Sono peggio di Ebenezer Scrooge e Jack Skeletron messi insieme. Io il Natale non ce la faccio ad amarlo. Lo spirito natalizio proprio non riesce a impossessarsi di me. Anche quest'anno ho provato una grande soddisfazione quando ho finito di comprare tutti i regali, visto che farli mi piace più che riceverli, dico sul serio non per posa, eppure ciò non è bastato per farmi sentire natalizio abbastanza.
Ho provato allora ad ascoltare qualche canzone a tema, ma niente. Semmai la situazione è peggiorata. Io le canzoni di Natale non le reggo, quasi quanto quelle de Il Volo. Adesso mi è pure venuto in mente il pensiero che un giorno i tre ragazzini de Il Volo potrebbero realizzare un intero album natalizio e sto ancora peggio.
Come?
L'hanno già fatto?!?
Oh mio Dio!
Ho tentato allora con il cinema. Devo ammettere che ci sono alcune pellicole ambientate nel periodo delle festività che mi piacciono parecchio, come Gremlins e Mamma ho perso l'aereo.
Cast: Amy Adams, Christoph Waltz, Danny Huston, Krysten Ritter, Jason Schwartzman, Terence Stamp, Jon Polito, Guido Forlani, Elisabetta Fantone, James Saito, Dalaney Raye, Madeleine Arthur
Genere: falso d'autore
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Mi sono sempre piaciute le tette grosse. Questo magari lo potevate già immaginare. Una cosa che credo invece di non aver mai detto è che mi piacciono parecchio anche gli occhi grossi. Chiamatela se volete sindrome da Gatto con gli stivali. Difficile ne rimanga indifferente. Questa è una passione che ho in comune con Tim Burton. Quella per gli occhi grossi, intendo, quella per le tette grosse non lo so. Prendete le sue pellicole d'animazione. In Nightmare Before Christmas, La sposa cadavere così come Frankenweenie incontriamo un sacco di personaggi con gli occhioni. Non stupisce allora che il regista abbia una fissa per la pittrice Margaret Keane, celebre per i suoi ritratti di bambini e soprattutto di bambine con gli occhi enormi.
"Cannibal, se parli male di questo film mi metto a piangere."
Cast: Emma Thompson, Tom Hanks, Annie Rose Buckley, Colin Farrell, B.J. Novak, Jason Schwartzman, Paul Giamatti, Bradley Whitford, Kathy Baker, Rachel Griffiths, Luke Baines
Genere: genesi di un film
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È possibile fare un bel film sulla realizzazione di un brutto film? Cerchiamo di scoprirlo.
Come ho testimoniato ieri, la visione di Mary Poppins mi ha provocato nausea e incazzature varie, con tutte le sue canzoncine cinguettose e i suoi eccessi di disneysmo sfrenato. Quindi, anche se magari non sarete d’accordo, per me Mary Poppins è un brutto film. Un film pessimo.
A ciò dobbiamo aggiungere un’altra questione mica da poco. Nel cast di questo Saving Mr. Banks c’è Mr. Tom Hanks. Come forse saprete, c’è una sola cosa che mi infastidisce più di Mary Poppins o di Antonella Ruggiero che cantano: la visione di un nuovo film con Tom Hanks. Questa volta, il Fabio Fazio degli attori hollywoodiani ha deciso di superare se stesso e mettermi ulteriormente alla prova in una maniera perfida. In Saving Mr. Banks, il film sulla lavorazione del film di Mary Poppins, Hanks ha deciso di interpretare non un personaggio a caso, bensì Walt Disney. E io con il mondo Disney non è che vada proprio d’accordissimo e in particolare per Walt Disney non è che abbia mai provato un’enorme simpatia. Al creatore dell’insopportabile perfettino Topolino ho sempre preferito Carl Barks, autore del mio personaggio preferito dell’universo disneyano, il mitico, avidissimo, cattivissimo Paperon de’ Paperoni, il vero paparino dei vari Gordon Gekko di Wall Street e Jordan Belfort di The Wolf of Wall Street.
Le premesse erano quindi per me davvero tragiche.
Mary Poppins + Tom Hanks + il personaggio di Walt Disney all’interno di una pellicola prodotta dalla stessa Disney = ero già pronto al suicidio.
Prima di compiere il gesto estremo, ho però deciso di dare una possibilità a questo Saving Mr. Banks, sperando si sarebbe potuto trasformare in un mio Saving Mr. Hanks. Invece no. Non ho salvato Tom Hanks. Io in questo film Tom Hanks l’ho odiato. Come al solito, più del solito. Eppure qui questo odio è giustificato, perché Tom Hanks interpreta Walt Disney e Walt Disney è il cattivo di turno.
Un film della Disney in cui Walt Disney è il villain?
Sì, così almeno è come io personalmente ho visto il film.
Saving Mr. Banks racconta di come la serie di libri per ragazzi di Mary Poppins realizzata dalla scrittrice inglese Pamela Lyndon Travers si è trasformata nel celebre film della Disney Mary Poppins che tutti conosciamo, che alcuni di voi amano e che io invece odio. Il processo per portare la tata più magica e più celebre del mondo su grande schermo è stato tutt’altro che semplice. Walt Disney, l’ostinatissimo Walt Disney, l’uomo che non accetta un no come risposta, aveva provato per 20 anni a convincere la Travers a farsi cedere i diritti per realizzarne un adattamento cinematografico, ma lei gli ha sempre risposta: “Ciucciamela!”
Perché?
Perché non voleva che la sua storia, i suoi personaggi, la sua Mary Poppins venissero disneyzzati. Non voleva che la sua saga fosse trasformata in una pellicola musical a cartoni animati. Come darle torto, a questa donna illuminata, come darle torto?
"Ebbene sì, la Rai ha trovato un nuovo conduttore per Sanremo
ancora più buonista di Fabio Fazio: me!"
Il tempo passa, lei continua a dire no, fino a che, a inizio anni Sessanta, l’esercito Disney alza il tiro del suo corteggiamento sfrenato, invitando la Travers a partecipare alla realizzazione del film nei suoi studi hollywoodiani. La P.L. Travers (ma perché tutti gli scrittoroni autori di saghe fantasy hanno più di un nome?) si trova così in un ambiente zuccheroso, tipicamente disneyano, che la infastidisce. Come darle torto di nuovo?
Walt Disney, il Male fatto persona, di fronte a lei è tutto buono buonino, come i tipici protagonisti delle sue pellicole. In realtà fa di tutto pur di realizzare il film che lui vuole. Non gliene frega niente della Travers o della Mary Poppins originale. A lui interessa solo comprare le persone, comprare le loro storie, modificarle e portare nei cinema la sua ennesima versione edulcorata e malata del mondo. Fino a che non vince lui. Questo film in pratica è, almeno per come l’ho vista io, una discesa negli Inferi.
Un grande pregio di Saving Mr. Banks è quello di mostrarci come la Travers abbia trovato l’ispirazione per la sua Mary Poppins. Attraverso una serie di flashback riviviamo la problematica infanzia della scrittrice cresciuta con un padre alcolizzato, Colin Farrell, attore irlandese noto bevitore scelto non a caso per questo ruolo che gli calza a pennello. Grazie a questa parte veniamo così a conoscere le vere radici della storia, del personaggio creato dall’autrice, ben lontano dalla messa in scena zuccherosa della versione disneyana. Questi flashback sono alternati in maniera sapiente con la parte che vede la Travers adulta, intepretata da una Emma Thompson, attrice che pure lei non m’è mai piaciuta, più che convincente.
"Benvenuto nel tuo Inferno personale, Cannibal!"
La vera rivelazione personale del film comunque è lui, sì proprio lui: Tom Hanks. Ma non avevo detto che l’avevo trovato ancora una volta odioso?
Sì, esatto. In quest’occasione non interpreta però il suo solito personaggio da protagonista buono del film. Qui è il cattivo e così risulta perfetto. Peccato che poi pure Saving Mr. Banks non riesca a salvarsi dal solito finale strappalacrime e rischi così di compromettere quanto di buono mostrato fino a quel momento. Ma non ha troppa importanza. D’altra parte da una pellicola prodotta dalla Disney non ci si poteva aspettare una conclusione differente. Ciò che non mi aspettavo era di apprezzare una performance recitativa di Tom Hanks, né tanto meno apprezzare un film sulla lavorazione di una pellicola da me tanto detestata. Eppure Saving Mr. Banks, nonostante la regia non certo memorabile di John Lee Hancock, riesce a essere una riflessione profonda ed efficace su ciò che sta dietro alla nascita di una pellicola, ancor più del pur intrigante Hitchcock che raccontava della realizzazione di un capolavoro – quello sì – del cinema come Psyco. E dimostra anche come, a volte, dietro a una storia celebre, può nascondersi un’altra storia ben più interessante.
Per rispondere alla domanda posta in apertura di post quindi sì, è possibile fare un bel film persino sulla realizzazione di uno dei film più detestabili di sempre su uno dei personaggi più detestabili di sempre, almeno nella versione disneyana, Mary Poppins.
Cast: Charlie Sheen, Katheryn Winnick, Jason Schwartzman, Bill Murray, Patricia Arquette, Dermot Mulroney, Aubrey Plaza, Mary Elizabeth Winstead, Angela Lindvall, Stephen Dorff
Genere: mentale
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Chiaro, chiaro. Ed è proprio ciò che c’è anche nella testa di Charles Swan III, il protagonista del film intitolato appunto A Glimpse Inside the Mind of Charles Swan III, uno sguardo dentro la mente di Charles Swan III, che è facile immaginare come un alter-ego di Charlie Sheen. Con una semplice proporzione, potremmo dire che
Charlie Sheen : Charles Swan III = Mickey Rourke : Randy The Ram in The Wrestler
"Charlie, devi smetterla di andare con le pornodive!"
"Dici sul serio, Bill?"
"No, però almeno potresti presentarmene qualcuna..."
Ci sono ruoli che sembrano cuciti addosso all’attore che li interpreta e Charles “Charlie” Swan III è, fin dal nome, la parte perfetta per Charlie Sheen, quella di un donnaiolo impenitente che vive in un’eterna crisi di mezza età e con gli occhiali da sole sempre sul viso. E con sempre, intendo SEMPRE. Le uniche volte nel film in cui lo si vede senza sono quando fa la doccia e, per un momento, quando si commuove. Per il resto, persino quando se ne sta in un letto d’ospedale, li indossa SEMPRE.
Non c’è nessuno più adatto per una parte come questa di Charlie Sheen, negli ultimi tempi dedicatosi più che al grande schermo alle serie tv (Due uomini e mezzo e ora Anger Management) e soprattutto alla sua passione principale: le donne, meglio se escort e/o pornodive a pagamento.
A parte qualche apparizione qua e là, si tratta per lui del primo film da protagonista da una decina d’anni a questa parte, dai tempi di Scary Movie 3. Il regista e sceneggiatore Roman Coppola sembra aver pensato apposta a lui, mentre scriveva il personaggio di Charles Swan III, e per questo ha fatto anche un buon lavoro. A mancare è in pratica tutto il resto. A mancare è un vero e proprio film a fare da contorno al protagonista.
L’idea di fondo, a grandi linee, è quella di trascinarci dentro alla fantasiosa mente di Charles Swan. Tra flashback di fatti che gli sono realmente capitati e cose che appartengono solo alla sua fantasia (malata), ripercorriamo alcune parti della sua vita e in particolare la sua ultima storia d’amore finita male, quella con la bionda Katheryn Winnick, attrice rivelazione della serie tv Vikings qui stupenda più che mai. La cosa più particolare della pellicola è quella di mescolare appunto realtà e immaginazione, in una maniera che può ricordare alcune sceneggiature di Charlie Kaufman e in particolare quella di Se mi lasci di cancello (Eternal Sunshine of the Spotless Mind), anche nel suo cercare di fare l’autopsia di una storia d’amore. I risultati non sono gli stessi. Purtroppo no. La prima parte promette anche bene, ci sono un paio di invenzioni curiose e simpatiche di regia e sceneggiatura, Charlie Sheen gigioneggia ancor più del solito, Katheryn Winnick abbaglia con la sua bellezza e ci sono alcune comparsate di lusso di Bill Murray, Patricia Arquette, Aubrey Plaza e Mary Elizabeth Winstead.
Cosa c’è allora che non va?
Il film non decolla mai e nella seconda parte si spegne clamorosamente. Il mix realtà/fantasia si perde per strada, i momenti che vorrebbero essere divertenti non lo sono per nulla e i momenti riflessivi non è che dicano molto. Resta quindi un tentativo che suscita simpatia, ma che non si può certo considerare riuscito. Nonostante la delusione per questa opera seconda, dopo CQ passato piuttosto inosservato, Roman Coppola resta in ogni caso un nome da tenere d’occhio. Il figlio di Francis Ford, fratellino di Sofia, zio della novella regista Gia, nonché cugino di Jason Schwartzman (qui presente nel cast) e pure di Nicolas Cage, gira con un buon occhio, molto 70s, molto Wes Anderson, il suo amichetto con cui ha firmato le sceneggiature de Il treno per il Darjeeling e Moonrise Kingdom. Il suo cinema per ora risente troppo proprio del peso del confronto con Wes. Una volta che avrà trovato una strada tutta sua, però, Roman Coppola potrebbe regalarci qualcosa di davvero notevole. Per ora ci ha dato solo un film con dentro tante idee, ma nessuna messa a fuoco a dovere. Un film che non è un pasticcio totale, è solo un pasticcino.
Spulciando nella filmografia di Wes Anderson, mi sono reso conto che mi mancavano ancora 2 film: l’esordio assoluto Un colpo da dilettanti e Il treno per il Darjeeling. Il primo vedrò di vederlo vedere prossimamente, il secondo me lo sono recuperato ora, anche perché ho sentito pareri che lo mettevano addirittura al primo posto nella classifica dei film wesandersoniani. I soliti esagerati!
Ma il primo vagone di questo post-treno, tutto di prima classe, è dedicato al cortometraggio che anticipa la pellicola…
Salite a bordo e buon viaggio.
VAGONE 1
Hotel Chevalier
(cortometraggio, USA, Francia 2007)
Regia: Wes Anderson
Sceneggiatura: Wes Anderson
Cast: Jason Schwartzman, Natalie Portman
Si potrebbe scrivere una tesi di laurea o un trattato filosofico su questo cortometraggio. Per evitare di tediarvi, fate prima a vedervelo che dura appena 13 minuti, titoli di coda compresi. Non dovete nemmeno sbattervi troppo che ve lo sbatto qua sotto. In versione sottotitolata in italiano, cosa pretendete di più? Fare sesso con Natalie Portman?
Eh, ciao belli, per adesso potete accontentarvi di vederla ignuda nel suddetto cortometraggio. Ma no, non mostra la patatina, brutti pervertiti.
Riguardo al corto, evito tesi e trattati dicendo che è una breve introduzione all’apatico personaggio interpretato da Jason Schwartzman ne Il treno per il Darjeeling ed è una piccola scheggia di raffinato wesandersonismo, con tanto di dialoghi ironici, musica che puzza di 60s, atmosfere parigine e… Natalie Portman ignuda, l’ho già detto?
(voto 6,5/10)
VAGONE 2
Il treno per il Darjeeling
(USA 2007)
Titolo originale: The Darjeeling Limited
Regia: Wes Anderson
Sceneggiatura: Wes Anderson, Roman Coppola, Jason Schwartzman
Cast: Owen Wilson, Jason Schwartzman, Adrien Brody, Wallace Wolodarsky, Amara Karan, Waris Ahluwalia, Bill Murray, Anjelica Huston, Barbet Schroeder, Irrfan Khan, Camilla Rutherford, Natalie Portman
Genere:on the road on the rotaia
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"Ti prego Cannibal, promuovi il nostro film!"
Biglietti!
Biglietti, prego!
Siete saliti sulla carrozza di questo post a vagoni solo per vedere Natalie Portman come mammeta l’ha fatta?
Bravi, però adesso potete rimanere seduti che Il treno per il Darjeeling è un viaggio piacevole assai. Questo è il pregio forse maggiore del cinema di Wes Anderson, almeno quando è riuscito, cioè sempre tranne nel caso del soporifero Le avventure acquatiche di Steve Zissou. Wes Anderson possiede il dono raro di riuscire a essere leggero senza apparire stupido, e di dire cose profonde in maniera delicata.
L’altro grande pregio di Wes Anderson, che qualcuno può trovare un difetto ma cavoli suoi, è che è un hipster totale. Possiamo dire che è il regista hipster per eccellenza. Sull’arte di essere un hipster avevo già dedicato un post a parte, ma senza stare a rivangare cose già vangate, possiamo dire brevemente che all’interno del suo cinema sono ravvisabili le tendenze principali dell’hipster modello: innanzitutto è indie. Non sei indie? Allora non sei hipster e se non sei hipster non sei indie e se ti credi di essere hipster non sei hipster ma forse sei comunque indie.
Inoltre, da bravo hipster, Wes Anderson e i suoi personaggi sfoggiano un gusto raffinato e allo stesso tempo stralunato. Perché se sei normale non sei hipster.
Infine, per essere un hipster degno di questo nome, è necessaria anche una passione per le cose vintage e retrò. E chi meglio di Wes Anderson, fissato com’è con gli anni Sessanta? Nonostante il suo unico film effettivamente ambientato in quel decennio sia l’ultimo stupendo Moonrise Kingdom,(I Tenenbaum invece viaggia fino ai 70s), anche gli altri sono immersi in un’atmosfera molto 60s per stile, abiti e musiche. Qui infatti non mancano brani 60s indiani, una spruzzata di Kinks, “Les Champs Élysées” di Joe Dassin che un tocco francese fa ancora più chic, e il momento emotivamente più emotivo sulle note di “Play With Fire” dei Rolling Stones.
"Anche voi state cominciando a rimpiangere Trenitalia?"
Il treno per il Darjeeling è quindi un’altra corsa sul treno del cinema di Wes Anderson, con le sue canzoni, il suo stile, i suoi attori feticcio e che riprende qui la tematica famigliare come ne I Tenenbaum e Fantastic Mr. Fox. Owen Wilson, tutto fatto su perché ha avuto un incidente, ha deciso di organizzare un viaggio in India insieme ai due fratelli con cui non aveva più parlato dopo il funerale del padre. Un viaggio per riallacciare i rapporti con loro ma anche un viaggio, almeno nelle intenzioni, spirituale. Ovviamente, i tre fratelli sono uno più strambo e particolare dell’altro: il playboy sui generis interpretato da Jason Schwartzman, già idolo incontrastato di Rushmore così come della serie Bored to Death, Adrien Brody in crisi esistenziale perché sta per diventare papà e poi l’incidentato già citato Owen Wilson.
Nel cast non mancano le apparizioni di altri volti tipici del cinema wesandersoniano come Bill Murray e Anjelica Huston, mentre a livello registico Wes gioca con le zoommate alla Sergio Leone e i ralenty, che regalano alla pellicola una precisa cifra stilistica. La sceneggiatura è molto semplice, ma all’interno di questo particolare on the road movie che procede dritto per dritto (o quasi) sulle rotaie, Anderson riesce a infilare anche valori famigliari e spirituali con il suo tipico tono delicato e ironico.
A funzionare sono però soprattutto i tre strepitosi protagonisti, tanto che si vorrebbe viaggiare ancora con loro, da qualche altra parte. Si vorrebbe sapere qualcosa in più su questi personaggi e il cortometraggio iniziale, così come il flashback ambientato il giorno del funerale del padre, non bastano. No.
Propongo allora a Wes Anderson di realizzare un cinepanettone hipster ogni anno: dopo Vacanze in Darjeeling, voglio vedere questi tre anche a Cortina, Miami e sul Nilo!
(voto 7,5/10)
P.S. No, non ho fatto battute su un film indie ambientato in India, e allora?
VAGONE 3 Prada Candy
(spot, 2013) Regia: Wes Anderson e Roman Coppola Cast: Léa Seydoux, Peter Gadiot, Rodolphe Pauly
Abbiamo aperto con un corto ambientato a Parigi e chiudiamo con un corto ambientato a Parigi. Come non detto: con 3 corti, sponsored by nientepopodimeno che Prada, mica pizza e fichi.
Si tratta di 3 pubblicità dirette da Wes Anderson insieme al fido Roman Coppola (da solo non ce la poteva fare) del nuovo profumo Prada Candy L'Eau con protagonista la seducente Léa Seydoux.
No, non sono stato pagato da Prada per questa marketta, ma se volessero farlo a me andrebbe très bien.
Cast: Adam Sandler, Seth Rogen, Leslie Mann, Eric Bana, Jonah Hill, Jason Schwartzman, Aubrey Plaza, Aziz Anzari, RZA, Eminem, Sarah Silverman, Andy Dick
Genere: dolceamaro
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Un celebre comico americano interpretato da un Adam Sandler quasi autobiografico apprende la brutta notizia che ha una forma di leucemia e rischia quindi di morire. Per l’occasione cerca allora di rivedere la sua vita fatta di eccessi insieme a un nuovo comico emergente (Seth Rogen), che diventa il suo assistente personale nonché il suo migliore (e unico) amico. E se da un film di Judd Apatow con Adam Sandler vi aspettate che si rida come matti, vi siete sbagliati perché i due si sono rotti di fare i buffoni a comando per il vostro personale piacere e hanno fatto un film drammatico e serio.
O quasi.
Recensione cannibale
Dopo il successo travolgente di Molto incinta, che l’ha consacrato re della commedia made in USA, Judd Apatow è stato preso da manie di grandezza? È quello che verrebbe da pensare a trovarsi di fronte a un filmone da 2ore e 20minuti che affronta una tematica drammatica come quella di un uomo in fin di vita e per cui si è avvalso di collaboratori di serie A come l’autore dello score di Donnie Darko Michael Andrews per le musiche e l’abituale collaboratore di Steven Spielberg Janusz Kaminski per la curatissima fotografia. Il grande pubblico come spesso succede non sa premiare le grandi ambizioni e infatti il film si è rivelato un mezzo flop, soprattutto se paragonato ai trionfi dei suoi precedenti 40 anni vergine e appunto Molto incinta. Eppure questa pellicola è di certo la sua opera più personale, un ulteriore passo in avanti nella sua sempre più interessante filmografia e se non parlo di capolavoro è solo perché dopo una prima parte davvero ottima, la storia cede lentamente il passo nella parte finale a vicende da classica commedia famigliare. La sensazione è infatti quella che Funny People poteva essere qualcosa di enorme, il film definitivo di Apatow. Così non è, non totalmente almeno, però se non altro ci lascia con la speranza che il regista sappia fare in futuro ancora meglio.
Qui intanto c’è una pellicola più che buona e dal gusto dolceamaro (non ho detto Negramaro!), quasi un dramma rivestito da commedia divertente. Un film in cui si sorride ma è non di quelli da far pisciare sotto dalle risate, sebbene ho avuto l’impressione che alcune parti (come quelle dei monologhi dei comici) avrebbero reso molto ma molto di più in lingua originale.
D’altra parte anche se è un film del regista king of comedy insieme ad Adam Sandler e alla crème della crème della scena comica americana, è pur sempre la storia di un uomo vicino alla morte. Una versione-Apatow del film drammatico-esistenziale, insomma, tanto quanto Molto incinta era una versione-Apatow della commedia sentimentale. La cosa che più adoro di questo uomo-sceneggiatore-produttore-regista-Apatow è proprio quella di saper spiazzare, prendere un genere, remixarlo e farlo proprio. Il peccato di questo film è quindi di svoltare un po’ troppo nell’ultima parte proprio in binari più consueti e aspettati della tipica commedia famigliare americana. Anche se per fortuna il regista non si smentisce e mantiene pur sempre un tocco amarognolo, anche in un finale happy ma non troppo.
In Funny People Apatow, Sandler e tutto il resto del gruppo di comici si guarda allo specchio e ci concede di entrare nel loro mondo, mostrandoci cosa si nasconde dietro a serate di cabaret apparentemente spassose e ai monologhi dei comici: ovvero si celano dei battutisti e dei ghost-writer come il personaggio interpretato da Seth Rogen e anche tanta tristrezza dietro a delle persone pagate per far ridere. Sempre. Loro a questo giro non ci sono stati e hanno voluto fare qualcosa di diverso, con Adam Sandler che non è al suo primo ruolo drammatico (vedi l’ottimo Ubriaco d’amore di Paul Thomas Anderson e il mediocre Reign Over Me) ma probabilmente nel più riuscito della sua intera carriera, anche perché non è poi molto difficile scorgere lui stesso dietro al suo personaggio e ai film idioti che interpreta (e che lui stesso ha interpretato in carriera).
Nel resto del cast svetta un Seth Rogen sempre a suo agio quando si trova a fare lo sfigato impacciato, meno quando fa il supereroe come in The Green Hornet, e la solita compagnia di Apatow (la sua gnocca-moglie Leslie Mann, il suo ciccio-bombo Jonah Hill) a cui si vanno ad aggiungere l’uomo il mito Jason Schwartzman, la indie queen Audrey Plaza (vista anche in Scott Pilgrim Vs. the World e nella sitcom Parks and Recreation), lo spassoso Aziz Anzari di Mtv Human Giant, un inedito Eric Bana in versione comica che non ho capito se mi fa ridere o meno e la risposta è più un no che un sì, più una serie di personaggi nei panni di loro stessi come un incazzoso Eminem.
Questo è quanto succede quando la Funny People si rompe le scatole di far ridere e vuole far riflettere. E ci riesce anche alla grande.
Cast: Michael Cera, Mary Elizabeth Winstead, Ellen Wong, Kieran Kulkin, Jason Schwartzman, Anna Kendrick, Alison Pill, Johnny Simmons, Chris Evans, Brie Larson, Brandon Routh, Aubrey Plaza, Mark Webber, Mae Whitman, Erik Knudsen, Bill Hader
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Frase cult del film: “I’m in lesbian with you”
Già prima della sua uscita, “Scott Pilgrim vs. The World” si candidava prepotentemente come film indie-nerd dell’anno. Dopo averlo visto posso dire che è di più: è il film indie-nerd per eccellenza di tutti i tempi. Una vera goduria per gli occhi e per le orecchie.
“Scott Pilgrim” è una serie a fumetti creata da Bryan Lee O’Malley poco conosciuta in Italia ma un cult assoluto dall’altra parte dell’Oceano, però Scott Pilgrim non è certo uno di quei supereroi Marvel/DC alla Clark Kent o Bruce Wayne. O meglio, in qualche strambo modo un supereroe lo è (ma più alla Peter Parker) visto che per amore si ritrova a combattere e lo fa anche senza esclusione di colpi. Però fondamentalmente lui è ben altro: cazzeggia in giro (per non dire che è disoccupato) è un bassista nella fichissima rock band dei Sex Bob-omb ed è una sorta di versione nerd di un playboy che indossa le t-shirt degli Smashing Pumpkins.
Dopo aver rotto con la sua ex storica, la biondazza bonazza rockstar Envy Adams, Scott si ritrova invischiato in un triangolo amoroso tra una ragazzina liceale groupie della sua band e una nuova misteriosa ragazza ganza dai capelli viola arrivata in città: Ramona Flowers è il suo nome. Per mettersi insieme a lei dovrà però prima affrontare 7 suoi folli, diabolici, maligni ex ragazzi (e ragazze): lo spunto geniale del fumetto e del film è infatti quello di trasformare le relazioni sentimentali in una sorta di videogame a livelli.
A tradurre un fumetto del genere, il rischio era però quello di finire per fare il solito cine-videogame fracassone idiota e visivamente inguardabile. Per fortuna il regista Edgar Wright (il fenomeno già dietro al super cult comedy-horror inglese “L’alba dei morti dementi” e alla parodia degli action-movies “Hot Fuzz”) utilizza uno stile che ruba dal mondo dei fumetti e dei videogame in maniera davvero creativa e originale, senza dimenticarsi comunque che sta pur sempre facendo un film e non giocando alla Playstation: a livello visivo direi che quindi questa è tra le pellicole più innovative e particolari viste negli ultimi 150 anni. Mica esagero.
Stupenda già la sigla iniziale con musica e grafica in 8-bit, più l’uso creativo dei baloon e di altri espedienti fumettistici in varie scene, ma tutta la pellicola è un vero luna park di invenzioni stilistiche e narrative ge-nia-li! Roba che uno non fa in tempo a rimanere stupito per una trovata che subito ne spunta un’altra che ti lascia ancor più senza fiato.
Senza tralasciare una notevole colonna sonora (ovviamente indie, anzi indieissima) che va da Beck ai T-Rex, con il momento più emozionante sulle note della cover di “By Your Side” di Sade firmata Beachwood Sparks. E naturalmente ci sono anche loro, i mitici Sex Bob-omb di Scott Pilgrim.
Assurdo poi quanti giovani talenti riesca a racchiudere un film solo. Il protagonista ovviamente non poteva essere che lui, il volto degli indie sfigati per eccellenza: il Michael Cera di “Juno”, chi se no? La ragazza dei suoi sogni (letteralmente, visto che la vede prima in sogno e poi nella realtà) è interpretata da quello schianto di una Mary Elizabeth Winstead, una delle Grindhouse girls di Tarantino nonché figlia di Bruce Willis nell’ultimo Die-Hard, una che nel film passa con disinvoltura dai capelli rosa, al blu e al verde senza perdere mai fascino, una che al solo pronunciare il suo lungo nome ci si fa in tempo ad innamorarsene.
La sorella impicciona (e pure stronza) di Scott che sa tutto ancor prima che una cosa succeda è la mia super preferita Anna Kendrick di “Tra le nuvole”, ancora una volta stellare seppure in una piccola parte, mentre l’ex storica Envy Adams è interpretata dalla Brie Larson della serie cult “United States of Tara”.
Sul fronte malvagi ex di Ramona Flowers troviamo invece: il macho Chris Evans (“I fantastici 4”) nell’ironica parodia di se stesso, un superficiale e idiota vegano Brandon Routh (“Superman Returns”) davvero esilarante, il solito immenso divertentissimo Jason Schwartzman (quello della serie “Bored to Death” e dei film di Wes Anderson e della cuginetta Sofia Coppola) e la ex lesbo Mae Whitman dall’ottima serie tv “Parenthood”.
Spassoso pure il miglior amico gay di Scott, interpretato da Kieran Culkin (fratello di quello che aveva perso l’aereo) e da tenere d’occhio la batterista Alison Pill (già segnalatasi in “Milk”) e la scatenata cinesina Ellen Wong, mentre un altro piccolo ruolo cult che fa morir dal ridere è quello della rompiballe Julie interpretata da Aubrey Plaza.
Tutti i personaggi sono assolutamente fumettistici e idealizzati e le situazioni sono talmente assurde che niente in questo cine-fumetto potrebbe sembrare reale o anche solo con un minimo di senso logico. Eppure dietro la scintillante e divertentissima patina della strabiliante costruzione citazionista-registica c’è tutto il fascino dell’infatuazione, dell’innamoramento, della disillusione di una storia d’amore vera, che come sottolinea il buon Mr. Ford è “l'amore di Alta fedeltà, Se mi lasci ti cancello, (500) giorni insieme, Juno”.
Il film indie-nerd-sfigato definitivo di tutti i tempi e di tutte le galassie, quindi. Ma con dentro un cuoricino che pulsa.
Cast: Jason Schwartzman, Ben Stiller, Anna Kendrick, Jay Paulson
Un film imbarazzante, davvero terribile. Ci sono pellicole che proprio non funzionano, sotto nessun punto di vista, e Un microfono per due è senza dubbio una di queste.
Mi spiace, e non mi capacito, di come i due miei amati pupilli Jason Schwartzman e Anna Kendrick abbiano preso parte a simile porcata. Più comprensibile la presenza di Ben Stiller, che perlomeno con la sua parte da professore di musica esaltato si può divertire un minimo, e poi, diciamolo, accanto a ottimi film come Zoolander e Tutti pazzi per Mary le sue atrocità le ha girate, eccome (vedi Mi presenti i tuoi? o Il rompiscatole).
Con un cast così, era davvero difficile fare un film tanto penoso, vuoto di idee, con una fotografia da far invidia a una fiction di Raiuno. Eppure l’attore Todd Louiso (era l’impiegato pelato nel negozio di musica di Altà fedeltà) al suo secondo film alla regia ha realizzato una commedia liceal-musicale su un gruppo acappella che non supererebbe nemmeno un provino di X-Factor e che fa apparire High School Musical un capolavorone al confronto, oltre a sembrare davvero fuori tempo massimo in un periodo in cui il genere è stato rivoluzionato, e in maniera geniale, dalla serie tv Glee. Perché allora un film simile? E perché un cast di questo calibro così sprecato?
Jason Schwartzman, cuginetto di Sofia Coppola, nipote di Francis Ford, protagonista della divertentissima serie Bored to Death (e nel cast di film come Marie Antoinette, Rushmore, Spun e I ♥ Huckabees) e Ben Stiller hanno delle faccie talmente esilaranti che da sole basterebbero a scompisciarsi, eppure in questo film proprio non si ride. No no no. I numeri musicali sono poi davvero noiosi, inutili, tremendi. Nemmeno la presenza angelica (ma nemmeno troppo) di Anna Kendrick riesce a illuminare una tale tragedia, altroché commedia musicale...
Non sorprende certo allora che una porcata simile sia effettivamente uscita in Italia (con il solito titolo assurdo, forse un richiamo a Una poltrona per due?), a scapito di altri film molto più interessanti che da noi non vengono distribuiti.
Un microfono per 2 e il giudizio non può che essere:
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