Cast: Zach Galifianakis, Bradley Cooper, Ed Helms, Justin Bartha, Ken Jeong, John Goodman, Melissa McCarthy, Heather Graham, Sasha Barrese, Jamie Chung, Gillian Vigman, Jeffrey Tambor, Sondra Currie, Oliver Cooper
Genere: analcolico
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"Bravo Cannibal, anche io odio Liam Neeson!"
Ci sono cose che mi fanno incazzare a prescindere: i film sui supereroi, le pellicole con Liam Neeson e i sequel. Pensate un po’ quindi quanto possa essermi piaciuto Taken 2 – La vendetta, seguito del già pessimo di suo Io vi troverò in cui Liam Neeson si comporta come un supereroe.
Con Una notte da leoni 3 per fortuna non mi sono trovato alle prese con un film sui supereroi, Liam Neeson non è presente, però si tratta di un sequel. Di più, del terzo e, se Dio ce la manda buona, conclusivo capitolo di una trilogia. Che poi non doveva essere una trilogia. Una notte da leoni era un film unico e tale doveva restare, era uno spasso totale, una commedia a suo modo originale e con dei personaggi esilaranti e particolari, su tutti il folle (nel senso proprio di malato di mente) Alan, interpretato da un folgorante Zach Galifianakis, per cui si sono subito scomodati paragoni con John Belushi e che probabilmente invece farà la fine dell’altro “nuovo John Belushi”, ovvero Jack Black. Che comunque è pur sempre una fine migliore di quella del vero povero John Belushi.
Considerato il clamoroso successo di quel primo episodio, a Hollywood hanno sentito l’esigenza di farne un secondo, che si limitava ad essere una brutta, stantia e ridicola (ma non divertente) copia carbone del primo, soltanto ambientata a Bangkok anziché a Las Vegas.
"MMMbop, questo Justin Bieber non mi convince. Meglio gli Hanson."
Dopo quel disastroso episodio, ero già intenzionato a mettere una pietra sopra a questa saga, che non doveva essere una saga. L’avventura numero 3 non mi ha fatto certo cambiare idea, ma se non altro va dato atto agli autori un minimo di coraggio in più rispetto al numero 2. Se quello era uno scopiazzamento senza vergogna, in pieno Zucchero style, qui almeno si cerca di variare un minimo la formula.
Attenzione però, perché il cambiamento è più apparente che reale. Questa volta l’avventura non parte con il solito hangover, con i tre protagonisti che si risvegliano in uno stato pietoso dopo una notte di bagordi. Cosa positiva, perché così si evita di fare una copia della copia del primo episodio. Cosa negativa, perché si perde un po’ l’identità e il senso della serie, che si chiama in italiano Una notte da leoni e in originale The Hangover.
In Una notte da leoni 3 non c’è né una notte da leoni, né un hangover, e allora questo film che ca**o l’avete fatto a fare?
Bella domanda, a cui non ho ancora trovato una risposta.
"Cannibal, io pel vendetta svaligiale tua casa."
Todd Phillips a questo giro ha allora avuto le palle di provare a fare qualcosa di diverso? Come detto, apparentemente sì. La prima parte della pellicola promette quasi bene. Sembra concentrarsi soprattutto sulla figura di Alan, quello psicopatico di Alan, l’unico personaggio davvero interessante di questa serie, visto che Mr. Chow (Ken Jeong) non lo si regge più e si spera per tutto il tempo che venga fatto fuori in maniera brutale. I will let you down, I will make you hurt.
A morire è invece il padre di Alan e ciò sembra portare una maggiore introspezione al film. Ci troviamo forse dentro una versione più matura delle altre due notti da leoni?
No. È solo un’illusione. Dopo i primi minuti, Una notte da leoni diventa la solita notte da leoni, solo senza droghe, alcool, figa, deliri, tatuaggi e insomma mica tanto una notte da leoni. Una versione annacquata, analcolica di Una notte da leoni. La struttura narritava sembra cambiata, ma non lo è molto. Come al solito, ci ritroviamo con Bradley Cooper, Ed Helms e Zach Galifianakis chiamati a salvare il loro amico sfigato Justin Bieber Bartha. E pure qui a non mancare è la solita razione di avventure più o meno criminali, con John Goodman chiamato questa volta nella parte del cattivone di turno. In pratica, in questo terzo capitolo manca il meglio del primo episodio, ma non manca il peggio del secondo. Per fortuna almeno le scenette con gli animali questa volta sono contenute al minimo, giusto nella primissima evitabile scena di decapitazione di una giraffa, ma almeno non c’è più la scimmietta cagaminkia della notte in Thailandia. Baby steps. Piccoli progressi.
"Dici che lo vinciamo il Cannibal Award per la scena più sexy dell'anno?"
A livello di risate, siamo lontani dal primo episodio e le cose vanno giusto un cicinin meglio rispetto all’Hangover II. A livello di figa, qui siamo messi invece peggio, visto che Jamie Chung compare in appena mezza scena per circa cinque secondi. Io comunque non ho ancora capito dai tempi del precedente capitolo come fa Ed Helms a stare con Jamie Chung. Capirei stesse con Bradley Cooper, ma con lui no.
A rendere questo terzo episodio un filo migliore del secondo è allora il tentativo, seppure solo abbozzato, di variare un minimo la formula, oltre al fatto di dare maggiore spazio ad Alan e al ritornare sui passi del primo episodio, apparizione di Heather Graham compresa, riuscendo a dare una chiusura al cerchio sulle note di “Dark Fantasy” di Kanye West. Il + del voto se lo merita però + che altro per la divertente partecipazione di Melissa McCarthy, la cui carriera era iniziata come personaggio minore nella serie Una mamma per amica e oggi dopo Le amiche della sposa è una delle attrici comiche più lanciate di Hollywood.
Questo Una notte da leoni 3 è allora un film perfettamente inutile, che non cambia niente. Continuo a pensare che la prima pellicola dovesse rimanere un unico da non replicare, e le cose che mi fanno incazzare a prescindere rimangono le stesse di sempre: i film sui supereroi, le pellicole con Liam Neeson e naturalmente i sequel.
(voto 5+/10)
P.S. Grazie alla scena dopo i titoli di coda il voto cambia. In peggio.
"Certo che Cannibal dev'essere proprio cannibale per mangiare 'sta roba..."
Regia: Jamie Bradshaw, Aleksandr Dulerayn
Sceneggiatura: Jamie Bradshaw, Aleksandr Dulerayn
Cast: Ed Stoppard, Leelee Sobieski, Jeffrey Tambor, Max von Sydow
Genere: no logo
Se ti piace guarda anche: Essi vivono, God Bless America, Antiviral, Black Mirror
Ieri vi ho parlato di Essi vivono, oggi di Branded, un film che attualizza alcune delle tematiche affrontate dalla pellicola di John Carpenter, già comunque parecchio attuali nonostante sia un film degli anni '80.
Perché sto facendo questo?
Forse per farvi il lavaggio del cervello. Chi lo sa?
Branded non è comunque un remake, un sequel o altro. Ha una vaga ed evidente ispirazione o, per dirla in maniera più esplicita, rubacchia alcune idee al cult movie di John Carpenter. Potremmo dire che fa un’opera di rebranding. Proprio ciò che fa anche Zucchero ogni volta che si mette al lavoro su un nuovo disco.
Anzi no, altroché rebranding. Quello copia, e basta!
Le fonti di ispirazioni di questa pellicola comunque sono molteplici. Si tratta di una storia che immagina un futuro distopico, proprio come le storie della fondamentale serie britannica Black Mirror, così come anche del recente Antiviral di Brandon Cronenberg. Una vicenda ambientata in Russia che parte da uno spunto nemmeno troppo fantascientifico: le catene di fast food in crisi a causa della moda della malsana moda del mangiar sano decidono di allearsi per far riprendere quota alle loro aziende e far trionfare di nuovo il junk food. Per farlo, si rivolgono a un guru del marketing che realizza una campagna non convenzionale particolarmente aggressiva. In pratica, si impegna a far diventare cool l’essere grassi: fat is the new black. Se sei grasso, sei fico. Un ribaltamento dell’attuale società dell’immagine basata sul magro è bello.
"Pronto, parlo con la Leelee del passato? Sono la Leelee del futuro.
Non accettare la parte in Eyes Wide Shut, che finirai a fare filmetti come questo..."
Qui entrano in gioco i nostri due protagonisti del film. L’anonimo Ed Stoppard, davvero poco convincente, e Leelee Sobieski, attrice lanciatissima a fine anni Novanta/primi Anni Zero grazie a pellicole come Deep Impact, Mai stata baciata, Prigione di vetro, Radio Killer, e con all’attivo persino un’apparizione nell’Eyes Wide Shut di Mastro Kubrick, e poi sparita nel nulla puf. Questo Branded credo non potrà aiutarla un granché a risollevare le quotazioni del suo brand, però non se la cava male. I nostri due protagonisti sono gli organizzatori di un reality-show su una tipa cicciotta che si sottopone a degli interventi di chirurgia plastica per dimagrire, una versione russa di extreme makeover o di, come si chiamava quel programma su Italia 1 con Platinette e la Pivetti?
Ah già, Bisturi!
Inconsapevoli, i due insieme al loro reality diventano però le vittime del complotto di cui parlavamo sopra ordito dalle perfide compagnie di fast-food.
"Si vabbè, Leelee del futuro, ma va da via el cù"
In questa prima parte il film riesce a intrigare, non ai livelli di un episodio di Black Mirror, però comunque riesce a essere piuttosto avvincente. Nella seconda, di cui non sto a spoilerarvi troppo, la storia prende una brutta piega e la sceneggiatura non sembra più dove andare a parare. In soccorso viene allora Essi vivono. In maniera analoga a quanto succedeva nel film di John Carpenter, anche qui il protagonista vede la realtà per come è davvero, e senza nemmeno bisogno degli occhialini. A livello visivo, non ci siamo però assolutamente. Laddove in Essi vivono il protagonista vedeva quegli scheletrini zombie simpatici e inquietanti allo stesso tempo, qui in Branded il protagonista vede dei mostri gommosi sopra le teste delle persone. Una specie di scopiazzatura mal riuscita delle protuberanze temporali che vedeva Donnie Darko.
I due registi Jamie Bradshaw e Aleksandr Dulerayn non riescono a essere convincenti da un punto di vista delle immagini e anche a livello di sceneggiatura la pellicola nella seconda parte deraglia sui sentieri del ridicolo. Un vero peccato, perché la sua critica al sistema capitalista, all’oppressione delle marche e al potere dei grandi brand di imporre il loro pensiero sulle persone possedeva un buon potenziale. Però tra tematiche alla No logo di Naomi Klein, citazioni che sconfinano in una brutta copia di Essi vivono e una parte finale pessima, tutte le buone idee vengono buttate all’aria.
Per gli appassionati di marketing, pubblicità e brand management comunque una visione la merita. A livello cinematografico e narrativo è invece la classica occasione sprecata. Oltre che il promemoria di lasciar perdere i cult movie. Questo Branded nella prima parte sembrava infatti possedere la capacità di vivere una vita propria. E invece finisce per morire all'ombra di Essi vivono.
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