Je suis Charlie?
Negli ultimi giorni in tanti hanno usato quest'espressione. Io no. Non me la sono sentita.
Massimo rispetto per chi l'ha utilizzata come modo per esprimere vicinanza e solidarietà alla redazione di Charlie Hebdo, massacrata brutalmente il 7 gennaio scorso. Come hanno scritto già altri, dal comico Fabrizio Casalino a Elena Loewenthal su La Stampa, la verità è che non siamo tutti Charlie, per quanto sia diventato di moda dirlo.
Alcuni di quelli che ora hanno come foto profilo su Facebook la scritta “Je suis Charlie” sono quelli che vanno al cinema e poi dicono: “Ho visto proprio una bella commedia. Non era volgare.” Ecco. Già solo questa è una pugnalata al cuore dello spirito di Charlie Hebdo. L'idea che l'umorismo debba essere buono, politically correct, addomesticato, che non debba dar fastidio a nessuno. Sbagliato. Un conto è la volgarità becera delle scoregge di Massimo Boldi e Scemo & + scemo, che volendo pure quella ha una sua dignità, un altro conto sono gli attacchi sarcastici e sovversivi proposti dai vignettisti di Charlie Hebdo, che non guardano in faccia a niente e a nessuno. Per molti però non c'è alcuna differenza e la comicità volgare non va bene e basta, salvo poi dichiarare: “Je suis Charlie”. Sicuri di essere Charlie?