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mercoledì 26 giugno 2013

DREAM TEAM, LA CINECRONACA


Dream Team
(Francia 2012)
Titolo originale: Les seigneurs
Regia: Olivier Dahan
Cast: José Garcia, Jean-Pierre Marielle, Omar Sy, Joeystarr, Franck Dubosc, Gad Elmaleh, Ramzy Bedia, Sami Ameziane, Clémentine Baert, Frédérique Bel, Ludovic Berthillot, André Penvern, Jean Reno
Genere: calcistico
Se ti piace guarda anche: Full Monty, Giù al nord, Fuga per la vittoria, Holly e Benji

Buongiorno gentili telespetta-lettori e benvenuti dalla Cannibal Arena di Casale Monferrato. Una città oggi calcisticamente penosa, ma con alle spalle un passato glorioso. I nerostellati del Casale hanno infatti vinto uno scudetto nella stagione 1913-1914. Sono passati cent’anni da allora, ma quante squadre, anche di serie A, possono dire altrettanto?
Oggi alla Cannibal Arena la squadra dei cineblogger capitanata da Cannibal Kid si scontrerà con il Dream Team del film… Dream Team. Certo che avrebbero potuto trovargli un nome migliore. Il titolo originale della pellicola è Les seigneurs (I signori). In Italia, forse per evitare di chiamare in causa il controverso Beppe Signori, hanno preferito assegnarli il nome di Dream Team, che però evoca più il basket NBA che non il calcio. Ma andate a spiegarlo a quei simpatici combinaguai di titolisti italiani…
La formazione francese che scende in campo quest'oggi è allenata da Olivier Dahan, il regista di La vie en rose con Marion Cotillard e prossimamente sulla panchina di Grace di Monaco con Nicole Kidman. La formazione del Dream Team vanta un paio di rivelazioni delle ultime stagioni francesi: Omar Sy, capocannoniere di Quasi amici e il rapper Joeystarr, ormai riciclatosi perfettamente come calciatore, pardon attore sui campi di Polisse e L’amore dura tre anni.
A capitanare il Dream Team vi è José Garcia, che veste i panni di Patrick Orbéra, un calciatore che è una specie di via di mezzo tra Platini e Zidane e che ha trascinato la Francia sul tetto del mondo. Poi gli anni sono passati, Orbéra le Roi è finito risucchiato nella classica spirale discendente, è diventato un alcolizzato, e ha perso il suo lavoro come opinionista dopo una rissa in tv. Ce la farà a rialzarsi?
Vediamolo, passando alla cronaca in diretta del match dei cinebloggers contro il Dream Team.

"Io ho paura a giocare nello stadio del Casale. Non c'è manco la tribuna VIP."
Il Dream Team parte in maniera brillante, con un piano sequenza iniziale che ripercorre in maniera veloce e brillante la carriera del calciatore Orbéra, in grado di passare nel giro di pochi istanti dalle stelle alle stalle. Una partenza travolgente che mette subito sotto i cinebloggers, che si aspettavano una commediola scema e invece si trovano di fronte a una scena d’apertura cinematograficamente niente male.
Dopo essere passati subito in vantaggio, quelli del Dream Team si rilassano e mettono in campo una melina non particolarmente spettacolare, ma che fa il suo dovere. Il gioco procede in maniera classica e prevedibile, quanto necessaria per creare le successive occasioni da rete. Orbéra, alcolizzato e alcolizzato, se vuole continuare a vedere la sua figlioletta e non perderne del tutto l’affidamento, è costretto a trovarsi un lavoro stabile. L’unico posto in cui lo vogliono come allenatore è in un minuscolo e pidocchioso club. No, non il Casale. Ancora peggio. Una piccola squadra su un’isola della Bretagna, nel profondo Nord della Francia. Lo scopo del piccolo team è quello di raggiungere i 32esimi di finale della Coppa di Francia, andare a scontrarsi con una squadra prestigiosa e in questo modo guadagnare una bella somma di denaro con cui rimettere a posto i conti della fabbrica di sardine, il motore dell’economia locale.
Il Dream Team si gioca qui la carta dell’impegno sociale misto a commedia sportiva. Due generi molto rischiosi e che spesso portano a risultati disastrosi o se non altro parecchio banali e leziosi. Il Dream Team sembra dirigersi sicuro in questa direzione e, sul contropiede, si becca la rete del pareggio dei cinebloggers, che hanno vita facile ad attaccare sul lato del genere calcistico che, a parte poche eccezioni come Holly e Benji, Fuga per la vittoria e L’allenatore nel pallone, ha prodotto cose non granché interessanti sia su piccolo che su grande schermo. Si va dunque al riposo in parità, grazie al goal di Cannibal Kid che contro le pellicole calcistiche è andato a segno praticamente a porta vuota.

"Ciao Lilian Thuram."
"Ciao Babbo Natale."
Il Dream Team riparte nel secondo tempo tirando fuori i suoi assi dalla panchina. Orbéra, per riuscire a rimettere in sesto la formazione amatoriale composta da vari scarponi locali, decide di chiamare alcuni suoi ex compagni e colleghi, delle vecchie glorie in grado di risollevare le sorti della squadra, così come del film.
La formazione allenata da Olivier Darhan mette allora finalmente in campo i suoi top player: i già citati Joeystarr, mastino alla Davids noto per il suo carattere irascibile e appena uscito di galera, e Omar Sy, che interpreta un campione della difesa alla Thuram, fisicamente uguale a lui, e che in più ha dei problemi cardiaci alla Julian Ross.
Oltre a loro, si mettono a macinare gioco anche il comico Gad Elmaleh, nei panni di un fenomeno del pallone che però ha parecchi problemi psicologici, oltre a una fissazione patologica per la Playstation, l’attaccante fighetto Franck Dubosc, che ha provato senza grosso successo a passare dal calcio alla recitazione, e quindi il fattone Ramzy Bedia, portiere argentino che sembra un incrocio tra Maradona, per via della sua passione per coca & donne, soprattutto coca, e Che Guevara, per look & impegno sociale.
Grazie a un buon gioco di squadra, il Dream Team imbastisce delle azioni valide, niente di troppo esaltante, ma comunque uno spettacolo in grado di intrattenere a dovere gli spettatori. Trascinato dall’entusiasmo del pubblico francese accorso numeroso in trasferta a Casale, e che ne ha fatto uno dei più grandi successi dell’anno in patria, il Dream Team ritorna in vantaggio.

"Beccati 'sta rete, criticone d'un Cannibale!"
I cinebloggers non possono che stare a guardare il calcio-spettacolo imbastito dai francesi, che sembrano girare a mille. Sicuri ormai di aver portato a casa la vittoria, si fanno però prendere dall’arroganza tipicamente transalpina e cominciano a giochicchiare. Approfittando delle distrazioni compiute in un finale piuttosto banale e prevedibile, i cinebloggers infilano il pareggio. Troppo facile per loro criticare l’happy ending della pellicola, soprattutto per quel musone di Mr. James Ford, che mette a segno la rete del 2-2.
Attenzione però, perché nei minuti di recupero l’arbitro (venduto) concede un rigore ai francesi. I titoli di coda realizzati in stile album di figurine Panini (ebbene, anche in Francia la Panini ha il monopolio sugli album dei calciatori) vanno a segno e regalano la vittoria in zona Cesarini al Dream Team.
Per quanto sia una commedia non certo rivoluzionaria e che per molti aspetti sa di già visto, tra storia di riscatto sociale alla Full Monty e vicenda sportiva alla Fuga per la vittoria, il loro gioco funziona. Il Dream Team è una squadra messa su per conquistare i favori del pubblico, con tutte le strizzatine d’occhio del caso, i colpi di tacco e i dribbling in grado di fare facile presa, ma è anche concreta abbastanza da convincere persino i cinebloggers. Perlomeno Cannibal Kid, che a fine partita non può far altro che stringere la mano agli avversari e constatare ancora una volta la superiorità del calcio, pardon del cinema francese su quello italiano.
(voto 6+/10)

Post pubblicato anche su The Movie Shelter



mercoledì 14 marzo 2012

Polisse: Don’t stand so close to me

Certo che i cugini francesi sono proprio dei bastardi.
Li avremo anche battuti a pallone ai tempi degli ormai lontani, lontanissimi Mondiali 2006, ma nel frattempo loro si sono rifatti alla grande a livello culturale, dove continuano a farci un cul come una capanna.
Persino nelle campagne pubblicitarie. Persino in quelle tirano fuori delle robe così, con lo slogan che domanda (per chi come me non conosce il francese): “Signor candidato, dobbiamo metterla in una tale situazione per poter farla riflettere sull’eutanasia?”


E a noi non resta che rimpiangere l’Oliviero Toscani dei tempi migliori.

A livello di cinema non ne parliamo. Hanno trionfato agli Oscar con il geniale The Artist, hanno tirato fuori la commedia divertente ed emozionante che noi ci possiamo giusto sognare come Quasi amici, sono in gran forma sul cinema di genere thriller e horror e ora spuntano come funghi registe donne giovani e di talento. Non faccio in tempo a esaltarmi per l'idola Valérie Donzelli, o notare la promettente Céline Sciamma di Tomboy, che ecco è sbucata pure Maïwenn Le Besco, meglio nota anche solo come Maïwenn: attrice, regista e sceneggiatrice 35enne. Ma non è come da noi che c’è gente come Pieraccioni che fa l’attore, il regista e lo sceneggiatore e fosse capace a fare almeno una delle 3 cose a un livello semi-decente sarebbe già un miracolo. Maïwenn è del tutto naturale come attrice, rivela di avere parecchie idee e cose da dire in fase di sceneggiatura, e come regista ha un talento già notevole ma che lascia intravedere ulteriori margini di miglioramento.
Ci tocca prenderne atto: i francesi ci stanno dando merda e le francesi ancor di più. Ma entriamo più nello specifico nell’ultimo film della giovane regista, già alla sua opera terza ma alla prima arrivata anche nella nostra ridardata Italia.

Polisse
(Francia 2011)
Regia: Maïwenn
Cast: Joey Starr, Maïwenn, Karin Viard, Marina Foïs, Nicolas Duvauchelle, Emmanuelle Bercot, Frédéric Pierrot, Karole Rocher, Arnaud Henriet, Jérémie Elkaïm, Naidra Ayadi, Riccardo Scamarcio
Genere: whoop whoop! that’s the sound of da Polisse
Se ti piace guarda anche: Le premier jour du reste de ta vie, La classe, Tomboy, Una separazione, Il ragazzo con la bicicletta

Nella intro alla recensione vera e propria, parlavo di Maïwenn: come attrice era comparsa già nei bessoniani Leon e Il quinto elemento, per poi segnalarsi in Alta tensione al fianco di Cécile de France; però come regista la sua carriera rischia di essere parecchio più interessante. A 35 anni, la femme d’argent ha infatti già alle spalle due lungometraggi: Pardonnez-moi e Le bal des actrices, che mi auguro qualche anima pia possa almeno sottotitolare in italiano, visto che un'uscita ufficiale da noi sembra fantascienza. È comunque con la sua opera terza Polisse che si è imposta all’attenzione del grande pubblico e della critica, almeno in Francia e almeno a Cannes, dove ha vinto il premio della Giuria in un'edizione che vedeva solo la partecipazione di film come The Tree of Life, Melancholia, Drive e The Artist...

Polisse tratta un tema delicatissimo. No, non l’Olocausto, ma uno forse persino più ostico: pedofilia e violenza sui minori. Tremo al solo pensiero di cosa ne sarebbe uscito da un tema del genere con una produzione italiana.
Il film ci presenta, anzi fa un tuffo all’interno della divisione per la protezione minori della polizia parigina. Senza troppi giri di parole o presentazioni, ci scaraventa dentro un ambiente lavorativo composto dai diversi impiegati e soprattutto da un sacco di storie differenti con cui si devono confrontare tutti i santi giorni. Tra genitori e nonni sospettati di abusare sessualmente di figli e nipoti, bambini separati dalle loro madri, madri che fanno le seghe ai figli e pensano siano una cosa normale (e lo sarebbe solo in una situazione come quella di Olivia Wilde e Justin Timberlake in In Time), uomini che si dichiarano pedofili senza battere ciglio, altri uomini che negano l’evidenza e mille altre vicende, entriamo anche noi con una full immersion nella vita di questi particolari agenti, poliziotti atipici, o anche sbirri di serie B, almeno per i colleghi della narcotici.
Il tutto filtrato da dietro le lenti di Maïwenn: quelle della sua macchina da presa, ma anche quelle degli occhiali del suo personaggio nel film, non a caso quello di una fotografa che deve realizzare un reportage su questa sezione della polizia. Fino a che un altro personaggio le fa togliere gli occhiali e da lì in poi la vicenda prosegue senza più alcun filtro, sia per lei che per lo spettatore.

Il grande pregio della pellicola è la varietà non solo delle storie che si accavallano le une alle altre, ma anche nei toni con cui vengono raccontate. Ad esempio c’è la scena di una ragazzina che rivela di aver staccato pompini per recuperare il cellulare che si rivela a sorpresa una scena esilarante. Ma il film vive anche di momenti drammatici, per forza di cose, affrontati in una maniera delicata e discreta, ed è recitato in maniera naturale, senza le forzature e le enfasi da soap-opera di molto, troppo cinema italiano. Giusto nella parte conclusiva, Polisse svolta nel drama drama drama e lo fa forse con una forza a tratti persino eccessiva, arrivando però a un finale che lascia parecchio di stucco. E che fa riflettere.

"Io e te, Babi, 3 emme esse ci... Ah, scusa: mi sa che ho sbagliato copione!"
Polisse è un grandissimo racconto corale in cui a tratti spicca qualche personaggio, come quello di Joey Starr, attore ma anche rapper del duo hip-hop Suprême NTM, una Naidra Ayadi vincitrice del premio come rivelazione dell'anno ai César 2012, o un Jérémie Elkaïm già visto al lavoro anche con l’altra sopracitata fenomena francese Valérie Donzelli, mentre il “nostro” Riccardo Scamarcio rimane un po’ nell’ombra con un personaggio minore poco approfondito. Ma comunque tanto di cappello a un attore che sta cercando strade sempre più lontane da quel merdoso 3MSC che l’ha lanciato e l’ha trasformato in un teen idol. Strade, non sorprende, lontane da quell’Italia dove un attore quando fa una parte di successo, è lì che rimane incasellato a vita. O quasi.
Ad amergere però non è tanto questo o quell’attore, questo o quel personaggio, quanto piuttosto l’insieme. Polisse è un coro di voci perfettamente accordate che intonano un canto meraviglioso.
Qualche difettuccio e qualche pecca la presenta anche e non tutto funziona alla perfezione. Però Polisse resta un film enorme, coraggioso, libero, pieno di vita raccontata con un realismo notevole, ma senza dimenticarsi di fare comunque non un documentario, ma del cinema di fiction. Del grande cinema.

Vedendo questa nouvelle vague della nouvelle vague del cinema francese, con una serie di pellicole strepitose e tutte stilisticamente e per contenuti parecchio lontane l’una dalle altre, viene da fare un inevitabile confronto sullo stato attuale del cinema italiano. Come sottolineava in un commento il collega blogger Lucien: “il "Centre National de la Cinématographie" riceve parecchi finanziamenti da svariate fonti. […] Nel 2009 230 film prodotti dai cugini contro i nostri 131; nel 2010 261 contro 141. Quantità oltre che la qualità dimostrata da molte opere recenti.”
Viene da chiedersi cosa sia successo all’Italia dove esistono sì eccezioni come Sorrentino, che comunque l’ultimo film l’ha girato tra Irlanda e Stati Uniti, ma rimangono sempre eccezioni, laddove in Francia l’eccezione sembra ormai essere diventata trovare dei film brutti. Che pure ci sono, non è che adesso è tutta una vie en rose.
Viene da chiedersi se in Italia di nuovi Fellini, Pasolini e Antonioni non ne siano più nati, cosa possibile.
Ma viene da pensare che forse di nuovi Fellini, Pasolini e Antonioni ne sono anche nati. Solo che nell’assopimento culturale degli ultimi 30 fininvestiani anni nessuno se ne è accorto.
Non è che magari di nuovi Fellini, Pasolini e Antonioni ne sono nati e sono subito anche morti, annientati da quest’annichilente Italia d’oggi?
(voto 8/10)


Nota di merito anche per gli ottimi poster della pellicola.



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