di Jessica Chastain.
Raccontare una vicenda così lunga e diluita nel tempo, un decennio, è una delle imprese narrative più complesse per una pellicola. Kathryn Bigelow risolve il problema alla grande, frazionando la storia in diversi capitoli che però formano un tutt’uno perfettamente omogeneo e ben amalgamato, con lo sguardo di Jessica Chastain a fare da splendido collante al tutto.
L’attacco è folgorante. C’è subito la scenona di tortura che tante polemiche ha provocato negli USA. La Bigelow non si tira indietro e ce la mostra in maniera cruda, anche se non sta a indugiare troppo nella violenza come farebbe un Tarantino.
A proposito: Quentin, una richiesta: ma se la tua “trilogia storica” la chiudessi nel presente, con un capitolo dedicato alla guerra al terrorismo? Di certo il tuo punto di vista sarebbe molto interessante…
In queste sequenze di notevole impatto, tra le varie torture inflitte al terrorista catturato, per farlo stare male, gli americani gli sparano della musica metal a tutto volume. Errore: se gli facevano sentire Laura Pausini, tempo due minuti e quello vi diceva tutto quello che volevate sapere. Non c’avevate pensato, vero?

Se le polemiche si sono concentrate sull’inizio, nel resto di Zero Dark Thirty c’è spazio come detto per la complicata caccia all’uomo, una caccia al tesoro che sembra destinata al fallimento e poi, proprio quando nessuno ci crede più, proprio quando le attenzioni degli Stati Uniti si stanno spostando in altre direzioni, Maya continua a crederci e riesce a realizzare il suo American Dream, ormai tramutatosi in un American Nightmare. La tensione sottile che attraversa tutta la pellicola raggiunge il suo culmine naturale nella parte finale, quella della tanto attesa missione per stanare Osama. Una ricostruzione di grande impatto, con cui la Bigelow scende sul terreno da guerra con maestria, come già dimostrato con il precedente notevole The Hurt Locker.

La Bigelow continua quindi il suo percorso personale di narratrice della Storia recente, la Storia così come va raccontata, evitando ogni tipo di retorica (qualcuno ha menzionato Spielberg?), evitando ogni celebrazione dello spirito o del Governo americano (qualcuno ha rimenzionato Spielberg?), alla faccia di chi voleva questo film come uno spottone pro-Obama, cosa che non è, ed evitando anche ogni spettacolarizzazione. A parte le esplosioni. Se Michelango Antonioni era il re, Kathryn Bigelow è la regina delle esplosioni cinematografiche.





"Se ho paura di andare a stanare bin Laden?
Io sto insieme a Lady Gaga, gente. Ormai non temo più niente!"
Pure qui le esplosioni non mancano, ma non ci sono concessioni al cinema d’intrattenimento. Questo è semmai un tipo di cinema anti hollywoodiano, senza sentimentalismi o moralismi. Senza nemmeno cadere nelle atmosfere da thrillerone fracassone. La Bigelow tiene tutto sotto controllo, sotto traccia, eppure fa crescere la tensione in maniera magistrale, anche grazie alle poco invasive ma incisive musiche composte dal solito impareggiabile Alexandre Desplat (The Tree of Life, Moonrise Kingdom, Un sapore di ruggine e ossa, Argo e Reality tra i suoi altri score recenti). Una visione tanto tesa e interessante che le 2 ore e 40 minuti per me sono volate come fossero 2 minuti e 40 secondi, mentre la stessa durata del musical Les Misérables l’ho vissuta come fossero 2 anni e 40 giorni. Questo per me, appassionato di 24, Homeland e della tematica terrorista in generale, mentre sono sicuro che a un appassionato di musical la percezione temporale apparirà del tutto opposta.

ATTENZIONE SPOILER
La freddezza, più apparente che reale, della messa in scena di Zero Dark Thirty è destinata però a esplodere anch’essa, con un finale emozionante come era difficile preventivare, costruito non sulla facile esaltazione per il successo della missione e per la vittoria degli Stati Uniti sul grande cattivone del terrorismo. Un finale che anzi lascia con un interrogativo addosso. Con un “e adesso?”. Un finale in cui ci si libera in un pianto che scoppia liberatorio e del tutto inaspettato. Ma mai sottovalutare la Bigelow. Ve l’ho detto, è la regina delle esplosioni.
(voto 9/10)

Piccola curiosità sul titolo del film. Come ha spiegato Kathryn Bigelow, zero dark thirty è un termine militare usato per riferirsi a 30 minuti dopo la mezzanotte e in generale alle ore notturne, quando si può attaccare senza farsi vedere, ovvero proprio quando ha avuto luogo la missione finale per stanare Osama Bin Laden.


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