Cast: Toni Servillo, Riccardo Scamarcio, Kasia Smutniak, Elena Sofia Ricci, Euridice Axen, Alice Pagani, Fabrizio Bentivoglio, Anna Bonaiuto, Ricky Memphis, Roberto Herlitzka, Alessia Fabiani, Fabio Concato
Ullala. Ullala. Ullalalà.
Benvenuti gentili telespettatori... volevo dire lettori, in questo appuntamento di Cinemissimo, la rubrica condotta da me Silvia Cannibalin qui sul sito Pensieri di Canale 5. Oggi parleremo di un film molto discusso e controverso, Loro.
Cast: Stefano Accorsi, Kasia Smutniak, Fausto Maria Sciarappa, Ettore Nicoletti, Tobia De Angelis
Mai piaciuto Luciano Ligabue. Pensare che ho iniziato ad ascoltare musica proprio quando lui era all'apice del successo e “Buon compleanno Elvis”, il suo album più popolare e rappresentativo, era all'apice della classifica made in Italy dei dischi più venduti per settimane, per mesi interi. Io però all'epoca ero altrove, se non fisicamente con la testa e con le orecchie. Ero Oltremanica con i suoni made in Britpop di Blur & Oasis, ed ero Oltreoceano con la musica made in Seattle di Nirvana & Soundgarden.
Ligabue non me lo sono mai filato più di tanto. Le sue canzoni parlavano di vita nella provincia italiana in cui in teoria mi sarei dovuto ritrovare e invece non le capivo. “Vivo morto o X” ad esempio cosa significa? Mai compreso. “Wonderwall” è una parola senza senso, è una non-parola, eppure quella l'ho sempre capita, o se non l'ho capita a un livello letterale l'ho percepita a un livello emozionale. La musica è una questione di gusti, e se ti piace quella di Ligabue probabilmente non ne hai di molto buoni, però è anche una questione di sensibilità personale. Una cosa ti arriva o non ti arriva. Ti emoziona o non ti emoziona. Sto dicendo una banalità o non sto dicendo una banalità?
Cast: Audrey Dana, Eric Elmosnino, Alice Belaïdi, Christian Clavier
Le recensioni di lui nel corpo di lei
Vivere senza cazzo è un po' come vedere la Roma senza Totti: se pò fà, ma è una gran sofferenza. Devo però riconoscere che anche la vagina qualche soddisfazione sta cominciando a darmela. Tralasciando la cosa del sanguinamento che è allucinante. Dio, certo che a te le donne devono aver fatto davvero soffrire parecchio, per infliggere loro una punizione del genere.
In compenso, gli orgasmi ora sì che sono una bomba. Daje! Com'è che diceva quel tipo in Trainspotting? Prendete l'orgasmo più forte che avete mai provato. Moltiplicatelo per mille. Neanche allora ci siete vicini. Ecco qualcosa del genere.
Inoltre, che figata è avere le tette? Vogliamo parlarne?
Forse meglio di no, che non vorrei risultare troppo sboccato e ora che sono dentro a un bel corpo femminile mi sento più aggraziata... volevo dire aggraziato.
Ho visto Perfetti sconosciuti e ho deciso di fare un po' la stessa cosa dei protagonisti. Nel film, un gruppo di amici di lunga data si ritrova per una cena e una di loro, Kasia Smutniak, ha la brillante idea di proporre un giochino innocuo: per dimostrare che nessuno di loro ha segreti, o qualcosa da nascondere, o che sta facendo le corna al compagno, nel corso della serata tutti renderanno noto ciò che gli arriva sullo smart phone, che siano messaggi, telefonate o notifiche dai social e dalle app.
Io invece, per trasparenza nei confronti di voi miei amati lettori, renderò noto tutto quello che mi arriva sul computer e sul cellulare mentre preparo la recensione della pellicola.
Perfetti sconosciuti
(Italia 2016)
Regia: Paolo Genovese
Sceneggiatura: Paolo Genovese, Rolando Ravello, Filippo Bologna, Paolo Costella, Paola Mammini
Cast: Giuseppe Battiston, Anna Foglietta, Marco Giallini, Edoardo Leo, Valerio Mastandrea, Alba Rohrwacher, Kasia Smutniak
Genere: (quasi) perfetto
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Perfetti sconosciuti?
Perfetti sconosciuti un cavolo! Questi ormai sono ovunque, peggio di Belen dei tempi peggiori... volevo dire dei tempi migliori. Il film di Paolo Genovese sta conquistando qualsiasi premio nazionale immaginabile: David di Donatello, Ciak d'oro, Globi d'oro, in attesa dei Nastri d'argento e dei Pensieri Cannibali Awards. E non solo in Italia. Persino al Tribeca Film Festival di New York City, e non ho mica detto San Germano Vercellese, si è portato a casa un riconoscimento per la sceneggiatura.
Sceneggiatura che poi è il punto di forza principale della pellicola, ed è questa la cosa che sorprende di più. Il cinema italiano di oggi vanta una serie di grandi registi: Sorrentino, Guadagnino, Garrone, etc., ma il problema di molte pellicole nostrane sta nel fatto che non sempre a una grande direzione corrisponde un grande script. Per Perfetti sconosciuti vale un po' il contrario. È girato in maniera diligente e impeccabile, per carità, però non è che spicchi tanto da un punto di vista estetico. Colpisce più che altro per la sua brillante scrittura. A cominciare dal paragone tra uomini e donne e PC e Mac, si parte per una lunga serie di dialoghi irresistibili e di trovate che tengono con il fiato sospeso, come se ci trovassimo di fronte a un thriller serrato, anziché a una commedia all'italiana. In effetti, più che alla solita nostra commediola, sembra essere di fronte a un Carnage, solo più accessibile e nazional-popolare rispetto al lavoro radical-chic di Roman Polanski. Oppure sembra di trovarsi di fronte alla pellicola (anti)romantica su relazioni e tradimenti perfetta per i nostri tempi, un po' come lo era Closer una decina d'anni fa...
Aspettate. M'è arrivata una notifica su Facebook.
Mi ha mandato qualcosa Porcellina99. Non l'ho mai incontrata nella vita reale e non l'ho mai vista in faccia, però ha un gran corpo e inoltre non potevo mica rifiutare la richiesta d'amicizia da una con un nome del genere. E poi tanto è maggiorenne, no?
2016 – 1999 = non sono bravo con i numeri, però a 18 anni ci arriva, vero?
Cast: Kasia Smutniak, Francesco Arca, Filippo Scicchitano, Carolina Crescentini, Francesco Scianna, Paola Minaccioni, Elena Sofia Ricci, Carla Signoris, Giulia Michelini, Luisa Ranieri
Genere: melò
Se ti piace guarda anche: Un sapore di ruggine e ossa, Braccialetti rossi, Mine vaganti
Allacciate le cinture, tesorucce mie care. Vorrete mica farvi del male? Lo so che siete al cinema e non su un aereo dirette a San Francisco o a Mykonos. Magari, AAAH!
Anche al cinema alle volte però bisogna tenersi forte, perché le emozioni ti sanno prendere in una maniera talmente prepotente che non è facile rimanere indifferenti. Oltre ad allacciarvi le cinture, vi consiglio inoltre di tenere i fazzoletti a portata di mano, perché le lacrime scenderanno a fiumi. Di che film sto parlando?
Ma di Allacciate le cinture di quel tesoruccio caro del Ferzan Ozpetek, ovvio. Quanto ci piace, Ozpetek, quanto?
"Mi hanno massacrato già tutti. Cannibal, almeno tu risparmiami, ti prego."
Bisognerebbe fargli un monumento soltanto per la vera motivazione per cui ha girato questa pellicola. Se Lars von Trier aveva fatto Melancholia solo per mostrare le tette della Kirsten Dunst – TETTE? UFF, CHE PALLE! – l’Ozpetek nostro ha realizzato Allacciate le cinture unicamente per donarci il culetto di Francesco Arca tutto da mordere su grande schermo. Lo avevam già visto in tv a Uomini e donne quando i tronisti sì che erano dei manzi mica come adesso, e l’avevam visto pure su calendario, ma volete mettere ammirarlo sul telone del multisala a grandezza esagerata?
Uh, quelle fossette sopra le chiappe, che eros. AAAH!
E poi c’è lo Scicchitano. Uh, che chic Filippo Scicchitano. AAAH!
È troppo frocia in questa pellicola, la Filippa. Ci piace. E poi siete sicure che stia solo recitando? A me quella sciocchina non la racconta giusta. C’ho il radar, io, per certe cose.
"Guarda Francesco Arca che tenta di recitare."
"Che tenerezza che mi fa."
Comunque facciamo le serie. Torniamo a parlare di cinema, va’. Questo film pare che sia di genere melò.
Giusto. Io Scicchitano melò farei troppo. Francesco Arca non parliamone.
No, no, no, basta, così non va bene! Dobbiamo parlare di cinema.
Allacciate le cinture è stato accolto male da quei birboni pieni di pregiudizi della critica. Da come se ne parlava in giro, sembrava che dovesse essere un naufragio annunciato, da cui manco un’arca ci avrebbe potuti salvare. Anche se io da Arca mi farei salvare mooolto volentieri.
Tutti a dire quanto fa schifo l’ultimo film di Ozpetek che quasi quasi avevano convinto pure me. Con la gente va così. Ti dicono una cosa talmente tante volte che ti convinci abbiano ragione loro. Ti dicono ad esempio che ti devono piacere le donne e te lo ripetono così spesso che alla fine ci credi. Poi però vedi quei muscolacci di Francesco Arca – GNAM! – e subito cambi idea. Preferite davvero la Dunst? Nel 2014 vi piacciono ancora le tette?
Siete troppo OUT, sfigate!
"Pettinata così sei uguale a Justin Bieber."
"Ahahah, è vero!"
Fatto sta che erano tutti a dire che Allacciate le cinture fa cagare, fa cagare, fa cagare e sapete cosa?
Non fa cagare. Mai dare ascolto alla gente. Soprattutto alla gente mal vestita. Un paio di scene del film sono assurde e potevano anche essere tagliate via dal montaggio, è vero, però al Ferzan certe cose le perdoniamo perché lo sappiamo che è tanto pazza. Ci piace anche per questo. Da lei non sai mai cosa aspettarti. Ti può tirare fuori dei gioiellini come il delizioso La finestra di fronte con quell’altro manzo di Raoul Bova – MEGAGNAM! – o il simpatico Mine vaganti, una ventata d’aria fresca nell’asfittico panorama delle commedie bacchettone italiane vecchio stampo. Oppure può tirare fuori un film da MEH! come la non troppo riuscita parentesi paranormale di Magnifica presenza. Comunque vada a finire, sai già che l’Ozpetek ti sorprenderà. Qui la regista turca naturalizzata italiana torna a fare ciò che sa far meglio. Il melodrammone con accenni da commedia, di quelle un po’ alla Pedro Almodóvar, però meglio di quell’altra pazza dell’Almodóvar che negli ultimi tempi ci sta facendo penare parecchio con pellicole al limite del penoso come La pelle che abito e Gli amanti passeggeri.
Pure Allacciate le cinture ha i suoi difettucci. Qua e là Ozpetek esagera, si fa prendere la mano dal dramma, diversi personaggi sono stereotipati e lo sguardo perso nel nulla di Francesco Arca non aiuta. Meglio quando lo riprende da dietro, che da davanti. In compenso c’è una sceneggiatura molto libera e imprevedibile a livello temporale e poi a tenere su tutta la baracca c’è una Kasia Smutniak ME-RA-VI-GLIO-SA. Dio, quanto l’ho invidiata! Con tutte le Madonne che le ho tirato dietro, per forza che a un certo punto il suo personaggio vive una svolta sfortunata. Però in questo film è propria brava, ‘sta stronzetta, glielo riconosco. C’è persino un momento in cui comincia a farti pena. Poi ripensi alla scena in cui è tutta nuda lì sul bagnasciuga insieme al Francesco Arca pure lui tutto nudo, o a quella sequenza in cui lui fa all’amore con lei in ozpedale anche se lei è in condizioni disastrose che mi ha ricordato un'analoga scena di amore disperato in Un sapore di ruggine e ossa, e subito torni a maledirla, la dannata Kasia.
Non date allora retta a quelle che vi dicono che Allacciate le cinture fa schifo. Sono solo delle sceme invidiose. O forse sono solo io ad essere diventata troppo buona con le produzioni italiane, chi lo sa? Comunque sia, se proprio vogliamo trovare un grande difetto a questo film, secondo me il titolo è tutto sbagliato. Non si doveva chiamare Allacciate le cinture. Si doveva chiamare Slacciatevi le cinture.
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Siamo alle solite. In Italia le cose non cambiano mai. Vale per la politica, lo stesso vale per il cinema.
Cinema???
Perché, Benvenuto Presidente! sarebbe cinema?
No. Benvenuto Presidente! è una favoletta moralista che parte persino da buone intenzioni: mostrare un’alternativa onesta ai politici che infestano e hanno infestato l’Italia da… sempre. Il problema è che come al solito la realtà dei fatti supera gli intenti satirici. Era già capitato col terribile Qualunquemente di Antonio Albanese, la cosa fondamentalmente si ripete anche qui. History repeating. La situazione politica italiana è talmente tragicomica di suo, che riuscire a sdrammatizzarci sopra è dura. Soprattutto quando a farlo è Claudio Bisio, uno che non mi fa ridere manco per sbaglio, oltre che uno cresciuto a pane e Mediaset. E sentire la predica fatta da uno che senza i soldini del Berlusca oggi sarebbe in mezzo a una strada non è proprio il massimo della vita.
"Sarò un Presidente umile...
Da oggi però chiamatemi Dio."
E pensare che lo spunto da cui prende il via la vicenda non è nemmeno tanto male e non è manco così irrealistico. Le ultime elezioni del Presidente della Repubblica non sono andate in fondo in maniera tanto differente. Nella realtà, i partiti si sono accordati per votare quel matusalemme di Napolitano. Nella fiction, pardon nel film, decidono invece di votare Giuseppe Garibaldi. L’ironica votazione ha però un vero valore legale e così il nuovo Presidente della Repubblica è l’unico Giuseppe Garibaldi in età per poter svolgere il compito, ovvero il pescatore di un piccolo paesino Giuseppe Garibaldi, soprannominato Peppino e interpretato da Claudio Bisio.
Una volta che occuperà la prestigiosa carica di Presidente della Repubblica, Peppino farà le cose a modo suo. In maniera maldestra all’inizio, ma poi troverà la sua strada, con una politica più che onesta. Quasi da Santo. Al punto che avrebbe fatto rivoltare lo stomaco persino a Gandhi e a Madre Teresa di Calcutta. Per carità, non sarebbe male avere davvero un Presidente così, però qui forse si esagera persino, in zuccherosi livelli di bontà.
"Dici che vestito così posso passare per Presidente della Repubblica?"
"Per Presidente può darsi, per attore no di sicuro."
Al di là della satira politica prevedibile e all’acqua di rose, che prende per i fondelli senza troppa cattiveria sia Destra che Sinistra e strizza pure l’occhiolino al populismo del Movimento 5 Stelle, a mancare è soprattutto un’altra cosa, quella cosa di cui parlavamo all’inizio. Il Cinema. Qui dentro non si sente puzza di Cinema, come invece capita con commedie francesi disimpegnate come 20 anni di meno e Dream Team. Nelle produzioni dei nostri cugini, anche quelle più leggere, si nota una notevole cura nei particolari, nei dettagli, nelle interpretazioni. In Benvenuto Presidente! si respira invece aria di fiction televisiva a pieni polmoni.
Colpa anche di un’interpretazione imbarazzante di Bisio, che tira fuori tutto il suo repertorio di faccette e di gag sceme. Una vicenda grottesca (ma non troppo) del genere l’avrei vista meglio nelle mani e nella fisicità di un Roberto Benigni. Per quanto pure lui abbia stufato, in un ruolo come questo avrebbe sicuramente fatto un figurone al confronto del “collega”. Un po’ come a Sanremo. Benigni bene o male nei suoi interventi riesce a tenere desta l’attenzione, mentre Bisio quest’anno, con il suo monologo moraleggiante molto vicino allo stile di questa pellicola, è riuscito a raggiungere il punto più basso del Festival. E sì che di punti bassi a Sanremo c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Non va meglio neppure con il resto del cast, con una Kasia Smutniak che è più decente quando si trova ad avere a che fare con parti drammatiche, mentre la commedia proprio non le si addice. Poi c’è Giuseppe Fiorello, anche (s)conosciuto come Beppe Fiorello, nella parte del politico senza scrupoli. E giù risate non perché è divertente, ma per la sua solita pessima performance recitativa. Il dramma è che, anziché prendere spunto dai colleghi americani o britannici o francesi, i “nostri” attori recitano come se fossero sempre in una soap-opera, con un uso costante del sospirato. E il sospirato è la morte del cinema.
Che altro? Non bastava la vicenda politica e così c’è anche un’immancabile improponibile storiella d’amore tra Bisio e la Smutniak, con tanto di ridicole (ma non comiche come vorrebbero essere) scene di sesso violento e improbabili proposte di nozze dopo appena una notte passata insieme. Ma che davero?
Bevenuto Presidente! è un film talmente moralista, populista, buonista che a fine visione ti viene voglia di andare ad attaccare barattoli alle code dei gatti, uscire per strada sognando che sia La notte del giudizio, auto infliggerti una cura Ludovico a suon di visioni ininterrotte di Arancia Meccanica. Perché avere dei politici onesti sarebbe splendido, nella realtà. Ma vederne uno all’opera in una fiction, pardon in un film, è un’esperienza agghiacciante. Malvenuto Presidente!
(voto 4-/10)
"Un voto superiore al 3? Direi che è ancora andata bene..."
“Io sono stato votato tutte le volte che sono passato da 11/13 milioni di italiani, tutti coglioni?” chiedeva Silvio Berlusconi ad Anno Zero, qualche settimana fa, mentre il pubblico in studio rispondeva in coro: “Sììììììììììììììììììì”.
È la stessa cosa che mi sono chiesto io dopo aver visto i risultati delle ultime (per ora) elezioni politiche, per quanto i milioni di italiani che l'hanno votato siano diminuiti, e pure quelli di ascolto della fiction Volare: 10 e milioni e passa di italiani davanti alla tv per la prima puntata, 11 milioni e passa per la seconda.
Tutti coglioni?
Volare
(Italia 2013, film tv in due parti)
Regia: Riccardo Milani
Cast: Giuseppe Fiorello, Kasia Smutniak, Alessandro Tiberi, Antonio d’Ausilio, Diego D’Elia, Federica De Cola, Massimiliano Gallo, Gabriele Cirilli, Alberto Resti, Armando De Razza
Genere: biopic
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Nel corso dell’ultimo Festival di Sanremo, durante le pause pubblicitarie, tra l’altro la parte musicalmente più interessante dell’intera kermesse, continuava a passare lo spot della fiction su Domenico Modugno.
La prima volta ha subito catturato il mio interesse. Io adoro i biopic, i film biografici, a cui ho pure dedicato una blog war contro il mio blogger rivale (ormai ex rivale?) Mr. James Ford. Adoro in maniera particolare le pellicole dedicate ad artisti, cantanti, musicisti, che spesso si rivelano più interessanti da un punto di vista dei personaggi e delle storie raccontate, che non sul piano strettamente cinematografico. È sempre interessante scoprire l’uomo (o la donna) che si nasconde dietro a un’opera d’arte, scoprire il loro carattere, i loro demoni personali, il modo in cui sono arrivati a creare qualcosa che è rimasto nelle nostre orecchie, nei nostri occhi, nei nostri cuori.
"Che hai da ridere tu?" "Sono felice per te, Domenico. Te nei se andato nel 1994, appena hai capito cosa stava per succedere in questo paese..."
Quanto alla musica di Domenico Modugno in sé non è che la conoscessi in maniera approfondita. Conoscevo giusto quelle sue canzoni che conoscono tutti: Nel blu dipinto di blu, Meraviglioso e Vecchio frack, fondamentalmente. Cosa che mi ha spinto ancora di più verso la visione della pellicola, per poter approfondire appunto un personaggio chiave della musica italiana di cui non sapevo un granché. Il fatto che si trattasse di una fiction Rai mi ha un po’ frenato, però esisteva un precedente positivo: il film tv Rino Gaetano - Ma il cielo è sempre più blu, pur non eccelso, mi era decisamente piaciuto, complice anche un’ottima interpretazione di Claudio Santamaria come protagonista. E pure lì c’era Kasia Smutniak.
A smontare le mia aspettative c’ha pensato allora soprattutto un nome: quello di Beppe... Grillo?
No, Beppe Fiorello.
Io provo un’antipatia congenita nei confronti di Rosario Fiorello, cui se non altro riconosco doti di ottimo intrattenitore, e pure del suo fratello raccomandato Beppe, cui invece non riconosco alcuna dote particolare.
Nonostante questo, ho dato fiducia alla fiction Volare, recuperata in rete dopo il passaggio tv perché oh, ormai non ce la faccio più a concepire di vedermi un film o anche un film tv con le pause pubblicitarie in mezzo alle palle. Perché l’ho fatto? Per via dell’interesse nei confronti di Domenico Modugno, per capire se 10/11 milioni di italiani sono stati coglioni a vederla e per provare a essere smentito da Beppe Fiorello.
Perché a me piace quando un attore che avevo sottovalutato riesce a sorprendermi.
Lo dico subito: non è questo il caso.
Volare è un film tv in due parti che ha delle ottime carte in mano. Non solo ottime, ma pure un jolly da giocare: Domenico Modugno, un personaggio molto interessante, simbolo della musica italiana nel mondo come pochi (nessuno?) altri e anche un simbolo dei cambiamenti epocali che stava vivendo l’Italia del dopoguerra.
La sua è una storia bella, positiva, ci fa vivere l’Italian Dream quando in questa nazione era ancora consentito sognare. Modugno parte con il sogno di fare l’attore e dal paesino pugliese in cui è nato va a cercare il successo a Cinecittà, sperando di diventare un divo del cinema. Triste vedere come l’Italian Dream negli ultimi anni sia rimasto sostanzialmente lo stesso, solo che i giovani sognatori si recano a Cinecittà non per entrare nel mondo del cinema ma nella casa del Grande Fratello, si veda in proposito Reality.
"Sono stato sveglio tutta la notte a vedere i risultati elettorali, ma ancora non l'ho capito: quindi adesso?"
Non oso nemmeno immaginare cosa sarebbe potuto uscire fuori nella mani di un Sorrentino, o appunto di quel Garrone artefice di Reality, con un personaggio del genere. Purtroppo, sognare è bello, ma la reality è un’altra. La reality della fiction Rai è tutta un’altra cosa.
Il regista Riccardo Milani dirige in maniera molto modesta, piatta, televisiva nell’accezione più negativa del termine. Ok, è una fiction tv e non una pellicola cinematografica, bisogna tenere conto di questo. Il confronto è però impietoso anche accostando Volare alle produzioni tv americane, inglesi, francesi.
Oltre a una regia alquanto discutibile, il montaggio appare casuale e i dialoghi sono quel sono. Le musiche di Andrea Guerra, collaboratore abituale di Ferzan Ozpetek, cercano di dare un maggiore tono cinematografico, ma pure queste sono abbastanza scontate e johnwilliamsiane. Il problema principale, l’ombra oscura che si abbatte su questa pellicola è però la presenza di cui parlavo prima, Beppe Fiorello.
Non gli voglio nemmeno male, a Beppe Fiorello. In questa fiction si vede che c’ha messo impegno. C’ha messo tutto se stesso. Il punto è proprio questo: c’ha messo se stesso, ma questo non è un film su di lui. Questo è, dovrebbe essere almeno, un film su Domenico Modugno.
Su Domenico Modugno, non su di te che ti impegni a fare Domenico Modugno. Capita la differenza Beppe?
Beppe Fiorello sfoggia una recitazione sospirata da telenovela e sguardi dell’intensità di un criceto.
L’associazione nazionale dei criceti credo mi farà causa per quest’affermazione. Me ne scuso in anticipo e mi rimangio tutto.
Un esempio pratico della sua intensità emotiva ce lo offre subito all’inizio, nella scena in cui Giuseppe Fiorello parla con un cavallo. Una roba che mi ha fatto rimpiangere War Horse, uno dei film che ho più odiato negli ultimi anni.
E ci sono anche i ralenty. I ralenty, no. I ralenty sul primo piano “intenso” di Beppe Fiorello vi prego, no!
Fisicamente poi, Fiorello B non è nemmeno che somigli molto a Modugno D e come cantante dà fastidio. Persino suo fratello canta meglio. E ricordo che il fratello è quello di canzoni come questa, San Martino, una delle più grandi trashate nella storia della musica. Non solo nazionale.
"Beppe, ogni volta che ti sento cantare mi vien da piangere."
Beppe Fiorello imita Modugno, il suo tono vocale, la sua gestualità molto fisica e come imitatore non è nemmeno male. A mancare è il passaggio successivo, quello che rende un’imitazione una buona prova di interpretazione recitativa. Vediamo Beppe Fiorello che imita Domenico Modugno, ma non vediamo mai Domenico Modugno e basta. Colpa del Fiorello. Colpa non tanto sua, che poveretto ce la mette tutta, ogni scena la interpreta come se volesse vincere l’Oscar. Ci fosse ancora, potrebbe ambire magari giusto al Telegatto. La colpa è più che altro dei suoi limiti recitativi. E colpa anche di una sceneggiatura che non riesce mai ad andare in profondità.
Tra le note positive della sceneggiatura c’è invece la scelta, azzeccata, di concentrarsi a parlare della carriera di Modugno dagli inizi scalcinati come attore, passando per i pezzi in dialetto che hanno cominciato a imporlo come moderno cantautore neorealista, fino alla creazione di Volare, proposta in concorso a Sanremo. Il film si ferma lì. Quello che è successo dopo è un volo che potrà magari essere raccontato in un’altra fiction, possibilmente non con Beppe Fiorello.
Al di là di qualche momento più drammatico, la storia veleggia preferibilmente sui toni della commedia all’italiana, in linea con il personaggio di Modugno, ed è impreziosita da due simpatici comprimari: il regista Riccardo Pazzaglia, interpretato da Antonio D’Ausilio, e Franco Migliacci, interpretato da Alessandro Tiberi, lo stagista della serie tv Boris che ha anche lavorato nell’ultimo film di Woody Allen. Woody Allen? Me cojoni! Peccato solo che si sia rivelato giusto il peggior film di Woody Allen di sempre: To Rome With Love.
"Piove, Governo ladro... Sì, ma quale Governo?"
Proprio lui è il protagonista della parte più intrigante di tutta la fiction: la nascita e la creazione di Nel blu dipinto di blu, anche conosciuta con il più immediato titolo di Volare. Una vicenda che ha dell’incredibile. Franco Migliacci un bel pomeriggio s’è preso una ciucca colossale e, nel post sbronza, si è fatto ispirare da un quadro di Chagall, Le coq rouge, per comporre i versi più celebri nella storia della canzone italiana.
Dimostrazione di come l’alcool non faccia male, tutt’altro. Se combinato con le droghe poi può portare persino a salvare delle vite umane, Denzel Washington in Flight ne sa qualcosa…
E dimostrazione di come l’ispirazione più folgorante possa cogliere in qualunque momento chiunque, anche uno come Franco Migliacci che non era compositore, né musicista, né scrittore, né niente. Eppure quelle parole che oggi tutti conosciamo le ha tirate fuori lui. Lui e la sua testa ubriaca.
Le parole sono state quindi trasformate in musica da Domenico Modugno ma non subito. La canzone così come la conosciamo oggi ha richiesto una lavorazione di vari mesi di tempo. Splendido esempio di come le grandi opere d’arte nascano sì dall’ispirazione del momento, però allo stesso tempo per essere rifinite a presentate al meglio richiedono anche una buona dose di lavoro dietro.
Nel blu dipinto di blu è una canzone che ho sempre dato per scontata. Da che sono nato, da che ho ricordi musicali, c’è sempre stata. Il pezzone nazional-popolare per eccellenza. Vedendo però il processo creativo che c’è dietro e ascoltandola attentamente, è davvero una canzone enorme. Questo è il merito principale che riconosco a questa fiction. Nel blu dipinto di blu è una canzone pop perfetta, con un crescendo infinito e un ritornello di quelli che si incollano in testa per non andarsene mai più. Posso solo immaginare l’effetto devastante che può aver avuto nel 1958, quando è riuscita a imporsi non solo al Festival di Sanremo, non solo in Italia, ma persino negli USA, dove è stata ai vertici delle charts per settimane. Un pezzo epocale, rivoluzionario, sognante e visionario, lontanissimo dalle solite canzonette di Nilla Pizzi dell’epoca.
Il peccato più madornale e paradossale di questa fiction è proprio quello di fare l’opposto.
Volare è una fiction che racconta un’epoca di cambiamenti, un paese affascinante, una bella storia, un personaggio meraviglioso. Per farlo, usa tutte le tecniche peggiori della più modesta tradizione di fiction italiota attuale. Non v’è invece traccia alcuna dello spirito controcorrente incarnato alla perfezione da Domenico Modugno negli anni Cinquanta. Davvero un peccato. Con un altro regista, un’altra produzione, un altro protagonista, un altro coraggio, se insomma questa fiction fosse stata realizzata in una nazione diversa dall'Italia di oggi, ne sarebbe potuto uscire qualcosa davvero in grado di volare, oh oh.
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