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lunedì 8 ottobre 2018

Gli effetti di Maniac sulla gente, o almeno su di me





Maniac
(miniserie tv)
Network: Netflix
Creata da: Patrick Somerville
Regia: Cary Joji Fukunaga
Cast: Jonah Hill, Emma Stone, Justin Theroux, Sonoya Mizuno, Sally Field, Gabriel Byrne, Julia Garner, Billy Magnussen, Jemima Kirke, Grace van Patten


Non sono un tipo da binge watching. Lo so che è una cosa fuori moda. Un po' come ascoltare musica rock, e farlo pure con le musicassette nel Walkman. Il vinile è vintage, il vinile è cool. Le musicassette invece sono solo fuori moda. Ed è un po' come essere di sinistra. Il rock e la sinistra sono cose che prima o poi torneranno di moda, probabilmente. Prima o poi tutto torna di moda, persino i Pokemon qualche tempo fa sono tornati di moda. Ho detto i Pokemon, Cristo Santo! Prima o poi tutto viene rivalutato, pure il cinema dei Vanzina...
Quello non è ancora stato rivalutato? Mi pareva di sì.

venerdì 10 ottobre 2014

22 JUMP STREET, IL SEQUEL FOTOCOPIA





22 Jump Street
(USA 2014)
Regia: Phil Lord, Christopher Miller
Sceneggiatura: Michael Bacall, Oren Uziel, Rodney Rothman
Cast: Jonah Hill, Channing Tatum, Ice Cube, Amber Stevens, Wyatt Russell, Peter Stormare, Jillian Bell, Dave Franco, Nick Offerman, Patton Oswalt, Queen Latifah, Craig Roberts, Diplo, Anna Faris, Bill Hader, Seth Rogen, Richard Grieco
Genere: college di polizia
Se ti piace guarda anche: Mai stata baciata, Una spia non basta, Scuola di polizia, 21 Jump Street (la serie)

Il primo fatto che salta agli occhi di questo 22 Jump Street non è il Jonah Hill sempre più dimagrito, ormai ce ne siamo già abituati mentre lui intanto forse è ingrassato di nuovo. A jumpare subito in maniera evidente alla vista è il fatto che sia un film tratto da un film che a sua volta era già tratto da un vecchio telefilm.

In tal senso, i precedenti non è che siano stati dei più positivi: Charlie’s Angels, Starsky & Hutch, Hazzard, A-Team… tutti filmetti davvero poco degni di nota. E pure di rispetto, quindi dico BLEAH, che schifo!
Tutte operazioni, o meglio tentativi, di aggiornare all’epoca moderna vecchie storie da piccolo schermo con risultati in bilico tra il ridicolo e il tragico. Senza però risultare tragicamente divertenti. Soltanto delle minchiatone. Qualcuno citerà allora la saga di Mission: Impossible tomcruisizzata. E va bene, in quel caso la resa cinematografica, seppure altalenante, è stata decente. Però certo che, se anche non l’avessero fatta, io non avrei sentito un grosso vuoto dentro la mia anima.

Con tali precedenti non certo esaltanti alle spalle, le premesse erano tragiche per questo 22 Jump Street, che peraltro è il sequel della versione cinematografica della serie tv. Mi viene infatti in mente Charlie's Angels 2, che era peggio, e molto, persino del già modestissimo primo film.
Quanto alla serie cui si ispira, 21 Jump Street è stato un telefilm 80s andato in onda negli Usa tra il 1987 e il 1991 per ben cinque stagioni, con un buon successo in patria. In Italia il serial è stato invece trasmesso da Italia 1 con il titolo I quattro della scuola di polizia ma non mi risulta sia diventato un fenomeno di massa né di culto. Dalle nostre parti, la serie risulta vagamente conosciuta soprattutto per aver lanciato la carriera del giovane Johnny Depp, che già pochi anni addietro aveva esordito nel primissimo mitico A Nightmare on Elm Street. Dove non faceva una bella fine, se non ricordo male… Qualche anno più tardi Depp mani di forbice avrebbe però preso spunto per le unghie affilate proprio da Freddy Krueger. Chissà, probabilmente all’epoca i due si facevano la manicure nello stesso posto.

Premettendo che non ho mai visto la suddetta serie tv 21 Jump Street, mi sembra comunque che in questo sequel del remake non si sia tentata tanto un’operazione nostalgia, ma si sia preso semplicemente spunto dalla trama del telefilm per creare qualcosa che parli di oggi.
L’idea della serie è quella di reclutare degli agenti di polizia giovani e infiltrarli in un college spacciandoli per studenti normali in modo da catturare degli spacciatori di droga (e nel telefilm immagino anche per altri crimini di natura varia). La storia dell’infiltrato funziona sempre, da Point Break a Fast & Furious, perché è un modo efficace per raccontare un determinato mondo, dal surf alle auto truzzate, attraverso il punto di vista di un esterno che però fa il doppiogioco e poi finirà immancabilmente per farsi catturare anche lui dal fascino di quel determinato mondo e scusate se vi ho spoilerato sia Point Break che Fast & Furious.
Anche se il film che mi ha ricordato di più questo 22 Jump Street è Mai stata baciata, commedia romantica in cui Drew Barrymore per scrivere un articolo sui giovani si finge una studentessa e torna al liceo, rivivendo gioie e soprattutto dolori dell’epoca.

Anche applicato al tema adolescenziale, questo è un espediente narrativo parecchio comune. Non quello del poliziotto infiltrato, ma dell’esterno in generale. Capitava ad esempio in Beverly Hills 90210 a Brandon & Brenda, due gemelli montanari provenienti dal Minnesota che da un giorno all’altro si ritrovano a trasferirsi sotto il sole glamour di L.A. e a dover cambiare il loro stile di vita in maniera radicale in quattro e quattr’otto. E ben felici di farlo. Così come succedeva in The O.C., dove Ryan Atwood (il Ben McKenzie oggi detective di Gotham), giovane criminale che fotteva le auto radio nel quartiere del Chino, veniva pure lui catapultato all’improvviso al sole della California a vivere in una villa con piscina mega-sborroneria per ricconi.

Senza andare a trovare ulteriori collegamenti con serie varie, torniamo sulla retta via di 22 Jump Street. Nel film c'è un breve cameo di uno dei protagonisti del telefilm originale, Richard Grieco, mentre questa volta Johnny Depp non si degna manco di apparire. Per il resto, il film è assolutamente indipendente dalla serie tv e quindi godibile da tutti, anche da chi non ha visto il primo film, riassunto in maniera veloce ed esilarante all'inizio, e infatti la pellicola ha ottenuto un successo enorme negli USA portando nelle sale anche chi il telefilm manco l'aveva mai sentito nominare. Chissà allora a questo punto che non facciano anche un vero terzo capitolo, dopo quelli fittizi dei titoli di coda. In Italia invece l'hanno proposto praticamente senza promozione in una manciata di salette nel periodo estivo e, così come già con l'episodio precedente, non se l'è filato quasi nessuno. Complimenti.

22 Jump Street - il film è un film con venature action e poliziesche leggere. Ma soprattutto, è una comedy molto jump around, jump around, jump around, jump up jump up and get down! Le scene più d’azione infatti lasciano il tempo che trovano. A convincere è soprattutto la parte comica, il bel susseguirsi di battute e di momenti folli e divertenti. Alcuni persino deliranti, come quando i due protagonisti si drogano. Funziona poi molto bene l’alchimia tra i due protagonisti, i diversissimi Jonah Hill e Channing Tatum...

Hey, un momento...
Avete per caso avuto una sensazione di deja vu? Questo post vi suona stranamente famigliare? Vi sembra di averlo già letto prima?
Beh, probabilmente perché l'avevate già letto, nel giugno 2012. Quella che avete trovato sopra è infatti la recensione che avevo scritto di 21 Jump Street, giusto un minimo riadattata.

Perché vi ho tirato questo scherzetto?
Perché, oltre al fatto che sono un bastardo, in pratica è quanto fa anche 22 Jump Street. La missione in cui sono coinvolti i due agenti protagonisti Jonah Hill e Channing Tatum è praticamente identica a quella precedente, con l'unica variante dell'ambientazione del college anziché quella del liceo. 22 Jump Street non cerca quindi di fare come tanti sequel che fingono di essere differenti dal primo capitolo quando non lo sono. 22 Jump Street è uguale a 21 Jump Street e non fa niente per nasconderlo. Squadra che vince non si cambia. Film che vince non si cambia. Il primo funzionava e, per quanto affiori una sensazione di deja vu, funziona pure questo secondo.
Com'è possibile che funzioni e com'è possibile che a me sia piaciuto, visto che io i sequel li critico sempre e comunque? Non avendo ancora (colpevolmente) mai visto Il padrino - Parte II, l'unico seguito che credo di aver apprezzato quanto (e forse un pochino di più) dell'originale è stato Ritorno al futuro - Parte II. Tutti gli altri mi hanno immancabilmente deluso, o annoiato, o fatto incazzare, o tutte queste cose messe insieme, benché alcuni non fossero troppo male. Mi viene in mente giusto Scream 2 e non è un caso. In quello, così come in questo 22 Jump Street, si ironizza sul concetto stesso di sequel. Da subito si mette in luce il fatto che il numero 2 non sarà mai al livello dell'1 e così, mettendo in chiaro questo aspetto, ne esce una pellicola che può avere una sua dignità.

22 Jump Street ridicolizza l'idea di seguito e la ripetizione all'infinito di una stessa idea (si vedano i titoli di coda) ed è questa la sua arma vincente. Oltre a ciò, la sua ironia prende di mira in maniera ancora più estrema i classici buddy movie polizieschi alla 48 Ore, Tango & Cash e numerosissima compagnia varia. Come il primo episodio, più del primo episodio. Il rapporto tra Jonah Hill e Channing Tatum viene qui presentato come quello tra due fidanzatini, portando il bromance tipico di questo genere di film a livelli mai toccati prima.
Fondamentalmente è tutto come nel precedente capitolo, citazionismo compreso, che qui va a toccare tra le altre cose Arma letale, Spring Breakers e pure il videogame Grand Theft Auto, il primo mitico GTA, nella scena con ripresa dall'alto. Oltre a una trama pressoché invariata, vengono riprese quasi pari pari pure numerose scene, come quella in cui i due protagonisti si drogano e hanno le visioni, o il sacrificio di uno che si prende un proiettile per salvare l'altro.
Il colpo di genio di questa pellicola sta proprio in questo: fare una copia spudorata ed esplicita del primo film. Prendere di nuovo dalle tasche del pubblico i soldi del biglietto con una pellicola identica all'altra, senza l'ipocrisia di tanti seguiti in circolazione. 22 Jump Street è un sequel fotocopia, ma se non altro lo dichiara e non lo tiene nascosto. Io questa la chiamo onestà intellettuale...
Va beh, considerando il livello della comicità del film, intellettuale mica tanto. Diciamo solo onestà e basta.
(voto 6+/10)

lunedì 27 gennaio 2014

THE WOLF OF WALL F**KIN’ STREET




The Wolf of Wall Street
(USA 2013)
Regia: Martin Scorsese
Sceneggiatura: Terence Winter
Tratto dal libro: The Wolf of Wall Street di Jordan Belfort
Cast: Leonardo DiCaprio, Jonah Hill, Margot Robbie, Kyle Chandler, Matthew McConaughey, Cristin Milioti, Rob Reiner, Jon Bernthal, Jean Dujardin, Joanna Lumley, Jon Favreau, Shea Whigham, P.J. Byrne, Kenneth Choi, Henry Zebrowski, Brian Sacca, Ethan Suplee, Jake Hoffman, Spike Jonze
Genere: yuppie
Se ti piace guarda anche: Wall Street, Wall Street – Il denaro non dorme mai, American Psycho, Il segreto del mio successo, Yuppies – I giovani di successo

The Wolf of Wall Street è il film con il maggior numero di f**k pronunciati nella storia del cinema, ben 506 in 3 ore di pellicola, per una media di 3 parolacce circa al minuto. Se non ci credete, potete guardare QUI il video in cui sono condensate tutte in pochi minuti.

Pensieri Cannibali comprende ed è vicino però anche alla parte più sensibile del suo pubblico e, a chi si è sentito offeso dal linguaggio scurrile utilizzato in questa pellicola, consiglio di saltare la versione uncensored della mia recensione per soli lupi e andare direttamente a fondo pagina a leggere quella censurata adatta pure agli agnellini.
E poi non dite che non penso anche a voi, maledetti cagacazzo.


La versione non censurata della recensione di Pensieri Cannibali
Caaazzzzzo che film! Cazzo cazzo cazzo cazzo e porcocazzo di un cazzo cazzone cazzaro che film!
Era dai tempi di Scarface che un film non me lo faceva venire tanto duro. No, non dal 1932 quando è uscito il film di Howard Hawks prodotto da Howard Hughes, quello di The Aviator di Martin Scorsese con Leonardo DiCaprio e pensate sia un caso se l’ho citato? A dirla tutta sì. È stato proprio un cazzo di caso fortunato.
E non intendo nemmeno dagli anni ’80, quando è uscito lo Scarface firmato da Brian De Palma. Cosa pensate, succhiacazzi? Che sia così vecchio? No, l’ho guardato molto più di recente. Negli anni zero. Quelle merde degli anni zero. E me l’ha fatto venire duro, Scarface, anche se niente a paragone con The Wolf of Wall Street. Tre ore di erezione senza pause e senza bisogno di Viagra. Sti gran cazzi e sti gran fugazi.

Ci sono i film normali, ci sono quelli un po’ strani, ci sono quelli strani forte e poi c’è The Awwwww of Wall Street che è una categoria a parte.
Cazzo, che botta. Questo film vi farà venir voglia di essere un broker, poi vi farà odiare i broker e poi ancora vi farà venir voglia di nuovo di essere un broker e avere tanti soldi e fottere le persone fottere le fighe fottere tutti quelli che ti capitano a tiro e se a tiro ti capita anche un po’ di coca, meglio se spalmata in mezzo a delle chiappe sode, cosa chiedere di più dalla vita?

Di cosa cazzo parla, The Wolf of Wall Street?
La domanda da fare non è tanto questa, ma è: di chi cazzo parla, The Wolf of Wall Street?
The Wolf of Wall Street parla di Jordan Belfort, un uomo che riuscirebbe a vendere un bambino a sua madre. Questa non è una citazione del film, è roba mia: copyright Cannibal Kid©, se la usate e non mi citate vi faccio causa, capito stronzetti?
Jordan Belfort è un venditore nato che va a fare il broker a Wall Street e comincia a farsi le ossa in mezzo ai pezzi di merda grossi con cui se la deve vedere se vuole sopravvivere. Wall Street è come una cazzo di giungla ed è un po’ come la cazzo di Hollywood. Nel film, Jordan Belfort si trova come satanico mentore Matthew McConaughey, che lo trasformerà da novellino della Grande Mela a una specie di incrocio tra uno yuppie alla Gordon Gekko e un teleimbonitore alla Matteo Renzi… volevo dire alla Silvio Berlusconi. Me li confondo sempre. Non credo di essere il solo.
A Hollywood, l’interprete di Jordan Belfort, Leonardo DiCaprio, la notte dei fottuti Oscar se la dovrà vedere proprio con McConaughey se vorrà portarsi a casa la sua prima tanto agognata statuetta dorata. Quei brutti pezzi di stronzi dell’Academy ce la faranno finalmente a consegnargliela tra le manine?
Leo è stato bravo in passato. Nel già citato The Aviator ad esempio volava altissimo. Qui però ha superato se stesso ed è su su su, nella stratosfera. Ma che dico, stratosfera? Più su ancora. Cosa c’è più su? Boh. Comunque vola molto più in alto di Sandra Bullock che si spoglia nello spazio per E.T. o per Dio solo lei sa chi. Lo senti questo ululato, Sandra? Awww. Awwwwwww. Questo è il suono del Grande Cinema. Lo senti? Questa è una grande esperienza cinematografica. Non i tuoi latrati da cagna in calore, bitch!

DiCaprio comunque non se la dovrà vedere con quella zoccola spaziale di Sandra Bullock per l’Oscar bensì come dicevo con McConaughey, candidato come protagonista per Dallas Buyers Club ma che una menzione pure come non protagonista qui se la sarebbe meritata. Compare giusto in una scena, però cazzo che scena! Epo-cazzo-cale.
Matthew McConaughey è l’attore del momento. Quel bambino rincoglionito de Il sesto senso vedeva le persone morte, io invece continuo a vedere i Matthew McConaughey dappertutto.
Dallas Buyers Club?
Presente.
La serie tv True Detective?
Guardatelo pure lì!
Parte The Wolf of Wall Street e chi c’è?
Matthew McConaughey!
Esco e vado al McDonald’s e chi non ti becco?
Matthew McConaughey?
No, figuriamoci. Avete visto quanto è dimagrito? Quello non vede un McDonald’s da almeno 8 anni. Ho beccato Jonah Hill. Non ci credete? Vabbè, dove volete beccarlo d’altra parte, Jonah Hill? O da McDonald’s o a farsi le canne a casa di Seth Rogen, James Franco e/o Leonardo DiCaprio e, a meno che voi non abbiate accesso alle case di Seth Rogen, James Franco e/o Leonardo DiCaprio credo possiate incontrarlo solo da McDonald’s. A meno che non siate delle belle puttanelle, e allora in tal caso potreste avere accesso alle loro case.
Jonah Hill pure lui s’è beccato la nomina agli Oscar come miglior attore non protagonista e se l’è meritata. La statuetta DEVE andare a Jared Leto se no mi incazzo, ma la candidatura di Jonah Hill ci sta tutta. E l'altra statuetta dorata, quella per il miglior attore protagonista, DEVE invece andare a Leo, se no faccio una strage.


E a proposito di gente candidata agli Oscar: in una particina da attore c’è pure Spike “fottuto genio” Jonze. C’avete fatto caso? No? Siete stati distratti da DiCaprio impegnato a infilarlo ovunque o dall’orifizio vaginale di Margot Robbie?


Apriamo un capitolo Margot Robbie?
Vogliamo aprirlo?
Perché non aprire un libro intero? O una collana di libri? O una saga letteraria? O una sega non letteraria come quella che si fa Jonah Hill la prima volta che la vede? Solo per quella scena, Jonah Hill dovrebbe vincere l’Oscar, un secondo Oscar visto che il primo DEVE andare di diritto a Jared Leto. Ma d’altra parte, cosa ci può fare? Non è nemmeno colpa del povero Jonah Hill. Margot Robbie è un’arma di masturbazione di massa.
Margot Robbie che era una delle hostess anni Sessanta della serie Pan Am dove c’erano anche delle altre belle fighe come Karine Vanasse e Christina Ricci e Kelli Garner e quindi se ve la siete persi siete gay, ma neanche, perché era piena pure di bei fanciulli e quindi perché cazzo non l'avete vista e non l’ha vista nessuno ed è stata cancellata dopo appena una miserabile stagione quando ci sono cagate di serie come CSI che vanno avanti da 40 fottuti biliardi di fottuti anni?
Margot Robbie è un’attrice australiana che oltre a Pan Am è comparsa pure nella splendida commedia romantica fantasy Questione di tempo e qui in The Wolf of Wall Street quando appare sulle note fighissime anche se mai fighissime quanto lei di “Never Say Never” dei Romeo Void la gente va fuori di testa e dice robe tipo: “Me la farei anche se fosse mia sorella” o “Da lei mi farei persino attaccare l’AIDS, cazzo” e poi Jordan Belfort confessa che: “La sua figa era come l’eroina per me.” Frasi cazzute come questa di cui questa cazzutissima sceneggiatura tratta dal libro dello stesso Belfort è piena.


Questo era solo per parlare del cast e mi rendo conto di essermi fatto prendere un pochino troppo la mano. Sono proprio un cazzaro. Non si può però non citare anche quello che fa Martin Scorsese in questo film. Cosa fa? Quel cazzo che gli pare, ecco cosa fa. Se la sbandata bambineska del precedente Hugo Fantozzi Cabret sembrava un allarmante segnale di demenza senile, questo Wolf è un grandioso dito medio sventolato in faccia a tutti. Anche a me. Scorsese non è mai stato più giovane e fresco di così. The Wolf of Wall Street gira a mille come tutte le parti migliori delle sue pellicole precedenti frullate insieme e filmate come se fosse un debuttante alle prese per la prima volta nella sua vita con una macchina da presa, con un ritmo indiavolato che non fai in tempo a gettare un occhio all’orologio che son volate via già tre ore. Tre ore? Son passate tre ore? Sicuri? A me son sembrati appena tre minuti, ma che dico tre minuti? Saranno stati tre secondi.
Il bello di questo film è che non ci sono freni inibitori in ciò che viene messo in scena e non ci sono freni manco nella regia del nongiovane Marty. Mentre lavorava a questa pellicola è come se non avesse mai perso tempo chiedendosi: “Girerò davvero questa scena?” Semplicemente s’è buttato e l’ha girata. Ha girato tutto, anche le cose più pazzesche. A tratti sembra quasi che abbia voluto realizzare un American Pie o un Fatti, strafatti e strafighe d'autore. E non c'è niente di più strafigo di un'idea del genere!

Cosa cazzo succede in questo film?
Sarebbe più facile dire cosa cazzo non succede. C’è una sequenza delirante sulle note distorte di “Smokestack Lightning” ululata da Howlin’ Wolf di cui David Lynch sarebbe fiero. Cazzo, se sarebbe fiero e perché ne parlo come se fosse morto? Magari in questo momento è a casa sua con una puttanella che glielo succhia mentre si sta guardando la sua copia di The Wolf of Wall Street piratata ed è fiero di questa scena fottutamente grandiosa che Scorsese gli e ci ha regalato. Una scena in cui diventa chiaro come l’apparente Paradiso messo in scena in questo film sia in realtà l’Inferno dei nostri giorni.

E poi ancora c’è il padre del protagonista Mad Max (interpretato dal regista Rob Reiner), personaggio fantastico protagonista di una scena di pochi secondi che mi fa piangere dalle risate come una femminuccia per ore ancora adesso se ci sto a pensare.
C’è spazio inoltre per un addio al celibato che altrochè Una notte da leoni, per una cosa a tre con Leo + Jonah + una zoccola a caso, per Portofino, per Gloria GLORIAAA manchi tu nell’aria GLORIAAA di Umberto Tozzi, porca troia TROIAAA, viene suonato Tozzi!, e c’è spazio pure per i Cypress Hill, per i Foo Fighters, per Braccio di Ferro, per una comparsata di Jean “The Artist” Dujardin, per l’assunzione più massiccia di droga nella storia del cinema roba che Trainspotting al confronto sembra un cazzo di centro di rehab e tanto tanto altro ancora, comprese scene che farebbero arrossire quelli delle serie tv più estreme come Nip/Tuck, Blue Mountain State, House of Lies o House of Cards. È come se Scorsese avesse visto negli ultimi anni le serie tv superare il cinema in fatto non solo di qualità ma pure di eccessi, e avesse deciso di riportare avanti il caro vecchio grande schermo. Ora la palla passa di nuovo a voi, serie televisive stronzette. Fate di meglio, se ci riuscite.

In questo luna park pieno di droghe, parolacce, canzoni, fighe, tette, culi e scopate a cavallo tra la fine dei fottuti ani ’80 e gli ancora più fottuti ani ’90, il film trova anche il tempo di essere una riflessione sul presente, sulla crisi economica attuale, per esempio. Considerando come il mondo dell’alta finanza sia stato, ed è probabilmente governato ancora tutt’oggi, da delle confraternite composte da branchi di tossici arrapati dipendenti da coca, sesso e soprattutto soldi, ci si deve chiedere semmai com’è possibile che non sia arrivata prima, questa dannata crisi. Il film però non è solo e non è tanto questo. Non è un film sull’alta finanza. È un raccontare dello sprofondare dell’uomo nelle sue perversioni, nel potere dei soldi che può comprare e cambiare chiunque, anche il bravo ragazzo fresco di matrimonio Jordan Belfort. Scorsese ci racconta questo viaggio mostrandoci soprattutto i suoi aspetti più scintillanti. La mossa geniale del film è quella di presentare la storia dal punto di vista di Belfort, senza modificarlo, senza filtri, senza inserire la solita moraletta hollywoodiana del cazzo di fondo, ma facendo soltanto emergere qua e là, in maniera sottile, il lato oscuro di questo stile di vita.

ATTENZIONE SPOILER
Cosa dire poi del pre-finale con l'agente Kyle Chandler in metro?
Non ha prezzo.
E cosa dire infine del finale-finale? Quel finale che all’inizio magari ti lascia un po’ così, come un povero stronzo, e poi ti rendi conto che è uno di quei finali degni di Stanley “fottutissimo genio” Kubrick. Quei finali che estendono la potenza dell’intera pellicola a un livello universale. Non si parla più soltanto di anni ’80, di anni ’90, di Wall Street, di America, di Porto-cazzo-fino. Il virus del capitalismo si è diffuso ovunque, persino nella sperduta Nuova Zelanda. Non c’è più ritorno. Non c’è più via d’uscita. Come in American Psycho, “this is not an exit”. Come nella Divina commedia, “lasciate ogni speranza o voi ch’entrate”. Come Alex DeLarge dopo la cura Ludovico in Arancia meccanica, Jordan Belfort è sempre lo stesso stronzo figlio di buona donna di una volta.

Lo sfacelo dell’impero occidentale continua a mostrare le sue fottute crepe, in mezzo a uno spring break, tra una passeggiata nella grande bellezza di Roma e un folle giro sulle giostre di Wall Street. O forse è tutta solo una gigantesca commedia. Una farsa che è poi il cazzo di mondo in cui tutti noi poveri stronzi viviamo. Ma come sia o come non sia il cazzo di mondo, cazzo che film! Cazzo cazzo cazzo stramegacazzo che cazzo di film che hai girato, fottutissimo pezzo di Marty! Ti scoperei, talmente mi hai fatto godere con questo The Wolf of Wall Street.
(voto 10/10)


La versione censurata della recensione di Pensieri Cannibali
Caaacchio che film. Cacchio, cacchiarola e cacchiolina che film, The Wolf of Wall Street. Era da parecchio tempo che non vedevo un film tanto simpatico e gradevole e profondo allo stesso tempo. Una pellicola super caruccia che racconta la vita senza limiti dell’affascinante e affabulatore broker Jordan Belfort, portato sul grande schermo da un Leonardo DiCaprio da Oscar, ma se non glielo danno fa niente non mi incavolerò assolutamente, no no. Una menzione speciale se la meritano pure i bravi comprimari Matthew McConaughey e Jonah Hill. Carina Margot Robbie. Insomma bel film, bel film, bel film, oh cavolo che bel film, acciderbolina mi è davvero piaciuto. Martin Scorsese, sei proprio un bravo ometto. Ti vorrei dare un abbraccio forte forte, talmente ho apprezzato questo The Wolf of Wall Street.
(voto 10/10)

"Mmm... mi è piaciuta di più la versione non censurata. E che cazzo!"

domenica 13 ottobre 2013

FACCIAMOLA FINITA, IL FILM APORCALITTICO




Facciamola finita
(USA 2013)
Titolo originale: This Is the End
Regia: Evan Goldberg, Seth Rogen
Sceneggiatura: Seth Rogen, Evan Goldberg
Cast: Seth Rogen, Jay Baruchel, James Franco, Jonah Hill, Craig Robinson, Danny McBride, Michael Cera, Emma Watson, Christopher Mintz-Plasse, David Krumholtz, Aziz Ansari, Mindy Kaling, Paul Rudd, Rihanna, Channing Tatum, Martin Starr, Kevin Hart, Backstreet Boys
Genere: aporcalittico
Se ti piace guarda anche: La fine del mondo, Rapture-Palooza, Fatti, strafatti e strafighe

Negli ultimi giorni ho visto La fine del mondo, After Earth – Dopo la fine del mondo e Facciamola finita (titolo originale This Is the End). Cosa volete che vi dica? È un periodo in cui mi sento particolarmente ottimista e fiducioso per quanto riguarda il futuro dell’umanità.
La cosa più preoccupante è che, al confronto di queste pellicole, una volta che guardo il TG e sento le notizie sul governo (quale governo?) italiano o su Lampedusa, la realtà mi sembra parecchio più preoccupante. E allora torno a guardarmi i miei film apocalittici e mi sento meglio. A parte con After Earth, che quello è proprio 'nammerda.

"Lo so che volete il mio corpo. Lo so."
Facciamola finita è uno dei film di cui ho avuto più difficoltà a parlare. Non perché si tratti di una pellicola così impegnativa. Ma va là. E non è nemmeno una visione fuori dalle mie corde. Tutt’altro. È una di quelle cazzatone che io prediligo e che in condizioni normali poteva offrirmi un sacco di spunti. Il problema è che l’ho visto prima di andare all’Oktoberfest, non ne ho scritto subito e poi, litri e litri e litri di birra dopo, i ricordi si sono fatti un po’ sfumati, ja. E con ricordi un po’ sfumati intendo: “Chi sono io? Qual è il mio nome? Da che pianeta provengo?” L’unica cosa che ricordavo dopo l’Oktoberfest era il nome del Presidente della Repubblica italiana. Quello non cambia da secoli.
Poi però mi sono detto “Facciamola finita e scriviamo un po’ ‘sto post su Faccimola finita!”. Lo so che le cose non vanno forzate e che prima o poi l’ispirazione viene da sola. Solo che, ancora un po’ che aspettavo, le possibilità di avere delle memorie decenti del film svanivano sempre più. Per riuscire a scriverne mi sono così armato di caffè, beveroni schifosi da post-hangover, un po’ di pazienza e ho provato a ripercorrere mentalmente la pellicola, stile Una notte da leoni.
Hey, un momento. Non cominciamo a fare confusione, che poi cerco di ricordarmi com’era Una notte da leoni, prima dei due orribili sequel realizzati e non la finiamo più.
Io invece voglio farla finita. Non con la mia vita. Non allarmatevi, o in alternativa non gioite. Voglio farla finita con questo film.
Partiamo allora dalle cose semplici: la trama. Di cosa parla, Facciamola finita?

Parla di Seth Rogen che va a prendere all’aeroporto il suo amico Jay Baruchel, di ritorno a Los Angeles con l’intenzione di passarsi qualche giorno in tranquillità a giocare ai videogame e a stonarsi di maria.
Maria?
No, per il momento no, grazie. Sono ancora in botta da birra.
Solo che poi Seth Rogen viene invitato a un party esclusivo a casa di James Franco e convince l’amico, che da bravo snob asociale non c’ha voglia di partecipare a una festa, ad andarci. E così i due si ritrovano nella villa di James Franco insieme a Rihanna, Emma Watson, Jonah Hill, Michael Cera, Mindy Kaling, Christopher Mintz-Plasse, Paul Rudd e altra gente. Fino a che, a un certo punto, arriva il finimondo. Non un semplice terremoto, che a L.A. sarebbe all’ordine del giorno. Capita proprio una fine del mondo. Così, di punto in bianco.

"Calma Emma, non lo diciamo più che Harry Potter è una cagata pazzesca."
Lo spunto è geniale, non vi sembra?
No?
In effetti una fine del mondo oggi come oggi non è una cosa così strana, in un film. Però mi sono dimenticato di menzionarvi una cosa. Nella mia sbadataggine da hangover, non vi ho detto che non ho usato i nomi degli attori invece di quelli dei personaggi così, per rendervi più semplice l’identificazione. In questo film, gli attori sono proprio i personaggi. Seth Rogen è Seth Rogen. Jay Baruchel è Jay Baruchel. Emma Watson è Emma Watson, e Dio la benedica. Ognuno interpreta se stesso in quella che però è una versione un po’ finta e un po’ no di se stesso. Difficile capire quanto ci sia di vero e quanto meno. Michael Cera ad esempio pare che nella realtà sia un tipo tranquillissimo che non beve neanche e certo non è nemmeno un party boy, mentre qui fa il cocainomane sessuomane scatenato. I veri Seth Rogen e Jay Baruchel invece non è molto difficile immaginarli realmente dei cazzari fattoni quali appaiono nella pellicola. Craig Robinson, recentemente fermato alle Bahamas per possesso di marijuana, non parliamone. Insomma è un gran casino. Un gran miscuglio tra reality e fiction di cui parlavamo anche a proposito di Bling Ring e che ormai è diventata una consuetudine nel mondo di oggi. Con i vari social network, il confine tra VIP e "umani", tra persone e personaggi s'è fatto sempre più sottile.
È questa l’arma vincente, lo spunto fenomenale del film. La prima mezz’ora funziona così alla grande e appare tra le cose più originali viste di recente in ambito comedy. Se tutto fosse a questo livello, staremmo qui a parlare di un capolavoro e forse me lo ricorderei perfettamente nonostante tutta la birra bevuta nei giorni successivi. Peccato che il resto della pellicola, per quanto presenti qualche altro spunto e ideuzza non male, non sia tutto allo stesso livello. Dalle quasi 2 ore di durata, qualche scenetta non fenomenale sarebbe potuta essere lasciata fuori e in alcuni momenti sembra che a divertirsi siano più gli attori mentre recitano ognuno nei propri panni, più che noi spettatori a vederli.

"Mmm, la tipa nell'header di Pensieri Cannibali mi ricorda qualcuno..."
La follia anarchica che anima questo film, benché a tratti persino troppo stupidotta nella sua goliardica comicità, benché non sempre esilarante, benché non sempre messa a fuoco, rappresenta comunque una boccata d’aria fresca all’interno di un panorama americano composto da commediole prodotte in serie, una uguale all’altra. Facciamola finita è come una pellicola amatoriale, solo girata con mezzi professionali da dei professionisti del settore. Questo è il suo pregio principale, perché si percepisce il divertimento nel realizzarla, così come anche il suo più grande limite, visto che l’originalità della prima parte si esaurisce in una sceneggiatura che si sviluppa in maniera piuttosto prevedibile e per allungare il minutaggio sono stati inseriti un po’ troppi momenti in stile videoclip (da “Gangnam Style” a “Everybody” dei Backstreet Boys), o parodie cinematografiche non proprio di prima mano (“L’esorcismo di Jonah Hill”) che fanno tanto filmino cazzaro realizzato tra amici. Che poi è quello che la pellicola in fondo è.
Quentin Tarantino ha addirittura inserito questo film tra i suoi preferiti finora del 2013. Ecco la sua top 10 completa in ordine alfabetico:
"Ho davvero messo Kick-Ass 2 e The Lone Ranger?"

  • Afternoon Delight (Jill Soloway)
  • Before Midnight (Richard Linklater)
  • Blue Jasmine (Woody Allen)
  • Drinking Buddies (Joe Swanberg)
  • L’Evocazione - The Conjuring (James Wan)
  • Facciamola finita (Seth Rogen, Evan Goldberg)
  • Frances Ha (Noah Baumbach)
  • Gravity (Alfonso Cuarón)
  • Kick-Ass 2 (Jeff Wadlow)
  • The Lone Ranger (Gore Verbinski)


Tarantino magari è il solito esagerato e questo film con tutti i suoi difetti e le sue lungaggini non rientra probabilmente tra i migliori o tra i più memorabili dell’anno. O forse è stata solo la birra, tanta birra, a rendermelo meno memorabile. Nonostante il ricordo sbiadito, resta comunque un esperimento interessante, un esordio alla regia valido e vitale di Seth Rogen, in co-abitazione con il compare Evan Goldberg, che in futuro potrà regalarci cose ancora più fiche.
E adesso?
Adesso basta.
Facciamola davvero finita con ‘sto film e con ‘sto post.
(voto 7-/10)

"Oh, cosa guardate male? Pure a Hollywood c'è crisi e han tagliato gli stipendi..."



lunedì 21 gennaio 2013

DJANGO UNCHAINED MY HEART

Django Unchained
(USA 2012)
Regia: Quentin Tarantino
Sceneggiatura: Quentin Tarantino
Cast: Jamie Foxx, Christoph Waltz, Kerry Washington, Leonardo DiCaprio, Samuel L. Jackson, Walton Goggins, James Remar, Nichole Galicia, Don Johnson, Franco Nero, Russ Tamblyn, Amber Tamblyn, Jonah Hill, Zoe Bell, Bruce Dern, M.C. Gainey, Michael Bowen, Quentin Tarantino
Genere: western tarantinato
Se ti piace guarda anche: Django, Gli spietati, Lo chiamavano Trinità, Il buono, il brutto, il cattivo, Bastardi senza gloria

Il bello di Quentin Tarantino è che da una parte sai già cosa aspettarti, da ogni suo nuovo film, e dall’altra sa sempre stupirti. Sorprenderti come il Puffo Burlone con i suoi pacchi esplosivi. Sai già che ti scoppieranno in faccia, ma non puoi fare a meno di aprirli.
Quentin Tarantino può citare, rubare se vogliamo, idee e scene da altri film, dalla Storia, dai cartoni, dai fumetti, ma non imita nessuno. Una pellicola di Tarantino è una pellicola di Tarantino. Ha un suo stile personale, unico. Quando vedi un suo film, sai che è un suo film. Questo però non significa che il Quentin ripeta sempre la stessa pellicola. Tutt’altro. Quentin applica il suo stile a generi e a storie diverse, ultimamente anche a Storie diverse, evolvendosi e cambiando. Se vogliamo, provando persino a maturare. Cosa che continua a non riuscirgli del tutto e ciò è un bene. Tarantino resta sempre un bambinone. Un eterno fanciullo che ha mantenuto intatto il potere di stupirsi e di stupirci ancora e ancora e ancora e ancora.
Django Unchained è probabilmente il suo film più maturo. Allo stesso tempo, è comunque un film cazzaro, spassoso, folle, splatter e divertentissimo. Quentin insomma è come Peter Pan. Un Peter Pan imbastardito. Non crescerà mai. E Dio lo benedica per questo.

Da dove partire, per parlare di un film come Django Unchained?
Non lo, sono emozionato. Davvero. Porcalaputtenabasterda. L’ha fatto di nuovo. It’s Quentin, bitch. Oops, he did it again. Perché sto citando Britney Spears?
Non lo so. Sono andato nel pallone, ecco perché. Mi emoziono io, a dover scrivere di un Mito come Quentin. Mi trasformo in un fan scatenato allo stato terminale.
QUENTIN? DOV’ È? DOV’ È? AAAAAAH! VOGLIO IL SUO AUTOGRAFO!!!

Ricomponiti, Cannibal.
Ricomponiti.

"Ma tu lo conosci quel blogger, Cannibal Kid?"
"Vuoi dire Cannibal Kiiiii? La D è muta."
Dunque. Django Unchained, dicevamo.
Django Unchained è una disamina profonda e acuta sul razzismo che attanagliava l’America Bianca alla vigilia della Guerra di Secessione. Un omaggio al cinema western, allo spaghetti-western in particolare e più ancora nel particolare al Django di Sergio Corbucci con Franco Nero, qui presente in un simpatico cameo. Un film fiume su due (anti) eroi molto particolari per il genere: un tedesco ya e un nero yo. Per quanto poco io me ne possa intendere di cinema western, ed è davvero ma davvero poco, non i due tipici protagonisti di un film western.
Nella seconda pellicola della sua “trilogia storica”, Quentin Tarantino continua a riscrivere la Storia a suo piacimento. Dopo i nazisti di Inglourious Basterds, la sua ultraviolenza prende di mira gli schiavisti e il Ku Klux Klan. Quentin è un Robin Hood che uccide i ricchi per dare ai poveri. Ai poveri intesi come le vittime della Storia.
La Storia vera è andata così?
No, purtroppo no. Ma questo è Cinema, non è Storia. Qualcuno vada a spiegarlo a Steven Spielberg, autore di un Lincoln impeccabile in quanto a lezione di Storia, decisamente più carente in quanto a invenzione cinematografica. Diciamo che se fossero prof. del liceo, Spielberg sarebbe il saccentone di ruolo che sei costretto ad ascoltare in silenzio se no ti sbatte una nota sul diario, mentre Tarantino sarebbe il prof. cazzaro supplente che arriva in classe, fa un paio di lezioni che ti cambiano la vita e ti fanno credere che la scuola sia davvero una cosa utile e poi viene cacciato dall'istituto per aver fatto sesso con una studentessa e sniffato coca nei cessi.
Del proffone Spielberg ci sarà comunque tempo di parlarne, quando? A suo tempo. Non facciamoci prendere dalla foga. Cerchiamo di mantenerci lucidi e non divagare in troppe digressioni. Proprio come fa Tarantino in questo suo ultimo lavoro. Qualche flashback c’è, ma è molto più contenuto rispetto al suo passato. Tarantino è uno che ci sguazza, in flashback e deviazioni di percorso inconsuete, però qui sembra essersi quasi imposto di non eccedere e di provare a seguire un percorso più lineare. Django Unchained è il suo film più lineare. Cosa che non significa assolutamente sia privo di fantasia, come da qualcuno ipotizzato. La sfida anzi è stata quella di provare a domare il suo genio dirompente e schizofrenico. Senza imbrigliarlo. Soltanto, cercando di disciplinarlo maggiormente. Il genio di Tarantino resta sempre un puledro libero di scorazzare dove vuole. Non si è trasformato in un noioso war horse, tranquilli.

Quentin ha allora provato a raccontare questa volta una storia più lineare, diretta, meno ingarbugliata. Ha ricercato la classicità. Quello che ne è uscito, come al solito, è la sua versione della classicità e questo è un western, sì lo è, ma è la sua versione del western.
Cosa che tradotta significa: piacere godurioso. Piacere godurioso allo stato puro. Anche per chi come me al solo sentire la parola western comincia già a sudare freddo.
Questa volta, Quentin ha tenuto giusto qualche flashback, non troppo numerosi, e ha rinunciato alla struttura a capitoli esibita in Kill Bill e Bastardi senza gloria. Tara però è pur sempre Tara, non si smentisce mai, e quindi pure qui possiamo comunque intravedere delle divisioni piuttosto nette tra le parti del film.

"Sì, mi ha consigliato Prince di vestirmi così, problemi?"
La prima parte è di presentazione ai due protagonisti principali, i Bud Spencer e Terence Hill della situazione, che poi con Bud & Terence non è che abbiano molto a che vedere. Il cruccone è Christoph Waltz, magistrale, gigionissimo, grandioso. Il black cowboy è Jamie Foxx, meno sopra le righe rispetto agli altri attori del cast ma di nuovo in gran spolvero come in Collateral, la pellicola che l’aveva rivelato, e in Ray, la pellicola che gli aveva permesso di vincere il premio Oscar. Da allora la sua parabola era caduta pericolosamente nella fase calante e anche i suoi tentativi di carriera in ambito musicale come cantante R&B, per quanto dignitosi, non sono riusciti più a portarlo a quei livelli. Fino all’arrivo del solito Tarantino, in grado in passato di resuscitare carriere ben più moribonde della sua e a cui questo Django non potrà che fare bene. All’inizio, Tarantino per il ruolo da protagonista voleva Will Smith, ma (per fortuna) a causa di un cachet superiore a quello di Nicole Minetti per una serata in disco non se n’è fatto nulla. Meglio così.
Se uno parlando di presentazione dei protagonisti può pensare a una scena introduttiva di pochi minuti, non ha fatto i conti con la megalomania di Tarantino. La sua è una presentazione con i controcazzi che va avanti all’incirca per un’oretta buona. Bisogna introdurli bene e quindi ci vuole il tempo che ci vuole.
Una delle qualità che ammiro di più di Quentin, oltre alla sua capacità/facilità di creare dialoghi stellari, è che ama i suoi personaggi. Non li butta lì dentro al film a caso. Non li getta in mezzo a una strada come cuccioli spaventati. Lui li ama, i suoi cazzo di personaggi. È anche per questo che gli attori quando lavorano con lui danno sempre il massimo, perché si trovano con dei character che dietro hanno una storia, un contesto, una vita anche all’infuori della pellicola.
"Ci usa come schiavi personali, ma non è razzista come dicono."
Quentin (fuori campo): "ALLORA, ARRIVA QUEL CAZZO DI VINO?"
Dopo una serie di eroine donne, Quentin questa volta è tornato al passato. A quando ai tempi de Le iene era accusato di maschilismo, teoria poi ampiamente demolita a colpi di pistola da Jackie Brown, di sciabola dalla Sposa di Kill Bill, a cazzotti dalla girl band di Grindhouse - A prova di morte e con il fuoco da Shosanna di Bastardi senza gloria. Forse un giorno vorrò smontare anche le accuse di maschilismo rivolte a un altro regista geniale come Lars Von Trier ma, visto che potrebbe risultare un’impresa parecchio impegnativa, per il momento preferisco tornare a occuparmi di Quentin.
In Django Unchained, ci regala allora una lunga intro in cui impariamo anche noi ad amare questi personaggi come fa il regista. C’è spazio inoltre per una scena siparietto esilarante sul Ku Klux Clan, in cui viene utilizzato il Dies irae di Verdi e compare persino Jonah Hill. Un momento comico esilarante, così come allo stesso tempo un’altra grande rivincita e sberleffo del regista contro la Storia e contro ogni razzismo. Alla faccia di chi (non faccio nomi: Spike Lee) ha il coraggio di accusarlo di essere razzista.

"Non è vero che il business delle sigarette elettroniche è destinato
a passare presto di moda. A me piacciono tantissimo!"
Dopo di ché, il film entra nella sua seconda fase. Quella della missione vera e propria. L’apprendista cacciatore di taglie Django, ormai diventato killer spietato, con l’aiuto del suo compare Dr. Schultz vuole riscattare la moglie Broomhilda (che nomi fantastici che ci regala ogni volta il Tara!), ridotta a schiava (sessuale) presso Candyland, la dimora di Calvin Candie, un riccone che si diverte a far combattere gli schiavi di colore. Nella parte di Broomhilda troviamo l’affascinante Kerry Washington, attualmente anche protagonista della serie tv Scandal, protagonista dei momenti più romantici e anche visionari del film, mentre in quella di Calvin troviamo un Leonardo DiCaprio in una delle sue migliori interpretazioni da un po’ di tempo a questa parte. Era forse dalla sua immedesimazione totale nell'Howard Hughes di The Aviator che non vedevo Leo così determinato e convinto, lasciato dal Tarantino a briglia sciolta e dunque in grado di poter osare come non gli capitava da parecchio.
Menzione d’onore va poi a un grandissimo Samuel L. Jackson, attore che da’ il suo meglio con Tarantino e che qui non so perché mi ha ricordato un personaggio dei Boondocks, il cartone che andava in onda qualche anno fa su Mtv.


La storia si evolve quindi in una maniera che non vi sto a raccontare, ma che ci regala nuove scene, battute, momenti mitici, qualche sequenza splatter, una delle morti più esilaranti nella storia del Cinema e molto altro. Nella parte finale Tarantino conferma inoltre, oltre a un talento da dialoghista che non ha eguali, di essere diventato un maestro, il Maestro assoluto nella costruzione della tensione. Come già avvenuto in Bastardi senza gloria. La parte a Candyland, che a qualcuno potrebbe sembrare lenta, è lenta. Tarantino infatti vuole rallentare i ritmi, per preparare così al meglio il crescendo finale, super violento e tarantiniano, ma pure più sentimentale del solito, anche se già con la conclusione materna di Kill Bill ci aveva mostrato il suo lato inaspettatamente cuccioloso e tenerone.
Dentro questo Django Unchained c’è poi davvero tanta ma tanta di altra roba buona, così tanta che è da vedere e basta. Vedere per Credere (nel senso religioso del termine) in Dio Quentin.

"Certo che c'è davvero una bella taglia su quel Fabrizio Corona latitante..."
Vogliamo tirare fuori un paio di note negative, che se no poi mi si accusa di essere troppo di parte, cosa che con Tarantino sono assolutamente? E allora le dico: Quentin compare qui pure come attore e conferma che quello non è il mestiere che gli riesce meglio. No. Inoltre, la canzone realizzata per l’occasione da Ennio Morricone non è certo neanche lontanamente tra le migliori composizione del Maestro italiano e la voce di Elisa…
Uff! Davvero c’è Elisa che canta in un film di Tarantino?
Perché?
Peeeeeeeeeeeeeerché???
Quando l’avevo sentita all’interno della colonna sonora, prima della visione, la loro “Ancora qui” mi aveva fatto una pessima impressione, ma inserita all’interno del contesto del film ci può stare ancora (qui). Poteri miracolosi di Tarantino. Anche se il pezzo rimane probabilmente il peggiore mai usato in una sua soundtrack, è riuscito a farlo suonare in maniera decente.
"Aaah, la tauromachia!"
Fortuna che il resto della colonna sonora è come al solito oltre ogni livello di coollaggine, con le atmosfere western vecchio stampo del mitico tema di Django di Luis Bacalov che si accompagnano in maniera naturale a nuovi pezzi hip-hop e R&B firmati per l’occasione da Anthony Hamilton, John Legend, Rick Ross e altri (peccato per l’assenza di Frank Ocean, che aveva scritto una ballatona apposta per il film ma che alla fine non è stata utilizzata).
I brani black e rap si adattano alla perfezione al cinema di Tarantino, forse il regista più hip-hop in circolazione. Come un dj, Quentin “ruba” e campiona generi e idee dal passato, rielaborandoli in una maniera del tutto personale e facendoli suonare come nuovi. Come un MC, poi, Quentin riempie i suoi film di parole, con una serie di dialoghi infuocati, ricchi di citazioni, riferimenti e naturalmente un linguaggio “parental advisory explicit content”, proprio come i testi rap.

Non va dimenticata comunque anche la bellissima “I Got a Name” di Jim Croce, usata in uno dei momenti più riflessivi del film. Perché sì, il nuovo Tarantino è anche riflessivo. Ci parla di schiavitù nella maniera più vera e meno accademica possibile e ci regala un western che è molto di più e di altro rispetto a un western.
È più maturo, come dicevamo in apertura, ma non è troppo maturo. Perché alla fine Tarantino Unchained cambia ma rimane sempre lo stesso: il buon vecchio figlio di buona donna scatenato che conoscevamo, amavamo e ameremo per sempre.
(voto 9/10)

Post pubblicato anche su L'OraBlù, con tanto di nuova locandina firmata C(h)erotto.



domenica 18 novembre 2012

Vaccate del terzo tipo

Vicini del terzo tipo
(USA 2012)
Titolo originale: The Watch
Regia: Akiva Schaffer
Cast: Ben Stiller, Vince Vaughn, Jonah Hill, Richard Ayoade, Rosemarie DeWitt, Erin Moriarty, Nicholas Braun
Genere: sci-fi comedy (in teoria)
Se ti piace guarda anche: Paul, Attack the Block, Evolution

Fare un film bello non è facile. Se lo fosse, il primo pirlone che passa potrebbe sfornarne uno. Potrebbe arrivare un attore dalle limitate capacità espressive come, chessò?, Ben Affleck, e diventare un registone della Madonna…
Ah, è davvero successo? Allora forse è una cosa semplice. Si potrebbe pensare il contrario, invece no. Gente, Ben Affleck è oggi come oggi uno dei migliori registi americani viventi. È la dimostrazione che se ce l’ha fatta lui, ce la può fare chiunque.
Conclusione: fare un film bello è facile. Guardate Argo. Semplice e bello. Semplice è bello.

"Ma che è 'sta palla? Il nuovo joypad della Nintendo Wii?"
E allora correggo quello che dicevo all’inizio: fare un film brutto non è facile. Vicini del terzo tipo ne è una splendida diapositiva.
Mia cara Hollywood, hai a disposizione non uno, non due, non tre, bensì quattro comici per tutti i gusti e per tutte le età, o quasi.
C’hai Ben Stiller, uno che piace a grandi e piccini, capace di cult assoluti della comicità come Zoolander e Tutti pazzi per Mary così come di cacchiate per tutta la famiglia come Mi presenti i tuoi? e Una notte al museo. Uno che già solo con quella faccia fa ridere per forza.
C’hai poi Vince Vaughn, che è quello che diverte per il suo umorismo da bastardo, c’hai pure Jonah Hill che piace ai più ggiovani e quest’anno si è beccato persino una nomination (non sa nemmeno lui come) agli Oscar, e c’hai infine anche Richard Ayoade, che piace agli ancora più gggiovani grazie alla sitcom nerd The IT Crowd, ma che è pure, così come il Ben Affleck, meglio come regista che come attore, si veda il suo pregevole film d’esordio dietro la macchina da presa Submarine.
Dalla tua hai insomma un ottimo cast, almeno per una commedia. Cosa vuoi chiedere di più, un altro comico?
Adesso non esageriamo, accontentati di ‘sti quattro.

"Ah, ecco scoperto cos'è: è il film che è una palla!"
La storia che hai a dispozione per di più è di quelle simpatiche, dal buon potenziale comedy e tra gli sceneggiatori a firmarla c’è pure il buon Seth Rogen. Nel tipico tranquillo quartiere residenziale della provincia americana, un tizio viene brutalmente ucciso e così un gruppo di altri tizi capeggiati da Ben Stiller decide di fondare un club di vigilanza, una specie di versione maschile del club del libro.
O anche una variante delle ronde leghiste, solo che invece di gridare “Daghela al terùn, daghela al terùn!”, gridano “Daghela al ter...zo tipo, daghela al terzo tipo!”. Perché, proprio così, il simpatico quartiere di periferia è infestato dagli alieni.
Pensate a una versione americana di Attack the Block?
Scordatevelo. Purtroppo questo non c’entra niente.
Pensate allora alla classica commedia standard hollywoodiana, con qualche vago spunto sci-fi?
Purtroppo non è nemmeno questo il caso.
Questa è una commedia sotto gli standard. Il suo problema?
Non fa ridere. Si sforza, ma proprio non ce la fa. Avrebbe tutte le carte in regola per risultare un prodotto di intrattenimento medio e invece non azzecca una battuta una. O forse una sì, però non più di una. Non so, non ricordo bene. Anche se il film l’ho visto da poco, da pochissimo, è come se i Men in Black mi avessero sparaflashato e mi avessero subito rimosso questa visione dalla memoria. Ecco, i Men in Black, una commedia vagamente sci-fi che non mi fa impazzire, ma che al confronto di questo sembra un capolavorone della cinematografia mondiale.

"Avevi ragione, abbiamo fatto bene a fare una grigliata anziché
andare al cinema a vedere quei Vicini del terzo tipo..."
La cosa che più lascia l’amaro in bocca, e una commedia non dovrebbe lasciare l'amaro ma un sorriso sulla bocca, è che la regia è firmata da Akiva Schaffer.
Ok, ho detto Akiva Schaffer, non Ben Affleck, però Akiva Schaffer aveva esordito con Hot Rod - Uno svitato in moto, film esilarante e geniale, un piccolo cult del demenziale che faceva morire dal ridere. Proprio una roba che i Vicini del terzo tipo si possono solo sognare di fare.
E allora, c’avevi gli attori comici, c’avevi un regista comico, c’avevi una storia dagli spunti comici eppure non ci fai ridere. Un classico esempio di come la riuscita di una pellicola non è data dalla somma delle singole componenti.
Un classico esempio, inoltre, di come fare un film brutto non è facile, cara la mia Hollywood. Ti sei proprio impegnata.
(voto 4/10)



Vicini del primo tipo

mercoledì 20 giugno 2012

21 Jump on Elm Street

"Il tuo ultimo disco non era un granché, beccati questa Eminem!"
"Hey, ma io non sono il vero Eminem, non si vede?"
21 Jump Street
(USA 2012)
Regia: Phil Lord, Chris Miller
Cast: Jonah Hill, Channing Tatum, Brie Larson, Dave Franco, Rob Riggle, Ice Cube, Dax Flame, Ellie Kemper, Peter DeLuise, Richard Grieco, Johnny Depp
Genere: liceo di polizia
Se ti piace guarda anche: Mai stata baciata, Una spia non basta, Scuola di polizia, 21 Jump Street (la serie)

Il primo fatto che salta agli occhi di questo 21 Jump Street non è il Jonah Hill sempre più dimagrito, ormai ce ne siamo già abituati mentre lui intanto forse è ingrassato di nuovo. A jumpare subito in maniera evidente alla vista è il fatto che sia un film tratto da un vecchio telefilm.

"Ma ti pare che ho cominciato la carriera con un preservativo in testa?"
"E allora? Eri pur sempre meno ridicolo che in The Tourist o in Alice..."
In tal senso, i precedenti non è che siano stati dei più positivi: Charlie’s Angels, Starsky & Hutch, Hazzard, A-Team… tutti filmetti davvero poco degni di nota. E pure di rispetto, quindi dico BLEAH, che schifo!
Tutte operazioni, o meglio tentativi, di aggiornare all’epoca moderna vecchie storie da piccolo schermo con risultati in bilico tra il ridicolo e il tragico. Senza però risultare tragicamente divertenti. Soltanto delle minchiatone. Qualcuno citerà allora la saga di Mission: Impossible tomcruisizzata. E va bene, in quel caso la resa cinematografica, seppure altalenante, è stata decente. Però certo che se anche non l’avessero fatta, io non avrei sentito una grossa mancanza dentro di me.

Con tali precedenti non certo esaltanti alle spalle, le premesse per questo 21 Jump Street non erano delle migliori. 21 Jump Street è stato un telefilm 80s andato in onda negli Usa tra il 1987 e il 1991 per ben cinque stagioni, con un buon successo in patria. In Italia il serial è stato invece trasmesso da Italia 1 con il titolo I quattro della scuola di polizia ma non mi risulta sia diventato un fenomeno di massa né di culto. Dalle nostre parti, la serie risulta vagamente conosciuta soprattutto per aver lanciato la carriera del giovane Johnny Depp, che già pochi anni addietro aveva esordito nel primissimo mitico A Nightmare on Elm Street. Dove non faceva una bella fine, se non ricordo male… Qualche anno più tardi Depp mani di forbice avrebbe però preso spunto per le unghie affilate proprio da Freddy Krueger. Chissà, probabilmente all’epoca i due si facevano la manicure nello stesso posto.

Premettendo che non ho mai visto la suddetta serie tv 21 Jump Street in questione, mi sembra comunque che in questo film non si sia tentata tanto un’operazione nostalgia, ma si sia preso semplicemente spunto dalla trama del telefilm per creare qualcosa che parli di oggi.
L’idea, ottima, della serie è quella di reclutare degli agenti di polizia giovani e infiltrarli in un liceo spacciandoli per studenti normali in modo da catturare degli spacciatori di droga (e nel telefilm immagino anche per altri crimini di natura varia). La storia dell’infiltrato funziona sempre, da Point Break a Fast & Furious, perché è un modo efficace per raccontare un determinato mondo, dal surf alle auto truzzate, attraverso il punto di vista di un esterno che però fa il doppiogioco e poi finirà per farsi catturare anche lui dal fascino di quel determinato mondo e scusate se vi ho spoilerato sia Point Break che Fast & Furious.
Anche se il film che mi ha ricordato di più questo 21 Jump Street è Mai stata baciata, commedia romantica in cui Drew Barrymore per scrivere un articolo sui giovani si finge una studentessa e torna al liceo, rivivendo gioie e soprattutto dolori dell’epoca.

Anche applicato al tema liceale, questo è un espediente narrativo parecchio comune. Non quello del poliziotto infiltrato, ma dell’esterno in generale. Capitava ad esempio in Beverly Hills 90210 a Brandon & Brenda, due gemelli montanari provenienti dal Minnesota che da un giorno all’altro si ritrovano catapultati al sole glamour di L.A. e a dover cambiare il loro stile di vita in maniera radicale in quattro e quattr’otto. E ben felici di farlo. Così come succedeva in The O.C., dove Ryan Atwood, ligera che fotteva le auto radio nel quartiere del Chino, veniva pure lui catapultato all’improvviso al sole della California e a vivere in una villa con piscina mega-sborroneria per ricconi.

Senza andare a trovare ulteriori collegamenti con serie varie, torniamo sulla retta via di 21 Jump Street. Nel film ci sono i brevi cameo di alcuni protagonisti del telefilm originale: Peter DeLuise, Richard Grieco e naturalmente Johnny Depp, in quella che, per quanto brevissima, è forse una delle sue migliori interpretazioni recenti. Per il resto, il film è assolutamente indipendente dalla serie tv e quindi godibile da tutti, grandi e piccini e infatti la pellicola ha ottenuto un successo enorme negli Usa e un sequel è già in preparazione. In Italia invece l'hanno proposto praticamente senza promozione in una manciata di salette nel periodo estivo e non se lo sta filando quasi nessuno. Complimenti.

21 Jump Street - il film è un film con venature action e poliziesche leggere. Ma soprattutto, è una comedy molto jump around, jump around, jump around, jump up jump up and get down! Le scene più d’azione infatti lasciano il tempo che trovano. A convincere è soprattutto la parte comica, il bel susseguirsi di battute e di momenti folli e divertenti. Alcuni persino deliranti, come quando i due protagonisti sono “costretti” a calarsi una pasta.
Funziona poi molto l’alchimia tra i due protagonisti, i diversissimi Jonah Hill e Channing Tatum. È proprio nella diversità e nel contrasto tra loro due che la pellicola fa quel salto ulteriore da semplice piacevole cazzata da serata cine & popcorn a storia che ha anche qualcosa, almeno qualcosina, da dire. Sulla generazione dei giovani d’oggi in confronto a chi è cresciuto giusto una manciata d’anni prima.

Jonah e Channing, la strana coppia, hanno vissuto il liceo in maniera profondamente diversa: uno era uno studioso sfigato, l’altro era uno sportivo figaccione. Indovinate un po’ chi era chi.
Dopo di ché i due entrano in polizia, a sorpresa si stanno simpatici e diventano amiconi. Quando entrambi vengono infiltrati in un liceo per un’operazione antidroga, in pochi anni notano che le cose sembrano essere cambiate davvero parecchio. Gli sportivi non sono più così cool, mentre nerd is the new black. I bulletti non dominano più la high-school e ad esempio prendere per il culo i gay è diventato davvero out. Qualcuno vada a spiegarlo a Cassano…
Il liceo è cambiato radicalmente, pare a causa di Glee, e quindi Tatum si sentirà un po’ fuori posto. Anche perché con quel fisico ben poco riesce a confondersi con gli altri 16enni rachitici e brufolosi. Hill non Terrence bensì Jonah ci sguazza invece alla grande in questa high-school rivoluziona e finalmente vede un’opportunità di riscatto sociale e personale, facendo amicizia con il ragazzo cool, interpretato dal fratellino di James Franco ovvero Dave Franco, e magari facendosi anche la bella del liceo, interpretata da Brie Larson, reginetta del cinema indie già mitica nella serie United States of Tara e vista pure in Scott Pilgrim vs. the World.
E a proposito… lo sceneggiatore della pellicola è Michael Bacall, sorta di versione maschile di Diablo Cody o di novello Kevin Williamson che ha firmato anche gli script di Project X e del citato Scott Pilgrim e che quindi si conferma sempre più l’uomo giusto per ridare fiato al genere teen americano, negli ultimi tempi un po’ a corto di ossigeno.

Il punto forte di 21 Jump Street di certo è l’intrattenimento, è vero. Però allo stesso tempo riesce anche a essere una (pur minima) riflessione sui meccanismi della popolarità e sui cambiamenti dell’attuale generazione hipster. Le cose probabilmente nei licei americani e pure italiani di oggi non stanno davvero così, però almeno un minimo i Bill Gates, i Mark Zuckerberg e pure i Jonah Hill della situazione hanno contribuito alla nerdizzazione del mondo. Perché ormai, con buona pace dei Channing Tatum, nerd is the new black.
(voto 7/10)

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