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lunedì 8 settembre 2014

I MERCENARI 3 – THE EX ACTORS





I mercenari 3 – The Expendables
(USA, Francia 2014)
Titolo originale: The Expendables 3
Regia: Patrick Hughes
Sceneggiatura: Sylvester Stallone, Creighton Rothenberg, Katrin Benedikt
Cast: Sylvester Stallone, Jason Statham, Mel Gibson, Arnold Schwarzenegger, Dolph Lundgren, Randy Couture, Terry Crews, Wesley Snipes, Kelsey Grammer, Antonio Banderas, Kellan Lutz, Ronda Rousey, Glen Powell, Victor Ortiz, Jet Li
Genere: old school
Se ti piace guarda anche: I mercenari 1 e 2, Il grande match

Il gioco è bello quando dura poco, recita un proverbio, uno di quelli che piacciono tanto ai vecchi e che quindi Sylvester Stallone e amici dovrebbero conoscere bene.
Che poi il gioco fosse bello, è ancora tutto da vedere. I mercenari 1 e 2 erano sì film più o meno decenti, almeno all’interno del loro genere, ma certo non è che fossero delle robe così memorabili. Il primo poteva vantare dalla sua parte la carta nostalgia, con il recupero di un certo modo di fare cinema action andato (per fortuna) perduto negli anni Ottanta, mentre il secondo riusciva a spremere tale spunto quel tanto che bastava per non annoiare troppo. Adesso però finiamola. Adesso però con questo terzo modestissimo episodio è ora di dire basta!
L’effetto nostalgia si è trasformato in una tristezza infinita. A vedere i sempre più anzianotti Sly & Schwarzy & Dolph Lundgren & Mel Gibson combattere, sparare, menar le mani e saltare per aria si prova solo una gran pena. Nella vita bisogna sapere quando è ora di smetterla e farsi da parte. Una lezione che a un certo punto del film lo stesso Stallone sembra aver compreso. Messi in un angolo i suoi vecchi (e con vecchi intendo proprio vecchi) amici, recluta alcune nuove leve per dargli una mano a sconfiggere il suo eterno nemico Mel Gibson.
Ma Mel Gibson non era morto in uno dei due film precedenti?
Dite che negli altri due non c'era?
Ah già, era nell'altrettanto inutile Machete Kills che aveva un ruolo di cattivone molto simile a questo.

"Attento a quel che dici, Cannibal.
Mi sono gonfiato i muscoli apposta per gonfiarti la faccia."

Fatto sta che Sly sceglie una nuova ciurma di Expendables per affiancarlo. Tra di loro c’è persino una donna!
Femminismo 1 – Stallone 0.
Ovviamente, la prescelta Ronda Rousey non è un’attrice fenomenale, bensì si tratta di braccia rubate alle arti marziali.
Recitazione 0 – Stallone 1.

"Se meno più forte di quella femminuccia di Cannibal Kid?
Certo che sì!"

Tra gli altri giovincelli arruolati c’è un enorme Kellan Lutz. Enorme intendo fisicamente, non a livello interpretativo. D’altra parte era uno che nella saga di Twilight faceva passare Robert Pattinson come un Signor Attore. E forse persino Kristen Stewart come un’attrice da Oscar.
No, beh. Quest’ultima cosa forse no.

Tra le altre nuove reclute c’è poi il non giovane Antonio Banderas ed è qui che viene la nota più dolente della pellicola. Mister Mulino Bianco ha in teoria la parte del personaggio simpa di turno. Un latino americano chiacchierone pronto a fare di tutto pur di entrare nelle grazie di Stallone e degli altri Expendables. Il problema è che non fa ridere e risulta solo odioso. In un film che certo non si segnala per la presenza di molti simpaticoni, riuscire a essere il più detestabile non era impresa facile, ma Banderas ce l’ha fatta. Olè.

"Hey Antonio, quello negli spot Mulino Bianco è il tuo miglior ruolo da anni."
"Aahahah, ma lo sa che hai ragione?"

Per colpa sua viene così a mancare quasi del tutto l’elemento ironico che nei primi due episodi risultava la vera arma vincente per riuscire ad arrivare a fine visione senza troppi sbadigli. Lo humour presente in questo capitolo è invece ormai trito e ritrito. Come confermano i disastrosi risultati al box-office americano, è un umorismo che non fa ridere più nessuno, a parte forse giusto le groupie del genere come il mio blogger rivale Mr. James Ford.
Con la parte diciamo “comica” del tutto annientata, quella che resta è una sequela infinita di interminabili scene action in cui si mettono in mostra i vari action heroes di ieri e di oggi messi in campo da Mister Stallone. La parte finale, una mezz’ora abbondante di mitragliate, esplosioni e scazzottate, è qualcosa di davvero difficile da digerire per i meno amanti del genere. E ormai magari pure per i più patiti.
Se la sceneggiatura si può riassumere in “Stallone vuole uccidere Mel Gibson e basta!” pure la componente action lascia alquanto a desiderare, “grazie” anche alla pessima regia di tale Patrick Hughes, capace di far rimpiangere non solo la direzione di Stallone del primo episodio, ma persino quella del penoso Simon West del secondo.

Oltre a sparatorie, bombe, botte e battute che non fanno ridere, cosa capita?
Sly & friends si danno i pugnetti l’uno con l’altro per tutto il tempo, ma a parte questo succede ben poco e la noia prevale. Le new-entries del cast non contribuiscono a ravvivare le cose, anzi. Oltre ai già citati spenti giovincelli, c’è addirittura il recupero di Wesley Snipes, uno che erano parecchi anni che non si vedeva in giro. Perché?
Questo film ci ricorda il perché: è davvero un pessimo attore e qui, nella parte del criminale fuori di testa e fuori di prigione, ce ne offre una nuova conferma.

"Sly, sei troppo vecchio per armeggiare con 'ste nuove tecnologie.
Guarda! Ti sta sanguinando il cervello..."

Pure sulla comparsata di uno spentissimo Harrison Ford è meglio stendere un velo pietoso.
Persino i vecchi protagonisti, nel passaggio dal primo al terzo capitolo, sembrano essere sempre più stanchi e annoiati, stessa impressione avuta da altri film recenti con nonnetti come Last Vegas e Il grande match. Ormai Stallone e compagni hanno fatto il loro tempo, hanno dato tutto quello che c’era da dare e non fanno altro che ripetersi. A questo punto, c’è giusto soltanto una cosa che manca a questo gruppo di ex attori, o meglio di ex glorie action…
Morire?
No. Per chi mi avete preso? Non sono così perfido. Non quanto Mel Gibson, almeno. La cosa che manca loro e che dovrebbero fare al più presto è un’altra: andare in pensione.
(voto 4/10)

venerdì 25 luglio 2014

TRANSGENDERS 4 – L’ERA DELL’EVIRAZIONE





Transformers 4 – L’era dell’estinzione
(USA, Cina 2014)
Titolo originale: Transformers: Age of Extinction
Regia: Michael Bay
Sceneggiatura: Ehren Kruger
Cast: Mark Wahlberg, Nicola Peltz, Jack Reynor, Stanley Tucci, Kelsey Grammer, Titus Welliver, T. J. Miller, Sophia Myles, Bingbing Li, Jessica Gomes
Genere: robotico
Se ti piace guarda anche: gli altri Transformers, Pacific Rim, Noah

La serie di Transformers a me fa lo stesso effetto di quanto possono fare dei mattonazzi russi stile La corazzata Potëmkin sulla gente normale. Tre ore di robot che parlano e combattono sarebbe “cinema d’intrattenimento”? Io non riesco a immaginare niente di più noioso.
Pensare che il primo tempo del primo film della serie mi era anche piaciucchiato abbastanza. Sarà che era ricco di umorismo e Shia LaBeouf sembrava il giovane cazzaro giusto al momento giusto. O sarà che c’era Megan Fox. Sì, sarà per quello. Fatto sta che già dal secondo tempo di quella pellicola, dominata da una lunghissima, estenuante, interminabile guerra tra robottoni giganti, la serie dimostrava di essere una cagata pazzesca. Impressione confermata dal pessimo sequel e ancora di più dal terzo allucinante episodio, in cui non c’era più manco la consolazione di vedere Megan Volpe. Tre ore, forse anche più, di robot che si danno delle mazzate e una trama che a me è sembrata del tutto incomprensibile. Altroché i film di Lynch o Malick o Aronofsky.
Anche perché va bene la sospensione dell’incredulità, ma come si fa a prendere sul serio dei robottoni giganti che discutono?
È la stessa cosa che si deve chiedere Barack Obama quando si ritrova a colloquio con il Premier italiano Matteo Renzi e questo si mette a parlargli così…



Barack Obama può prendere sul serio un uomo del genere per decidere le sorti del nostro mondo?
E io posso prendere sul serio un film con dei robottoni, o meglio dei veicoli alieni parlanti già passati di moda negli anni Ottanta, che vorrebbero decidere le sorti del nostro mondo?

"Basta, non siete reali. Le auto non possono parlare.
Voci, uscite dalla mia testa!"
Rispetto agli episodi precedenti, questa volta giunta al quarto appuntamento la saga si è transformata e propone delle grandissime novità…
No, non è cambiato il regista. Al timone c’è sempre Michael Bay. Purtroppo. A essere cambiato è il protagonista, non più il simpatico – oh, che volete? a me sta simpatico – Shia LaBeouf, bensì l’action hero preferito dal regista, Mark Wahlberg. Cambio della guardia anche per quanto riguarda la gnocca, in questo caso la teen-gnocca. A raccogliere il pesante testimone dell’insuperabile Megan Fox e della bella ma recitativamente irrilevante Rosie Huntington-Whiteley c’è questa volta la giovanissima Nicola Peltz. Può suonare un po’ gay dirlo, però Nicola è proprio affascinante.
La bionda scoperta dalla serie Bates Motel non è l’unico volto telefilmico ingaggiato dal Bay. Insieme a lei ci sono il funny T. J. Miller della nerd comedy Silicon Valley, in cui veste un identico ruolo da cazzaro combinaguai, e l’ottimo Kelsey Grammer ex protagonista di Boss, in cui aveva un identico ruolo da gran bastardo.
La parte con gli umani tutto sommato funziona. Il rapporto tra padre padrone, un inventore fallito come il papà nei Gremlins, e figlia che vorrebbe zoccoleggiare con il boyfriend ma non può è la parte migliore della pellicola. Ricorda le commedie con Adam Sandler, solo che qui c’è Mark Wahlberg in un similare ruolo da classico americano vecchio stampo. Ricorda poi soprattutto Armageddon, con il “triangolo” Bruce Willis/Liv Tyler/Ben Affleck che qui rivive attraverso i citati Mark Wahlberg e Nicola Peltz, più la novità Jack Reynor, che sarà anche un bel ragazzo, ma come attore è ancora tutto da verificare.

Michael Bay quindi clona se stesso, ma se non altro clona il se stesso migliore, quello di Armageddon. Le cose per quanto mi riguarda vanno peggio, molto peggio, quando entrano in scena tutti ‘sti robottoni inguardabili. Il problema di Transformers sono… i Transformers.
Lo so che il pubblico della saga è accorso in massa nei cinema a vedere proprio loro, però a me fanno pena. A stare a guardare questi camion che dialogano tra loro facendo i finti simpatici, sento che quei pochi neuroni che ancora abitano nel mio cervello mi fanno “Ciao ciao” con la manina.

La prima parte del film, quella più “umana”, è quasi quasi decente, almeno rispetto agli standard della saga, e fa diventare questo quarto capitolo il migliore dai tempi del primo episodio. Nella seconda parte come al solito si degenera in un’assurda guerra robotica tra Pessimus Prime con i suoi amichetti e tutti gli altri, con un sacco di esplosioni e inseguimenti senza fine. Va dato atto a Michael Bay di aver cercato di realizzare un film più intimista, per quanto gli è possibile con il suo tatto da elefante, e così le battaglie si sono fatte più rallentate. Il risultato è meno fracassone del solito, e questa è una buona notizia, ma a Michael Bay andrebbe comunque vietato l’uso del ralenty che tra l’altro, a ormai 15 anni dall’uscita del primo Matrix, è ormai stra-sorpassato.

"Chissà perché Cannibal Kid ci odia tanto?
Eppure siamo così simpatici e tenerosi!"
Per essere un film sui Transformers, questo L’era dell’estinzione non è nemmeno troppo male. Per essere considerato Cinema vero e proprio, la strada è invece molto lunga. Ridatemi allora i film di Lynch, Malick e Aronofsky. Anzi, di quest’ultimo magari no. Se qualche settimana fa mi avessero detto che l’ultimo di Darren Aronofsky sarebbe stato peggio del quarto capitolo di Transformers, avrei gridato alla bestemmia e invece… invece Transformers 4 è un pelino meglio di Noah. In entrambi i casi si tratta comunque di cinema cui è stata evirata una componente fondamentale: la credibilità. Credibilità, elemento che anche in un contesto fantasy può essere ben presente, si vedano Il signore degli anelli o Game of Thrones, sostituita da una serie di Gormiti, Transformers, Kaijū usciti da Pacific Rim e altri improponibili giganti vari. I protagonisti di un’era cinematografica cui auguro una rapida estinzione.
(voto 5-/10)

sabato 19 novembre 2011

The real Boss (Bruce Springsteen chiiiii?)

Boss
(serie tv, stagione 1)
Rete americana: Starz
Rete italiana: non ancora arrivato
Creato da: Farhad Safinia
Regia pilota: Gus Van Sant
Cast: Kelsey Grammer, Connie Nielsen, Kathleen Robertson, Hannah Ware, Jeff Hephner, Troy Garity, Martin Donovan, Francis Guinan, Rotimi Akinosho, Karen Aldridge, Jennifer Mudge
Genere: giochi di potere
Se ti piace guarda anche: Homeland, Breaking Bad, The Killing, 24, Huff, Milk

Gli esempi di sindaci che la televisione ci ha mostrato non è che siano proprio il massimo della vita, dal Joe Quimby dei Simpson all’Adam West dei Griffin, la migliore finisce per essere il sindaco donna McDaniels di South Park. Adesso un nuovo personaggio, questa volta in carne e ossa, si va ad aggiungere alle figure dei sindaci tv.
Il protagonista di Boss è infatti il sindaco di Chicago interpretato alla grande da Kelsey Grammer, attore noto per le sitcom Cin Cin e Frasier e negli ultimi tempi risalito alla ribalta delle cronache americane più che altro per vicende personali, tra alcool, droghe, matrimoni e divorzi. Una sorta di Charlie Sheen II, in pratica. Non da meno anche il suo nuovo personaggio.

Il suo Tom Kane (ogni riferimento al Citizen Kane di Orson Welles, pure citato in un episodio, è puramente voluto) è un sindaco autoritario e tiranno mascherato da benefattore ed è in grado di controllare le sorti della città, ma non della sua vita. Nella primissima scena conosciamo subito il suo infausto destino: gli viene diagnosticata una forma di disordine neurologico che lo porterà nel giro di pochi anni alla morte, anticipata da sintomi come perdita della memoria, tremori e altri disagi che creerebbero problemi a chiunque, figuriamoci al Boss di una delle città principali d’America. Per evitare che questi problemi si manifestino, ricorre quindi in maniera poco legale a medicinali che però potrebbero portare a degli inevitabili effetti secondari…
Anche la sua vita personale non sembra andare proprio a gonfie vele, visto che ha un rapporto conflittuale con la figlia, con cui non parla da anni, e pure con la moglie (la glaciale attrice danese Connie Nielsen, vista ne L’avvocato del diavolo ma anche in Vacanze di Natale ’91: ebbene sì!), che fa fatica a guardarlo in faccia e dorme in un’altra stanza.

Insomma, dietro alla classica facciata di uomo che ha di tutto e di più, si nasconde un’altra realtà. Meritata? Forse, visto che questo Tom Kane  non sembra certo né un Santo, né un simpaticone, considerando anche il suo atteggiamento nei confronti dei suoi collaboratori. Tra loro spicca Kathleen Robertson, attrice bellissima e dal potenziale notevole, finora troppo sottoutilizzata: qualcuno la ricorderà nei panni di Clare in Beverly Hills 90210, dopo di ché ha fatto Scary Movie 2 e ha lavorato per Gregg Araki in Ecstasy Generation e Splendidi amori (dove finalmente aveva la parte della protagonista). Ora, alla soglia dei 40anni portati alla grande, ecco che sembra arrivato per lei un ruolo potenzialmente parecchio interessante. E dannatamente sexy. Altro nome da tenere d’occhio è poi Jeff Hephner, apparso la scorsa stagione nella sfortunata e non troppo riuscita serie di cheerleader Hellcats, e ora in una serie d’autore con un ruolo importante, quello del potenziale erede politico di Kane, una specie di “delfino” alla Alfano.
E a chi assomiglia invece Kane, almeno un pochino? Esatto, proprio a un certo nostro "caro" ex Premier… ed è forse proprio per questo che la serie, pur essendo molto americana, potrebbe paradossalmente aver maggior presa da noi rispetto agli Usa, dove non sta ottenendo un gran seguito di pubblico. Un peccato, visto che insieme a Homeland è tra le cose più potenti e incisive viste negli ultimi tempi. Il motivo per cui non sta conquistando gli americani? Forse perché non ci sono personaggi positivi o moralmente adeguati per gli standard yankee, visto che tutti i personaggi non sono hanno comportamenti esattamente impeccabili e persino la figlia del sindaco, pur lavorando in una clinica e in una chiesa (però non come suora), frequenta uno spacciatore e si droga; l’unica eccezione (almeno per ora) è allora il giornalista integro che cerca di smascherare i misfatti dietro la candida facciata di Kane.

Dicevamo serie d’autore, comunque, e infatti a firmare la regia del pilot vi è un certo Gus Van Sant, mica un pirletti qualunque, e il suo tocco si vede, per quello che è uno degli episodi meglio diretti dell’annata americana. Ma anche in quelli successivi, pur non mettendoci direttamente la macchina da presa, la sua mano come producer si fa sentire.

A restare un’ingognita è il coinvolgimento emotivo. Se infatti la serie è girata alla stra-grande, interpretata ottimamente da un cast in stato di grazia, con uno sguardo che può risultare molto attuale anche per il pubblico italiano (tra escort e un problema rifiuti che avvicina Chicago a Napoli), con dialoghi acuti e ben curati, sebbene a volte troppo verbosi ed eccessivamente politici, a latitare un pochino è il cuore. Boss appare infatti un pochino fredda, andando in questo senso ad affiancarsi a telefilm come Nip/Tuck o Breaking Bad, cosa che in fin dei conti è tutt'altro che un difetto. Proprio per questo loro distacco emotivo e per il loro evitare facili scorciatoie e trabocchetti sentimentali/paraculi, queste serie ci mettono un po’ a ingranare e a guadagnare l’affezione e la fedeltà del pubblico, ma quando lo fanno, ti fregano per sempre. Ce la farà anche Boss?
(voto 7,5/10)

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