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lunedì 23 luglio 2012

Freerunner e Born To Race, due tamarrate al prezzo di una

Freerunner - Corri o muori
(USA 2011)
Regia: Lawrence Silverstein
Cast: Sean Faris, Rebecca Da Costa, Danny Dyer, Seymour Cassel, Tamer Hassan, Amanda Fuller, Casey Durkin, Mariah Bonner
Genere: survival-game
Se ti piace guarda anche: Arena, The Tournament, Gamer

Scrivi “Freerunner”, leggi “trash”.
Freerunner è l’apoteosi del film trash, sia nel senso positivo che in quello negativo del termine. Spazzatura a livello qualitativo, intrattenimento idiota a livello di godimento estivo. In altre parole: un filmetto talmente ridicolo che non puoi nemmeno volergli male e alla fin fine non ti dispiace nemmeno troppo. Una visione del tutto idiota quanto divertente, a patto non lo si prenda sul serio manco per sbaglio, proprio come Death Games - Arena, altro filmetto perfetto per l’estate di cui avevo parlato qualche tempo fa.

La trama, sciocchissima e non ho detto chicchissima, mischia la sfida “sportiva” con il survival.
“Sportiva” tra virgolette, visto che quello mostrato in Freerunner è lo sport più scemo del mondo o qualcosa del genere. Non so nemmeno se possa essere definibile uno sport. Spiegato in breve, è una sorta di rubabandiera urbano misto a parkour. Insomma, ‘na cagata colossale da cui non poteva certo venirne fuori un capolavoro cinematografico. I freerunner poi non è che si possano proprio considerare atleti atleti in senso stretto. Sono più che altro dei pirla che corrono in giro per la città e si sfidano a chi arriva primo al traguardo. Una gara che viene seguita online da una serie di utenti scommettitori che, avendo esaurito proprio tutti gli altri sport veri, puntano i loro soldi pure su questi freerunners. Alla facciazza della crisi.
Per rendere il tutto più profondo ed emozionante (come no?), c’hanno infilato dentro pure la sottotrama toccante, con il nonno del protagonista che è ricoverato in ospedale e che finisce per essere il personaggio simpa della pellicola.
Tutto qua?
E no, abbelli. Non siamo che all’inizio. La vera trashata inizia quando, nel corso di una “normale” gara, i freerunners vengono presi in ostaggio. La tranquilla competizione viene così resa più avvincente, con una nuova regola: solo il vincitore rimane in vita. Gli altri, uno dopo l’altro, sono destinati a morire. Yeah.
Qui la pellicola copia Battle Royale.
No, non stiamo parlando di Hunger Games.
Proprio come in Battle Royale, a ogni sventurato concorrente viene fatto indossare suo malgrado un collare che farà esplodere tutti, tranne il vincitore. E così il film più o meno “sportivo” si trasforma in un survival vero e proprio, con tutte le regole del caso, lasciandosi vedere e rendendosi gradevole per una leggera e mooolto disimpegnata visione. A patto che le aspettative, prima di vederlo, siano davvero bassissimissimissimissimissime.

"Eyes Wide Shut ce fa 'na pippa! Ehm, più o meno..."
Grave, gravissima pecca in un film del genere è però la mancanza di f**a, volevo dire di una bella donzella. La tipa del protagonista Sean Faris (già visto in Never Back Down e nella serie tv Life As We Know It) , tale Rebecca Da Costa, è infatti una sorta di versione brutta di Belen Rodriguez con la faccia da cavalla e i denti da Ronaldo. Potevano prendere molto ma mooolto di meglio. In più è proprio cagna, a recitare. Cagnalis, oserei quasi dire, a essere proprio cattivo.
E a proposito di cattivi, nei panni del bad guy di turno c’è l’attore con la faccia da pub inglese Danny Dyer, sempre lì lì sul punto di esplodere, ma certo un film come questo un gran bene alla sua carriera non potrà fare.
La cosa positiva della pellicola è comunque quella di non creare rischi di emulazione. Ci si lamenta sempre delle pellicole che invogliano ad attività pericolose, qui invece non c’è alcun rischio per le giovani generazioni. Vedendolo potrete anche farvi due risate, ma certo non vi farà venire voglia di diventare un ca**o di freerunner.
(voto 5,5/10)


Born To Race
(USA 2011)
Regia: Alex Ranarivelo
Cast: Joseph Cross, John Pyper-Ferguson, Nicole Badaan, Brando Eaton, Christina Moore, Johanna Braddy, Spencer Breslin, Grant Show
Genere: automobilistico
Se ti piace guarda anche: Fast & Furious (tutti)

Scrivi “Born to Race”, leggi “Fast & Furious”.
O, almeno, un Fast & Furious wannabe. Questo film non è nient’altro che questo. A dirla in maniera più specifica, si ispira soprattutto a Fast & Furious 3: Tokyo Drift. Laddove in quel caso il ragazzo protagonista veniva spedito fino in Giappone per fargli evitare (invano) i casini con le corse, qui il ragazzo protagonista viene mandato in un paesino sperduto dell’America. Uno di quei posti desertici in cui non c’è niente di niente, tranne… un gruppo di appassionati di motori, of course.
Eh sì, perché la madre lo manda via di casa dopo che lui ha avuto problemi con le auto, solo che lo sbologna a suo padre, uno che ha un'autofficina ed è pure lui un gran patito di motori e tutti in questo paesino dimenticato da Dio hanno come unica fissa le macchine. Complimenti alla mamma per la saggissima decisione!
Tra l’altro, la high school in cui va a “studiare” è l’unica scuola degli Stati Uniti, credo, dove invece di giocare a football o a basketball o a baseball o a qualche sport con la parola ball al suo interno, si tengono corsi dove si studiano i motori delle auto e si tiene persino una gara liceale automobilistica. Che ca**o di scuola è?

Un'immagine da Fast & Furious... No? Volevo dire da Born to Race.
Inutile aggiungere che il ragazzo, anziché stare lontano dai guai, parteciperà a gare clandestine, pimperà auto e farà pure strage di cuori. La storiella d’amore con la tipa strappata, ovvio, all’altro grande corridore della cittadina, interpretato da Brando Eaton ovvero il figlio di Trinity nella serie tv Dexter, così come pure il conflitto padre-figlio, sono giusto un’aggiunta a una vicenda che ha il suo perno nelle corse d’auto. Va detto però che queste sono meno tamarre rispetto a quelle di Fast & Furious, anche perché il protagonista Joseph Cross è il ragazzino di Correndo con le forbici in mano e di Jack Frost (!): non so voi, ma io a fare il Vin Diesel della situazione non è che ce lo veda molto. E infatti potevano scegliere qualcuno un attimo più credibile, come personaggio principale.
Credibilità zero, originalità anche meno di zero, però il fatto che siano tutti così presi dalle corse in auto strappa qualche risata e, per quanto derivativo, derivativissimo dalla serie più veloce e furiosa del grande schermo, il filmetto viaggia spedito, su livelli non da record su giro ma nemmeno da crociera. Non abbastanza da essere una vera tamarrata, giusto il minimo per essere una mezza tamarrata.
(voto 5+/10)

venerdì 23 luglio 2010

Sasso carta forbici

Correndo con le forbici in mano
(USA, 2006)
Titolo originale: Running With Scissors
Regia: Ryan Murphy
Cast: Joseph Cross, Annette Bening, Brian Cox, Evan Rachel Wood, Alec Baldwin, Gwyneth Paltrow, Joseph Fiennes, Jill Clayburgh, Gabrille Union, Kristin Chenoweth

Rischioso, correre con le forbici in mano. Rischioso quanto girare un film da un libro best seller di culto di Augusten Burroughs. Ci ha provato, Ryan Murphy, il genio dietro a serie altrettanto cult come Nip/Tuck e il supersuccessone dell’ultima annata Glee. Sembrava anche essere l’uomo giusto, vista la sua famigliarità con la tematica gay e con la rappresentazione di personaggi strambi e al limite del borderline. Anzi, in questo caso proprio schizzati forti. Epperò la pellicola non convince appieno. Non si entra dentro la storia. I momenti in cui il montaggio cerca di accelerare il ritmo (alla Magnolia, film che tanti provano senza successo ad imitare) non si trasformano in accelerazioni nelle emozioni e si ha la sensazione che la pellicola non vada in nessuna direzione. D’altra parte anche Tim Burton sembrava l’uomo perfetto per rendere la schizofrenia di Alice nel paese delle meraviglie, e invece ha fallito miseramente.
Per fortuna non è così disastroso il risultato di Murphy, pure giustificabile, considerato come sia alla sua prima esperienza cinematografica e abbia ancora tanta pellicola da macinare. Presto ci sarà la possibilità di vedere se avrà fatto progressi, visto che è al timone del nuovo film con Julia Roberts e Javier Bardem “Mangia, Prega, Ama”. E poi va sottolineato che anche in tv il buon Murphy era partito in sordina, con il telefilm teen Popular, che offriva qualche spunto di interesse ma non era eccezionale, come al contrario saranno poi Nip/Tuck (una delle migliori serie dello scorso decennio) e Glee (una delle migliori serie del prossimo decennio).

Correndo con le forbici in mano è la storia (biografica, ma probabilmente anche un filetto romanzata) dell’adolescenza di Burroughs, cresciuto prima con la madre aspirante scrittrice fallita, e quindi nella casa del di lei strizzacervelli, uno di gran lunga più pazzo dei suoi pazienti: basti dire che crede che i suoi escrementi comunichino con Dio! Ambientato negli anni 70 (ma siamo lontani dalle bellezza della fotografia de Il giardino delle vergini suicide, Amabili resti o The Box), un classico racconto di formazione con tanto di prime esperienze sessuali e amicizie con gli altri membri della schizzata famiglia.
Il cast è notevole, ma non si impegna al massimo. Annette Bening è troppo sopra le righe, Evan Rachel Wood rimane la numero 1 ma il suo personaggio è troppo abbozzato, Gwyneth Paltrow non m’è mai piaciuta ma le va dato il merito di accettare piccoli ruoli da antidiva (qui come nell’altra folle famiglia dei Tenenbaum), Joseph Fiennes è in versione irriconoscibile anni 70 con tanto di baffoni ma dà l’ennesima conferma di essere un non-attore, Alec Baldwin un paio di anni più tardi farà il bis negli 70s con un personaggio simile nell’altrettanto incompiuto Lymelife.
Bella la colonna sonora, con la springsteeniana “Blinded by the light” in versione Manfred Mann e la sempre efficace “Year of the rat” di Al Stewart che spicca in una delle scene più azzeccate del film. Ma è solo un lampo, in un classico film che ha l’odore bruciante della grande occasione mancata.
(voto 5/6)

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