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sabato 1 marzo 2014

MARIA DE PHILOMENA




Qualche settimana fa mi era capitato di guardare C’è posta per te. Non il film con Meg Ryan e Tom Hanks, che già ci sarebbe un pochino di che vergognarsi, mi riferisco proprio al programma con Maria de Filippi.
AAAHAHAHAH RISATE

Premetto che non l’ho visto di mia spontanea volontà. Non ero a casa mia e mi hanno costretto legandomi a una sedia. Tralasciando i dettagli da splatter-revenge movie di come sia finito a vederlo, a C'è posta per te c’era ospite Gabriel Garko – ovvio – ed era lì per presentare una delle mille fiction che interpreta a raffica manco fosse l’unico attore in Italia, e tra l'altro non ho ben capito cosa avesse a che fare Garko con la storia di turno. Storia di turno che raccontava di una tragedia con nonne malate terminali poi miracolosamente guarite e poi di nuovo malate terminali e a un certo punto mi sono perso perché era tutto troppo complesso per la mia debole mente.
La gente che guarda regolarmente questo tipo di programmi riesce a seguire tutti i passaggi di una vicenda così incasinata e poi se gli presenti davanti un film di Lynch o Kubrick o Malick non lo capisce. Cazzo, ma se riuscite a seguire ‘ste intricatissime storie dovreste minimo riuscire a conseguire una laurea al MIT a occhi chiusi, e poi non riuscite a capire un film di Kubrick? Davvero strano il mondo...
Nella prima vicenda della puntata c’era in pratica questa fiabetta sulla nipote e la nonna, con la nipote che aveva 30 anni e passa ma veniva trattata come una bimba di 6 circondata dai pupazzi quando lei avrebbe preferito essere circondata da un’altra cosa che fa rima con pupazzi. Nipote e nonna che si vogliono tanto tanto bene e non potrebbero vivere l’una senza altra, anche se io vorrei vedere poi dietro le quinte ciò che è successo per davvero. Secondo me la nipote ha campato la cara nonnina in fin di vita giù dalle scale ed è andata in bagno a farsi una sveltina e una striscia di coca con Garko, ma queste sono solo mie supposizioni.

Nella seconda vicenda di questa bellissima e appassionantissima puntata di C’è posta per te c’è stato posto per un melodrammone ancora più strappalacrime. La storia di un uomo che doveva essere talmente un pezzo di pane che tutte le sue mogli a un certo punto sono scappate via senza dirgli dove andavano, chissà perché? Una di queste numerose mogli ha portato via con sé anche il figlio, e l’uomo per decenni se n’è fregato di cercarlo. Fino a che un giorno, malato terminale in fin di vita – ovvio – ha scoperto l’esistenza del programma di Maria de Filippi e ha deciso di contattarli per rintracciare il figlio perduto, senza dover manco pagare un detective privato. Così Santa Maria, insieme ai suoi piccoli aiutanti, ha ritrovato il bambino, trasferitosi negli USA, scoprendo che oramai è diventato un omaccione italoamericano che sembra uscito dai Soprano. Alla fine, padre e figlio carramba! che sorpresa si sono ritrovati per la prima volta insieme, tra gli applausi e le lacrime del pubblico.

Perché diavolo vi ho raccontato tutto ciò?
Innanzitutto per rendervi complici di questa mia esperienza traumatica e farvi soffrire un po' quanto ho sofferto io, e poi perché la visione di Philomena mi ha riportato alla mente tutto ciò.

Philomena
(UK, USA, Francia 2013)
Regia: Stephen Frears
Sceneggiatura: Steve Coogan, Jeff Pope
Ispirato al libro: The Lost Child of Philomena Lee di Martin Sixsmith
Cast: Judi Dench, Steve Coogan, Mare Winningham, Sophie Kennedy Clark, Barbara Jefford, Anna Maxwell Martin, Michelle Fairley
Genere: tv cinema del dolore
Se ti piace guarda anche: Una canzone per Marion, Saving Mr. Banks, Parto con mamma, Nebraska

La storia raccontata dal film, ispirata a un fatto realmente successo raccontato non da Maria de Filippi bensì da Martin Sixsmith nel suo bestseller The Lost Child of Philomena Lee, è abbastanza simile a quella di C'è posta per te. Una donna irlandese mega bigotta ha avuto un figlio da giovanissima e il bimbo è stato affidato a un convento di suore malefiche che l’hanno vendut… pardon dato in adozione negli Stati Uniti. 50 lunghi anni dopo la donna, Philomena, una Judi Dench che a me non è sembrata per nulla da Oscar, vuole ritrovarlo e in suo soccorso arriva un giornalista che fino ad allora non si era mai occupato di questo genere di storie di vita vissuta perché, ve lo dico con le sue parole:

Storie di vita vissuta è un eufemismo per articoli su persone stupide, vulnerabili e ignoranti con cui riempire giornali letti da persone ignoranti, stupide e vulnerabili.

"Scommetto che ti stai annoiando, ammettilo..."
"Andare in giro per cimiteri con una vecchia bigotta scassapalle?
E perché mai dovrei annoiarmi?"
Lo dice nel film Martin Sixsmith, interpretato da uno Steve Coogan così così, mica io.
Si può raccontare una storia di questo tipo senza (s)cadere nel facile pietismo alla Maria de Filippi?
Sì, si può, un film come Quasi amici è la dimostrazione che si possono toccare certi argomenti delicati in una maniera ironica e priva dei soliti stereotipi. La domanda più importante per quanto riguarda questo post invece è: Philomena ci riesce?
Secondo la critica mondiale, secondo l’Academy che l’ha nominato addirittura tra i migliori film dell’anno, e secondo gran parte degli amici blogger di cui ho letto pareri per lo più entusiastici sì. Un gigantesco sì.
Per quanto mi riguarda invece è un gigantesco mah, tendente al no.

Philomena non gioca troppo le armi della lacrima facile, di questo gliene do’ atto. È un film che io ho trovato anzi molto freddo. Pure troppo. Sarà che ho provato un’antipatia istintiva e viscerale nei confronti di questa Philomena. Non ci posso fare niente. A parte qualche accennato momento di apertura mentale, bigotta era all’inizio del film, bigotta rimane fino alla fine. Ed è pure appassionata di libri stile Harmony, ce le ha davvero tutte!
Ho provato invece una forte empatia nei confronti di Martin Sixsmith, nonostante per l’attore che lo interpreta, Steve Coogan, abbia sempre provato un’antipatia istintiva e viscerale, non so bene perché, non chiedetemelo. Il suo personaggio è quello di un giornalista ateo che odia le “storie di vita vissuta” alla Maria de Filippi. Martin e Philomena sono quindi due persone del tutto differenti che si trovano a dover viaggiare insieme, lui per raccontare a modo suo un tipo di vicenda che tanto non sopporta e lei per scoprire che fine ha fatto suo figlio. Tra i due si instaura un rapporto quasi genitoriale già visto in un sacco di altri film, dagli on the road recenti stile Nebraska e Parto con mamma fino, tornando più indietro nel tempo, a pellicole come In viaggio con papà o Dutch è molto meglio di papà.

"Questo Cannibal sarà anche quello che noi giornalisti seri chiamiamo un
blogger da strapazzo, però su di te Philomena non ha mica tutti i torti..."
Cos’ha questo Philomena in più rispetto alle decine, forse centinaia di film simili, in grado di portarlo a correre per gli Oscar?
Ditemelo voi, io non l’ho capito. Ho apprezzato la critica alle suore e al convento, sebbene fatta con il freno a mano sempre inserito da Philomena. Per il resto i due protagonisti non mi hanno certo sconvolto, le musiche di Alexandre Desplat sono belle ma regalano una patina favolistica fuori luogo per questa storia vera, ci sono due o tre momenti divertenti ma niente di così clamoroso rispetto ai soliti standard britannici, la regia di Stephen Frears mi è parsa di un piatto totale e, soprattutto, la parte drammatica non l’ho trovata così emozionante.
Un drammone strappalacrime ti deve far commuovere, come ad esempio il recente sottovalutato Una canzone per Marion, se invece non ci riesce vuol dire che con te ha fallito. Come un horror che non fa paura. Il problema comunque con buona probabilità non è tanto del film quanto mio, visto che il resto del mondo pare aver adorato Philomena. Sarò una persona cattiva io, ma a me è sembrata giusto una storia alla Maria de Filippi, realizzata in maniera professionale, curata e tutto e con dentro un paio di riflessioni non male sulla religione e pure sul giornalismo, però pur sempre una storia – Dio mio! – alla Maria de Filippi.
(voto 5,5/10)

"Il paragone con le storie di C'è posta per te dovrebbe essere un insulto?
Ma io adoro quel programma!"

sabato 9 marzo 2013

SKYFALL, NON MI HAI FATTO SKYFO

Skyfall
(UK, USA 2012)
Regia: Sam Mendes
Sceneggiatura: Neal Purvis, Robert Wade, John Logan
Cast: Daniel Craig, Judi Dench, Javier Bardem, Ralph Fiennes, Naomie Harris, Bérénice Marlohe, Ben Whishaw, Rory Kinnear, Albert Finney
Genere: spionistico
Se ti piace guarda anche: Il cavaliere oscuro, gli altri film su James Bond

Il mio nome è Boh. James Boh.
Se cercate qualcuno che vi dica tutto sull’agente 007, qualcuno che abbia letto tutti i libri di Ian Fleming, qualcuno che vi sappia citare ogni punto di contatto con i film precedenti, che vi faccia notare quali sono le novità di questo ultimo Skyfall, qualcuno che vi nomini tutte le Bond Girls e le canzoni usate, ecco avete sbagliato agente. A parte giusto le Bond Girls e le canzoni, io del magico e avventuroso mondo di James Bond non ne so niente.
Se cercate invece il punto di vista di qualcuno che si approccia per la prima volta a una visione bondiana, io sono l’agente che fa al caso vostro. L’ultimo Bond-vergine rimasto al mondo. Chi infatti non ha mai visto un film con protagonista 007?
Io. Fino ad ora ero sempre rimasto immune al fascino dell’agente più cool del mondo, o per lo meno della Gran Bretagna. Sarà che non mi hanno mai attirato i suoi vari interpreti. Nemmeno Sean Connery, per cui (lo so che dirò una bestemmia) ho sempre provato una congenita antipatia. Non lo so perché, a me gli scozzesi in genere stanno pure simpatici. E adoro tutto, ma proprio tutto della cultura britannica. James Bond però proprio no. Come detto, fino ad ora.

"Certo che non è giusto: Daniel Craig tutto fighetto,
mentre a me m'hanno conciato da far skyfo."
Skyfall è riuscito a riportare alle stelle l’hype nei confronti del brand Bond. Con un’operazione di marketing da ammirare e di cui ogni esperto nel settore dovrebbe prendere appunti, Daniel Craig in versione 007 si è presentato a prendere la Regina Elisabetta durante la cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici di Londra. Un evento di nicchia, seguito giusto da qualche miliardo di persone nel mondo. Per la canzone deputata a fare da tema musicale al film è stata poi scelta soltanto la cantante che ha venduto più dischi negli ultimi anni, una certa Adele, in grado più tardi di portarsi a casa l’Oscar, cosa mai successa a un brano bondiano.
Con due mosse appena, di cui una muovendo la regina del Regno Unito e l’altra muovendo la regina della musica, il nuovo film di James Bond aveva quindi già posto le basi per uno scacco matto globale senza precedenti. Le altre due pellicole con protagonista Daniel Craig Casino Royale del 2006 e Quantum of Solace del 2008 avevano infatti risvegliato l’interesse mondiale nei confronti del personaggio, dopo la lunga parentesi Pierce Brosnan, però niente a che vedere con il successo di Skyfall, riuscito ormai a superare il miliardo di dollari di incasso a livello worldwide.
Tutto merito di un’astuta e clamorosamente riuscita operazione di marketing, oppure dietro si cela anche della sostanza cinematografica, come le numerose critiche positive ricevute dalla pellicola lasciavano intuire? Tra i soldi spesi per la campagna promozionale, alcuni sono stati utilizzati anche per pagare i giornalisti pregandoli di parlarne bene, oppure una visione la merita davvero?

James Bond a suo agio in un museo tanto quanto
un elefante in un negozio di cristalli.
Da buon agente operativo, se non altro a livello cinematografico, ho cercato di indagare per scoprirne di più. Per una volta ho messo da parte le mie resistenze nei confronti di un personaggio così affascinante per tutto il mondo, ma che a me invece non ha mai affascinato minimamente. Un incentivo me l’ha dato la regia di Sam Mendes, regista che apprezzo parecchio fin da quel gioiellino d’esordio di American Beauty. Sinceramente, mi giravano le palle a perdermi un film di Sam Mendes, di cui ho visto l’intera Opera, solo perché sono sempre stato un anti-Bond. Alla fine allora ho ceduto e… mi è piaciuto. Non mi ha magari esaltato a livelli assurdi, non m’è venuta voglia di recuperarmi tutte le altre pellicole su 007, ma se non altro Skyfall non mi ha fatto sky-fo.
E pensare che sono partito con il mirino puntato sull’obiettivo e alla prima sequenza stavo già per sparare. Una lunga, e per quanto mi riguarda poco appassionante, scenona d’azione. Un inseguimento inverosimile, ovvero proprio ciò che mi aspettavo alla vigilia. Poi invece succede l’inaspettato. A Bond sparano per davvero.
Oh, mio Dio! Per una volta che mi metto a vedere un film con 007, me lo fanno fuori subito?

"Hanno cancellato la tua serie The Hour, Ben? Mo' so' cazzi amari per tutti!"
Ovviamente Bond non è davvero morto, però il film sa sparare qualche altro bel colpo riuscito, a partire da dei titoli di testa di un’eleganza infinita, accompagnati dalle splendide note del tema musicale cantato da Adele, di diritto tra i migliori nella Storia bondiana. Per quanto non abbia una enorme, anzi, per quanto non abbia alcuna conoscenza delle altre pellicole, le canzoni usate in 007 le conosco bene e Skyfall di Adele non sfigura affatto al fianco delle memorabili “Diamonds Are Forever” e “Goldfinger” cantate da Shirley Bassey, oltre alla splendida “Nobody Does It Better” di Carly Simon.

"Bond, non vengo a letto con te finché non hai imparato a
pronunciare il mio nome correttamente. Capito?"
"Tutto chiaro, Bernarda Merlo."
La pellicola scivola poi via benissimo, nella prima parte grazie allo humour british contenuto nei dialoghi tra il roccioso Daniel Craig e il giovinastro Q interpretato dall’ottimo Ben Whishaw (uno dei protagonisti della purtroppo cancellata serie UK The Hour), grazie ai flirt innocenti con Naomie Harris e quelli meno innocenti con Bérénice Marlohe, Bond girl da togliere il fiato. E poi grazie alle atmosfere Christopher Nolan friendly in cui piomba la pellicola nella sua seconda parte, quella in cui entra in scena Javier Bardem (che a me invero non ha convinto del tutto) in versione terrorista cattivone. Tutti a scomodare il paragone con Il cavaliere oscuro e io che faccio? Devo confermare pure io tale paragone. Non avendo grande confidenza con il genere action, Sam Mendes deve aver preso molti appunti durante la visione dei Batman nolaniani, e si vede.
Skyfall non presenta quindi niente di radicalmente nuovo, a livello cinematografico, però è un film che ha stile. Un film che ha saputo affascinarmi. Anch’io per la prima volta sono rimasto rapito dal fascino bondiano. Rapito magari è un termine esagerato, visto che nell’ultima parte la pellicola si adagia troppo sul versante action e lì mi ha stupito decisamente meno.
Nel complesso allora devo riconoscere il fallimento della mia missione. Ero stato inviato per sparare a zero su zero zero sette, invece alla fine mi sono fatto conquistare dalla vittima. D'altra parte dovevo già immaginarmelo: nei film va sempre a finire così.
(voto 6,5/10)

Post pubblicato anche su L'OraBlù, accompagnato da un nuovo super styloso poster realizzato dall'emerito C(h)erotto.



mercoledì 29 febbraio 2012

Y.M.C.J. Edgar

"Ti prego, Cannibal: sii buono con questo film, se no Ford si mette a piangere!"
J. Edgar
(USA 2011)
Regia: Clint Eastwood
Cast: Leonardo DiCaprio, Judi Dench, Armie Hammer, Naomi Watts, Josh Lucas, Ed Westwick, Damon Herriman, Dylan Burns, Jordan Bridges, Geoff Pierson, Dermot Mulroney, Lea Thompson, Jeffrey Donovan, Miles Fisher
Genere: biopic
Se ti piace guarda anche: The Aviator, Big Fish, The Iron Lady, I Kennedy, Nemico pubblico, Milk

John Edgar Hoover non era un bell’uomo. Era anzi un uomo piuttosto spaventoso. La scelta di Leonardo DiCaprio appare quindi già una scommessa, visto che fisicamente Leo, per sua fortuna, con J. Edgar non c’entra un cazzo. Con i miracoli del trucco si possono però modificare i divi a proprio piacimento, lo sappiamo bene. Charlize Theron è diventato un vero Monster, tanto per fare un esempio. Ed era piuttosto credibile nella parte, anche se non del tutto e l’Oscar è stato il solito regalo molto generoso dato dai membri dell’Academy a quegli attori che si fanno lo sbattone di sottoporsi a torture fisiche di vario genere.
Il problema arriva quando ti affidi a dei truccatori ridicoli, come in questo caso, ed è così che la credibilità va fin dall’inizio a farsi benedire. La grandezza sta nei dettagli, e qui non si tratta nemmeno di un piccolo dettaglio, visto che persino ai tempi di Cocoon si riusciva a fare di meglio. Per non parlare poi di una piccola produzione italiana come quella de I soliti idioti in cui il Nongio riesce a diventare un Nonvecchio parecchio verosimile. Dai cazzo, truccatori di J. Edgar!
(su questo sito potete trovare le fonti di ispirazione per il trucco dei protagonisti)
Questa quindi è una pecca che mina fin dall’inizio la riuscita completa del film, però cerchiamo di andare oltre le apparenze.
Visto che l’abbiamo menzionato, torniamo all’argomento Theron. Gentili lettori del Sud Italia, non è un insulto nei vostri confronti, ma è solo il cognome di una splendida attrice. Questa qui sotto.


Sorry, ho sbagliato foto. Ecco Charlize Theron in tutto il suo splendore.


"Ah truccatori, dovevate farmi sembrare vecchia, mica morta..."
La Theron avrebbe dovuto avere la parte dell’interesse sentimentale femminile di J. Edgar nel film, salvo poi (forse) scoprire che J. Edgar era (forse) gay e quindi la sua parte non sarebbe stata (forse, anzi sicuramente) poi così rilevante all’interno del film. Il ruolo è passato dunque nelle mani sapienti di Naomi Watts. Naomi Watts che dopo Mulholland Drive, The Ring e 21 Grammi sembrava dovesse aprire Hollywood in due come una mela e poi è invece finita risucchiata nel pericoloso circolo vizioso di remake, filmetti e piccole particine come in questo caso. Un vero peccato perché di talento ne ha da vendere e il suo ruolo in J. Edgar è troppo minuscolo per renderle onore. E pure con lei il trucco non è stato molto generoso...
MA VA' A CAGARE, VA'!
Comunque passiamo al vero protagonista del film, anche perché il film prende, in teoria, proprio il suo nome.
Chi è l’uomo che odia di più i comunisti al mondo?
La risposta non è la più semplice. Non è infatti Berluscon de’ Berlusconi, che comunque occupa un secondo posto di tutto rispetto, bensì John Edgar Hoover.
"Edgar era gai... e adesso sta con l'FBI"
Hoover è stata una delle figure più controverse nella storia d’America, un uomo capace di frasi enfatiche degne del miglior, anzi peggior, Premier italiano sopra citato del tipo: “E se non l’avessimo fatto, lei forse sarebbe nato in uno stato comunista, anziché nel paese che lei oggi ama!”

Approcciarsi a un personaggio del genere è materia parecchio ostica, visto che dall'altra parte incontriamo il J. Edgar considerato un vero eroe americano o quasi. Hoover ha infatti diretto per una cinquantina di anni l’FBI, portandolo ad essere il servizio investigativo anti-crimine più famoso del mondo.
È ad esempio grazie all’FBI se nelle ultime settimane abbiamo assistito alla chiusura di tutti i vari servizi di film e serie tv in streaming online come Megavideo o dei vari comodi siti di upload come Megaupload, Multiupload, Hotfile etc.
Grazie tante, FBI e grazie tante J. Edgar!
Ma l’FBI ha fatto anche tante cose belle e buone che adesso non mi vengono in mente ma sono sicuro ci sono.
"Pronto, Cannibal? Attento a ciò che dici che chiudiamo pure il tuo sito!"
La lotta alle streghe anticomunista che ha portato vari registi a dover fuggire dagli Stati Uniti per trovare rifugio in Europa?
I pestaggi nei confronti degli afro-americani?
La cattura di Hannibal the Cannibal?
Tutte cose che nel film vengono messe in un angolino e si sarebbero potute approfondire meglio (a parte l'ultima fittizia cui sono stati dedicati già abbastanza film), tanto per dipingere un quadro più preciso dell’FBI e di J. Edgar.
La pellicola preferisce invece rendere onore ai suoi effettivi meriti, come aver introdotto un archivio per le impronte digitali e aver dato un peso maggiore alle prove scientifiche nella risoluzione dei casi. Senza di lui, in pratica, Grissom e soci oggi sarebbero dei signori disoccupati e i RIS ad esempio non sarebbero mai riusciti a risolvere casi come l’omicidio di Garlasco…
Come? Non hanno ancora trovato un colpevole? Tutti innocenti?
Scusate, ho sbagliato esempio.

Una scena in anteprima da Cocoon 3
J. Edgar ha quindi portato avanti il buon nome dell’anti-crimine, contribuendo alla cattura di vari gangsters e all’omicidio di John Dillinger, come raccontato anche in Nemico pubblico. Quale sia stato e quanto sia stato effettivamente determinante il suo contributo è tutto da stabilire, così come la pellicola stessa mette in discussione.
Sebbene le ombre intorno a questa figura cardine della storia americana del Novecento fossero numerose e qui non vengano sviscerate tutte, il merito del film di Eastwood e soprattutto dell’ottima interpretazione di Leo DiCaprio è stato quello di aver dato umanità a un personaggio del genere. Un personaggio piuttosto odioso ma che aveva anche il pregio di non essere un lecchino, nemmeno nei confronti dei vari presidenti degli Stati Uniti che si sono succeduti durante il corso della sua presidenza dell’FBI. Diamogli atto di questo.

La pellicola può dunque essere letta fondamentalmente su due piani: quello storico e quello personale.
Per quanto riguarda la prima parte, il problema principale era quello di tenere in piedi un racconto il più possibile omogeneo nonostante la materia affrontata sia come abbiamo visto ostica e soprattutto vada a ricoprire un arco temporale molto lungo e con vari episodi cruciali del Novecento americano, dalle relazioni extraconiugali di JFK alla lotta ai gangster passando per il rapimento del figlio dell’aviatore Lindbergh.
Una sfida molto impegnativa, rispetto a un film più “facile” come Invictus, in cui Eastwood si trovava a raccontare un personaggio più apprezzato dall’opinione pubblica come Nelson Mandela e inoltre non aveva il compito di doverne raccontare l’intera vita, ma concentrarsi soprattutto su un singolo evento, i Mondiali di rugby del 1995.
La faccenda con J. Edgar si fa dannatamente più complessa, ma a dare un contributo fondamentale e a rendere il tutto comprensibile (o quasi) ci pensa la valida sceneggiatura di Dustin Lance Black, già premio Oscar per quella di Milk e quindi esperto nei biopic a tematica gaya.
Per coprire l’intera vita e carriera del protagonista, i piani temporali si sovrappongono gli uni agli altri, in un gioco ad incastri che assomiglia a una versione politica di Se mi lasci ti cancello. Giusto meno visionario e diretto in maniera molto ma mooolto più classicheggiante. Un gioco che ad alcuni spettatori potrebbe risultare complesso da seguire, ma che io ho trovato realizzato in maniera fluida. Tutto bene, allora? No, perché non vi è un vero e proprio crescendo di ritmo, come invece avveniva nella bella parte finale di Milk, e al tutto si preferisce donare un alone di mistero in stile Big Fish. Cosa che si addiceva perfettamente alle atmosfere favolistiche del film di Tim Burton, meno a una storia così storico-politica come quella raccontata da Clint.

"Dio, se fai guarire mia mamma ti prometto che non vado più su quei
sitacci sconci tipo Pensieri Cannibali!"
Mentre giocavamo a fare i recensori seri, dicevamo di due piani narrativi. Di quello storico/politico abbiamo parlato in abbondanza e speriamo di non avervi smaronato troppo. Se l’abbiamo fatto, ormai è troppo tardi per lamentarsi.
E perché, di grazia, stiamo parlando con il pluralis maiestatis? Proprio non lo sappiamo.
In ogni caso, il secondo piano è quello personale. Qui il film si gioca le carte più interessanti e lo fa pure in questo caso con meriti e demeriti.
A regalare una forte umanità al poco amichevole direttore di FBI di quartiere è il rapporto con la madre, interpretata da Judi Dench.
Parentesi Judi Dench. Purtroppo, negli ultimi giorni ha comunicato una brutta notizia sulle sue condizioni di salute: l’attrice 77enne è infatti stata colpita da una grave forma di maculopatia degenerativa che la dovrebbe portare in breve tempo alla cecità. Nonostante questo, la Dench ha annunciato l’intenzione di proseguire nella sua carriera recitativa. Chiudiamo questa (triste) parentesi J. Dench sottolineando come la sua interpretazione in J. Edgar sia superlativa.
Nel rapporto con la figura materna intravediamo un lato fragile di J. Edgar, intimorito e quasi schiacciato dalle sue parole, che gli fanno capire in maniera molto chiara di come non voglia un figlio diverso: “Meglio un figlio froscio che un figlio della Lazio!”, mi sembra gli dica in una scena. O qualcosa del genere…

"Ma quanto siamo bromantici? Ehm, volevo dire... elegantici?
E qui entriamo nella questione più spinosa e curiosa della figura di J. Edgar. Un uomo vecchio stampo come il super mega direttore galattico dell’FBI, era omosessuale?
Nel conflitto, nell’ambiguità che può scaturire da una faccenda così complicata ci si poteva tuffare a bomba per rendere il personaggio ancora più complesso. Il vecchio Clint timidamente, o forse per imbarazzo, pur affrontando l’argomento, preferisce allo stesso tempo mantenere un po’ le distanze.
Abbiamo assistito Eastwood affrontare di petto il tema dell’eutanasia in Million Dollar Baby e tenere con umorismo le redini del confronto razziale in Gran Torino, cose non certo scontate per un Repubblicano classe 1930. Eppure, di fronte alla tematica dell’omosessualità, il regista rimane pudico come una scolaretta che arrosisce di fronte alla parola pene.
Clint, se dico pene arrosisci? E la parola vagina? E cunnilingus? E se dico squirting?
L’aspetto gayo/bromantico della vicenda poteva quindi essere sfruttato meglio e con un po’ più di coraggio, anche perché regala le parti più emotivamente intense dell’intera pellicola.

Lea Thompson in versione GILF agli Oscar
Così come John Edgar Hoover, anche il film J. Edgar a lui dedicato è quindi contraddittorio, fatto di luci e ombre, aspetti positivi e meno positivi. Per questo si può considerare una pellicola che rende in pieno la figura che va a raccontare, a differenza di un film simile per approccio ma ben lontano per risultati come il pessimo The Iron Lady su Margaret Thatcher, un’altra che certo non era una simpaticona.
Tra gli aspetti positivi come detto le notevoli interpretazioni di DiCaprio e della Dench, cui va aggiunta quella forse un po’ troppo forzatamente gaya di Armie Hammer e un cast di contorno molto telefilmico. Una cosa notata anche con il precedente e meno riuscito Hereafter: Clint deve guardare un sacco di serie tv o, se non altro, chi si occupa del casting per lui. In J. Edgar sfilano infatti in piccole parti Ed Westwick di Gossip Girl, Geoff Pierson di Dexter e Jordan Bridges di Dawson’s Creek e Rizzoli & Isles. Ma magari è solo un caso.
Ciliegina sulla torta del cast: Lea Thompson. Ai tempi di Ritorno al futuro era letteralmente la prima MILF ante litteram della storia. Anche se più che MILF forse si doveva definire Marty McFly un SILF (Son I’d Like to Fuck), visto che era lei a volersi fare suo figlio… Comunque sia, qui la ritroviamo ancora affascinante in versione GILF (Grandma I’d Like to Fuck). Ma, il destino bastardo le è proprio avverso: se in Ritorno al futuro ci provava con il sangue del suo sangue, pure qui ce l’avrà dura a conquistare Gay Edgar…

"Ripeti ad alta voce, figliolo: sono un ottimo attore e devo smetterla
di recitare in quella cazzata di Gossip Girl!"
Aspetti meno positivi del film sono una colonna sonora che rimane del tutto in secondo piano, per non dire che è quasi inesistente, e che invece sarebbe potuta essere utilizzata per rendere più immediati i passaggi tra i vari decenni.
Ma la pecca principale della pellicola è un’altra, oltre al pessimo trucco di cui parlavamo in apertura. E forse non è poi nemmeno questa grande pecca.
Per quanto i pezzi siano disposti con cura e Clint ci regali un affresco storico complesso e affascinante, il film non decolla mai del tutto e alla fine l’immagine di J. Edgar ne esce incompleta. Come un puzzle che ci è stato venduto difettoso, mancante di qualche pezzo, e che quindi passeremo tutta la vita a cercare di finire. Senza mai riuscirci.
(voto 7/10)

martedì 11 ottobre 2011

Jane in a bottle

Jane Eyre
(UK, USA 2011)
Regia: Cary Fukunaga
Cast: Mia Wasikowska, Michael Fassbender, Judi Dench, Jamie Bell, Sally Hawkins, Imogen Poots, Craig Roberts, Valentina Cervi, Holliday Grainger, Tamzin Merchant
Genere: vittoriano
Se ti piace guarda anche: Bright Star, La duchessa, Orgoglio e pregiudizio

Trama semiseria
Jane Eyre, rimasta orfana, può scegliere se venira data in affidamento alla nonna e diventare la giovane streghetta protagonista di The Secret Circle oppure andare a stare con la ziastra che al confronto Crudelia de Mon è una cara persona. Sceglie la seconda. La ziastra le vuole talmente bene che la manda in un istituto dove il primo giorno la mettono in punizione e dicono a tutte le altre bambine che se mai parleranno con lei finiranno a condurre la rubrica “Salviamo le forme” di Studio Aperto per tutta la vita. Uscita da questo simpatico istituto, la nostra Jane diventa un’insegnante privata per una bambina che parla solo francese e scoprirà poi…
che il padre della bambina è Sarkozy e sua madre è Carlà?

Recensione cannibale
Beata ignoranza.
C’è chi sostiene che la felicità consista nell’ignoranza del vero. Un certo Leopardi, ad esempio. Forse ha ragione. Ad esempio se ignori che la Gelmini è l’attuale Ministro dell’istruzione, sei più felice. Oppure se ignori che un pianeta sta per colpire la Terra, è più improbabile tu sia depresso rispetto a uno che lo sa. Ma su quest’ultimo punto torneremo in occasione di Melancholia. Fatto sta che forse ha ragione Leopardi. Meglio non saperle, le cose.
Tutto questo per dire che io, dall’alto della mia ignoranza sulle opere delle Brontë sisters (che per gli altri ignoranti come me in ascolto non sono una nuova cool band al femminile, ah yeah, ma delle sorelle scrittrici dell’Ottocento) non conoscevo Jane Eyre. O meglio, la conoscevo di nome ma non conoscevo la sua storia, non avendo letto il romanzo della Charlotte Brontë e non avendo mai visto nessuna delle miliardi di trasposizioni per il cinema e la tv realizzate fino ad oggi. No, nemmeno quella di Zeffirelli con la mia adorata Charlotte Gainsbourg, sulla quale pure in questo caso torneramo sempre in occasione di Melancholia.
Tutto quest’altro per dire che mi è piaciuta, questa nuova versione cinematografica di Jane Eyre prodotta dalla BBC, e magari a chi ha ben presente la storia sembrerà una versione non eccezionale. Io però non so dire se possa rientrare tra i migliori o peggiori adattamenti del romanzo, né so quali elementi qui presenti siano più originali rispetto alle altre versioni e quali elementi siano stati tralasciati. Quindi in pratica questa pseudo recensione è del tutto inutile.

Quello che posso dire dal basso del mio personale ignorante punto di vista è quanto ho apprezzato di più: i due attori riescono a rapire lo sguardo, conducendoci al cuore della vicenda. Lei, Jane Eyre, è Mia Wasikowska (ora sui nostri schermi anche con L'amore che resta di Gus Van Sant), l’attrice australiana di origini polacche (sempre sia tu lodata, Wikipedia libera) il cui cognome viene ormai usato come scioglilingua nelle principali accademie di dizione del mondo. A parte quelle dell’Est Europa, perché vabbé lì immagino non lo trovino così complesso da pronunciare. Lui, Mr. Rochester, è Michael Fassbender, attore tedesco naturalizzato irlandese (sempre e always thank you, free Wikipedia), coppa Volpi all’ultimo Festival di Venezia per il film Shame. Vergogna. No, non è una vergogna che abbia vinto, volevo solo dire che “shame” in italiano significa “vergogna”. Il film invece non l’ho ancora visto (altra ignoranza), ma considerata la solita bravuta dell’interprete di certo il premio non è stato una vergogna.
La cosa più affascinante del film è proprio la tensione sessuale sottesa che all’improvviso si sprigiona tra le due anime in pena. Questa è una frase che forse alla Brontë sarebbe piaciuta. Eh sì, bambini, avete letto bene, ho detto: tensione sessuale. Siete arrossiti come Jane al primo incontro con il macho Rochester? Lui, il Fassbender, fin dall’inizio ha infatti lo sguardo (vedi foto a destra) di chi pensa: “Puoi provare a resistermi, piccola, ma tanto te trombo!”. Lei, la Wasikowska, ha invece lo sguardo peccaminoso (vedi foto sopra) di quella che pensa: “Faccio finta di resisterti, ma al terzo appuntamento te la smollo.”
E così la coppia di protagonisti funziona alla grande, anche perché al di là della tensione sessuale, sono due signori attori, tra i più lanciati del panorama attuale.

"Hey, Billy Elliot, mai pensato di iscriverti al Glee club?"
"Hey, Alice, vuoi che mi tolga i pantaloni e ti mostri il paese delle meraviglie?"
A funzionare meno, ma ricordo ancora che non conoscendo l’opera originale non so se ciò sia amputabile al romanzo o a questa versione, è invece il contorno. Gli altri personaggi rimangono per forza di cose minori, dalla perfida zia Sally Hawkins (la grande Sally Hawkins, qui convincente nella parte della stronza), al cugino Craig Roberts (il mitico protagonista del mitico Submarine, dove pure lì c'era anche la Hawkins), dall’aspirante provolone Jamie Bell (proprio il ballerino gay Billy Elliot; come, non era gay? stupidi stereotipi!) alla governante Judi Dench. Ma ad essere sacrificato è soprattutto il personaggio della pazza Bertha Mason, interpretata dalla “nostra” Valentina Cervi (anche in versione cantante in soundtrack con la sua versione del traditional Ada), che avrebbe meritato un maggiore approfondimento in grado di regalare alla pellicola un ulteriore gothic touch e invece si ritaglia appena una misera scena.

Se la fotografia è di ottimo livello e ci (o almeno mi) riporta alla mente le atmosfere sospese di Bright Star, manca però una forte impronta registica come quella di Jane Campion, ma comunque Cary Fukunaga, qui alla sua seconda opera dopo l’acclamato Sin Nombre (che pure questo, continuo ad ammettere la mia ignoranza, non ho visto), dimostra di possedere un buon occhio e uno sguardo attento.
La colonna sonora dell’altro “nostro” Dario Marianelli (premio Oscar per Espiazione) è azzeccata e conferma, manco ne avessimo bisogno, la teoria della fuga dei cervelli. E qui ritorniamo alla questione di partenza. Se, ad esempio, ignorassimo di vivere in un paese in cui il talento viene considerato come la Peste, saremmo più felici?
Penso di sì.
E allora beata ignoranza.
(voto 7/10)

P.S. Confesso che il finale ha (quasi) sciolto il mio freddo cuore.

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