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martedì 1 dicembre 2015

Love & Treno Mercy





Love & Mercy
(USA 2014)
Regia: Bill Pohlad
Sceneggiatura: Oren Moverman, Michael A. Lerner
Cast: John Cusack, Paul Dano, Elizabeth Banks, Paul Giamatti, Graham Rogers, Jake Abel, Max Schneider
Genere: sentito
Se ti piace guarda anche: Quando l'amore brucia l'anima, Ray, Get On Up

Uno ascolta i Beach Boys e pensa all'estate, al sole, al mare e... alla spiaggia, naturalmente. Ci si immagina che dietro alla loro musica ci sia della gente allegra e festaiola e in parte era così, almeno agli inizi. La vicenda del leader della band, Brian Wilson, è però parecchio più complicata di quanto si potrebbe pensare. È una storia di follia e depressione...

Hey, aspettate, cosa?!?
L'autore di canzoni come “Surfin' USA”, "Wouldn't It Be Nice", “California Girls”, “I Get Around” e “Barbara Ann” un depresso cronico?
Stiamo scherzando?

mercoledì 24 settembre 2014

MAPS TO THE STARS, MAPPANDO CON LE STELLE





Maps to the Stars
(Canada, USA, Germania, Francia 2014)
Regia: David Cronenberg
Sceneggiatura: Bruce Wagner
Cast: Mia Wasikowska, Julianne Moore, John Cusack, Robert Pattinson, Evan Bird, Olivia Williams, Sarah Gadon, Carrie Fisher, Emilia McCarthy, Niamh Wilson, Justin Kelly, Jayne Heitmeyer
Genere: stellare
Se ti piace guarda anche: The Canyons, Cosmopolis, The Informers – Vite oltre il limite

Maps to the Stars è un film superficiale e allo stesso tempo è un film stratificato.
Maps to the Stars è un classico film di David Cronenberg anche se a prima vista non sembra per niente un classico film di David Cronenberg.
Maps to the Stars è un film che qualcuno ha sbeffeggiato/sbeffeggerà e qualcuno ha eletto/eleggerà a capolavoro come e più del precedente Cosmopolis.
Maps to the Stars è una contraddizione vivente e anche questa frase è una contraddizione, poiché un film non può essere considerato qualcosa di vivente. Oppure sì?

Dentro Maps to the Stars c'è vita, per quanto tutto appaia artificiale. La vita delle star di Hollywood è così. Probabilmente è così, non posso dirlo con certezza. Sono mica una star di Hollywood, io. Se volete delle conferme andate a chiederlo a Robert Pattinson, o a Julianne Moore, o a John Cusack, o a Mia Wasikowska, le star di questa mappa delle star. Oppure andate a chiederlo a David Cronenberg, che a girare questa pellicola dev'essersi divertito un mondo, pigliando allegramente per i fondelli il mondo dello star-system.
Qualcuno potrà dire che il grande regista canadese ormai ultrasettantenne si è bevuto il cervello. Dopo aver visto l'orripilante A Dangerous Method qualche dubbio l'ho avuto pure io. Invece no. Cosmopolis era confuso, pieno di dialoghi assurdi tratti dall'assurdo romanzo omonimo di Don DeLillo, eppure aveva una sua forza visiva e riusciva in qualche modo a riflettere l'assurdità del mondo della finanza attuale, così come l'assurdità del mondo attuale in generale. Non si trattava di un lavoro del tutto riuscito, così come Maps to the Stars non appare del tutto riuscito. Allo stesso tempo, questo suo ultimo lavoro possiede ancora più del precedente una terribile forza vitale. Una spinta creativa che da un autore di 71 anni che al Cinema ha già dato molto non ci si aspetterebbe. Un autore che guarda al suo passato, soprattutto quello più recente, con un'ironica citazione di Cosmopolis: se in quel film Robert Pattinson, il suo nuovo attore feticcio (ma peeerché?) stava un'intera giornata dentro una limousine come passeggero, qui lo ritroviamo di nuovo a bordo di una limo, ma questa volta come autista. Ma soprattutto, Cronenberg è un autore che guarda al presente. La pellicola prende di mira l'ambiente hollywoodiano attuale in un sacco di modi e contemporaneamente il Cronenberg non manca di ironizzare anche su se stesso: “Un regista che ha fatto degli strani film, molto applauditi ma strani,” dice un giornalista durante un'intervista,” e non possiamo che pensare si riferisca a un regista come lui. Uno che oggi, tra Cosmopolis e questo Maps to the Stars, magari ci proporrà dei film più patinati, visivamente puliti e precisini e con dei cast super glamour rispetto al passato, ma pur sempre dei film strani.

I bersagli dell'ironia cronenberghiana, o meglio dello script di tale Bruce Wagner, sono molteplici. Un po' stereotipati, se vogliamo, ma alcuni capaci di regalare parecchie sorprese, soprattutto nel finale. Una serie di personaggi le cui vite sono intrecciate e che possiamo immaginare come delle figure piuttosto facili da incontrare, se si ha la fortuna (o la sfortuna, a seconda dei punti di vista) di passeggiare per il Sunset Boulevard.
C'è l'attrice MILF Julianne Moore ossessionata dal confronto con la madre defunta diva del grande cinema di una volta, sopratutto ora che si ritrova con una carriera in fase calante come le sue tette. Anzi, più delle sue tette che qui si difendono ancora bene, visto che la Moore a 50 anni passati sfoggia un fisichino mica male.

"AAAH! Mi sono fatta il culo in palestra per mesi per sentirmi dire solo:
fisichino niente male???"

C'è l'autista di limo aspirante attore/sceneggiatore Robert Pattinson.
Io non ho niente contro Robert Pattinson, così come non ho nessun pregiudizio contro gli ex idoli adolescenziali che crescendo cercano di reinventarsi una carriera rispettabile. Parlo sempre bene di Zac Efron e di Leo DiCaprio, tanto per citare due ex teen idols. Di Robert Pattinson però non ce la faccio a dire belle cose. Più che inespressivo, mi sembra imbalsamato. Pensavo fosse per i ruoli che gli proponevano, ma a un certo punto questa scusa non regge più. È proprio lui che non è capace a recitare.

"Smettetela di dire tutti che sono un attore fenomenale. Finirò per crederci!"
"Ehm, Robert... veramente non c'è nessuno che lo dice."
"Ahahah, certo, David, come no?"

C'è poi la baby-star, l'attore 13enne interpretato da Evan Bird (già visto nella serie tv The Killing). Una specie di incrocio tra Macaulay Culkin e Justin Bieber che alla sua tenera età è già stato in rehab.


C'è quindi il padre della baby-star, un John Cusack che pure lui mi pare sempre più imbalsamato. Negli anni '80 era un idolo delle commedie adolescenziali, nel 2000 è stato il mitico protagonista di Alta fedeltà, poi basta. Negli ultimi anni ogni volta che lo vedo mi viene voglia di prenderlo a schiaffi. Qui comunque è perfetto, visto che ha il ruolo di una specie di guru/psicoterapeuta per star con la faccia da schiaffi.


Intorno a loro si muovono alcune giovanissime aspiranti starlette, di cui una, Niamh Wilson, curiosamente somigliante a Chloe Moretz. Che il suo personaggio sia una parodia proprio della Hit-Girl?


E come personaggio bonus, a fare da vero collante al tutto, c'è una tizia misteriosa, una Mia Wasikowska ustionata e sfigurata. È lei che a inizio film chiede all'autista Pattinson di poter seguire la mappa delle case delle star.
(piccola parentesi: non pensate anche voi che autista Pattinson suoni molto meglio di attore Pattinson? chiusa parentesi)
Il vero personaggio centrale è lei, la sempre straordinaria Mia Wasikowska, qui nei panni di una psyco girl che trova lavoro a Hollywood come assistente personale di Julianne Moore e che a sua volta ha pure lei una sceneggiatura nel cassetto. Solo che la sua non è una sceneggiatura che prevede di essere trasposta su schermo, bensì nella vita reale.


Là fuori, nella vita reale, nel mondo reale, ci sarà gente che dirà, anche giustamente: “Sì, okay, ma a me che cazzo me ne frega della star Julianne Moore che si dispera per non aver avuto una parte in un film o di un baby-divo con le visioni, quando io non riesco a trovare lavoro, ho sei figli e due mogli da mantenere e c'ho il mutuo da pagare?”.
Vero, legittimo. Quello di David Cronenberg non è un film di impegno sociale, è un divertissement, una riflessione sull'ambiente cinematografico un po' fine e se stesso, non troppo distante dalle parti dei romanzi di Bret Easton Ellis e pure della sua sceneggiatura del criticatissimo The Canyons, ma volendo allargare lo sguardo i comportamenti malati, allucinati e spesso ridicoli di questi personaggi si possono estendere a tutti, visto che oggi chiunque, tra social network e selfie, si può improvvisare una star, almeno all'interno del proprio microcosmo, nella propria cerchia di followers, e tutti si possono in qualche modo ritrovare nella loro infelicità e disagio esistenziale, pur vivendo a chilometri da L.A..


Solo perché un film parla di personaggi superficiali, non significa che sia un film superficiale. E qui torniamo a inizio post. Maps to the Stars è un film patinatissimo ma pure stratificato, ricco di significati. A chi si vuole godere un semplice prodotto di intrattenimento per svagare la mente dopo una dura giornata di lavoro non dirà niente e non gliene fregherà niente, perché di certo nel mondo ci sono problemi più grandi cui pensare di quelli che riguardano questi tizi qua. A chi invece ha del tempo da perdere per riflettere su una pellicola, come l'autore di questo blog, Maps to the Stars appare come una visione sì emotivamente freddina, eppure allo stesso tempo è anche un'opera ricchissima su cui indagare e pensare a lungo. Una pellicola che ci consegna un autore come Cronenberg magari non al top assoluto della sua forma, ma ancora vitale e capace di cambiare pelle, pur restando se stesso. Anche se forse alla fine c'ha la ragione la gente.
Ma a me, che cazzo me ne frega di Julianne Moore e dei suoi stupidi problemi?
(voto 7,5/10)

venerdì 9 maggio 2014

THE PAPERBOY, UNA PISCIATA CI SALVERÀ




The Paperboy
(USA 2012)
Regia: Lee Daniels
Sceneggiatura: Lee Daniels, Peter Dexter
Ispirato al romanzo: Un affare di famiglia di Peter Dexter
Cast: Zac Efron, Matthew McConaughey, Nicole Kidman, David Oyelowo, John Cusack, Macy Gray, Scott Glenn, Nealla Gordon
Genere: trash thriller
Se ti piace guarda anche: Pazzi in Alabama, The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca
Uscita italiana prevista: in DVD e Blu-Ray dal 5 giugno 2014

Perché un film come The Paperboy è stato tanto massacrato dalla critica?
Non me lo so spiegare io.
ATTENZIONE SPOILER
Sarà mica per la sequenza in cui Zac Efron viene attaccato da un branco di meduse e Nicole Kidman gli piscia addosso, salvandogli così la vita e dimostrando che l’urina è davvero efficace in questo caso, nonostante qualcuno sostenga sia solo un falso mito?


O sarà forse per la scena di sesso “a distanza” in cui Nicole Kidman, ancora lei, mostra le sue parti intime vagamente alla Sharon Stone in Basic Instinct e John Cusack guardandola viene nelle mutande?


Oppure è perché John Cusack, così come ne Il ricatto e Il cacciatore di donne, si ostina a interpretare ruoli da cattivone che proprio non fanno per lui? È un po’ come Robin Williams quando a un certo punto della sua carriera aveva deciso che si era stufato di fare il pirla e s’era accaparrato due parti da villain in One Hour Photo e Insomnia. Lui tra l’altro se l’era ancora cavata piuttosto bene, però non sono i ruoli che più gli competono. Di sicuro, non sono i ruoli che competono a John Cusack, più convincente come protagonista di commedie che non di thriller.


O per caso a molti critici non è andato giù Zac Efron come protagonista? L’ex Troy Bolton di High School Musical è un attore ancora acerbo, è vero, e qui non offre un’interpretazione mostruosa, è vero anche questo. Allo stesso tempo, appare comunque piuttosto convincente nella parte del giornalista in erba che si infatua di quel vaccone di Nicole Kidman, finendo per esserne ossessionato. Un’attrazione un po’ dalle parti di quella del laureato Dustin Hoffman per la MILF Mrs. Robinson. Che poi The Paperboy non è Il laureato, è vero pure questo, ma non è nemmeno così schifoso come si dice in giro.


O ancora il film è stato tanto criticato perché ha una sceneggiatura confusa e confusionaria, che mette al suo interno tanta roba, troppa roba, senza approfondire davvero nessun aspetto? C’è una parte thriller, ma non è che sia così tesa. A tratti sembra di essere quasi dentro una versione trash di True Detective realizzata dalla The CW anziché da HBO. Un giallo ambientato nel Sud degli Stati Uniti in tipico stile Matthew McConaughey, qui più sottotono rispetto alle sue ultime spettacolari prove attoriali, solo condotto in maniera blanda, con ritmi sonnacchiosi e una vicenda gialla che non riesce a coinvolgere mai davvero.

"Ok, mi arrendo. Questo film non è al livello di True Detective.
Manco lontanamente..."

Più interessanti sono invece le altre questioni messe dentro il calderone. La tematica razziale, dopo tutto questo è un film ambientato nell’America di fine anni Sessanta, in cui il conflitto bianchi VS neri era più che mai incendiario, ed è pur sempre un film di Lee Daniels, il regista del valido Precious e del decente The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca, altro lavoro trattato malissimo dalla critica ma che in realtà non era malvagio. In comune con quest’ultima pellicola, The Paperboy ha la voglia di raccontare troppo, finendo per raccontare poco.
In The Paperboy vengono poi affrontati anche i rapporti famigliari, con il conflitto tra il protagonista principale Zac Efron e il padre, e la relazione più positiva con il fratello Matthew McConaughey. In più, giusto per non farsi mancare niente, è pure una pellicola romantica, a suo modo. Quella che può sembrare giusto  un’attrazione adolescenzial-ormonale di Zac Efron per Nicole Kidman è in realtà un amore profondo…

Naaah, vuole solo ciularsela, come tutti i personaggi di questo film a parte uno, che si scoprirà gay, ma non vi dico chi è…

No, a sorpresa non è Zac Efron che, nonostante la sua passione per il ballo, messa pure qui in mostra in una scena, non è gay. Alla fine, non è che a tutti quelli cui piace ballare sono gay. Prendiamo Roberto Bolle… Ehm, esempio sbagliato.
Prendiamo allora John Travolta…
Ehm, ok, come non detto. Comunque, nonostante balli, Zac Efron non è gay. Almeno, non in questo film.

"Nicole, mi sa che hai sbagliato film. Questo non è mica Nymphomaniac..."

Con un sacco di carne al fuoco, e con carne intendo soprattutto quella di Nicole Kidman, è ovvio che non tutto risulti cotto a puntino. Alcune scene vanno oltre ogni limite del buon gusto e del buon senso, appaiono del tutto gratuite e inutili per gli sviluppi della storia. La storia, narrata dalla cantante-attrice Macy Gray, perché a Lee Daniels piace tanto lavorare con cantanti-attori come anche Mariah Carey e Lenny Kravitz, è un gran pasticcio e non è nemmeno così interessante. I momenti più visionari sono girati malamente. I dialoghi più che divertenti appaiono spesso e volentieri ridicoli.
Eppure… eppure io un film pasticciato e pasticcione come questo non me la sento di odiarlo. The Paperboy è una porcheria e una porcata trash, però ha ritmo, una buona colonna sonora, si lascia seguire con un sorriso divertito dall’inizio alla fine, senza annoiare nonostante poggi su una trama thriller poco entusiasmante. È il classico film di cui è talmente facile parlare male che io non voglio farlo, perché The Paperboy fa schifo, ma uno schifo bello.
Vabbè, bello, adesso non esageriamo. Diciamo uno schifo bellino.
(voto 6+/10)

mercoledì 15 gennaio 2014

THE BUTLER – UN BLOGGER ALLA CASA BIANCA




Buongiorno badroni bianghi, cosa vi botere bortare?
Voi volere recensione di The Butler?
Lo so che voi aspettare già da un bo’, berò io essere imbegnato con classifiche di fine anno e boi essere imbegnato a servire un tibo abbastanza imbortante, uno che vive in una casa bianga, bianga come voi, e quindi scusare tanto se no trovare tembo ber fare recensione. Che boi non essere una di quelle recensioni fondamentali, amico. No si trattare di una di quelle che esaltare e consigliare di vedere il film a tutti i costi, e no si trattare nemmeno di stroncatura secca. Essere biuttosto una di quelle recensioni medie per una bellicola media che avere bregi e difetti e io boi berché barlare così? Io avere studiato in ottima scuola con voi bianghi e boi in questo film gente no barlare così, io confondere con Australia di Baz Luhrmann, quindi io ora smettere di barlare così, okay badroni?


The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca
(USA 2013)
Titolo originale: The Butler
Regia: Lee Daniels
Sceneggiatura: Danny Strong
Ispirato all’articolo: A Butler Well Served by This Election di Wil Haygood
Cast: Forest Whitaker, Oprah Winfrey, David Oyelowo, Cuba Gooding Jr., Terrence Howard, Yaya Alafia, Jesse Williams, Lenny Kravitz, John Cusack, Robin Williams, James Marsden, Minka Kelly, Liev Schreiber, Nelsan Ellis, Alan Rickman, Jane Fonda, Mariah Carey, David Banner, Alex Pettyfer, Vanessa Redgrave
Genere: servizievole
Se ti piace guarda anche: The Help, Forrest Gump

La prima cosa di una pellicola che salta all’occhio di un pubblico di bianchi sono i difetti. Ah, i bianchi, mai contenti di niente! Sempre a guardare il lato negativo delle cose. The Butler è un film di quelli che trattano una tematica impegnata, come lo schiavismo e il razzismo, è pieno di retorica, è un’americanata ruffianata, in pratica. Questo è un difetto, senza dubbio. Però al suo interno non ci sono solo difetti.
Gli attori sono bravissimi e questo potrebbe non sembrare un difetto, però forse un po' lo è perché sono di quel bravissimo perfetto per l’Academy e per i premi vari. Un bravissimo talmente perfetto che perfino l’Academy potrebbe non cascarci più, considerando ad esempio come ai Golden Globe il film a sorpresa sia stato ignorato alla grande. Ed è un peccato, perché Forest Whitaker offre una performance notevole, non ai livelli di Ghost Dog, che quello rimane un film che vale una carriera e pure una vita, però è comunque notevole. Molto più ad esempio del pessimo Tom Hanks del pessimissimo Captain Findus. E ancor più degna di nota è la non protagonista Oprah Winfrey. Sì, “quella” Oprah Winfrey. La presentatrice più importante e ricca della tv americana, qui davvero fenomenale nei panni vestiti in maniera dannatamente naturale della moglie di Forest Whitaker.


Stupisce pure una irriconoscibile Mariah Carey in un piccolo ruolo, mentre Lenny Kravitz si conferma caratterista di razza ed è ormai capace di far dimenticare di essere una rockstar sexy e desiderata in tutto il mondo. Al cinema anzi è proprio bruttarello. È più bello Forest.
Da tenere d’occhio poi la fighissima e stylosissima Yaya Alafia (anche nota come Yaya DaCosta), quella de I ragazzi stanno bene, e il giovane David Oyelowo, che ha la parte del figlio maggiore di Whitaker. È proprio nel rapporto padre/figlio, nello scontro tra due differenti generazioni e tra due differenti modi di essere “negro” che il film ha i suoi momenti più intensi ed efficaci. È qui che sta il cuore del film.


Forest Whitaker è il cameriere di colore che passa la sua vita al servizio dei bianchi. Vive dentro al Sistema ma, zitto zitto, contribuisce in qualche modo a cambiarlo. Se oggi alla Casa Bianca siede un uomo di colore è anche grazie a uno come lui. Dall’altra parte il figlio David Oyelowo è invece un rivoluzionario, un ribelle, una Black Panther, uno che non ci sta a servire l’uomo bianco, lo Zio Tom, sì badrone. È anche grazie a quelli come lui se oggi alla Casa Bianca siede un uomo di colore. È qui che il presunto buonismo della pellicola, molto evidente in superficie, comincia a non essere poi tanto evidente. A contribuire al cambiamento sociale, al Change, ci sono stati pure i movimenti violenti. Questo è ciò che suggerisce il film e non è che sia proprio un messaggio così ruffiano o politically correct, che ne bensate, badroni?
La vera mazzata offerta dallo script di Danny Strong, mitico Jonathan in Buffy – L’ammazzavampiri e goldenglobbizzato per l’ottima sceneggiatura del film tv HBO Game Change, è però un’altra. Il film paragona infatti in maniera esplicita la segregazione razziale americana ai campi di concentramento nazisti, una cosa che non si sente certo tutti i giorni in una grossa produzione hollywoodiana. Non ad esempio nel ben più ruffiano Forrest Gump, film che voi badroni bianchi tanto amare.

"Il mio nome è Forest Gum... volevo dire Forest Whitaker."

Peccato che non tutta la pellicola sia altrettanto coraggiosa. Non lo è ad esempio la regia di Lee Daniels. L’autore del notevole Precious sembra aver messo da parte la ferocia di quel film, potente non solo a livello di contenuti ma anche stilisticamente, e qui adotta una regia molto formale, molto piatta. È come se Lee Daniels fosse passato dall’essere un giovane ribelle nero incazzato, come David Oyelowo nel film, a un uomo maturo che cerca di convivere dentro il sistema giocando secondo le regole, come Forest Whitaker nel film. Ed è così che ha firmato una pellicola che a livello registico poteva osare di più e che a livello di contenuti ha qualche spunto non male ma poi a un certo punto è come se tirasse indietro la mano, mentre a livello emotivo non riesce a essere coinvolgente tanto quanto una pellicola che affronta una tematica simile come il più efficace The Help.

La sfida di un racconto diluito parecchio nel tempo come questo, si parte dagli anni ’20 e si arriva al presente, era ardua. La sceneggiatura di Danny Strong ne esce in maniera tutto sommato decente, considerando i quasi 100 anni da raccontare. Nel voler trattare una storia e una Storia tanto ampie e lunghe, a essere tratteggiati in maniera inevitabilmente superficiale sono i vari presidenti degli USA per cui il personaggio di Forest Whitaker lavora: John Cusack nonostante il nasone che gli hanno appiccicato in faccia non c’azzecca un granché con Richard Nixon, Robin Williams è un Eisenhower macchiettistico, James Marsden si sforza ma non è per niente un JFK convincente, Liev Schreiber come Lyndon Johnson si poteva evitare, mentre Alan Rickman come Ronald Reagan ci sta, così come Jane Fonda nei panni della moglie Nancy Reagan.


Tanto tempo, troppo tempo, troppi Presidenti, troppi decenni da raccontare, troppi cambiamenti epocali e parecchi ovviamente non trovano lo spazio che avrebbero meritato. Da una materia così complessa, sia a livello temporale che di contenuti, si poteva tirare fuori un disastro, invece The Butler riesce a portare il suo servizio a buon, diciamo discreto compimento. Il film non dice niente di troppo nuovo a parte il citato paragone schiavismo/nazismo, e ci racconta storie che già conoscevamo. Eppure si lascia guardare dall’inizio alla fine e alcuni momenti, per quanto noti, è sempre bello riviverli. Come l’insediamento di Barack Obama alla Casa Bianca, un passaggio storico epocale almeno quanto il primo passo dell’uomo sulla Luna.

Si poteva, era legittimo pretendere un maggiore coraggio, certo. Ma a volte è meglio non strafare. A volte è meglio agire in maniera più composta, più sotterranea, e contribuire anche così a mutare le cose. C’è poco di rivoluzionario in un film come The Butler, però solamente un paio di passaggi di sceneggiatura per niente politically correct e scontati, come in questo caso, possono bastare. Le cose si possono cambiare pure così. Passo dopo passo. Presidente dopo Presidente. Film dopo film. Un pochino alla volta. Come fare Forest Whitaker in questo The Butler e come fare io, umile cameriere blogger al servizio di voi breziosi e illustri lettori bianghi di Bensieri Cannibali. Certo berò che una volta voi botere anche lasciare a me mancia, brutti badroni sbilorci!
(voto 6+/10)

lunedì 7 ottobre 2013

IL CACCIATORE DI STRAPPONE




Il cacciatore di donne
(USA 2013)
Titolo originale: The Frozen Ground
Regia: Scott Walker
Sceneggiatura: Scott Walker
Cast: Nicolas Cage, Vanessa Hudgens, Dean Norris, John Cusack, Radha Mitchell, 50 Cent, Jody Lyn O’Keefe, Gia Mantegna, Kevin Dunn, Kurt Fuller
Genere: serial thriller
Se ti piace guarda anche: Zodiac, Seven, The Call
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Questo film si basa su eventi realmente accaduti.
No, non mi riferisco alla tragica storia di Nicolas Cage, attore che ormai accetta qualunque parte in qualunque film gli venga offerta per far fronte ai suoi recenti problemi legali, edilizi ed economici. Forse anche mentali. La vicenda qui narrata è quella ancora più drammatica delle sparizioni di numerose ragazze avvenute tra gli anni ’70 e gli ’80. Si tratta di casi legati, riconducibili a un solo uomo, un pazzo serial killer cacciatore di donne.
È quello che la pellicola Il cacciatore di donne (titolo originale The Frozen Ground) ci racconta. O prova a raccontarci, visto che avere Nicolas Cage come detective incaricato delle indagini non è proprio il massimo della vita, per un film. Anche se va riconosciuto che qui, per quanto mediocre, il Nicola Gabbia offre ancora una delle sue prove recitative più decenti degli ultimi tempi. E non è il massimo nemmeno John Cusack nei panni del cattivone o presunto cattivone di turno. Davvero inverosimile nella parte, almeno per me che ancora continuo a immaginarmelo con un grosso stereo sopra la testa come in Non per soldi… ma per amore.


"Pronto? Vorrei denunciare la presenza
di un pazzo con lo stereo fuori da casa mia."
I due protagonistoni della pellicola quindi non funzionano parecchio. Se gli interpreti non sono un granché in forma, i loro personaggi in più sono stereotipatissimi, così come la caccia al serial killer non cattura per niente, visto che fin dall’inizio sappiamo chi è. A salvare la pellicola sono allora i personaggi di contorno. Non tanto un pessimo 50 Cent che farebbe meglio a tornare a fare il rapper, cosa che almeno qualche anno fa gli riusciva abbastanza bene, quanto il solito valido  Dean Norris dritto dalle serie tv Breaking Bad e Under the Dome e soprattutto Vanessa Hudgens.
A salvare il film è… Vanessa Hudgens.
Che cazzo ridete?
Vanessa Hudgens è una grande attrice.
Basta ridere!
Guardate qui una scena a caso in cui dimostra tutto il suo enorme talento.



"Nicolas, questo saresti tu senza parrucchino? Ma sei disgustoso!"
Io adesso voglio dire: prendiamo Meryl Streep. Meryl Streep sarà bravissima a fare la Thatcher e tutto quello che volete. Però ve la vedreste Meryl Streep a fare uno strip nella parte della prostituta spogliarellista?
Io no.
E allora Vanessa Hudgens è meglio di Meryl Steep, almeno quando c’è da fare la strappona. Per interpretare il ruolo della cattiva ragazza, si veda anche Spring Breakers, oggi come oggi non c’è nessuno meglio di lei. Se per dimostrare di essere un’attrice completa e versatile deve ancora farne di strada, quando c’è da recitare la parte della zoccola non la batte nessuno.

"La strappona aveva ragione: sono davvero mostruoso!"
Al di là della Hudgens, capace di dar vita in pieno al suo personaggio, per quanto anch’esso piuttosto stereotipato, non ci sono molti altri motivi di interesse. Il cacciatore di donne è un serial thriller molto tradizionale, scontato, con un’ambientazione anni Ottanta sfruttata solo in piccola parte. A livello registico, l’esordiente Scott Walker non si segnala particolarmente, se non per una bella scena notturna in cui la Hudgens, ancora lei, si imbatte in un alce in mezzo alla strada. Una sequenza che mi ha ricordato il momento di Collateral in cui Tom Cruise guarda il coyote. Scusate se è poco.
Ultima cosa da segnalare: i titoli di coda, tra i più macabri mai realizzati.

Nonostante la sua prevedibilità, nonostante sia un film che non aggiunge nulla a quanto visto in migliaia di altre pellicole simili, la visione procede bene e, anche se possiamo immaginare con facilità come andrà a finire, in maniera pure leggermente tesa.
Un film prescindibilissimo, or dunque, e per nulla originale, ma che non possono comunque far mancare alla loro collezione i fans di Vanessa Hudgens e i cacciatori di serial killer. Intendo i cacciatori di serial killer cinematografici perché, se siete veri detective, fareste meglio ad andare fuori a dare la caccia ai veri assassini, invece di stare a perdere tempo a guardare un film con Nicola Gabbia.
(voto 6-/10)

venerdì 19 aprile 2013

ALTA FEDELTA’... ALLE CLASSIFICHE


Alta fedeltà
(UK, USA 2000)
Regia: Stephen Frears
Sceneggiatura: D.V. DeVincentis, Steve Pink, John Cusack, Scott Rosenberg
Tratto dal romanzo: Alta fedeltà di Nick Hornby
Cast: John Cusack, Iben Hjejle, Todd Louiso, Jack Black, Lisa Bonet, Catherine Zeta-Jones, Tim Robbins, Lily Taylor, Joan Cusack, Joelle Carter, Natasha Gregson Wagner, Drake Bell, Bruce Springsteen, Sara Gilbert
Genere: musicalesistenziale
Se ti piace guarda anche: About a Boy - Un ragazzo, L’amore in gioco, Non mi scaricare, School of Rock, Be Kind Rewind, Non per soldi… ma per amore

Dovete sapere che la creazione di una grande compilation richiede più fatica di quanto sembri. Devi iniziare alla grande, catturare l'attenzione! Allo stesso livello metti il secondo brano, e poi devi risparmiare cartucce inserendo brani di minore intensità. Eh... sono tante le regole.
Rob Gordon/John Cusack (Alta fedeltà)

La creazione di una recensione segue all’incirca le stesse regole di quelle di una compilation. L’attacco dev’essere qualcosa che attira subito l’attenzione, e cosa meglio di una bella citazione pronta e servita su un piatto d’argento?
Alta fedeltà è fatto apposta per essere citato. Il libro ancora più del film. Che poi va sempre così. Il libro è meglio del film e anche questo è il caso. Però, per quanto il romanzo originale di Nick Hornby sia ancora più mitico, la trasposizione cinematografica è davvero ottima e rimane anche a distanza di qualche annetto una delle commedie più scoppiettanti e divertenti del nuovo millennio. L’ambientazione è passata da Londra a Chicago, si è americanizzato il tutto, alcune cose sono state semplificate ma per me resta un buonissimo esempio di come adattare un romanzo cult in una pellicola cult allo stesso livello o quasi.

Top 5 delle trasposizioni cinematografiche da libri che ho letto
1) Le regole dell’attrazione da Bret Easton Ellis
2) Il giardino delle vergini suicide da Jeffrey Eugenides
3) Il silenzio degli innocenti da Thomas Harris
4) Fight Club da Chuck Palahniuk
5) Trainspotting da Irvine Welsh

Per il protagonista di Alta fedeltà, Rob Gordon nel film/Rob Fleming nel libro, una compilation deve riuscire a parlare di te stesso, sfruttando però l’arte creata da altri. Ed è anch’essa un’arte. Una cosa valida per le canzoni, così come pure per i film. Se dovessi fare una top 5 dei film che parlano in qualche modo di me, ci metterei sicuramente dentro Alta fedeltà per la passione musicale dei vari personaggi e per la mania maniacale del protagonista di fare liste. Ancora di più mi ritrovo però nel protagonista di un altro romanzo di Nick Hornby, About a Boy - Un ragazzo, anch’esso trasposto in una pellicola americanizzata ma comunque godibile, nonostante l’attualizzazione della vicenda agli Anni Zero abbia eliminato i riferimenti a Kurt Cobain che rendevano il romanzo ancora più memorabile.

Top 5 dei film con cui in qualche modo mi identifico con i protagonisti
1) About a Boy
2) Alta fedeltà
3) (500) giorni insieme
4) Drive
5) Noi siamo infinito

"No, il nuovo dei One Direction non ce l'abbiamo. Ma sai dove puoi trovarlo?
Nella spazzatura, ecco dove."
Tornando fedeli ad Alta fedeltà, tra l’altro titolo geniale, è una pellicola ovviamente ad altissimo tasso di musicalità. Con dei personaggi del genere, d’altra parte, non poteva essere altrimenti. Per chi non lo sapesse, Rob/John Cusack è infatti un ex dj proprietario di un negozio di dischi, assistito da due altri geek musicali non da meno: il timido Todd Louiso, di recente riciclatosi come regista ma con risultati decisamente pessimi (vedi Un microfono per due), e lo scatenato Jack Black, il cui successivo School of Rock sembra quasi uno spinoff ritagliato sul suo personaggio in Alta fedeltà.

Top 5 interpretazioni di Jack Black
1) Alta fedeltà
2) School of Rock
3) Be Kind Rewind
4) Amore a prima svista
5) King Kong

Anche io da ragazzino sognavo di lavorare un giorno in un negozio di dischi. Poi sono arrivati Napster e la crisi dell’industria musicale e oggi aprire un negozio di dischi appare un’idea furba tanto quanto mettere su un Blockbuster. Tanto per dire, il proprietario del record store della mia cittadina in cui andavo a comprare i CD da teenager adesso s’è messo a fare il becchino, fatto che trovo particolarmente simbolico e ironic, come canterebbe Alanis Morissette. O, come canterebbe Bob Dylan, the times they are a-changin’…

"Ford, te lo devo proprio confessare: preferisco nettamente
Pensieri Cannibali a WhiteRussian!"
Top 5 dei miei lavori ideali
1) Marito mantenuto di Jennifer Lawrence
2) Selezionatore di musiche per spot pubblicitari
3) Fare il terzo Daft Punk
4) Assaggiatore di birra Guinness
5) Recensore cinematografico pagato profumatamente

Tre malati di musica le cui vite nel negozio di dischi e fuori sono accompagnate da una colonna sonora che passa da Marvin Gaye ai Belle and Sebastian, da Elton John a Bruce Springsteen (presente anche in un cameo che avrà fatto avere un attacco di cuore al mio blogger rivale Ford), passando per Joan Jett, Katrina & the Waves, Chemical Brothers, Goldie, Velvet Underground, Bob Dylan, Stereolab e un sacco di altri.

Top 5 canzoni del film
1) Jack Black nella cover di “Let’s Get It On” di Marvin Gaye
2) Beta Band “Dry the Rain”
3) Lisa Bonet nella cover di “Baby I Love Your Way” di Peter Frampton
4) Belle and Sebastian “Seymour Stain”
5) Stevie Wonder “I Believe (When I Fall in Love It Will Be Forever)”

Oltre a quei tre disgraziati dei personaggi maschili, sfilano anche la tipa presente e le ex di Rob/John Cusack. Una galleria di donne molto variegata in cui spiccano una Catherine Zeta Jones spumeggiante e una bona Lisa Bonet, mentre più in ombra resta la protagonista femminile vera e propria, l’impronunciabile danese Iben Hjejle, che dopo questa pellicola non stupisce sia tornata abbastanza nell’oblio.

Top 5 donne di Alta fedeltà
1) Catherine Zeta Jones
2) Lisa Bonet
3) Natasha Gregson Wagner (la giornalista musicale)
4) Iben Hjejle
5) Joelle Carter

Musica, donne, risate, qualche momento più introspettivo ma non troppo, una serie di personaggi fantastici… difficile chiedere di più a una commedia. Spiace averla tradita con altri film negli ultimi anni, ma a ritrovarla Alta fedeltà è ancora in splendida forma e una botta gliela si dà di nuovo più che volentieri. Anche più di una. Fino a che non capiterà di innamorarsi di nuovo.
(voto 8+/10)

Post pubblicato anche su L'OraBlù, con il nuovo minimal poster creato da C(h)erotto.


sabato 11 agosto 2012

Il cinema spiccio (Cannibal version)




Questa è una pellicola stra-consigliata parecchio tempo fa dal collega blogger Frank Manila, recuperata solo di recente, e quindi mi cimenterò in una (almeno nelle intenzioni) breve recensione in onore del suo cinema spiccio.
Il post è stato pubblicato anche su L'orablu.

Sacco a pelo a tre piazze
(USA 1985)
Titolo originale: The Sure Thing
Regia: Rob Reiner
Cast: John Cusack, Daphne Zuniga, Nicollette Sheridan, Anthony Edwards, Tim Robbins, Viveca Lindfors
Genere: commedia super 80s
Se ti piace guarda anche: Non per soldi… ma per amore, Una pazza giornata di vacanza, Risky Business, Fuori di testa, Licenza di guida

Cult anni ’80 cercasi. Ognuno ha i suoi cult personali e a volte è difficile spiegare razionalmente perché ti piacciano tanto. È così e basta. Sarà perché da piccolo ti sono rimasti dentro, magari a livello inconscio. Sarà che non si può cercare sempre una spiegazione razionale per tutto. L’eccessiva razionalità è una brutta bestia.
Sacco a pelo a tre piazze è un film gradevole e simpatico che scorre via veloce come perfetta visione estiva, con un tuffo negli anni Ottanta completo, ma che poteva riservare qualche soddisfazione maggiore. La storia è davvero basic, con un ragazzo come tanti che non riesce ad ambientarsi al college e allora decide di fare un viaggio per tutti gli USA in modo da ribeccare il suo migliore amico a Los Angeles e soprattutto una bionda che gliela darà sicuramente: è lei (almeno inizialmente) la “Sure thing” del titolo originale (velo pietosissimo invece su quello italiano). Il viaggio però lo farà insieme a una sua compagna di college tutta perfettina, che vuole andare a L.A. per trovare il boyfriend perfettino pure lui (e pure parecchio nerd). Uno spunto che verrà poi vagamente ripreso qualche anno più tardi da Harry ti presento Sally, solo che in quel caso la destinazione è NYC non L.A..

"Bello, questo film. L'ha consigliato Cannibal?"
"No, Frank Manila."
"Ah ok, l'importante è che non sia sponsorizzato da Mr. James Ford..."
Un film piacevole, dicevo, ma che comunque non va oltre la soglia del “cariiiiino”. Perché?
Perché le battute snocciolate soprattutto dal John Cusack fanno ridere o più che altro sogghignare, ma non sghignazzare del tutto in maniera liberatoria e goduriosa.
La colonna sonora è carina, ma a parte la grande You Might Think dei Cars che si staglia nella memoria, il resto viene usato come sottofondo gradevole quanto mai incisivo.
La coppia di attori devo poi dire che non mi ha fatto impazzire, ma specifico anche che i due non mi hanno mai fatto impazzire. John Cusack boh, per me è una grande incognita, ha una carriera ormai quasi trentennale sul groppone eppure non ricordo una sua sola interpretazione memorabile, visto che in film come Alta fedeltà o Essere John Malkovich se la cava sì, però sono film che a me hanno lasciato addosso una sensazione particolare: quella che con un altro protagonista sarebbero potuti essere ancora migliori.
La sua compagna di viaggio è una ragazza tutta l’opposta del Cusack: tanto lui è confusionario, cazzaro e indeciso sul suo futuro, tanto lei è precisina, organizzata, secchiona e impegnata in una sterile relazione. A darle volto c’è Daphne Zuniga, che negli anni ’90 diventerà una delle protagoniste del telefilm Melrose Place e sarà una delle inquiline che mi staranno più sulle balle. Anche perché vogliamo mettere la Zuniga con Marcia Cross (poi in Desperate Housewives), Laura Leighton (ora in Pretty Little Liars) e soprattutto Heather Locklear, l’interprete della super bitch per eccellenza della tv americana, alias Amanda Woodward? Eh no, non c’è proprio competizione.

"Hey tu, sveglia! Sei più noioso di Susan Mayer..."
A proposito di Desperate, comunque, in questo Sacco a pelo a tre piazze fa il suo esordio assoluto su grande schermo la biondazza Nicollette Sheridan, qui la “Sure Thing” dei sogni del Cusack e che poi interpreterà la (apparentemente) meno disperata tra le casalinghe, quel pu**anone di Edie Britt. La Sheridan poi litigherà con l’autore della serie Marc Cherry e questi per vendetta farà morire il suo personaggio in maniera davvero tragica e bastarda. Ma questa, a quanto si suol dire, è un’altra storia…

Tornando al film, ormai mi sto dilungando e divagando troppo e non è più tanto una recensione spiccia. E allora arriviamo alle conclusioni rapide: nonostante un finale buttato via in maniera troppo veloce e nonostante mi aspettassi qualcosina in più, questo rimane comunque un must watch per gli appassionati di cinema del decennio. Don’t you forget about 80s.
(voto 6,5/10)

martedì 6 luglio 2010

Ritorno al passato (Hot Tube Time Machine)

Hot Tube Time Machine
(USA, 2010)
Regia: Steve Pink
Cast: John Cusack, Rob Corddry, Craig Robinson, Clark Duke, Lizzy Caplan, Lyndsy Fonseca, Collette Wolfe, Sebastian Stan, Crispin Glover, Chevy Chase

Tra i mille remake e recuperi di idee dal passato (l’A-Team, ma per favore?!), mi chiedo perché nessuno stia pensando a realizzare un nuovo capitolo di Ritorno al futuro. La magia della trilogia originale (e in particolare dei primi due episodi) non potrà mai essere la stessa, è vero, però ci potrebbero essere così tanti spunti che sto pensando io stesso di realizzare una sceneggiatura.
Un film che comunque in parte riprende l’idea del viaggio nel tempo con evidenti richiami al Film Mito è questo Hot Tube Time Machine, una delle commedie più apprezzate negli USA dell’attuale stagione.

John Cusack e il suo vecchio gruppo di amici con cui non si vedeva più da un pezzo decidono di andare a fare un viaggio in montagna per ricordare i vecchi tempi (e sì, vabbé, anche per scoraggiare i tentativi di suicidio di uno della cumpa). Pur con un pretesto narrativo assurdo (non una Delorean, ma una vasca idromassaggio che si trasforma in macchina del tempo!!), i tre old friends (più il nipote nerd di Cusack, interpretato da Clark Duke della serie tv Greek) si ritrovano così di nuovo giovincelli e negli anni Ottanta, con tutto un futuro davanti da modificare. C’è qualche gag prevedibile (il colore della pelle di Michael Jackson, il walkman e cose così…) ma anche un team di protagonisti più disperati della media nel genere comedy, alcuni momenti molto divertenti alla Una notte da leoni e un gruppetto di splendide attrici (Lyndsy Fonseca, Collette Wolfe, Lizzy Caplan) che sembrano perfette sorelline delle icone del decennio come Phoebe Cates, Kelly LeBrock e Molly Ringwald (non casuale anche un omaggio al mitico 16 Candles – Un compleanno da ricordare).

L’omaggio a Ritorno al futuro si palesa con una versione di “Let’s get it started” dei Black Eyed Peas che rimanda alla scena in cui Marty McFly propone “Johnny Be Good” al pubblico degli anni ’50 e quindi con la presenza in una particina di Crispin Glover, alias George McFly, il padre sfigato di Marty, cui anche qua è destinata una parte decisamente sfigata (è un tizio destinato a perdere il braccio in qualche modo).
Per tutti gli Ottanta-nostalgici, gli appassionati di viaggi nel tempo cinematografici e di commedie made in U.S.A.: imperdibile.
(voto 7+)

Per il momento è disponibile solo in inglese con sottotitoli italiani, ma dovrebbe arrivare prima o poi anche in Italia (sebbene al momento non siano previste date d’uscita), se non altro per la presenza di John Cusack e il buon risultato ai botteghini americani.

Potete trovare il film QUI
e i sottotitoli italiani QUI

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