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martedì 4 settembre 2018

Le recensioni social – Estate 2018 e The Ferragnez special edition





È estate, anche se sta finendo. Lo scazzo regna sovrano e la voglia di scrivere recensioni complete, per quanto il più delle volte sceme come le mie, è piuttosto bassino. È il momento ideale allora per proporre delle veloci (pseudo)rece in stile social di alcuni film passati su questi schermi negli ultimi tempi.

Per la gioia di grandi e piccini, c'è anche un mini speciale dedicato al matrimonio super social dei #TheFerragnez.

"Guarda, possiamo leggere le recensioni di Pensieri Cannibali anche sullo smart phone."
"Che culo!"


Una donna fantastica
Voto: 7+/10


mercoledì 2 maggio 2018

Il giovane Salinger





Rebel in the Rye
Regia: Danny Strong
Cast: Nicholas Hoult, Kevin Spacey, Zooey Deutch, Sarah Paulson, Victor Garber, Hope Davis, Bryan d'Arcy James, Lucy Boynton, Adam Busch


Ora sta a Hollywood, D. B., a sputtanarsi. Se c'è una cosa che odio sono i film. Non me li nominate nemmeno.

Subito nella prima parte del suo primo e unico romanzo, Il giovane Holden, J. D. Salinger mette le cose in chiaro. Il suo punto di vista sul cinema e su Hollywood in particolare non è dei più lusinghieri. Ora che è morto, a dire il vero è morto nel 2010, e non può più opporsi, hanno girato un film sulla sua vita. Non su Holden Caulfield.

lunedì 18 dicembre 2017

Persone dell'anno 2017 – Gli esseri umani che hanno segnato l'annata





Quest'anno si cambia. Il vecchio premio “Man of the Year” va in pensione e lascia spazio al “Person of the Year”. Benvenuto nel mondo moderno, Pensieri Cannibali!
Chi sono le persone che più hanno segnato il 2017, almeno per quanto riguarda l'immaginario della pop culture coperto da questo blog?
Ecco 10 uomini e donne che in qualche modo hanno lasciato un'impronta importante sul sentiero percorso negli ultimi 12 mesi.


martedì 19 settembre 2017

...Drive Me Baby One More Time




Pronti?
Via, si parte...

Eh no! Dite che siete pronti, e poi manco vi siete allacciati le cinture?
Mettetele subito, che se poi capita qualcosa durante il viaggio sono cavoli vostri.

Allacciate?
Bravi. Ora si va. E provate a vedere se riconoscete tutte le canzoni che si ascolteranno nel corso del nostro viaggio.


Baby Driver – Il genio della fuga
Regia: Edgar Wright
Cast: Ansel Elgort, Lily James, Kevin Spacey, Jon Hamm, Jamie Foxx, Eiza González, Jon Bernthal, Flea, Sky Ferreira

lunedì 12 dicembre 2016

La miao vita da gatto





Una vita da gatto
(Francia, Cina 2016)
Titolo originale: Nine Lives
Regia: Barry Sonnenfeld
Sceneggiatura: Gwyn Lurie, Matt Allen, Caleb Wilson, Dan Antoniazzi, Ben Shiffrin
Cast: Kevin Spacey, Jennifer Garner, Malina Weissman, Christopher Walken, Robbie Amell, Mark Consuelos, Cheryl Hines
Genere: felino
Se ti piace guarda anche: Senti chi parla, Beethoven

Miao, mi state leggendo?
Sul serio ci riuscite?
Questa sì che è una gattata pazzesca! Sono anni che provo a prendere il possesso del blog del miao padrone, ma finora non ero mai riuscita a farmi capire. Io scrivevo in italiano, ma tutto quello che usciva per voi stupidi umani erano solo dei “Miao, miaoooo, miaoooooooo”.
Adesso finalmente riesco a scrivere in un italiano comprensibile come il mio padrone, anzi molto meglio del mio padrone, sarà per via di qualche specie di incantesimo scattato alla visione di Una vita da gatto, in originale intitolato in maniera ben più azzeccata Nine Lives, il film in cui Kevin Spacey in seguito a un incidente finisce dentro il corpo di un gatto.

lunedì 12 gennaio 2015

GOLDEN GLOBE 2015: VINCITORI, VINTI E RED PORCHET





Oh, andiamo un po' a vedere quanti premi si è portato a casa True Detective ai Golden Globe 2015. La serie crime è stata incoronata come prodotto televisivo dell'anno da un sacco di gente, compresi Pensieri Cannibali, i lettori cannibali, una miriade di riviste e siti, persino il mio blog rivale WhiteRussian e molti altri. Praticamente tutti. E allora contiamoli, questi premi...
Aveva 4 nomination, però considerando che Matthew McConaughey e Woody Harrelson erano candidati nella stessa categoria, poteva vincere al massimo 3 Globes. Quindi se ne è portati a casa 3?
No dai, solo 2 che Michelle Monaghan tra le migliori attrici non protagoniste non era quotatissima...
Nemmeno?
Almeno un premio se lo sarà aggiudicato?
Zero?
True Detective non si è portato a casa manco un premio?
Proprio così. Fargo ha abbattuto True Detective e Billy Bob Thornton ha sconfitto Matthew + Woody.
Per carità, Fargo è un prodotto di qualità, però si tratta “solo” di un bel filmone diviso in 10 puntate. True Detective invece è una serie epocale di cui si parlerà ancora tra 25 anni, al pari o quasi di Twin Peaks, che nel 1990 si era invece portata a casa 3 Golden Globes.
Nelle categorie televisive per fortuna sono arrivate, almeno per me, anche delle belle soddisfazioni, come i due premi ciascuna a due delle serie rivelazione dell'anno: The Affair e Transparent.

Tra i premi ai film le cose sono andate invece in maniera più prevedibile, a parte per il sito de La Repubblica che dava per favoriti Selma e Birdman, ma dovrebbe seguire di più i pronostici di Pensieri Cannibali che avevano previsto (quasi) tutto. C'è stato allora il trionfo di Boyhood, che ha preso 3 premi, e la vittoria come miglior pellicola comedy di Grand Budapest Hotel, mentre Birdman si è potuto consolare con i premi all'attore protagonista Michael Keaton e alla sceneggiatura.

Sul palco in molti hanno ricordato la strage di Parigi unendosi al coro: “Je suis Charlie”, tra cui anche George Clooney che si è portato a casa il premio Cecil B. DeMille, ovvero il Golden Globe alla carriera e non “un importante riconoscimento che attesta il suo impegno nel campo umanitario” come scritto su La Repubblica. Ma chi si occupa di cinema sul loro sito? Assumetemi me che fate una figura migliore, e che ca##o!

Vediamo adesso i commenti veloci a tutti i vari premi, con le mie previsioni che si sono rivelate piuttosto azzeccate. Ne ho prese 9 su 14 nelle categorie cinematografiche e 6 su 11 in quelle televisive. Forse soltanto Patricia Arquette ai tempi della serie Medium avrebbe potuto fare di meglio.
Subito dopo passiamo poi a dare un'occhiata al sempre gustoso red porchet dell'evento.


venerdì 26 luglio 2013

KEVIN SPACEY DAY: IL DERELITTO FITZGERALD




Kevin Spacey è un caratterista. Non è un insulto. Non ho detto che è un figlio di puttana. Ho solo detto che è un caratterista e il mondo ha bisogno di caratterisiti. Tutti a osannare e a celebrare i vari Tom Cruise, Leonardo DiCaprio, Brad Pitt, Johnny Depp, Will Smith (hey, un momento, chi è che celebra Will Smith?) e i riflettori sono sempre puntati su di loro, i protagonisti, i protagonistoni. I film vivono però anche di non protagonisti e Kevin Spacey è uno splendido rappresentante di questa categoria. Fino a un certo punto della sua carriera, almeno.
Dopo una serie di particine più o meno piccole, come quella spassosa in Una bionda in carriera, Kevin Spacey ha elevato la figura del non-protagonista a quella di protagonista assoluto. Per farlo, gli sono bastati due ruoli nel giro di pochi mesi, due personaggi misteriosi e inquietanti come pochi: Keyser Söze de I soliti sospetti, che ha dato un significato nuovo al termine “colpo di scena”, e John Doe, il killer seriale di Seven.
Gabriel Byrne, Benicio Del Toro, Brad Pitt, Morgan Freeman… Tutti spazzati via da quel Kevin Spacey, diventato negli Anni Novanta il non-protagonista per eccellenza.
Questo fino ad American Beauty, la sua intepretazione più fenomenale e allo stesso tempo anche quella che più l’ha ingabbiato in uno stereotipo. Se con I soliti sospetti e Seven si era ritagliato la nomea di pericoloso pazzo psicopatico a sorpresa dei film, con Lester Burnham ha dato vita a un personaggio apparentemente normale, un classico uomo medio in crisi di mezza età, da cui ha però fatto fatica ad affrancarsi. Quella parte strepitosa l’ha fatto diventare un protagonista, un ruolo che, al di là di American Beauty, non gli si addice più di tanto, e infatti i suoi film successivi si sono rivelati tutti più o meno dimenticabili. Nella recente serie tv House of Cards offre un’altra grande prova d’attore protagonista, è vero, eppure Kevin Spacey per me è stato ed è specialista soprattutto in un'altra cosa, come è tornato a dimostrare nella sua pellicola migliore degli ultimi anni, Margin Call, e come conferma anche nel film di cui vi parlerò oggi: Kevin Spacey è specialista nel fare il non-protagonista.

"Non credevo di trovare uno più fulminato di Donnie Darko, e invece..."
Il delitto Fitzgerald
(USA 2003)
Titolo originale: The United States of Leland
Regia: Matthew Ryan Hoge
Sceneggiatura: Matthew Ryan Hoge
Cast: Ryan Gosling, Jena Malone, Don Cheadle, Michelle Williams, Chris Klein, Kevin Spacey, Lena Olin, Martin Donovan, Ann Magnuson, Sherilyn Fenn, Kerry Washington, Michael Pena, Michael Welch, Wesley Jonathan
Genere: omicida
Se ti piace guarda anche: Rectify, Twisted, American History X, Blue Valentine

Considero Kevin Spacey fenomenale nei suoi tre ruoli più celebri sopra citati (I soliti sospetti, Seven e American Beauty), mentre per il resto lo stimo moltissimo, è un interprete più che buono, ma non lo considero tra i miei preferiti in assoluto. Mi piace, ma non arriverei a dedicargli una canzone come ha fatto Caparezza. Eppure sono particolarmente felice che questo mese l’associazione di blogger cinematografici riuniti di cui faccio parte abbia deciso democraticamente di celebrare come attore del mese Kevin Spacey, che oggi 26 luglio compie 54 anni.
Perché?
Perché l’alternativa mensile era festeggiare Sylvester Stallone, uno dei peggiori attori di sempre, e quindi ben venga il Kevin Spacey Day. In più, questa ricorrenza mi ha dato l’opportunità di recuperare un film che avevo sempre tenuto in un angolino in attesa di una visione ora finalmente arrivata. A spingermi a guardare finalmente Il delitto Fitzgerald è stato un cast di quelli stellari. Non c’è solo Kevin Spacey, ma ci sono anche dei miei preferiti assoluti come Ryan Gosling e Michelle Williams, i cui personaggi qui non si incrociano sullo schermo, ma che poi ritroveremo insieme in Blue Valentine. Oltre a un trio di attrici che amo particolarmente come Jena Malone, la girlfriend di Donnie Darko nonché ragazzina di Nemiche amiche, Kerry Washington futura star di Django Unchained e della imperdibile serie tv Scandal, e Sherilyn Fenn, mai dimenticata Audrey di Twin Peaks.
Com’è che un film con un cast che sembra uscito dai miei sogni me l’ero perso?
Misteri della fede, ma grazie a questo utilissimo Kevin Spacey Day, eccolo recuperato.

"Io che sono stata con Dawson ti garantisco che quello è più
fuori di Donnie Darko e di Leland/Ryan Gosling messi insieme."
Sarebbe stato un delitto, perdersi un film del genere. Non che sia un capolavoro o una pietra miliare assoluta, ma ha dalla sua una certa forza. Si sente che il regista e sceneggiatore Matthew Ryan Hoge c’ha messo dentro tutto se stesso. A tal punto che da allora, e son passati 10 anni, ancora non ha realizzato un nuovo lavoro. Cosa avrà combinato dopo? Sarà finito anche lui in galera, come il protagonista di questo film mezzo indie e mezzo no?
Il delitto Fitzgerald è proprio la storia di un delitto. Ma vaaaaa?
Non aspettatevi però un crime, indagini o altre cazzate alla CSI. Il caso fin dall’inizio è stato risolto. Non ci sono dubbi su quanto è successo. Fin dall’inizio sappiamo cosa è capitato. Il giovane Leland P. Fitzgerald ha fatto fuori un ragazzino autistico, fratello della sua tipa/ex tipa. Il mistero è: perché l’ha fatto?

Per scoprirlo, ci addentriamo in un thriller non criminale, ma dell’anima.
A CANNIBAL, MA CHE STAI A DDI’?
Può sembrare una di quelle frasi pretenziose, mi dichiaro colpevole, però è così. Il delitto Fitzgerald cerca di indagare dentro l’anima del suo protagonista, un ragazzo che vive nel suo mondo e allo stesso tempo è in forte contatto empatico con le altre persone, una figura liberamente ispirata a Lo straniero di Albert Camus e portata sullo schermo da Ryan Gosling con il suo solito stile tanto indolente e apatico, quanto perfetto per questo genere di personaggi.
Sono questi i crime che preferisco. Quelli come la nuova consigliatissima serie tv Rectify. Quelli che indagano sui personaggi e sulle motivazioni, più che sull’omicidio in sé. Per quelli basta la densa pagina di cronaca di Studio Aperto.

"E' il Kevin Spacey Day e io non sono manco il protagonista del post?
Cannibal, ti mando Keyser Söze."
Oltre a farci scoprire poco a poco il suo protagonista, grazie al prof. Don Cheadle che vuole scrivere un libro a lui dedicato, Il delitto Fitzgerald cerca di scavare anche all’interno della vita delle due famiglie che sono state sconvolte dall’omicidio. La famiglia della vittima, con le due sorelle diverse Jena Malone e Michelle Williams, i cui personaggi non incidono purtroppo del tutto, e la famiglia dell’assassino. È qui che entra in gioco il nostro protagonista/non-protagonista della giornata. Kevin Spacey interpreta il padre di Leland/Ryan Gosling, lasciando per una volta ad altri il ruolo del pazzo omicida. Qui Kevin Spacey è uno scrittore di grande fama che non ha mai avuto un grosso rapporto con il figlio. Attraverso la sua solita recitazione sottile, con quell’immancabile velo dark che regala a quasi ogni sua interpretazione, Spacey dona spessore a una figura che, così come gli altri personaggi minori della pellicola, rimane sullo sfondo. Qui sta il limite di un film che in compenso ha alcuni momenti di notevole bellezza, una piacevole colonna sonora alternative rock molto Pixies e ha soprattutto il pregio di regalarci un grande protagonista, Leland/Ryan Gosling. Misterioso e inquietante, come i personaggi migliori interpretati dal suo papà in questa pellicola Kevin Spacey nel corso della sua carriera. Una carriera da non-protagonista per un post che l’ha visto non-protagonista nel suo stesso Kevin Spacey Day.
(voto 7/10)


Partecipano alle celebrazioni del Kevin Spacey Day anche i seguenti blog:

50/50 Thriller
Cinquecentofilminsieme
Combinazione casuale
Cooking Movies
Director's Cult
Ho voglia di cinema
Il Bollalmanacco di Cinema
In Central Perk
Montecristo
Scrivenny
Triccotraccofobia
Viaggiando (meno)
White Russian Cinema


martedì 12 marzo 2013

DICI SUL SERIE?


Di solito le serie tv più forti negli USA partono in autunno. In questa strana collezione autunno inverno 2012/2013 parecchie chicche sono invece arrivate a inizio anno, nel periodo della cosiddetta midseason. Rimpiazzi di metà stagione che in alcuni casi si stanno rivelando più interessanti delle serie partite in precedenza. Facciamo allora il punto della situazione sulle nuove serie tv.

.

Fatto.
Non siete soddisfatti?
Vabbé, diciamo qualcosa in più su alcune novità che ho seguito/sto seguendo.
Di alcune ho già parlato:


Delle altre ve ne parlo ora.

Banshee
Non date retta al pilota. Non sempre ha ragione. Spesso sbaglia strada e manco sa dov’è diretto.
L’episodio pilot di Banshee non mi era piaciuto un granché. Mi sembrava una serie che puntava solo a spingere le situazioni al limite, a scandalizzare, a shockare, a stupire come se ambisse a tutti i costi al titolo di visione più estrema della tv via cavo americana. Inseguimenti, esplosioni, sparatorie, scopate, scazzottate… Un pulp fuori tempo massimo, insomma. Oppure no?
Già a partire dal secondo episodio ho cominciato a entrare nell’atmosfera del telefilm e da lì in poi me lo sto gustando con enorme piacere.
Il protagonista (Antony Starr, uno che sembra il fratello gemello dello Scott Speedman di Felicity e Last Resort) è un criminale appena uscito di galera che va a vivere in una cittadina piena di Amish. Perché lo fa? Per fare una strage di Amish? No, lo fa per amour, naturalmente. La sua ex, una gran gnocca russa interpretata dalla croata Ivana Miličević (tanto per gli americani tutti quelli dell’Est sono uguali), si è infatti trasferita nella quieta Banshee dove ha un marito e due figli. Il nostro protagonista decide così di restare nei paraggi e, per una serie di (s)fortunate coincidenze, riesce a spacciarsi con successo come nuovo sceriffo locale. Poco a poco, Banshee la ex cittadina traquilla diventerà sempre più violenta e criminale, mentre Banshee la serie diventa sempre più intrigante, grazie a un’ottima regia, un montaggio incalzante, a flashback assortiti e a qualche altro ottimo personaggio come il cattivone ex Amish interpretato da Ulrich Thomsen, la Amish zoccola interpretata dalla sexy Lili Simmons e l'idolesco hacker trans interpretato da Hoon Lee.
Se il pilot non vi convince, proseguite comunque nel viaggio che ne vale la pena.
(voto 7,5/10)

"Hey Mastro Lindo, quanto sole bisogna NON prendere per diventare come te?"
"Tanto, figliolo. Tanto."

Vikings
Una serie sui Vichinghi?
Ero già pronto a parlare di vakkata, invece no. Sorpresa. Vikings è la versione interessante di Valhalla Rising. Laddove nel film di Refn in un’ora e mezza non succedeva nulla, ma NULLA, a parte i miei sbadigli, qua già solo nel primo episodio di 40 minuti capitano parecchie cose e se non altro ci vengono introdotti, bene, i personaggi principali.
Il modello di riferimento della serie sembra essere Game of Thrones, ma rispetto a questo Vikings possiede una maggiore semplicità e un minor numero di intrecci e personaggi. Il che non è del tutto un male, almeno per chi soffre di mal di testa a seguire tutte le vicissitudini dei Sette Regni del Trono di spade.
Nel cast si segnalano un Gabriel Byrne più tamarro del solito, la combattiva Katheryn Winnick, finora vista in horror non proprio indimenticabili come Amusement e Choose, Jessalyn Gilsig di Glee e Nip/Tuck e Gustaf Skarsgard, figlio (raccomandato) del vontrieriano Stellan e fratello (raccomandato) del truebloodiano Alexander.
La serie negli USA passa su History Channel. Nonostante questo, non so quanto la ricostruzione storica sia accurata e i personaggi mi sembrano resi in maniera parecchio moderna. Ci manca poco che si mettano a giocare con l’iPhone…
Alla fine, per noi spettatori moderni, meglio così.
(voto 7+/10)

"Vuoi farmi rivedere Valhalla Rising? Ma sei scemooo???"

Mario
Mario, una serie di Maccio Capatonda. Se amate Mario, amerete anche Maccio. Altrimenti provate ad innamorarvene, dritto per dritto.
Mario, oltre che una serie di Maccio Capatonda, è finalmente una serie tv italiana che vale la pena seguire, come non capitava dai tempi di Boris. E un po’ di Boris in questo Mario c’è. Anche in questo caso assistiamo infatti al dietro le quinte di una produzione televisiva, solo che qui si tratta di un telegiornale, l’MTG. Una parodia nemmeno troppo velata di Studio Aperto, oltre che del mondo dell’infotainment nostrano in generale, ma soprattutto una ventina di minuti di risate garantite ad episodio. Con alcune trovate geniali e già cult, come l’attacco di pani.
Se vi siete persi le prime puntate, no problem: potete recuperarle in streaming sul sito di Mtv.
(voto 7,5/10)

"Ma ma ma questo post fa schifo. Basta, io mi dimetto!"

House of Cards
Questa serie ha fatto parlare di sé soprattutto per il modo in cui è stata distribuita. Il servizio di streaming Netflix l’ha lanciata in un sol colpo. Tutti e 13 gli episodi della prima stagione (ma è già in lavorazione la seconda) sono stati resi disponibili lo stesso giorno. Mossa rivoluzionaria, o gran cacchiata, visto che il prodotto seriale si basa appunto sulla serialità?
Metodo di distribuzione a parte, House of Cards a livello di contenuti invece non è così rivoluzionaria. È una serie politica, molto cinica e cattiva, che segue la scia del sottovalutato Boss o anche del film Le idi di marzo di Giorgione Clooney. Il tutto con protagonista uno spumeggiante Kevin Spacey, tornato ai livelli di forma di American Beauty o quasi, e degli ottimi comprimari come Kate Mara, la sorella maggiore di Rooney Mara, e Corey Stoll, l’Hemingway di Woody Allen nel suo Midnight in Paris. La regia dei primi due episodi poi è di David Fincher, che porta con sé la sua tipica fotografia dark-chic, quindi fossi in voi una chance gliela darei.
Però, c’è un però…
Per quanto molto ben scritta e recitata e diretta alla grande, c’è qualcosa che impedisce ad House of Cards di essere un cult assoluto. Oltre al fatto di presentare una visione politica non distante da quanto già visto altrove, i personaggi sono tutti chi più chi meno così stronzi che è difficile affezionarsi davvero a loro. Anche se, poco a poco, la visione diventa talmente avvolgente da farci diventare tutti un po’ più stronzi. I cuori teneri quindi è meglio se girano al largo.
(voto 7-/10)

"No, ma dico, state leggendo Pensieri Cannibali?
Ha dato un voto più alto alla serie di Maccio Capatonda che alla nostra. Ma si può?"

Broadchurch
The Killing in versione British?
Mmm, una specie.
Da Twin Peaks in poi, film e serie tv vari si sono concentrati a presentarci i casi di ragazze scomparse. In Broadchurch a essere ritrovato morto è invece un ragazzino di 11 anni. Si è suicidato? È stato ammazzato? L’hanno ucciso gli zingari? Gli altri bimbiminkia della cittadina di Broadchurch sono in pericolo?
Ad affiancare le indagini della sbirra locale interpretata da Olivia Colman (quella del film Tyrannosaur), arriva un nuovo detective, interpretato da David Tennant. David Tennant che ha uno stuolo di fan accaniti poiché ha interpretato per qualche anno il Doctor Who. Non avendo mai seguito quella serie, non ho ben capito tutto l’hype intorno a quest’attore, però qui se la cava bene.
Rispetto a un Twin Peaks, Broadchurch manca della componente più visionaria e inquietante e predilige atmosfere intimiste, non troppo distanti da La ragazza del lago, uno dei migliori film italiani degli ultimi anni. Splendidamente girata e intepretata, al momento sembra difettare di una certa originalità, ma per i fan del made in UK (oltre che di David Tennant), quello con Broadchurch è un appuntamento imperdibile.
(voto 7/10)

"Abbiamo chiuso la spiaggia: l'albino di Banshee ha deciso
di prendere il sole e non sappiamo quello che potrebbe succedere..."

Red Widow
Non ha convinto nessuno, ha fatto registrare ascolti pessimi, è appena partita ma è già a rischio cancellazione, eppure a me il debutto di Red Widow non è dispiaciuto affatto.
Lo spunto di partenza è intrigante: una desperate housewife MILF resta vedova (non spoilero niente, lo dice già il titolo stesso della serie) e si trova quindi costretta a proseguire a modo suo gli affari loschi del marito. Affari che hanno a che fare con la mafia russa. Come in una versione più tv friendly e commerciale di La promessa dell’assassino di David Cronenberg.
A sorpresa, i russi stanno diventando un trend topic nella tv a stelle e strisce, come non capitava dai tempi di Ronald McDonald Reagan e della Guerra Fredda. Di recente non si è fatto altro che parlare di terroristi islamici, mentre adesso è di nuovo ora di prestare occhio alla Perestrojka, tra le spie di The Americans, i criminalotti russi di Dexter e Banshee e adesso questa vedova rossa/russa interpretata dalla fascinosa Radha Mitchell, attrice australiana sempre lì lì sul punto di esplodere e diventare la nuova Nicole Kidman o la nuova Naomi Watts e invece niente. Nemmeno questa comunque sembra che sarà la volta buona per lei. Questa serie infatti piace solo a me e a breve probabilmente sparirà dalla circolazione.
Bene la protagonista, poco credibile invece il cattivone della serie interpretato da Goran Visnjic, altro attore croato chiamato a fare la parte del russo, vedi Banshee: evidentemente per gli americani tra croati e russi non c’è alcuna differenza.
Red Widow è allora una serie da iniziare a vostro rischio e pericolo, sapendo che la sceneggiatura è curata da Melissa Rosenberg, una capace di passare dagli episodi migliori di Dexter (quelli con Trinity) agli adattamenti di Twilight, e sapendo che probabilmente non durerà più di una manciata di episodi.
(voto 6,5/10)

"Vi prego, fateci durare almeno qualche episodio in più di Zero Hour!"

"Azz! Quel Cannibale non ci sta certo andando giù leggero con la nostra serie..."
Cult
Ci sono delle serie che diventano subito dei cult. Cult non è una di queste.
La prima puntata di questa nuova serie di The CW combina al suo interno di tutto un po’, dai reality-show ai culti di massa, ma finisce per apparire come una versione sfigata di The Following, o anche un tentativo maldestro di creare qualcosa a tutti i costi cult. E chi cerca a tutti i costi di essere cult, finisce solo per essere scult.
(voto 5,5/10)

1600 Penn
Sitcom incentrata sul figlio pasticcione (Josh Gad, comico emergente anche autore della serie) del Presidente degli Stati Uniti (Bill Pullman).
Se proprio non avete niente di meglio da fare potete dargli una possibilità. Altrimenti fate una partita a Ruzzle, che è più divertente e crea una maggiore dipendenza.
(voto 5/10)

"Dichiaro guerra agli Stati Uniti Cannibali!"

92 MINUTI DI APPLAUSI

"No, basta. Nemmeno io ce la faccio a guardarmi!"
Do No Harm
Serie liberamente ispirata alla storia di Dr. Jeckyll e Mr. Hyde, cosa che significa: doppia personalità.
Quello della doppia personalità, così come il bipolarismo, è un tema che mi affascina sempre parecchio. Sono disposto a seguire qualunque film o serie tv che ne parli, ma Do No Harm no. Do No Harm è una serie che fa del male, alla faccia del suo titolo. Pasticciata, stereotipata, con un protagonista (Steven Pasquale) talmente inespressivo che avrebbe grossi problemi a interpretare un personaggio semplice, figuriamoci uno con una doppia personalità. Per fortuna il pubblico americano non ha apprezzato e la serie è stata cancellata dopo appena… ironia della sorte, due episodi due.
(voto 3/10)

"Oddio, passi essere cancellati dal palinsesto, ma una bocciatura dal
prestigioso sito Pensieri Cannibali è qualcosa che fa davvero male."
Zero Hour
Quando mancano le idee originali, gli autori di serie tv americani come dei provetti chef prendono degli ingredienti differenti e provano a mescolarli insieme, a caso, sperando ne esca qualcosa di buono e saporito.
I creatori di Zero Hour, tra cui Paul Scheuring paparino di Prison Break, hanno preso un po’ di Codice da Vinci, ci hanno messo dentro una manciata di nazisti, hanno condito il tutto con qualche delirio apocalittico, spruzzato sopra un po’ di terrorismo che non fa mai male, ci hanno messo come protagonista una spaesato Anthony Edwards, il Dr. Greene di E.R., e hanno inserito pure l’uomo che odia le donne Michael Nyqvist, tanto per dare un tocco internazionale al piatto. Una volta messo in forno e lasciato raffreddare, hanno dato il tutto in pasto al pubblico americano, che per fortuna non c’è cascato.
Risultato? Serie eliminata dalla faccia della terra dopo 3 episodi. Non ci mancherà.
Il titolo però era perfetto: zero hour, come le ore da dedicare a una porcheria del genere.
(voto 0/10)

sabato 22 settembre 2012

Una donna in corriera

Una donna in carriera
(USA 1988)
Titolo originale: Working Girl
Regia: Mike Nichols
Cast: Melanie Griffith, Sigourney Weaver, Harrison Ford, Alec Baldwin, Joan Cusack, Kevin Spacey, Oliver Platt, Jeffrey Nordling
Genere: laborioso
Se ti piace guarda anche: Crime d’amour, Il segreto del mio successo, Il diavolo veste Prada, Jerry Maguire, Wall Street

“Ho un cervello per gli affari e un corpo per il peccato, ci trovate qualcosa da ridire?”
Tess McGill (Melanie Griffith)

C’è qualcosa di più anni ‘80 di Una donna in carriera?
Forse possono competere giusto Il segreto del mio successo, Wall Street, gli Wham!, i paninari, il programma Drive In e Heather Parisi.
Che fine ha fatto Heather Parisi?
Non lo so e non lo voglio sapere. Probabilmente sta in mezzo alle cicale, cicale cicale cicale.





(Madonna che video!
Nel senso che Madonna un video così se lo sogna...)

Dalla prima fino all’ultima scena, Una donna in carriera (Working Girl) è un tripudio di ottantitudine.
A partire dal cast con Harrison Ford, Sigourney Weaver, Melanie Griffith e, soprattutto, i capelli di Melanie Griffith!


Tra le tante cose degli 80s che sono tornate di moda nel passato più o meno recente, per fortuna non ci sono state le pettinature vaporose come quella sfoggiata dalla Griffith all’inizio del film. Che l’umanità stia facendo progressi?

Il film è una celebrazione dei valori del capitalismo americano più spinto. Quello del farcela a tutti i costi. Farcela a fare cosa?
Ad avere una carriera e ad essere rispettati nel mondo del lavoro, meglio se nell’alta finanza, meglio se a Wall Street, altrimenti sei solo uno sfigato. Roba che se uscisse oggi ci sarebbe da guardarlo sdegnati, però all’epoca ci poteva stare. Anche perché poi Una donna in carriera è un film di denuncia…
Ehm, no eh?
Diciamo allora che cerca comunque di presentare un’etica del lavoro fondata sulla libera competizione, come quando Melanie Griffith la segretaria intraprendente gioca sporco con Sigourney Weaver la capa stronza, credendo che quest’ultima le abbia soffiato una sua idea, e forse è proprio così o forse no, e insomma il tutto si trasforma in un girl fight a tutti gli effetti, soltanto che anziché lottare nel fango, le due se le danno di santa ragione a suon di contatti con uomini potenti e finiscono invischiate immancabilmente pure in un triangolo amoroso con Harrison Ford. Indiana Jones in persona. Han Solo in persona. L’attore che non azzecca più manco mezzo film da almeno un decennio e forse anche da molto di più in persona.
Anche Melanie Griffith non arriva da un periodo molto fortunato, a livello di carriera; negli ultimi tempi la si è vista solo nella stagione finale di Nip/Tuck, dove interpretava la madre di Kimber, e da allora è passato già qualche anno. Colpa proprio di quella stessa chirurgia estetica protagonista di Nip/Tuck che l'ha trasformata così?


Meglio stanno andando le cose a Sigourney Weaver. Al di là dell’apparizione nell’atroce Avatar diretta dal suo regista preferito (e mio meno preferito) James Cameron, è infatti comparsa in qualunque film (Abduction, La fredda luce del giorno, Quella casa nel bosco, Ancora tu!, Paul, Rampart…) ed è protagonista pure della nuova serie Political Animals, discretamente interessante.
A me non è mai piaciuta e continua a non piacere, però devo dire che in Una donna in carriera, nella parte della stronzilla, se la cava alla grande. Sarà un caso?

Nel cast timbra il cartellino di presenza anche Kevin Spacey, in un’apparizione flash però memorabile in cui interpreta il tipico uomo d’affari 80s cocainomane e sessuomane, che così tanto assomiglia al tipico uomo d’affari d’oggi cocainomane e sessuomane. Performance breve, ma fenomenale. E poi c’è anche Alec Baldwin. Alec Baldwin e il suo petto villoso pure questo troppo 80s.

"Hey tu, ieri sera mi sembravi molto più sexy. Avrò mica bevuto troppo?"

"Auguri ai tuoi capelli! Sono 3 decenni che non vedono un parrucchiere, vero?"
Non l’ho ancora detto? Davvero? E allora lo dico: la pellicola è diretta dal solito buon Mike Nichols, uno che è riuscito a passare con disinvoltura attraverso i vari decenni, dal film simbolo dei 60s Il Laureato alla splendida disamina delle relazioni moderne di Closer.
La colonna sonora è poi firmata da Carly Simon. Una che se non ne sapete nulla di musica anni Ottanta dopo aver sentito il suo nome domanderete: “Chiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii?” perché è una cantante pure lei troppo 80s, di quelle che l’1 gennaio 1990, allo scoccare della mezzanotte, è sparita nel nulla. È finita in un’altra dimensione, insieme a molti altri artisti simbolo del decennio, spazzati via dal grunge, dall riff di Smells Like Teen Spirit, dalla Generazione X e da Quentin Tarantino.
Ma gli anni Ottanta si sarebbero rifatti qualche tempo più tardi, facendo la loro riapparizione nell’immancabile revival degli ultimi anni, a livello di musica, di stile, di cinema, di moda, ma per fortuna non di capigliature. Yuppie!
(voto 6,5/10)

ATTENZIONE SPOILER
P.S. Due parole, ma anche qualcuna in più, a proposito della scena finale della pellicola: Melanie Griffith corona il suo sogno di Working Girl e da semplice segretaria (nessuna offesa nei confronti delle semplici segretarie) ottiene un ufficio tutto suo. E senza nemmeno fare troppi pompini in giro, Harrison Ford a parte. La macchina da presa poi si allontana e ci mostra Melania dentro il suo ufficio, al fianco di decine, centinaia, di altre persone chiuse nei loro uffici del grattacielo. Il classico lieto fine, con la protagonista che ha ottenuto ciò che vuole. Bene così?
Montato con una musica differente, il finale potrebbe però essere visto sotto una luce ben più negativa. Come l’alienazione totale all’interno della società moderna. Il capitalismo più sfrenato che inghiotte le persone e le fa diventare dei criceti isolati, ognuno chiuso dentro il suo ufficetto, impegnato a fo**ere gli altri nella maniera migliore per ottenere un ufficio ancora più grande e ancora più isolato.
Happy ending, dunque, oppure uno dei finali più inquietanti e preoccupanti nella storia del cinema?

Post apparso anche su L'orablu.

giovedì 23 agosto 2012

Horrible Bossi

Come ammazzare il capo e vivere felici
(USA 2011)
Titolo originale: Horrible Bosses
Regia: Seth Gordon
Cast: Jason Bateman, Charlie Day, Jason Sudeikis, Kevin Spacey, Jennifer Aniston, Colin Farrell, Jamie Foxx, Julie Bowen, Meghan Markle, Donald Sutherland
Genere: commedia criminale (nel senso che è un crimine fare uscire una commedia che non faccia ridere)
Se ti piace guarda anche: C’è chi dice no, Dead Boss, Il grande capo

Come al solito, i titolisti italiani non c’hanno preso un granché. Più azzeccato era il titolo originale: Horrible Bosses, che almeno ci forniva precise indicazioni riguardo alla horrible qualità del film.
Una traduzione fedele sarebbe potuto comunque essere: Come fare un film da schifo e vivere felici. E invece no.

Se con un film come l’italiano C’è chi dice no c’era ben poco da ridere, gli americani al momento non se la passano meglio di noi e questo Come ammazzare il capo e vivere felici dimostra come la crisi della commedia sia internazionale quanto quella economica. Così come la crisi delle idee. Le due poco divertenti farse partono infatti dallo stesso identico presupposto, che in un periodo come quello attuale non sorprende di certo.
Odiate il vostro capo? Arrivereste fino al punto di ucciderlo, talmente è insopportabile?
Innanzitutto, dovreste già ringraziare il cielo (e magari anche quello stro**one del reverendo Camden di Settimo cielo) perché un capo ce l’avete, cosa che significa che anche un lavoro ce l’avete. E non è mica poco, oggi come oggi come oggi come oggi come oggi come oggi scusate, mi sono incantato.

Mettiamo però il caso che il vostro capo sia davvero odioso a livelli insopportabili e abbiate deciso di andare fino in fondo ai vostri propositi e sopprimerlo. Questo film vi viene in aiuto proponendovi tre esempi pratici.
Nel primo, Kevin Spacey interpreta il capo più stro**o e pezzo di me**a che si possa immaginare, in una sorta di ironico ribaltamento del suo ruolo in American Beauty in cui era lui a mandare “a fanguuulo!” il capo. Il povero Jason Bateman, che si sforza in tutti i modi di fare carriera all’interno della sua azienda e pure di far ridere, in entrambi i casi senza successo, è quindi in qualche modo giustificato nel volerlo fare fuori. Una decisione estrema, certo, però possiamo capirlo.

Il secondo caso è quello di un irriconoscibile Colin Farrell in versione incompetente figlio di papà che riceve la ditta in eredità dal papino e la gestisce di cacca, prefendo spassarsela berlusconianamente andando a escort. Un comportamento che può essere più o meno condivisibile, ma fino a che non decide di scendere in politica non deve mica renderne conto a nessuno, no? Insomma, qui Colin Farrell è una testa di C, ma meritarsi una pena di morte, così, solo perché è un pirla? Non lo so, mi sembra eccessivo…
Jason Sudoku Sudeikis, forse basterebbe che ti facessi un paio di birrette insieme a lui, e scopriresti che il "povero" Colin non è poi così malaccio come sembra. Però, vabbè, caro il mio Sudeikis hai un cognome greco e quindi si può anche capire che tu in questo determinato periodo storico sia piuttosto incacchiato con il mondo. E quindi possiamo arrivare a comprendere e perdonare pure te.

"Do you remember Mike Tyson?"
Il terzo caso è quello di Jennifer Aniston, dentista sexy che molesta in tutti i modi possibili e non possibili il suo assistente, interpretato dal poco conosciuto ma anche poco promettente Charlie Day. A lui, tutte queste avance e tutti questi riferimenti sessuali espliciti non stanno proprio bene, visto che è già innamorato della sua fidanzata con cui si sta per sposare.
Stiamo però parlando di Jennifer Aniston. E per di più di Jennifer Aniston in versione dentista sexy e ninfomane!
Chi è che si merita di morire?
Lei?
Leeeeeeeei?
Jennifer Aniston dentista sexy e ninfomane merita di morire?
Io la sentenza di morte la firmerei piuttosto nei confronti del Charlie Gay Day, visto che in una situazione così paradossale sarebbe parecchio facile far ridere e invece l’unica che riesce a strappare qualche risata è proprio la Aniston, in gran forma fisica e anche comica, cosa che invece non si può certo dire del resto del cast.

Kevin Spacey ad esempio per tutto il tempo della pellicola indossa l’espressione incazzosa non di chi deve interpretare un capo bastardo, ma di chi si sta chiedendo: “Ma come ho fatto a ridurmi dall’essere il villain de I soliti sospetti e 7even al cattivo boss di questa porcheria?”
Colin Farrell strappa un paio di sorrisi giusto per il trucco da sfigato che gli hanno messo addosso, ma il suo personaggio è davvero troppo stereotipato, così come gli altri. Va bene che siamo dentro una commedia e gli stereotipi sono sempre un buon modo per far ridere in maniera facile, però come la mettiamo che qui da ridere c’è davvero poco?
D’altra parte una pellicola in cui l’invenzione più divertente è quella della parola “bismamma” utilizzata al posto di nonna, non ha certo molte carte da giocare.
Il peggio sono però i tre protagonisti. Se nell’italiano C’è chi dice no un qualche moto di empatia nei confronti dei personaggi si riesce ad averlo, qui i tre Qui, Quo, Qua risultano meno simpatici dei loro capi ed è un peccato soprattutto per Jason Bateman che al cinema, a parte Juno, non riesce proprio a trovare un ruolo al livello di quelli avuti nelle serie tv Arrested Development e, per i più nostalgici, nel telefilm anni ’80 La famiglia Hogan.

Anzi no, devo correggermi. Il peggio è Jamie Foxx in versione killer comico (?): per lui i tempi d'oro di Collateral sono davvero molto lontani.

Altre critiche da aggiungere? Per il momento no.
E così siamo giunti alla fine della storia tragicomica che vi ho appena raccontato e che si chiama: come ammazzare questo film e vivere felici.
(voto 5/10)

domenica 12 agosto 2012

Recensioni flash: film generazionali

Per questo nuovo appuntamento con le recensioni cannibali estive flash, ecco una serie di film raggruppati sotto la vaga denominazione di "generazionali". All'incirca.
In pratica, una serie di pellicole messe insieme nello stesso post più o meno a caso...

"Ma quanto anni '90 siamo?"
SubUrbia
(USA 1996)
Regia: Richard Linklater
Cast: Giovanni Ribisi, Steve Zahn, Parker Posey, Nicky Katt, Jayce Bartok, Amie Carey, Ajay Naidu
Genere: troppo 90s

Stra-consigliato da Frank Manila (citato per la seconda volta in 2 giorni, e non m'ha manco pagato!), SubUrbia era uno dei pochi film alternative 90s che ancora mancavano all’appello delle visioni cannibali. Una di quelle pellicole che un tempo passavano su Italia 1 magari alle 2 di notte o che trovavi in offerta su una bancherella di VHS usate a 10mila lire e che oggi sono invece comodamente recuperabili su Internet. Comodamente, più o meno, visto che la versione che ho trovato io di qualità non eccelsa era videoregistrata proprio da Italia 1…
Visto oggi, SubUrbia è un film che appare demodé, superato e, proprio per questo, estremamente cool! Una pellicola 90s, so 90s, persino troppo 90s che mi ha riscaraventato in pieno in quel decennio, insieme ai drammi esistenziali della generazione X. D’altra parte il revival degli anni Novanta è ormai iniziato, che vi piaccia o meno (e a me piace).
Il film di Richard Linklater presenta un gruppo di sconclusionati personaggi: apatici, anarchici e senza direzione nella vita, bloccati in un suburgatory con una colonna sonora splendidamente post-grunge in cui si ergono i Sonic Youth insieme alla loro splendida Sunday suonata sui titoli di coda. Un tutto in una notte affascinante, con ottimi dialoghi e in cui appare fuori luogo giusto l’affiorare di un accenno moralistico nel finale. Una conclusione che stona con il resto, poiché il bello di questi personaggi, e dei 90s in generale, è proprio l’apatia di fondo, yeeeh-yeah.
(voto 7/10)

"Ma quanto anni '80 siamo?"
St. Elmo’s Fire
(USA 1985)
Regia: Joel Schumacher
Cast: Andrew McCarthy, Judd Nelson, Rob Lowe, Demi Moore, Emilio Estevez, Ally Sheedy, Mare Winningham, Andie McDowell
Genere: tanto ottanta

E da un film troooppo 90s, passiamo a un film troooppo 80s.
Considerato negli USA uno dei film simbolo del cinema del decennio, l’ho visto con aspettative esagerate e altissime. In realtà, ahime, St. Elmo’s Fire mi è sembrata una visione decisamente in tono minore rispetto alle perle di John Hughes Sixteen Candles - Un compleanno da ricordare e Breakfast Club, cui spesso viene associato.
In questo fuoco che non brucia ci sono più che altro una serie di personaggi ot-tanto stereotipati, dalle crisi della superficiale Demi Moore (e Ashton Kutcher ancora non c'entrava) all’ego dell’egoista yuppie reaganiano Judd Nelson, con il migliore che resta il sempre grande Andrew McCarthy.
Tutta questione di aspettative: mi attendevo un possibile nuovo cult cannibale, mi sono ritrovato davanti a un filmetto gradevolmente anni Ottanta, però incapace di lasciare un segno.
Uh uh uh, delusion.
(voto 6/10)

"Ma quanto anni '70 siamo?"
The Education of Charlie Banks
(USA 2007)
Regia: Fred Durst
Cast: Jesse Eisenberg, Jason Ritter, Eva Amurri Martino, Chris Marquette, Sebastian Stan, Gloria Votsis
Genere: collegiale Seventies

Mi ricordo di quando ero una matricola: sono stati i due anni migliori della mia vita.

Esordio alla regia per Fred Durst, il mitico leader dei mitici Limp Bizkit. O meglio: un tempo mitico leader degli un tempo mitici Limp Bizkit, ormai diventati l’ombra di loro stessi, vedi o meglio senti l’ultimo disco Gold Cobra uscito qualche mese fa (giustamente) del tutto in sordina.
Lontano dalla musica della sua band, il Durst torna indietro nel tempo fino alla fine degli anni ’70, con protagonista il volto nerd per eccellenza Jesse Eisenberg, per una storia di formazione piuttosto piacevole ma che fallisce il grosso obiettivo: sembra sia sempre sul punto di dire qualcosa di importante, ma alla fine non lo fa. Da Durst mi aspettavo poi uno spazio maggiore alla colonna sonora, che invece rimane sullo sfondo senza diventare mai protagonista. Comunque il Fred, se ormai a livello musicale non sembra avere più molto da dire, almeno dietro la macchina da presa la sua porca figura la fa. In tempi di crisi, un plauso perché è riuscito a reinventarsi. Più che nu-metal, nu-job.
(voto 6-/10)

"Ma quanto anni Zero - e pure pirla - siamo?"
Standing Still
(USA 2005)
Regia: Matthew Cole Weiss
Cast: James Van Der Beek, Adam Garcia, Ethan Embry, Jon Abrahams, Amy Adams, Roger Avary, Xander Berkeley, Lauren German, Melissa Sagemiller, Colin Hanks, Aaron Stanford, Mena Suvari, James Duval
Genere: nostalgico moderno

Tipico film per farsi pigliare dalla nostalgia. La situazione è quella da Grande freddo o da Compagni di scuola, ma senza il morto: una rimpatriata tra vecchi amici ormai cresciutelli (ma non troppo, visto che sono intorno ai 30anni, mica ottantenni) in occasione di un matrimonio. Ma soprattutto la notte prima (non degli esami) è dedicata all’addio al celibato in cui succede un po’ di tutto. Una vera e propria notte da leoni.
Nel cast di glorie fine anni ‘90/primi anni Zero compare persino il regista Roger Avary (Le regole dell’attrazione e Killing Zoe), ma svetta soprattutto James Van Der Beek, con un personaggio ben lontano da Dawson Leery e molto più vicino al suo Sean Bateman proprio di Le regole dell’attrazione, quindi: irresistibile. Film dolceamaro, ma una visione più dolce che amara.
(voto 6,5/10)

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