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mercoledì 27 novembre 2013

PORKLAND



"Che giorno tragico, questo 22 novembre 1963!
Mi scappa la popò e tutti i bagni sono occupati..."

Parkland
(USA 2013)
Regia: Peter Landesman
Sceneggiatura: Peter Landesman
Ispirato al libro: Reclaiming History: The Assassination of President John F. Kennedy
Cast: James Badge Dale, Zac Efron, Paul Giamatti, Billy Bob Thornton, Marcia Gay Harden, David Harbour, Ron Livingston, Austin Nichols, Tom Welling, Matt Barr, Jeremy Strong, Kat Steffens
Genere: storico
Se ti piace guarda anche: Bobby, I Kennedy, JFK – Un caso ancora aperto

Parkland non è un film. È una ricostruzione.
Come ricostruzione non è nemmeno fatta male, tutt’altro. Per chi vuole guardare cos’è successo 50 anni fa, il 22 novembre 1963, quando hanno sparato a John Fitzgerald Kennedy, e nei giorni immediatamente successivi alla sua morte, è una visione ideale. Per chi vuole "guardare", ma per chi vuole “vedere” e capire cosa è successo veramente, questo film è invece qualcosa di inutile. Non ci viene detto niente che già non si poteva sapere facendo un rapido giro su internet o guardando un documentario alla tele.


"Henry Cavill, tu non rompere che sei l'unico al mondo che recita peggio di me!"
La regia dell’esordiente Peter Landesman è anonima, da versione sfigata del Sundance, e il fatto che sia stato presentato in Concorso al Festival di Venezia di quest’anno credo la dica lunga sulla selezione fatta…
Il cast invece non è affatto male, per essere come detto una ricostruzione e non un film. C’è gente come Paul Giamatti, Marcia Gay Harden e Billy Bob Thornton, per dire. Certo, ci sono anche attori non proprio irresistibili, o anche solo un minimo espressivi, in arrivo da serie tv teen come Austin Nichols (da One Tree Hill), Matt Barr (Hellcats e pure lui One Tree Hill) e Tom Welling, l’ex Clark Kent di Smallville. Tom Welling ha giusto una mini-particina e si conferma un attore davvero modestissimo ma, dopo aver visto gli atroci Brandon Routh ed Henry Cavill nelle ultime due trasposizioni cinematografiche di Superman, lo sto quasi quasi rivalutando…

A brillare nel cast sono però altri: il sempre più bravo James Badge Dale (visto nelle serie 24 e Rubicon e nei film Flight e Shame) e l’australiana Jackie Weaver, nominata due volte agli Oscar per Animal Kingdom e Il lato positivo. Sono loro a interpretare i due personaggi un minimo più intriganti di questa ricostruzione. I due interpretano il fratello e la madre di Lee Harvey Oswald, l’uomo considerato responsabile dell’omicidio di Kennedy, ma le cui motivazioni rimangono a oggi sconosciute e questo film non aiuta in alcun modo a far luce sulla misteriosissima vicenda, o anche solo a suggerire qualche ipotesi. È nelle loro figure che possiamo intravedere un motivo per questa pellicola di esistere, peccato che anche questi due personaggi rimangano troppo abbozzati, quando invece sarebbe stato interessante vedere un intero film dedicato alla famiglia Oswald. Dopo The Kennedys, The Oswalds… dite che non sarebbe stato commerciale abbastanza?

"Dottore, hanno sparato al Presidente, che facciamo?"
"E che ne so io? Non ho manco mai finito la high school,
passavo tutto il tempo a ballare canzoncine sceme."
La vera rivelazione è comunque Zac Efron, qui parecchio convincente nei panni del giovane dottore che ha cercato di salvare, fino all’ultimo, la vita al Presidente americano. È curioso notare come Zac Efron e ancor di più Vanessa Hudgens siano riusciti a smarcarsi alla grande dai ruoli da bimbiminkia ricoperti nel film che li ha lanciati, High School Musical, mentre Ashley Tisdale, che all'interno del musicarello Disney sembrava la più promettente e sveglia, tra Scary Movie V e la serie tv Hellcats è finita invece lei per avere una carriera da eterna bimbaminkia.
Cosa c’entra questo?
Niente, però mi sembrava un discorso più interessante del film.

Tornando contro voglia a Parkland, il suo ricchissimo cast comprende poi anche Jackie Earle Haley, ultimo Nightmare cinematografico e nominato agli Oscar per il suo ruolo nell’invisibile (almeno in Italia) Little Children, il nuovo reuccio delle commedie indie americane Mark Duplass (Safety Not Guaranteed, Your Sister’s Sister, le serie The League e The Mindy Project), e poi ancora Ron Livingston (L’evocazione – The Conjuring, Drinking Buddies) e Colin Hanks, il figlio raccomandato di Tom Hanks, quest’ultimo tra i produttori della pellicola, pardon della ricostruzione. Prima che qualcuno mi possa accusare di essere partito prevenuto alla visione, visto il mio sempre sbandierato odio nei suoi confronti, preciso che è una cosa che ho scoperto soltanto leggendo i titoli di coda. C’è poco da fare, tutto ciò che a che fare con gli Hanks mi fa schifo.

"Con dei medici come noi, chissà come ha fatto JFK a morire?"
Perché sto continuando a parlare del cast? Perché fondamentalmente c’è poco altro da dire. Parkland è una ricostruzione fredda, priva di qualunque tipo di coinvolgimento e di mordente delle ore successive all’omicidio di Kennedy. È una ricostruzione corale di quanto accaduto, ma non è un racconto corale come Bobby, il film di Emilio Estevez sull’omicidio di Robert F. Kennedy cui si ispira in maniera evidentemente ma che, a differenza di questo, ci faceva avvicinare davvero ai suoi personaggi. Qui tutto rimane in superficie. Si cerca di presentare la vicenda in maniera imparziale, da vari punti di vista, ma si finisce per non approfondirne nessuno. Il tentativo di raccontare la storia non concentrandosi tanto su John Fitzgerald, su Jackie Kennedy o su Lee Harvey Oswald, quanto su tutte le poco conosciute persone che hanno gravitato intorno a loro in quella manciata di folli giorni del 1963, è anche apprezzabile. Il risultato? Giusto una lunga serie di sbadigli anche per chi, come me, è abbastanza appassionato di Storia e di Presidenti americani.
Parkland è come il 99% dei servizi dei telegiornali: ci dice chi, cosa, quando. Ma non ci dice, né ci suggerisce, il come o il perché. E, come già detto, Parkland è pure valido, come ricostruzione storica. Il cinema però è tutta un’altra cosa.
(voto 4/10)



giovedì 15 settembre 2011

Kennedyci dei Kennedys?

I Kennedy
(mini-serie in 8 episodi)
Rete americana: ReelzChannel
Reti italiane: La7, History Channel
Ideatori: Stephen Kronish, Joel Surnow
Regia: Jon Cassar
Cast: Greg Kinnear, Katie Holmes, Barry Pepper, Tom Wilkinson, Diana Hardcastle, Kristin Booth, Enrico Colantoni, Charlotte Sullivan
Genere: storico
Se ti piace guarda anche: Mad Men, The Hour, Mildred Pierce

History Channel: allora, facciamo una bella mini-serie sulla dinastia dei Kennedy, però dobbiamo farla ruffiana in modo che tutti possano dire: “Ah, quanto bravi e belli e perfetti erano.”

Sceneggiatori: ma facciamogli un bello scherzetto, a quei noiosi topi di biblioteca di History Channel e andiamo a tirare fuori tutti gli scheletri dall’armadio della famiglia più potente d’America e vediamo cosa dicono.

Morale della fiaba: dopo aver commissionato la serie, History Channel si è ritrovata con un prodotto scomodo e per non fare incazzare gli amici di quella che ancora oggi è una delle famiglie più influenti e “immanicate” degli States ha deciso di non mandarla in onda. Dopo qualche mese di incertezza in cui nessuno voleva trasmetterla, nemmeno network come Showtime e Starz (quelli di Californication, Nip/Tuck, Weeds, Spartacus e altre serie piuttosto estreme, almeno per il puritano pubblico americano), finalmente la serie è stata trasmessa grazie a ReelzChannel, mentre in Italia paradossalmente è andata in onda proprio sulla versione nostrana di History Channel, prima di approdare su La7.
Questo ostracismo vi suona per caso familiare? Non è un po’ ciò che accade da noi quando si tenta di mostrare qualche prodotto scomodo riguardante un certo potente personaggio italiano?

I punti di contatto tra Silvio Berlusconi (lo so, finisco sempre lì ma è un'ossessione da cui è difficile uscire in Italia) e la famiglia Kennedy, in particolare con John Fitzgerald e suo padre Joe Senior, non sono difatti pochi e un parallelo non è poi così campato per aria:

- Come Joe, Silvio è un self-made man, anche se forse nel suo caso Craxi-made man rende meglio l’idea. Entrambi hanno fondato un vero e proprio impero economico, con l’aiutino di alcuni contatti misteriosi con il mondo della politica e della Mafia.

- Come JFK, Silvio ama la compagnia femminile e fino a qui niente di male. Solo, perché sposarsi? Perché mettere così in imbarazzo le mogli? Entrambi hanno una lunga cronaca di amanti e di scandali di tipo sessuale, la grande differenza è che uno si faceva Marilyn Monroe, l’altro Ruby Rubacuori…

- Come JFK, Silvio ha vinto le elezioni grazie ai molti soldi spesi per la campagna elettorale e grazie all’utilizzo del mezzo televisivo. JFK però doveva il suo successo alla sua telegenia e alla sua capacità di ammaliare il pubblico, Berlusconi invece lo doveva (visto l’enorme calo di consensi è giusto parlarne al passato) all’infestare le sue reti di jingle, spot e videomessaggi ben poco subliminali.

- Kennedy e Berlusconi condividono poi un cieco e totale anticomunismo, che porta il secondo a vedere rosso ovunque si giri (tra un po’ comincerà a etichettare come comunisti anche Gianfranco “Faccetta nera” Fini e Pier Ferdinando “moderatamente sono il più moderato dei moderati” Casini), mentre JFK si cacciava prima nella disfatta della Baia dei Porci e quindi si metteva a incrementare l’impegno americano in Vietnam.

Poi ci sono anche degli evidenti punti di differenza, soprattutto riguardanti l’impegno nel sostenere i diritti civili e lo stile, tutt’altro stile, di JFK rispetto al Berlusca. Ma questa serie fa dunque apparire i Kennedy come i Berlusconi d’America? In parte sì, come abbiamo visto, e allora te’ credo che negli USA ne hanno ostacolato la messa in onda, ma in parte, per loro fortuna, no.


Il grande pregio di questa mini-serie è quello di gettare uno sguardo originale e “smitizzante” alla famiglia presidenziale, con uno stile che ricorda quello della serie 24… e infatti gli autori/producer sono Joel Surnow e Stephen Kronish e anche il team, dal regista Jon Cassar fino all’autore delle enfatiche musiche Sean Callery, sono gli stessi. A cambiare sono però i ritmi, qui molto più blandi rispetto all’adrenalinico action con Kiefer Sutherland.
Una scelta discutibile, ma di certo voluta, è quella di concentrarsi unicamente all’interno della famiglia, senza gettare uno sguardo sui cambiamenti della società in corso negli anni ’60, che rimangono un po’ sullo sfondo. Una scelta che comunque ci fa capire come spesso i politici, e i potenti in generale, vivano come in un mondo a parte rispetto a noantri comuni mortali.

Convincente, ma con qualche riserva, il cast: Greg Kinnear è bravo, però non possiede lo charme di John Fitzgerald Kennedy, qui ritratto in versione molto Don Draper di Mad Men, infedele per natura più che per scelta; un JFK spinto in politica dalle ambizioni del padre più che da una reale passione e in effetti non ne esce benissimo dall’immagine scattata da questa serie. Eppure alla fine è proprio la sua imperfezione e umanità a renderlo più simpatico rispetto alla solita figurina da Grandissimo e Perfetto Presidente che gli veniva cucita di solito.
Benino anche Katie Holmes: si vede che si è applicata e ha studiato le mosse e il modo di parlare di Jacqueline Kennedy, anche se io continuo a vedere in lei sempre una certa dawson di joeypotteraggine. Sarà che forse con Tom Cruise vive una situazione non troppo dissimile di matrimonio di facciata (chissà?), ma comunque riesce a rendere bene il personaggio della moglie continuamente tradita e consapevole delle infedeltà del marito, che continua comunque ad amare, con una tragicità che ricorda da vicino Betty Draper. Sì, ancora Mad Men, d’altra parte se oggi si parla di anni ’60 non si può non guardare a Mad Men come esempio supremo…
Tom Wilkinson nella parte del patriarca della famiglia Kennedy, Joseph Senior, risulta odioso e quindi la sua parte possiamo dire sia pienamente riuscita; è lui infatti il personaggio più sgradevole della famiglia, visto che ha un atteggiamento ambiguo nei confronti di Hitler (e questa cosa, che pure non ha tutto questo risalto all’interno della serie, dev’essere stata una delle ragioni principali del boicottaggio di History Channel), intrattiene rapporti ancora più ambigui nei confronti della Mafia (in cui è coinvolto anche Frank Sinatra) e, ciliegina sulla torta, lobotomizza la figlia “pazza”. Proprio un bel personaggino, insomma.
Dall’altra parte, il migliore è invece Bobby, da quel che emerge in questa biografia non autorizzata, l’unico a capirne davvero qualcosa e ad avere una reale passione politica (e non solo passione per il potere) tra i Kennedy. Ammirevole poi la sua capacità di rimanere fedele alla moglie, da cui ha ben 11 figli, rifiutando (almeno nella serie) le avance di Marilyn (sarà davvero andata così?). A interpretarlo c’è il migliore del cast, un Barry Pepper grandioso, che riporta in vita il personaggio che avrebbe davvero potuto portare il cambiamento tanto auspicato per gli Stati Uniti e che invece…

Famiglia fortunatissima per certi versi, sfortunatissima per altri, l’epopea dei Kennedy è rivissuta in maniera azzeccata da questa mini-serie che mescola pregi e difetti, note positive e note negative, fortune e sfortune, che infastidisce per alcuni aspetti ma alla fine, e che diamine, finisce per farci affezionare ai suoi personaggi. La serie, proprio nella sua imperfezione, centra così in pieno il non facile obiettivo: farci capire perché sono stati (e sono ancora) tanto odiati quanto amati, questi maledetti Kennedy.
(voto 7/10)

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