Visualizzazione post con etichetta katie findlay. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta katie findlay. Mostra tutti i post

mercoledì 1 ottobre 2014

HOW TO GET AWAY WITH MURDER, LA SERIE CHE VI PUÒ SALVARE DAL CARCERE





How to Get Away with Murder
(serie tv, episodio pilota)
Ideatore: Peter Nowalk
Rete americana: ABC
Rete italiana: Fox, dal gennaio 2015
Cast: Viola Davis, Alfred Enoch, Aja Naomi King, Jack Falahee, Karla Souza, Matt McGorry, Katie Findlay, Liza Weil, Billy Brown, Tom Verica
Genere: (il)legale
Se ti piace guarda anche: So cosa hai fatto, Pretty Little Liars, Scandal, The Following, Dr. House

Come fare a catturare l'attenzione della gente?
Che si tratti di un film, di un post, oppure del pilot di una serie tv come in questo caso, non basta che gli si racconti una storia interessante. Devi dargli un di più. Devi dargli qualcosa che possa essergli utile. È esattamente quanto fa il primo episodio della novità più promettente ed entusiasmante dell'autunno televisivo americano.
How to Get Away with Murder mantiene fede al suo titolo. La protagonista, una brillante e spietata avvocatessa interpretata da Viola Davis, insegna ai suoi studenti di legge e a noi spettatori come farla franca in tribunale. Persino se accusati di omicidio. Già mi immagino gli avvocati di Bossetti in silenzio religioso davanti al televisore a non perdersi un solo istante di questa serie.
Come passarla liscia allora anche quando tutte le prove sembrano essere contro di te?
Per scoprirlo, potete guardarvi il pilot della serie e non ve ne pentirete. Altrimenti, ve lo dico io.

ATTENZIONE SPOILER
Ci sono 3 regole da seguire: discredit the witness, find a new suspect, bury the evidence. Ovvero: screditare i testimoni, trovare un nuovo sospettato e nascondere l'evidenza.


Ne volete un'applicazione pratica? Vi fornisco un'applicazione pratica.
Poniamo che qualcuno accusi questa nuova serie di essere una boiata pazzesca. Mettiamo che chi sostiene questa teoria chiami a testimoniare in suo favore qualcuno come il mio blogger rivale, Mr. James Ford. A questo punto, per screditarlo basta ricordare che il suddetto Ford considera la saga degli Expendables una pietra miliare nella Storia del Cinema e ritiene Van Damme e Steven Seagal degli attori da Oscar. Testimone immediatamente screditato.

Passiamo al punto due: trovare un nuovo sospettato. Se qualcuno vi dice che How to Get Away with Murder fa schifo, basta che lo mettiate di fronte al resto delle novità seriali arrivate in queste settimane. Gotham, ad esempio, quella sì che è una robetta banale che si limita a rimescolare l'immaginario fumettistico del Cavaliere Oscuro con un tocco da crime procedural tradizionale. E poi soprattutto, che senso ha fare una serie su Gotham senza Batman???
Che altro si è visto in questi giorni?
Red Band Society, una serietta teen capace di perdere, e nettamente, il confronto con la sua versione italiana Braccialetti rossi. Una produzione americana che perde il confronto con una fiction Rai, ve ne rendete conto?!?
Quanto a serie come Madam Secretary, The Mysteries of Laura o Outlander, tutta roba per signore in meno pausa.
E i fumettistici The Flash e Constantine?
Per carità, fanno rimpiangere persino Smallville!
Non vi ho quindi fornito un solo nuovo sospettato al titolo di vera boiata televisiva della stagione, ma parecchi. L'avvocatessa Viola Davis sarebbe fiera di me.

Non è però finita qui. C'è ancora un terzo punto fondamentale per farla franca: nascondere l'evidenza.
L'evidenza nel caso di How to Get Away with Murder è che a ben vedere non si tratta di niente di nuovo od originale in termini assoluti. La serie si presenta come un legal-drama, uno dei generi più inflazionati nella storia della tv fin dai tempi di Perry Mason, eppure ha ben poco a vedere con i legal-drama tradizionali, poiché qui si percorrono sentieri parecchio più thriller. Qui si entra allora su altri territori già ampiamente battuti da un sacco di crime, eppure la serie è ben distante dai soliti CSI e cloni vari. La trama va più nella direzione del teen-horror alla So cosa hai fatto e di conseguenza alla Pretty Little Liars. Allo stesso tempo, i ritmi incalzanti e i dialoghi serrati sparati velocissimi richiamano lo stile delle serie di Shonda Rhimes, Grey's Anatomy, anche per via della presenza dei tirocinanti come veri protagonisti della vicenda, e ancora di più Scandal.
Il nome della Shondona Rhimes non è venuto certo fuori in maniera casuale. How to Get with Murder è infatti una produzione della sua casa, la ShondaLand, ma non è stata creata direttamente da lei. L'autore è un suo fido collaboratore, Peter Nowalk, che ha uno stile più fresco, più moderno, più cool.
In pratica, questa serie ricorda tante altre cose, c'è pure un pizzico di Dr. House nel tipo di investigazioni e nel personaggio dell'avvocatessa Viola Davis, e contemporaneamente i riferimenti sono così numerosi e ben mixati insieme da apparire come qualcosa di nuovo. Qualcosa capace di inventarsi un filone televisivo a parte, o se non altro di offrire abbastanza spunti per lasciare immaginare che questa serie, insieme ai suoi giovani promettenti protagonisti, ci coinvolgerà non solo per tutta questa stagione, ma forse per parecchi anni.


Se l'evidenza è che How to Get with Murder è una serie poco originale o che sa di già visto, in realtà ciò è confutabile. Non c'è nessuna evidenza in niente. Chiunque, anche chi sembra del tutto colpevole, può essere considerato innocente.
How to Get Away with Murder non offre allora solo uno dei pilot più accattivanti e coinvolgenti degli ultimi anni, senza un solo istante di pausa o un singolo momento di noia, ma regala anche dei preziosi insegnamenti. Dei suggerimenti davvero diabolici. Cercate di farne buon uso, consigliando ai vostri avvocati di guardarla con attenzione. Ma, se possibile, cercate di non fare fuori nessuno per verificare che le teorie qui spiegate funzionano davvero.
(voto 8/10)

"Nuooo, mi sono perso il primo episodio.
Speriamo l'abbiano già caricato su BitTorrent..."

domenica 21 settembre 2014

RIVENGO DA CAPO





Io vengo ogni giorno
(USA 2014)
Titolo originale: Premature
Regia: Dan Beers
Sceneggiatura: Dan Beers, Mathew Harawitz
Cast: John Karna, Katie Findlay, Craig Roberts, Carlson Young, Alan Tudyk
Genere: ripetitivo
Se ti piace guarda anche: Ricomincio da capo, American Pie, +1

L’altro giorno ho visto un filmetto, Io vengo ogni giorno. Cosa c’è da sapere su questa pellicola?
È presto detto. Si tratta della versione American Pie di Ricomincio da capo. Oppure, se preferite, della versione Ricomincio da capo di American Pie. Un mix tra le due pellicole in versione porella, precisiamo.
Il problema numero 1 di Io vengo ogni giorno è la scarsa originalità. Il film, forte dell'idea, che è anche l’unica presente, della stessa giornata che continua a ripetersi, crede di essere chissà quanto particolare e fantasioso. In realtà già di recente si era assistito a qualcosa di simile con +1, pellicola adolescenziale dallo spunto sci-fi non fenomenale ma più riuscito di questo. Per non parlare di Questione di tempo, che trasformava il ripetersi delle situazioni in una delle più emozionanti romcom viste di recente.
La variante proposta da Io vengo ogni giorno è che il protagonista torna indietro e rivive di nuovo la stessa giornata da capo ogni volta che eiacula. Come in Ricomincio da capo, solo che lì si assisteva a un minore spreco di sperma. Uno spunto così stupido che potrebbe funzionare, per una commedia goliardica. Invece, e qui giungiamo al problema numero 2, il film non fa quasi mai ridere. Parte anche benino, per i primi 2 minuti circa, quando il padre dice al figlio imbranato che è stato persino “battuto alle elezioni scolastiche da un procione”, ma da lì in poi le battute azzeccate si azzerano, così come le varie gag, soprattutto quelle a sfondo sessuale, non ottengono gli effetti comici sperati. E non sono manco sexy. Non quanto gli scatti intimi di Jennifer Lawrence e delle altre celebrità usciti negli scorsi giorni…
AAAAAH
AAAAAAAAH
oddio, scusate. Al solo pensare a Jennifer Lawrence nuda sto venendoooooo!


L’altro giorno ho visto un filmetto, Io vengo ogni giorno. Cosa c’è da sapere su questa pellicola?
È presto detto. Si tratta della versione American Pie di Ricomincio da capo. L’ho già detto?
Mi sembra di sì. E ve l’ho detto che il suo problema numero 1 è la scarsa originalità e il problema numero 2 è che non fa quasi mai ridere?
Sto avendo una forte sensazione di deja vu…
Oh, no! Mi sta capitando come al protagonista, cui sua volta capitava come a Bill Murray in Ricomincio da capo. Il paragone vi sembra blasfemo? È vero, Io vengo ogni giorno non vale manco un decimo di Ricomincio da capo, ma se non altro bisogna ammettere che, laddove in quello c’era la bruttarella Andie McDowell – oh, a me non è mai piaciuta – qui se non altro ci sono un paio di belle fighette. L’amica-qualcosapiùcheamica del protagonista, la mora Katie Findlay, già vista nelle serie The Killing e The Carrie Diaries, e la zoccolona bionda Carlson Young, che prossimamente vedremo nella serie tv tratta da Scream. Che bella gnocchetta che è…
AAAAAH
davvero una bella gnocchetta...
AAAAAAAAAH
no, scusate, sto venendo di nuovoooooooooooo!
AAAAAAAAAAAAAH


L’altro giorno ho visto un filmetto, Io vengo ogni giorno. Cosa c’è da sapere su questa pellicola?
È presto detto. Si tratta della versione American Pie di Ricomincio da capo...
Oh, cazzo. Basta!
Questo post sta diventando ripetitivo, considerando che avevo già scritto dei pezzi del genere anche per Ricomincio da capo e Questione di tempo. Mi sto ripetendo mi sto ripetendo mi sto ripetendo.
Vero?
Vero?
Vero?
E allora, ripetitivo per ripetitivo per ripetitivo che sono vi ricordo i problemi di questo film:
1) La scarsa originalità
2) Non fa quasi mai ridere
In più aggiungo il suo terzo problema, che ancora non vi avevo enunciato:
3) È ripetitivo. Non si era capito, eh, vero? Non si era capito? No che non l’avevate capito, no? No? No?
Aggiunto tale terzo punto, credo di aver detto proprio tutto quello che c’era da dire su questo filmetto e ora posso tornare a concentrarmi sulle foto di Jennifer Lawrence nuda…
AAAAAAAAAH
AAAAAAAAAAAAH
aiuto no, sto venendooooooo ancoraaaaaaAAAAAAH


L’altro giorno ho visto un filmetto, Io vengo ogni giorno. Cosa c’è da sapere di questa pellicola?
È presto detto. Si tratta della versione American Pie di Ricomincio da capo...
NOOOOOOOOOOOO
BASTAAAAAAAAAAAA
Posso accettare di rivivere per sempre la stessa giornata, ok, mi arrendo. Però almeno fatemi vedere un altro film. Qualsiasi tranne una roba ripetitiva come Io vengo ogni giorno, vi prego.
Vi prego.
Vi prego.
Vi prego.
Vi prego.
Vi prego.
Vi prego.
Vi prego.
(voto 4,5/10)

giovedì 20 marzo 2014

THE PHILOSOPHERS, I FIGOSOFI




The Philosophers
(USA, Indonesia 2013)
Titolo alternativo: After the Dark
Regia: John Huddles
Cast: Sophie Lowe, James D’Arcy, Rhys Wakefield, Katie Findlay, Bonnie Wright, Daryl Sabara, Jacob Artist, Erin Moriarty, Maia Mitchell, Freddie Stroma, George Blagden, Toby Sebastian, Hope Olaide Wilson, Cinta Laura Kiehl, Philippa Coulthard
Genere: filosoficheggiante
Se ti piace guarda anche: Confessions, Hunger Games, How I Live Now, The Tomorrow Series – Il domani che verrà

The Philosophers non è un film per filosofi. È una porcatona. Lo dico subito per mettere le cose in chiaro, che poi se no qualcuno magari si viene a lamentare perché ho consigliato un film da schifo. Io non lo consiglio. A me è piaciuto, però riconosco che è una stronzatona. Può quindi essere considerato un guilty pleasure, o un film vergogna se preferite. È una robetta girata con stile anonimo/televisivo, recitata maluccio da un branco di attori (quasi) conosciuti, nel gran miscuglione di generi che è (fantasy + sci-fi + drama + thriller + sottotrama romantica) spesso non capisce bene che direzione prendere, eppure The Philosophers riesce a essere una visione piuttosto intrigante e affascinante. Il merito va soprattutto a una sceneggiatura che non offre grossi punti di riferimento e riesce ad andare avanti senza farti sbadigliare, nonostante la sua struttura ripetitiva.

Di cosa parla, codesto film?
The Philosophers è incentrato su un gruppo di giovani filosofi, tutti belli e boni e fighi e fighe e persino intelligenti, studenti all’Università di una scuola internazionale di Giacarta, in Indonesia. Location scelta un po’ un po’ per fare gli esotici, un po’ perché gli indonesiani hanno finanziato in parte la produzione, e un po’ a casaccio, visto che la location geografica non è così fondamentale. La pellicola è infatti ambientata principalmente al chiuso, all’interno di una classe, come nel film francesce La classe solo che qui il contesto è molto meno realistico e più filosofico. Non c’è la vita reale, in pratica, ma si cazzeggia parlando di situazioni ipotetiche.
L’ultimo giorno dell’annata scolastica, il prof di filosofia Zimit mette alla prova i suoi studenti con un ultimo compito, un esercizio, o se preferite una gigantesca pippa mentale. L’esaltato e megalomane prof prepara un contorto e malato gioco di ruolo per quei fortunelli dei suoi studenti. Fa immaginar loro di trovarsi alle prese con un’ipotetica Apocalisse. Il mondo sta finendo, loro sono gli ultimi esseri umani rimasti e a disposizione hanno un bunker dove possono sopravvivere per un anno, al termine del quale uscire e occuparsi della ripopolazione del mondo. Il problema, Apocalisse a parte, è che nel bunker ci sono aria e vivere sufficienti per un anno solo per 10 persone, mentre la classe è formata da 20 studenti. Il giochino consiste quindi nello scegliere le 10 persone più indicate per ricostruire il mondo una volta fuori dal bunker. A ogni studente viene fornito un profilo diverso, chi è un ingegnere e chi è un poeta, chi un medico e chi è una cantante. In base a queste caratteristiche, viene stilata la top 10 di quelli che sopravviveranno. Quale saranno le scelte migliori?

Questo è lo spunto di partenza iniziale niente male del film, che poi si evolve in maniera nemmeno troppo malvagia. Una pellicola molto mentale, che a tratti cerca anche una via più sentimentale e qui è la parte in cui la sceneggiatura scricchiola di più. I personaggi presentati non hanno delle psicologie vere e proprie, nessuno riesce a creare un grosso coinvolgimento emotivo e anche gli attori non aiutano molto in questo, va detto. Il cast, come dicevamo poc’anzi, è composto da un branco di attori (quasi) conosciuti. Cosa volevo dire, con quest’espressione da filosofo ermetico, o se preferite con quest’espressione da scemo del villaggio?
Intendevo che i loro nomi non vi diranno un granché, però i loro volti da qualche parte magari li avete già visti.

Il nome di Bonnie Wright ad esempio vi dice qualcosa?
Probabilmente no, eppure di certo la conoscete, visto che è la rossa che ha avuto il coraggio di ciularsi Harry Potter.

"Harry Potter, sono diventata troppo figa per te.
Ho già i documenti per il divorzio pronti."

C’è Sophie Lowe. Anche il suo nome non vi dirà niente e probabilmente manco il suo bel ma inespressiv faccino, a meno che non abbiate avuto l’incoscienza di guardarvi quella cagata di spinoff di Once Upon a Time, ovvero Once Upon a Time in Wonderland, dove aveva il ruolo nientepopodimenoche di Alice nel Paese delle Meraviglie.


Quindi, in questo cast ricco di giovani di belle speranze ci sono anche Rhys Wakefield, il convincente cattivone dell’horror La notte del giudizio, qui parecchio più anonimo, e Daryl Sabara direttamente dalla rodrigueziana saga di Spy Kids.
Troviamo inoltre Katie Findlay, quella bella figliola vista nelle serie The Killing e The Carrie Diaries. Sempre dal piccolo schermo ci sono poi Jacob Artist di Glee, Maia Mitchell da quella robetta inguardabile di The Fosters, il valido George Blagden da Vikings ed Erin Moriarty, figlia zoccola ribelle di Woody Harrelson in True Detective.
Un cast interessante, seppure nessuno di loro brilli qui in maniera particolare e tutti recitino in maniera piuttosto scazzata, in cui l’unica nota davvero stonata è il prof, il personaggione misterioso che dovrebbe far fare il salto di qualità alla storia e che invece fallisce nel suo compito, complice un’interpretazione pessima di tale James D’Arcy.
Nonostante il livello qualitativo non proprio altissimo di recitazione e regia, la sceneggiatura tiene botta abbastanza bene fino quasi alla fine. Tenete pur sempre conto che si tratta di una porcatona, or dunque, ma di una porcatona che potrebbe anche vergognosamente piacervi.
(voto 6,5/10)

giovedì 24 gennaio 2013

THE CARRIE DIARIES, SEX AND THE 80S

The Carrie Diaries
(serie tv, stagione 1, episodi 1-2)
Rete americana: The CW
Rete italiana: non ancora arrivata
Sviluppata da: Amy B. Harris
Tratta dal romanzo: The Carrie Diaries di Candace Bushnell
Cast: AnnaSophia Robb, Austin Butler, Ellen Wong, Katie Findlay, Brendan Dooling, Chloe Bridges, Matt Letscher, Stefania Owen, Freema Agyeman
Genere: tanto Ottanta
Se ti piace guarda anche: Jane by Design, Sex and the City, Lipstick Jungle, Sixteen Candles - Un compleanno da ricordare

La volete sapere una cosa?
A me The Carrie Diaries piace!
Non pigliatemi subito per il culo da qui all'eternità. Aspettate a farlo. Prima date un’occhiata alla serie e poi, quando pure voi ne sarete dipendenti, anche se non lo ammetterete mai, tornate qui con la coda tra le gambe. The Carrie Diaries è una serie che funziona. Presto potrebbe degenerare come molte altre serie The CW, il canale più giovane della programmazione americana che lo trasmette, ma per il momento funziona.

Prima premessa fondamentale: io non sono un fan di Sex and the City. Non ho mai sopportato Sarah Jessica Parker. Mi viene un senso di repulsione al solo vederla. Avendo guardato giusto una manciata di puntate della serie, non voglio nemmeno stare a criticarla più di tanto. Se ci sono persone, soprattutto donne ma non solo, che hanno seguito tutte e 6 le stagioni, tutti e 94 gli episodi, più i due film cinematografici realizzati, e magari li hanno visti anche più e più volte fino a saperli a memoria, al punto da prendere le 4 protagoniste come modelli esistenziali, chi sono io per criticare tutto ciò?
Qualcuno potrà dire che è una serie troppo per femmine, tu sei un maschio e non puoi capire gnu gnu gnu gnugnu. Vero, probabilmente, però ciò non mi impedisce ad esempio di reputare grande una serie come Girls, davvero interessante, ben scritta e ben girata. Non metto nemmeno in dubbio che S&TC abbia avuto una notevole influenza su diverse serie venute dopo, prime fra tutte le Desperate Housewives, però a me non ha proprio mai detto niente.

"Hey Carrie, vedo che il pessimo gusto nel vestire ce l'hai sempre avuto!"
Tutta questa premessa perché?
Per chi non lo sapesse, The Carrie Diaries nasce come spinoff, o meglio come specie di prequel (ma i produttori della serie ci tengono a precisare che non lo è) di Sex and the City. La protagonista è infatti Carrie Bradshaw, proprio quella Carrie Bradshaw, quella intepretata dalla da me odiata Sarah Jessica Parker, però quando era una ragazzina negli anni ’80, e la serie è tratta dall’omonimo romanzo di Candace Bushnell. Già un altro romanzo della W. Bush(nell) oltre a Sex and the City era stato trasformato in una serie, il non altrettanto grande successo Lipstick Jungle, durato appena un paio di stagioni. Vedremo se le cose andranno meglio a questo The Carrie Diaries.

La percezione che possono avere i fan di Sex and the City di questa nuova serie ovviamente sarà radicalmente diversa dalla mia. I punti di lontananza da quella celebre serie saranno visti da loro come un difetto, per me come un pregio. A dirla tutta, lo stile di The Carrie Diaries è più da commedia 80s di John Hughes che da Sarah Jessica Parker and the City. Il che per me è un bene. Da Sex riprende giusto la voce fuori campo della protagonista e (forse) poco altro.
La vicenda raccontata da questa simpatica nuova serie è molto teen e molto semplice e ricalca parecchio quella di un’altra piacevole bimbominkiata recente, Jane by Design, purtroppo cancellata dopo appena una stagione. Anche qui la protagonista si trova divisa tra due mondi: quello più infantile e sempliciotto del liceo della quieta cittadina in cui vive e quello più adulto e sofisticato della Grande Mela, dove paparino le ha trovato uno stage, a ‘sta raccomandata.

A regalare un tono di drammaticità al tutto c’è il fatto che Carrie è orfana di madre e vive quindi insieme solo a quel rompiballe di suo papà e alla sua sorellina minore (Stefania Owen, già comparsa in Amabili resti), che è una dark con maglietta e poster dei Joy Division quindi è immediatamente diventata la mia idola della serie.
Tra gli altri personaggi si segnalano poi la fichetta orientaleggiante Ellen Wong, la versione odierna del bel tenebroso, ovvero il simil-Justin Bieber Austin Butler (già visto nell’ottima serie Life Unexpected), la rivale di Carrie interpretata da Chloe Bridges (mi sta simpatica già solo per essere l’acerrima nemica di Carrie). C’è anche la coppietta formata da Brendan Dooling e Katie Findlay, l’indimenticata Rosie Larsen di The Killing. Una coppietta che non funziona tanto visto che lui non vuole fare sesso con lei. E lì pensi subito: “Ma questo qua è gay,” e infatti poco dopo scopri che questo qua è… gay. Che sorpresa!

Niente di nuovo sotto il sole quindi a livello di personaggi, di situazioni o di altro, tutto è giocato sui soliti risvolti sentimentali e sulla voglia di emergere della giovane Carrie nella scintillante NYC. Il punto di forza della serie è allora un altro: è una serie tanto Ottanta.
Sui blog più fashion ho già sentito disquisire su come la moda, i trucchi e le pettinature degli anni ’80 siano stati rivisti con occhio moderno e quindi non molto fedele all’epoca. Questo non lo so. Ciò che più interessa a me è che la colonna sonora è qualcosa di fa-vo-cazzo-lo-so. Nei soli primi due episodi hanno sparato dentro Talking Heads + Violent Femmes + Go-Go’s + Duran Duran + Billy Idol + Madness + New Order + Kim Carnes + Cyndi Lauper + qualunque altro altro artista o gruppo fico vi possa venire in mente degli anni ‘80. Roba da andar fuori di testa. Roba da continuare a seguire ‘sta serie solo per la colonna sonora. Per fortuna la serie, oltre a questo non trascurabile pregio, si lascia comunque guardare che è un piacere, come un guilty pleasure trash, ma nemmeno troppo trash rispetto ad altre serie che il network The CW ci ha regalato e ci regala tutt’ora.

Sarah Jessica Parker (a sinistra) insieme ad AnnaSophia Robb.
Il pregio maggiore della serie comunque non l’ho ancora detto. Nella parte della giovane Carrie Bradshaw c’è un’attrice che con Sarah Jessica Parker per fortuna non ha nulla a che fare (perdonatemi fans di Sex and the City, ma devo ribadire il mio odio nei suoi confronti!), se non per la bionda chioma riccia. Si tratta di AnnaSophia Robb, già vista ne La fabbrica di cioccolato di Tim Burton, nei panni della surfista Bethany Hamilton in Soul Surfer e soprattutto in Un ponte per Terabithia, uno dei film più commoventi nella storia del cinema moderno. Una ragazzetta carina e anche un’ottima attrice. Altroché Sarah Jessica Parker.
Se credete di trovarvi di fronte soltanto a una serie teen, in realtà The Carrie Diaries ci sbatte di fronte alla domanda telefilmica più misteriosa dai tempi del tormentone “Chi ha ucciso Laura Palmer?” di Twin Peaks.

La domanda è: cosa è capitato di male nella vita a Carrie Bradshaw, e soprattutto al suo naso, per trasformarsi da così…


a così?


(voto 6,5/10)


Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

DISCLAIMER

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica, pertanto non può considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001. L'autore, inoltre, non ha alcuna responsabilità per il contenuto dei commenti relativi ai post e si assume il diritto di eliminare o censurare quelli non rispondenti ai canoni del dialogo aperto e civile. Salvo diversa indicazione, le immagini e i prodotti multimediali pubblicati sono tratti direttamente dal Web. Nel caso in cui la pubblicazione di tali materiali dovesse ledere il diritto d'autore si prega di Contattarmi per la loro immediata rimozione all'indirizzo marcogoi82@gmail.com