Cast: Colin Farrell, Vince Vaughn, Rachel McAdams, Taylor Kitsch, Kelly Reilly, Abigail Spencer, Leven Rambin, David Morse, Lolita Davidovich, Yara Martinez, Emily Rios, C.S. Lee, Fred Ward
Genere: WTF
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Dei bei personaggi intrappolati dentro una storia di merda.
Volendo sintetizzare brutalmente, si può riassumere così la stagione 2 di True Detective. Se invece volete riassumerla in un altro modo, a voi la parola, se ne avete il coraggio. Cercare di parlare della trama di TD2 non è infatti proprio semplice, visto che non si è capita una mazza.
Alcune cose però si sono capite. Vai di elenco:
- A nessuno è mai fregata una cippa dell'omicidio del fantasmino Caspere. Nè tanto meno della questione dei gioielli.
"Hey, sono l'unica che ha seguito questa stagione solo per vedere come finiva il caso di Caspere?"
Prima abbiamo visto il riepilogone dei Men of the Year, gli uomini che più hanno segnato il 2014 di Pensieri Cannibali, ora è giunto il momento di alcune belle fanciulline.
Le 10 Cotte adolescenziali, le 10 celebrities, attrici, cantanti, pornostar, gnocche varie che più hanno fatto battere forte il cuore, a quel freddo cuore insensibile dell'autore di questo blog alias Cannibal Kid.
Quando ha finito di trastullarsi con le immagini di queste signorine, la regia può mandare in onda il riassunto delle 10 posizioni. Cliccando sul nome, potete approfondire la conoscenza di ognuna.
Approfondire non carnalmente. Non senza il loro consenso, almeno.
Il suo 2014: la sottovalutata serie Black Box, i film Rompicapo a New York e Il paradiso per davvero, l'ingresso nel cast della stagione 2 di True Detective
Non sarebbe una vera classifica delle Cotte adolescenziali di Pensieri Cannibali, senza (almeno) una tipa dai capelli rossi. Se non ve ne sono di presenti, attenti: potreste trovarvi di fronte a una pallida imitazione. In attesa di scoprire se ci saranno altre roscie nella classifica di quest'anno, come Jessica Chastain, Emma Stone o – chissà? – Pippi Calzelunghe, ecco alla numero sette la bella Kelly Reilly, per gli amici Lelli Kelly.
Kelly Reilly è un'attrice inglese strafstrepitosa che però non è ancora esplosa del tutto. La rossa ha cominciato a farsi notare in serie, miniserie e film tv britannici, per poi approdare nel cinema internazionale con Appartamento spagnolo in cui aveva il ruolo di Wendy, poi ripreso anche nei due seguiti Bambole russe e Rompicapo a New York, un triplete di film gradevolissimi che ho recuperato soltanto quest'anno in occasione dell'uscita dell'ultimo capitolo. E ho fatto bene a recuperare una saga cinematografica per una volta non-fantasy, anche perché ormai sono merce sempre più rara.
Kelly Reilly la si è poi rivista, sempre con enorme piacere, pure in pellicole come Orgoglio e pregiudizio, Eden Lake, Sherlock Holmes, Sherlock Holmes - Gioco di ombre e Flight.
Il 2014 sarebbe dovuto essere l'anno della sua definitiva ascesa al successo, grazie al ruolo come protagonista della serie medical Black Box, in cui interpreta una neurologa bipolare parecchio imprevedibile, una specie di versione topa del Dr. House. Peccato che la serie, che non era affatto male, sia stata cancellata dopo appena una stagione. Attenzione però perché il 2015 potrebbe davvero essere il suo anno. O almeno a forza di provarci prima o poi lo sarà, no?
Oltre al film Calvary, che dovrebbe uscire in Italia nei prossimi mesi, la vedremo nella seconda stagione di True Detective, accanto a Colin Farrell, Vince Vaughn, Taylor Kitsch, Rachel McAdams e Abigail Spencer. E chissà perché ho come l'impressione che potrebbe rivelarsi all'altezza della prima. Almeno a livello di gnoccaggine presente.
Cast: Romain Duris, Audrey Tautou, Cécile De France, Kelly Reilly, Sandrine Holt, Flore Bonaventura, Peter Hermann, Jason Kravits, Benoît Jacquot, Zinedine Soualem, Adrian Martinez
Genere: espatriato
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Volevate che non vi parlassi di Rompicapo a New York?
Vi ho rotto le balle con L’appartamento spagnolo, vi ho assillato con un post delirante riguardante Bambole russe e ora non dovrei occuparmi anche del terzo capitolo della trilogia di Cédric Klapish con protagonista Romain Duris in giro per il mondo?
Eccoci allora a parlare dell’ultima (almeno per ora) parte di una saga che avevo bellamente ignorato per tutta la mia vita e che invece nel giro di tre giorni mi sono recuperato per intero e mi ha appassionato più di Game of Thrones. La percezione che posso averne io sarà parecchio differente da chi aveva già guardato le prime due pellicole L’appartamento spagnolo nel 2002 e Bambole russe nel 2005. Io invece i protagonisti li ho visti crescere nel giro di un solo weekend ed è stata una bella botta. Anche se poi, c’è da chiedersi, ma questi personaggi sono maturati davvero?
Il protagonista Romain Duris è diventato padre, è vero, però è sempre lo stesso cazzaro sognatore infantile di una volta. È diventato solo più malinconico, più triste. Quello che qui manca rispetto al freschissimo primo film, e anche al secondo, per quanto fosse meno riuscito, è lo stesso tocco leggero. A essere maturati non sembrano tanto i personaggi della serie di films, quanto l’autore Cédric Klapisch. Nonostante pure a questo giro non si faccia mancare qualche trucchetto registico e qualche fantasiosa soluzione narrativa che fa molto tardo-adolescenziale, i suoi toni si sono fatti più seriosi. Rimaniamo sempre nell’ambito della comedy, eppure il riso è diventato amaro.
Chiudendo un occhio, e magari anche tutti e due, sul finale troppo consolatorio e positivo, probabilmente inserito per accontentare la produzione, a emergere dal film è soprattutto una sensazione di disagio esistenziale. Una sensazione che si poteva pensare legata all’adolescenza e invece no. Una volta cresciuto e ormai intorno ai 40 il protagonista è ancora, e forse ancora più di prima, confuso, spaesato, alla ricerca di un senso della vita che gli sfugge e continua a sfuggirgli. La sua intera esistenza è un rompicapo che non riesce a risolvere e probabilmente il senso della vita sta proprio in questo. Così come la cosa più importante in un viaggio non è tanto la destinazione, quanto il viaggio di per sé, la cosa più importante nella vita non è risolvere il cubo di Rubik, ma giocarci.
"Cibo spazzatura americano + film radical-chic francese:
con i consigli cannibali si va sempre sul sicuro!"
Come viene detto nel film, la parte interessante di una storia è il dramma. Rompicapo a New York allora non è una commedia, non come lo potevano essere L’appartamento spagnolo e Bambole russe. È un dramma esistenziale, di cui fanno parte il protagonista così come le donne della sua vita, pure loro non cambiate tantissimo nel corso degli anni. Martine (Audrey Tautou) è diventata più pragmatica e quindi ancora più lagnosa, mentre Isabelle (Cécile de France) è sempre alla ricerca di passera nuova e Wendy (Kelly Reilly) è cambiata sì, ma solo perché a ogni film diventa più figa.
Quella che può essere vista solo come una girandola sentimentale che vede ruotare Romain Duris attorno a queste belle fanciulle è in realtà una profonda riflessione esistenziale. A tratti un po’ semplicistica, i più cattivi potranno anche dire fabiovolesca, eppure straordinariamente efficace, come il miglior Woody Allen. Al punto che, dopo aver vissuto per anni ignorandone l’esistenza, adesso che la trilogia è finita mi sento perso, smarrito, vorrei a tutti i costi un nuovo episodio, magari questa volta ambientato in Italia. Come ad esempio To Rome With Love…
Nah!
Cédric Klapisch, Romain Duris, Audrey Tautou, Cécile De France e soprattutto Kelly Reilly mi mancherete tantissimo, però mi sa che è meglio chiudere la vostra saga qui. Prima che facciate la fine dei Cinepanettoni.
Cast: Romain Duris, Audrey Tautou, Kelly Reilly, Cécile de France, Kevin Bishop, Evguenya Obraztsova, Lucy Gordon, Irene Montalà, Aïssa Maïga, Gary Love, Martine Demaret, Zinedine Soualem, Federico D’Anna, Cristina Brondo, Barnaby Metschurat, Christian Pagh
Genere: il secondo secondo me
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Dare alla gente ciò che vuole. È di questo che parla Bambole russe, il seguito de L’appartamento spagnolo, il cult movie della Erasmus Generation. Sì, certo, parla anche di amore, amicizia e altre cosette del genere, ma per me soprattutto è un film che si scontra con il tema di quello che la gente si aspetta da noi. Nell’affrontare il sequel di una pellicola che si era rivelata un piccolo cult, il regista e sceneggiatore francese Cédric Klapisch si è trovato di fronte a un bivio: fare un Appartamento spagnolo 2 – Il ritorno, o fare qualcosa di diverso? Dare alla gente ciò che vuole o tentare un approccio differente?
Nel piccolo del mio blog, è un quesito che mi pongo anch’io spesso quando preparo un nuovo post. Devo confezionare il classico pezzo di merda cannibale, con qualche frase ironica piazzata in mezzo a una recensione, inserendo didascalie e immagini che cercano di strappare un sorriso o un mezzo sorriso, tentando un approccio simpatico in mezzo a qualche riflessione più o meno seria? Oppure, tanto per cambiare, potrei cercare di fare qualcosa di diverso? Potrei fare un post serioso al 100%? Alla gente piacerebbe?
E poi ancora, devo parlare bene di un film soltanto perché il resto della blogosfera l’ha osannato, oppure devo massacrarlo per fare la voce fuori dal coro? Per fare il bastard contrario?
La gente vuole leggere un’opinione per sentire una campana differente, oppure vuole sentire qualcosa che la faccia sentire meno sola, meno forever alone? La gente legge una recensione per trovare un nuovo punto di vista, oppure vuole solo essere confortata, sapere di avere ragione perché c’è qualcun altro che la pensa come lei?
La gente che legge Il Giornale lo fa per avere conferma che Berlusconi è un grande uomo ed è un povero perseguitato da quei bruti dei magistrati comunisti?
La gente che legge La Repubblica lo fa per avere conferma che Renzi è il Salvatore unico della Patria, l’uomo della provvidenza che cambierà il volto dell’Italia?
La gente che legge La Repubblica o Il Giornale lo fa per avere conferma che Beppe Grillo è un cattivone fascista?
La gente che legge il blog di Beppe Grillo lo fa per avere conferma che tutto il resto del mondo all’infuori del Movimento 5 Stelle fa schifo ed è composto da ladri e corrotti?
La gente che guarda Studio Aperto lo fa perché vuole vedere delle tette e dei servizi stupidi sulle mode del momento?
La gente che legge Pensieri Cannibali si è rotta di tutte queste domande?
Riguardo alle precedenti non lo so, ma la risposta alle ultime due è sì.
Tutti questi quesiti riconducono a una sola, fondamentale domanda: è nato prima l’uovo o la gallina?
Nah, questa era una di quelle solite stupide battutine cannibali che inserisco a caso tanto per fare contento il mio pubblico. La vera domanda essenziale è quella di inizio post: chi fa comunicazione, che sia attraverso la produzione di un film o anche solo di un post stupido come questo, deve dare al suo pubblico ciò che vuole, o deve provare a sorprenderlo?
Nel primo caso si gioca sul sicuro. Nel secondo c’è il rischio che possa deluderlo, questo pubblico.
"Amélie, proprio bello questo tuo look da no-global."
"Ma grazie!"
"Veramente ti stavo pigliando per il culo."
Cédric Klapisch si dev’essere trovato di fronte a tale dilemma, una volta che si è messo a lavorare al seguito de L’appartamento spagnolo, e qui infine dopo mezz’ora arriviamo a parlare di Bambole russe. Fondamentalmente, il film segue l’andamento del primo. Un’introduzione in terra francese in cui il protagonista Xavier (Romain Duris) non è più uno studente di economia bensì ormai uno scrittore. Ancora una volta si trova però alle prese con il suo primo amore, quella smorfiosetta di Audrey Tautou che trovo perfetta in questa saga, visto che anch’io provo nei suoi confronti un rapporto di amore-odio. Più odio che amore, se devo dirla tutta.
Dopodiché, Bambole russe viaggia in giro per l’Europa. Non Barcellona come nel capitolo 1, bensì Londra, San Pietroburgo e Mosca. La vicenda cambierà anche collocazione geografica, ma la trama resta sempre incentrata sui casini esistenziali e soprattutto sentimentali del protagonista. A questo giro riescono a ritagliarsi un pochetto di spazio in più i personaggi secondari. Martine (la citata Audrey Tautou) è diventata un’attivista no global e una mamma, il cazzaro William (Kevin Bishop) ha messo la testa a posto e a sorpresa è il primo della gang a sposarsi, Isabelle (Cécile de France) è quella che sembra essere cambiata di meno e continua (giustamente) a godersi la sua vita da lesbica single. Più attenzioni ancora sono riservate all’inglese Wendy, interpretata da una Kelly Reilly che nel precedente film era caruccia, mentre qui si trasforma definitivamente in una delle donne più fighe nella Storia dell’umanità.
"Pensieri Cannibali scrive che sei una delle donne più fighe della Storia."
"Ha assolutamente ragione!"
"Vedo che sei anche una delle donne più modeste della Storia."
Nonostante il maggior peso dei comprimari, anche questo secondo episodio resta di base tutto incentrato sul protagonista. Intatto pure l’approccio dello sceneggiatore e regista Cédric Klapisch, che sceglie una narrazione concitata che mescola i piani temporali e geografici, inserendo delle trovate registiche fantasiose che però sorprendono meno rispetto al primo capitolo. Bambole russe è come L’appartamento spagnolo, solo che questa volta manca un forte contesto da pellicola generazionale, regalato nell’altro film dal pretesto dell’Erasmus, così come manca la stessa freschezza.
Nella scelta se dare o meno alla gente ciò che vuole, Cédric Klapisch sembra allora aver scelto la strada più semplice. Ha replicato la sua hit senza rischiare, senza proporre qualcosa di nuovo. Ma è davvero questo che la gente voleva?
Io ho adorato L’appartamento spagnolo e ho trovato questo secondo capitolo della saga piacevolissimo. Eppure la magia della pellicola precedente qui è svanita. Se il primo era un piccolo cult generazionale, questa è “solo” una gradevole commedia romantica.
ATTENZIONE SPOILER
A confermare quest’impressione è anche il finale. Quello de L’appartamento spagnolo era un inno all’individualità, al vivere la propria vita senza responsabilità e senza farsi ingabbiare dalla società, hip hip hurrà. Questo di Bambole russe è il solito scontato, prevedibile, banale happy ending da romcom. Proprio ciò che la gente voleva.
Cast: Romain Duris, Audrey Tautou, Cécile De France, Kelly Reilly, Xavier De Guillebon, Judith Godrèche, Cristina Brondo, Federico D’Anna, Barnaby Metschurat, Christian Pagh, Kevin Bishop, Irene Montalà, Iddo Goldberg, Paulina Gálvez
Genere: Erasmus
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L’appartamento spagnolo m’ha fatto venire una gran voglia di Erasmus.
Perché non l’ho fatto, nei tempi ormai ahimè lontani di quando ero uno studente universitario di belle speranze?
Fondamentalmente per la burocrazia. Come viene mostrato in apertura di pellicola, è troppo uno sbattone dover procurarsi tutti i moduli e i documenti per potervi accedere. E se è un casino in Francia, figuriamoci in Italia.
Il protagonista del film Romain Duris, ottimo attore che io avrei scoperto con colpevole ritardo solo con il frizzante Il truffacuori, non si fa però scoraggiare da ciò e parte per un anno in Spagna, a Barcellona. La scusa è quella di completare i suoi studi alla facoltà di Economia. In realtà nel film di università ce n’è ben poca, per lasciare spazio al resto dell’esperienza espanola, soprattutto la vita con i suoi coinquilini. L’economo francese si trova a dividere la casa con una spagnola piuttosto antipatica (Cristina Brondo), con un italiano piuttosto anonimo (Federico D’Anna), con un nordico piuttosto anonimo pure lui (Christian Pagh), con un crucco piuttosto crucco (Barnaby Metschurat), con una belga piuttosto lesbica (Cécile De France in versione mora), con una inglese piuttosto anzi parecchio bona (Kelly Reilly, sempre sia lodata), cui alla fine si aggiunge pure il piuttosto stronzo ma piuttosto simpatico fratello della tipa inglese (Kevin Bishop).
Da un miscuglio di razze del genere ne sarebbe potuto uscire un bello spottone per l’Unione europea da far oggi felici Renzi e la Merkel, e un pochino lo è, sia inteso in senso positivo. Il rischio era anche quello che ne venisse fuori una pellicola ricca di stereotipi sulle varie nazioni e sulle varie culture, con tanto di battute e situazioni scontate. Ne sarebbe potuta uscire insomma benissimo una porcatona come Fuga di cervelli, l’avventura in terra inglese (anche se in realtà l’hanno chiaramente girato a Torino) di Paolo Ruffini. Per fortuna così non è. L’appartamento spagnolo non scade troppo nei cliché, sebbene alcuni personaggi come l’italiano o il tedesco rimangano molto in superficie.
La cosa che più colpisce del film è la sua freschezza, il suo tocco leggero eppure non stupido. È la perfetta fotografia dell’Erasmus generation e allo stesso tempo, nonostante abbia sul groppone già più di 10 anni, riesce ad apparire ancora parecchio attuale. Si sente forte il tocco personale, autentico del regista e sceneggiatore Cédric Klapisch, ricco di invenzioni e trovate registiche che rendono il racconto più dinamico. Merito della riuscita della pellicola va poi al variegato e multinazionale cast, a un’ottima colonna sonora che usa come leitmotiv “No Surprises” dei Radiohead e, nella scena più delirante, ubriaca con “Aerodynamic” dei Daft Punk. E soprattutto regala un finale esaltantissimo. Un vaffanculo al crescere, al prendersi delle responsabilità, a vivere una vita in ufficio. Un vaffanculo a tutto, tranne ai propri sogni.
I Selfie fino a una decina di anni fa.
Nonostante il godurioso finale sulle note di “Que viva la noche” di tali Sonia y Selena (le Paola & Chiara della Spagna), L’appartamento spagnolo è anche un film che lascia sospesi, con la voglia di saperne di più di questi personaggi, di vedere come proseguiranno le loro storie. Qualcosa di analogo a quanto capita con Prima dell’alba. Proprio come in quel caso, è un vero piacere sapere di avere davanti ancora due episodi che continueranno a raccontarci di Romain Duris, della sua lagnosa ex Audrey Tautou (che avrebbe poi ritrovato pure in Mood Indigo - La schiuma dei giorni di Michel Gondry) e dei suoi coinquilini spagnoli.
L’Erasmus finisce, la vita va avanti. Come?
Lo scopriremo presto, con i prossimi due capitoli internazionali: Bambole russe e il nuovissimo Rompicapo a New York...
"Hey, chi è quel pallone gonfiato? Mi sembra di conoscerlo..."
Flight
(USA 2012)
Regia: Robert Zemeckis
Sceneggiatura: John Gatins
Cast: Denzel Washington, Kelly Reilly, Don Cheadle, Bruce Greenwood, Nadine Velazquez, Tamara Tunie, Brian Geraghty, John Goodman, James Badge Dale, Melissa Leo
Genere: alcolizzato
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Si prega i gentili passeggeri di allacciare le cinture di sicurezza. Sono previste turbolenze e un viaggio non tra i più sereni. Il rischio che questo post precipiti nel vuoto totale è altissimo. Ma tranquilli, a parte questo non c’è niente di cui preoccuparsi. Prendete pure uno stuzzichino e fatevi un cicchetto. Pure il capitano se l’è fatto.
Un cicchetto? Diciamo anche più di uno.
"Ah, ecco chi è: Cannibal Kid. Sì, è proprio lui."
Denzellone Washington è un pilota che passa una nottata di sesso, droga, alcool e rock’n’roll con un’assistente di volo. Dico assistente di volo perché hostess potrebbe essere considerato dispregiativo. Come dire spazzino anziché operatore ecologico. O puttana invece di escort. O ladro invece di politico.
C’è gente sensibile in giro e quindi bisogna stare attenti a come e a quali parole usare.
Dopo una nottatina del genere non proprio tranquilla, Denzellone si presenta al lavoro in veste di sobrio e affidabile Capitano stile Schettino. Solo che governa un aereo di linea e non una nave da crociera. Fine delle differenze tra i due, fondamentalmente.
Capirete quindi che il volo da lui capitanato potrebbe non andare a finire nel migliore dei modi…
Che cosa mi aspettavo da un film come Flight?
Mi aspettavo un volo tranquillo, la classica vicenda moralista in perfetto stile hollywoodiano, diretta in maniera impeccabile dalla garanzia Robert Zemeckis e in parte è proprio così. In parte invece riesce a essere anche un viaggio più sorprendente, turbolento e movimentato.
Come un volo Ryanair.
Flight riesce a tenerti incollato sulla tua poltroncina con la cintura bene allacciata dall’inizio alla fine, nonostante la durata oltre le due ore. Cosa che non è capiti con tutti i film. Io pensavo già di mettere in conto un po’ di noia, invece niente noia.
La parte iniziale scaraventa subito nel cuore della vicenda. Se le scene di incidenti aerei, da Lost a Final Destination, riescono spesso a impressionare, qui Robert Zemeckis ci regala (ma tante grazie!), un’altra sequenza che ci rimarrà per sempre nella memoria e si ripresenterà davanti ai nostri occhi ogni volta che saliremo su un aereo. O anche solo quando penseremo di prenotare un volo sul sito di qualche compagnia low-cost.
Il picco di tensione la pellicola ce lo fa vivere dunque all’inizio, ma il resto della vicenda ci tiene in volo ad alti livelli insieme al protagonista Denzel Washington. Non possiamo alzarci per sgranchirci le gambe. Non possiamo slacciarci la cintura di sicurezza nemmeno per un istante, che non si sa mai. Dobbiamo restare seduti accanto a lui e vedere cosa combina. Non ci si può alzare fino all’arrivo, anche se si vorrebbe andare a fare sesso ad alta quota in bagno con la protagonista femminile, Kelly Reilly.
Che figa è Kelly Reilly?
Di jessicachastaniane proporzioni, ecco che tipo di figa è.
"Kelly, io ci sto provando a fare un discorso serio senza guardarti le tette.
Davvero, ci sto provando... ma è umanamente impossibile!"
E che film è, Flight?
Una pellicola su un disastro aereo, si direbbe a un’occhiata da terra. Una pellicola sulla classica storiona dell’eroe americano che salva la situazione nella maniera più incredibile possibile. Fosse un film con Will Smith, probabilmente sarebbe così. Ma questo è un film con Denzel Washington e le cose sono un pochino diverse.
Flight è un viaggio sì, ma dentro la vita di un uomo con dei problemi. Un alcolizzato che non vede il figlio da una vita. Un eroe che forse non è un eroe bensì è il responsabile di una strage.
Flight è il racconto di un disastro sì, ma di un disastro umano più che aereo. Il film vola ad alta quota soprattutto quando si concentra sulle debolezze del protagonista e Denzel Washington è bravissimo a dargli vita in tutta la sua complessità. Quando uno vede candidato agli Oscar il nome di Denzel Washington potrà anche pensare: “Che fantasia, l’Academy!” però in effetti la sua nomination ci sta tutta. È davvero grandioso.
Fanno un figurone pure i comprimari, la bellissima ma pure bravissima già citata Kelly Reilly, un Don Cheadle (guardatelo anche nella strepitosa serie tv House of Lies!) perfetto avvocato, una Nadine Velazquez ignuda, un grandissimo James Badge Dale in versione malato terminale e un John Goodman idolo come procuratore di droga personale del protagonista.
"Meno male che al meteo davano giusto due gocce...
La volta in cui ci azzeccano, mi sa che fanno nevicare."
Riguardo al regista Robert Zemeckis, con lui ho un rapporto conflittuale. Gli sarò sempre eternamente grato per avermi regalato Ritorno al futuro, un film anzi una saga fondamentale per me e credo non solo per me. Con altri suoi film come Forrest Gump e Cast Away, complice l’insopportabile Tom Hanks, il rapporto è invece decisamente meno d’amore. Riguardo ai suoi ultimi esperimenti d’animazione Polar Express, La leggenda di Beowulf e A Christmas Carol il rapporto è proprio inesistente, manco li ho guardati. L’avevo insomma un po’ perso di vista, lo Zemeckis, ma qui l’ho ritrovato in ottima forma, soprattutto nella prima parte dove, oltre alla notevole scena dell’incidente aereo, ci regala anche qualche inaspettato momento “tossico” con Kelly Reilly.
La sceneggiatura nominata anch’essa ai premi Oscar di John Gatins è di quelle hollywoodianamente impeccabili, con ottimi dialoghi e un ritmo narrativo sempre elevato. Tra gli aspetti non del tutto convincenti c’è invece la colonna sonora. Per essere bella è bella, però è parecchio scontata: Rolling Stones, Marvin Gaye, Joe Cocker, Red Hot Chili Peppers, Beatles. Tutte ottime canzoni, ma già strasentite e pure strausate in altre pellicole.
Laddove il film va a finire dentro nubi pericolose è però soprattutto proprio dove era riuscito a tenersi a distanza per quasi tutta la sua durata, ovvero dentro le nubi del moralismo. Per una pellicolona americana del genere, era impensabile che non si finisse proprio lì. E infatti…
ATTENZIONE SPOILER
Il finale del film è moraleggiante, c’è poco da fare. Però comunque la scelta del protagonista di smettere finalmente di bere e decidere ancor più finalmente di dire la verità non coincide con un’illuminazione divina, piuttosto con la volontà di cambiare per sé e per il figlio. Il film inoltre non ci mostra le droghe o l’alcool come qualcosa di sbagliato perché è la società che ci dice che sono sbagliati e non si usano e basta, perché se no si è dei cattivoni. La morale del film è che è possibile liberarsi da ciò che ci tiene imprigionati, nel caso del Denzellone dal suo alcolismo.
Delle paternali ne faremmo sempre volentieri a meno, però visto che in una pellicolona hollywoodiana come questa non potevano proprio farcela mancare, alla fine quella che hanno tirato fuori non è nemmeno tanto male e ce la portiamo casa, mentre finalmente possiamo togliere la cintura ed essere sollevati per essere arrivati a destinazione sani e salvi. Con un viaggio più movimentato, ma anche più interessante, di quanto ci saremmo aspettati al check-in.
E dopo The Woman in Black, prosegue su Pensieri Cannibali il James Watkins Day con il primo film del regista britannico...
Eden Lake
(UK 2008)
Regia: James Watkins
Cast: Michael Fassbender, Kelly Reilly, Jack O’Connell, Tara Ellis, Finn Atkins, Jumayn Hunter, Thomas Turgoose, Shaun Dooley
Genere: tranquilla (?) gita al lago
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Che in fondo in fondo se lo meritano.
Eddai, diciamocelo.
Dallo spericolato James Franco di 127 ore, agli incoscienti di Frozen che prendono la funivia in piena notte, ai tizi che se ne vanno in vacanza nei luoghi più sperduti del mondo, da Rovine ad And Soon the Darkness passando per molti altri fino a A Lonely Place to Die, se la vanno tutti a cercare! Se quindi gli capita qualche situazione da horror, non è che possono lamentarsi più di tanto…
Certo, anche farsi una tranquilla vacanza al mare può non essere una cosa così sicura, Lo squalo e Piranha 3D ce lo possono testimoniare. Andare in crociera oggi come oggi tanto meno. Però certi se le vanno davvero a cercare.
"Hai sentito qualcosa?"
"Ehm sì, e sembra pure bello grosso!"
"Veramente non intendevo quello. Comunque... buon gustaia!"
I protagonisti di Eden Lake sono una coppietta che decide di passare un weekend al lago, in un posto che è romantico quanto dalle mie parti andare a riva Po’… Ma vabbè, si sa che gli inglesi sono strani e allora questi sono i piani organizzati da Michael Fassbender (che pure è tedesco naturalizzato irlandese), ormai garanzia del cinema mondiale tra pellicole indie (Fish Tank), blockbuster supereroistici (X-Men - Le origini), storie in costume (Jane Eyre), voglio una vita come Steve McQueen (The Hunger e Shame) e il Dio del Cinema Tarantino (Bastardi senza gloria). La sua tipa, una ottima Kelly Reilly, invece di mandarlo giustamente a quel paese, rimane tutta contenta del posto: dev’essere proprio innamorata del Fassbender.
Non solo il lago non è un granché (e chissà che gelida dev’essere l’acqua…), non solo è in mezzo al nulla in un solito boschetto inquietante da film horror, non solo il posto più vicino è un paesino in cui c’è giusto una tavola calda piena di bifolchi, ma la zona è praticamente dominata e “infestata” da un gruppo di bulletti locali. A capo della baby-gang da coltello in tasca c’è Jack O’Connell, il mitico Cook di Skins (stagioni 3 e 4) che certo pure qui non è poi molto lontano da quel personaggio. D’altra parte con quella faccia da galera lì… O’Connell inoltre era già apparso anche in This is England, insieme a un altro bulletto presente pure qui, Thomas Turgoose. Uno che pure lui c’ha proprio una bella ghigna da criminal mind.
Ecco, praticamente Eden Lake è come una versione horror di una puntata di Skins, oppure potete anche immaginarvi la gang di This is England che irrompe a rovinare il tranquillo weekend d’amore di una normale coppietta.
"Proprio ora nascondino doveva tornare a essere più
popolare di Angry Birds tra i giovani teppistelli inglesi?"
La tensione con cui è costruita la vicenda e gli scontri tra la coppia e questa baby-gang di provincia è notevole e tiene incollati allo schermo per un’oretta abbondante. A non convincermi del tutto è invece stata la parte finale, da molti osannata.
ATTENZIONE SPOILER! In questo frangente emerge infatti un discorso moralistico di come le colpe dei figli ricadano sull’educazione da parte dei genitori, tematica piuttosto telefonata fin dalle primissime scene della pellicola, con la protagonista che è una maestra e i discorsi sparati nell’autoradio. Decisamente più interessante il punto di vista proposto in proposito dalla mini-serie con Kate Winslet Mildred Pierce, di genere peraltro ben lontano dall’horror, oppure in …e ora parliamo di Kevin, questo invece obliquamente horror, che ci suggeriscono in maniera più originale di come a volte i figli nascano con il male dentro e i genitori non ci possano fare un bel nulla. Buona educazione o meno, se ti nasce una bestia di Satana, che ci puoi fare?
Eden Lake funziona alla grande come survival horror, mentre mi sembra invece voli troppo in alto per quanto riguarda il discorso sulla violenza. Tutti sono capaci delle peggio azioni, se messi di fronte a situazioni limite, e così il Fassbender (apparentemente) tranquillo arriva a uccidere un cane e la Kelly Reilly (apparentemente) tranquilla ammazza un bambino e tira sotto una ragazzina con l’auto. Tutti sono capaci delle peggio azioni, insomma. Ma questa è una cosa che sapevamo già, non doveva arriva James Watkins per dircelo.
Se la coppietta di protagonisti è costruita molta bene e con risvolti superiori alle pellicole di genere, interpretati in più da due attori della Madonna, lo stesso non si può dire dei “cattivi” della baby-gang, ritratti in maniera un pochetto superficiale e con la loro violenza e apatia giustificata in maniera troppo facile dalla parte finale. Per questo aspetto molto meglio allora i ritratti giovanili di Skins, o il ghetto dipinto in maniera ironica e fantascientifica (ma nemmeno troppo) dal recente supercool Attack the block.
Nonostante quanto appena detto e nonostante il buon Fassbender e la bella Reilly, io comunque ho fatto il tifo per loro, i bastardelli della baby-gang. Anche perché poi, alla fin fine, ripetiamolo ancora che non fa mai male: i due protagonisti andando a passare il weekend nel lago più merdoso del Regno Unito se la sono proprio andata a cercare…
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