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martedì 20 maggio 2014

OGGI POMPEI, DOMANI POMPE










  
















Pompei
(Canada, Germania 2014)
Titolo originale: Pompeii
Regia: Paul W.S. Anderson
Sceneggiatura: Jason Scott Batchler, Lee Batchler, Michael Robert Johnson
Cast: Kit Harington, Emily Browning, Kiefer Sutherland, Adewale Akinnuoye-Agbaje, Jessica Lucas, Jared Harris, Carrie-Anne Moss, Currie Graham
Genere: trash storico
Se ti piace guarda anche: Il gladiatore, Titanic, Spartacus, 300

È girato malamente dall’Anderson scarso, Paul W.S., è recitato così così dai tre protagonisti Kit “Jon Snow” Harington, Emily “bella gnocca addormentata” Browning e Kiefer “Jack Bauer” Sutherland in versione cattivone, la ricostruzione storica è degna di una serie della The CW, la trama sembra un mix alla buona tra Il gladiatore e Titanic ma, per le tette di Giunone, Pompei è uno dei film più (involontariamente?) divertenti dell’anno!
(voto 6+/10)

domenica 11 maggio 2014

24: LIVE ANOTHER DAY – JACK BAUER IS BACK, BITCHES!




24 è stata una delle serie più rivoluzionarie di sempre. Non intendo solo a livello televisivo. 24 ha cambiato la Storia. Sono il solito esagerato? Per una volta no e vi spiego il perché.


24 parte da uno degli spunti più geniali mai sentiti. Per quei disgraziati che non l’avessero mai visto e non lo sapessero, la serie è formata da stagioni composte da 24 episodi che ripercorrono ciascuna un’intera giornata. Ogni puntata ci presenta un’ora nella vita dei personaggi in “tempo reale”. Tralasciando il cosa racconta, il come viene raccontato è qualcosa di fenomenale, di mai visto prima. Non solo su piccolo schermo, ma anche sul grande, così come nella letteratura o nei fumetti. È un approccio se vogliamo più vicino al mondo dei videogame, oppure a quello delle news 24 ore su 24 di canali come la CNN o Sky TG24. È qualcosa di vicino alla comunicazione di oggi su internet, all’immediatezza di Twitter. Ricordo che il primo episodio di 24 è andato in onda nel lontano 6 novembre 2001.


Qui entriamo nell’altro campo: i contenuti. 24 parla di terrorismo internazionale e di sicurezza nazionale americana. La prima stagione è stata trasmessa poco dopo l’11 settembre ma è ovvio che gli autori avevano preparato le sceneggiature già prima, anticipando quindi tematiche che sarebbero diventate estremamente popolari e attuali “grazie” agli attentati alle Torri Gemelle.
Spesso 24 viene accusata di essere una serie assurda e inverosimile. Tali accuse a volte arrivano da gente che magari ritiene credibili pellicole in cui un uomo d’acciaio collabora con un uomo verde che collabora con un Dio vichingo arrivato da un altro pianeta che collabora con un super soldato giunto da un’altra epoca che collabora con Scarlett Johansson che è troppo figa per combattere che collabora con un tizio con l’arco che è troppo sfigato e sconosciuto per collaborare con gli altri ben più celebri colleghi.

Al di là da chi lanci tali accuse, si può anche comprenderle. È piuttosto inverosimile che il protagonista Jack Bauer (Kiefer Sutherland) sia sopravvissuto a tipo 8 fini del mondo, da lui stesso sventate, spesso da solo e pure contro la volontà dei governi di tutto il globo. Così come in una giornata di 24 ore capitano più eventi di quanti di norma ne succedano nel mondo in 24 mesi. E così come è alquanto strano che nel corso delle 24 ore Jack Bauer non mangi, non pisci, non caghi, non dorma praticamente mai. Queste sono forzature narrative, che però contribuiscono a rendere 24 una serie avvincente, incapace di annoiare per un solo secondo delle sue 24 ore stagionali di durata. Quanto viene raccontato però non è che sia poi così assurdo. Gli interrogatori che si sono tenuti in prigioni come Guantanamo, ad esempio, non sono per niente lontani da quelli estremi che abbiamo visto compiere da Jack Bauer e compagni.

L’esempio che voglio portare all’attenzione di chi accusa 24 di essere una serie inverosimile è comunque un altro. Nella prima stagione della serie andata in onda nel 2001 incontriamo David Palmer, un senatore democratico di colore candidato alla presidenza degli Stati Uniti. Nella seconda stagione andata in onda nel 2002, David Palmer è poi diventato il primo Presidente degli USA di colore della tv. Questo anni prima che ciò diventasse realtà. 24 non ha però solo anticipato la Storia. 24 ha cambiato la Storia. Grazie alla presenza di David Palmer, gli americani si sono abituati all’idea di avere effettivamente un Presidente di colore, al punto che si è parlato di un vero e proprio “Effetto Palmer” sulle elezioni del 2008 che hanno portato alla storica elezione di Barack Obama. Quindi sì, lo ribadisco: 24 ha cambiato la Storia.


Fatta questa lunga e (più o meno) doverosa premessa, passiamo a parlare della nuova stagione.

24: Live Another Day
(stagione 9, episodi 1-2)
Rete americana: Fox
Rete italiana: Fox, dal 16 giugno 2014
Creata da: Joel Surnow, Robert Cochran
Cast: Kiefer Sutherland, Mary Lynn Rajskub, Yvonne Strahovski, William Devane, Tate Donovan, Kim Raver, Benjamin Bratt, Gbenga Akinnagbe, Michael Wincott, Giles Matthey, Michelle Fairley, Emily Berrington, Stephen Fry
Genere: adrenalifico
Se ti piace guarda anche: Homeland, Scandal, Hostages, Crisis, Zero Dark Thirty

Jack is back, bitches! A distanza di 4 anni da quella che (apparentemente) doveva essere la season finale della serie, è arrivata una nuova stagione, la nona, che da una parte riprende lo stile classico delle passate annate e dall’altro presenta alcune novità rilevanti.
Per prima cosa l’ambientazione. Questa volta non ci troviamo più sul suolo degli USA! USA! USA!, bensì in trasferta europea a Londra. Una location che contribuisce a rendere il prodotto meno ammerecano e il cast ancora più internazionale. L’altra novità fondamentale è che questa stagione ha solo 12 episodi, quindi il titolo della serie dovrebbe diventare 12 e invece no, questa season speciale è stata chiamata 24: Live Another Day. A non essere cambiata è la formula, visto che gli eventi sono raccontati sempre in “tempo reale” e coprono le 12 ore di una giornata come al solito parecchio movimentata.

"Lisbeth Salander???
E chi ca**o è?"
In 24: Live Another Day rivediamo in azione ovviamente Jack Bauer/Kiefer Sutherland, l’unico personaggio sempre presente. 24 è stata rivoluzionaria anche da questo punto di vista. Gli autori non si sono infatti mai fatti alcuno scrupolo a eliminare dei personaggi centrali, ben prima che diventasse una moda grazie ai vari Game of Thrones e The Walking Dead, e ben prima che qualcosa del genere venisse fatto in maniera ancora più radicale dall’inglese Skins, in cui ogni due anni tutti i personaggi venivano sostituiti da un gruppo di nuovi. L’altra presenza storica della serie che ritroviamo è la nerd Chloe O’Brian (Mary Lynn Rajskub), presenza fissa a partire dalla terza stagione, qui con un look tutto nuovo da techno-darkona che la fa sembrare la nuova Lisbeth Salander (la protagonista cyberpunk di Uomini che odiano le donne nda). Negli ultimi anni, Chloe si è messa insieme a un gruppetto anarchico per la libertà di diffusione delle informazioni in stile WikiLeaks, con tanto di capo in stile Julian Assange. È qui che 24 si gioca la carta dell’attualità, o all'incirca attualità. Non più terroristi islamici, almeno non nei primi due episodi, ma una trama incentrata sulle nuove tecnologie. Non mancano poi nemmeno gli intrighi che ruotano intorno al Presidente degli Stati Uniti in visita a Londra e la cui vita è in pericolo. E chi è il nuovo Presidente?

Pure qui ritroviamo una vecchia conoscenza: si tratta di James Heller (William Devane), segretario della Difesa nella quarta e quinta stagione, due delle più riuscite di una serie che ha viaggiato per tutte e 8 le sue seasons su livelli sempre alti, ma che in particolare con le prime 5 ha dato il massimo. James Heller che è anche il paparino dell’affascinante Audrey Raines (Kim Raver), il grande amore di Jack Bauer, almeno dopo che ATTENZIONE SPOILER PER CHI NON HA VISTO LA PRIMA STAGIONE gli avevano fatto fuori la moglie nel finale shock del primo ciclo di episodi FINE SPOILER PER CHI NON HA VISTO LA PRIMA STAGIONE.

Jack Bauer dunque è tornato in azione per amore?
Lo scopriremo nei prossimi episodi insieme ai personaggi già noti e a una manciata di nuove entrate. Su tutte spicca Yvonne Strahovski, la bionda stragnoccolona di Chuck e Dexter che qui, per la prima volta nella sua carriera, dimostra di essere un’attrice convincente e non solo un bel pezzo di carne.

"Prova a girare un'altra vaccata come il finale di Dexter e ti faccio fuori. Ci siamo intesi, Stravaccoski?"

L’altra new-entry sventolona da tenere d’occhio è la rivelazione inglese Emily Berrington, nei panni di una spia pericolosa che per mamma ha… Michelle Fairley, ovvero Lady Catelyn Stark di Game of Thrones in persona, che qui forse cercherà vendetta per quanto successo durante il Red Wedding.



Le prime due ore di questa nuova stagione non presentano qualcosa di rivoluzionario come il 24 dei primi tempi. Lo stile è sempre lo stesso e non aveva nemmeno troppo senso stravolgerlo. Non sarà allora innovativo come una volta, però lo show personale di Jack Bauer resta sempre il prodotto d’intrattenimento action più incalzante e adrenalinico in circolazione. Negli ultimi anni in tanti hanno provato a riproporne tematiche o stile, in alcuni casi come Homeland e Scandal con risultati ottimi e in altri casi come Hostages o Crisis con risultati parecchio meno memorabili, ma di 24 ce n’è solo uno. Jack Bauer è unico. Ed è pronto ancora una volta a salvare e a cambiare il mondo.
(voto ai primi 2 episodi della nona stagione 7,5/10)

mercoledì 11 settembre 2013

IL FONDAMENTALMENTE RIBUTTANTE




Il fondamentalista riluttante
(USA, UK, Qatar 2012)
Titolo originale: The Reluctant Fundamentalist
Regia: Mira Nair
Sceneggiatura: William Wheeler
Tratto dal romanzo: Il fondamentalista riluttante di Mohsin Hamid
Cast: Riz Ahmed, Kate Hudson, Liev Schreiber, Kiefer Sutherland, Om Puri, Shabana Azmi, Martin Donovan, Nelsan Ellis, Meesha Shafi
Genere: terrorista
Se ti piace guarda anche: La regola del silenzio, Zero Dark Thirty, Homeland

I film sull’11 settembre stanno diventando più letali di quelli sull’Olocausto. Gli attentati alle Torri Gemelle e al Pentagono sono una ferita ancora aperta sulla pelle degli americani, questo pare evidente, però bom, adesso basta! Soprattutto quando si tirano fuori filmucoli moralisti di basso livello che non aggiungono nulla di quanto già detto/visto in un’Opera grandiosa come Zero Dark Thirty o in immense serie tv come Homeland o 24 (che tornerà nel 2014 con una nona stagione, yeah!).
Il fondamentalista riluttante non gioca nemmeno nel loro stesso campionato. È meno incentrato sul versante action e spionistico e preferisce concentrarsi sulla vita di un pakistano che ha studiato in una prestigiosa università della Ivy League americana e ha una brillante, brillantissima carriera negli USA presso una grossa compagnia. Il suo lavoro? Difficile da spiegare. È un consulente aziendale un po’ come quelli della serie tv House of Lies. Gente che tira fuori un’idea e per questo viene pagata milioni di dollari. Fortunato al lavoro e fortunato anche in amore. Il protagonista si fa infatti Kate Hudson, nella vita reale compagna di Matt “voglio essere Freddie Mercury ma versione etero” Bellamy dei Muse. Con lei vive una storiella d’amore messa dentro in maniera banale tanto per, con tanto di videoclip/esterna alla Uomini e Donne con i due piccioncini che si fanno le foto, e con tanto di drammoni alla romanzo di Nicholas Sparks.

Per il protagonista va tutto alla grande, quindi. Sta vivendo in pieno l’American Dream. Fino all’11 settembre. In quella data per lui cambia ogni cosa. Dopo quel giorno, la gente intorno a lui lo guarda con sospetto. Se prima era l’esotico esperto finanziario di una grossa compagnia, adesso è diventato soltanto un altro musulmano potenziale terrorista, per quanto ricco, vestito in giacca e cravatta e accompagnato da Kate Hudson.
In aeroporto comincia perfino a essere perquisito fino al buco del culo, letteralmente.

“Mi perquisite solo perché sono musulmano?”
“No, ti perquisiamo perché ti bombi Kate Hudson e in qualche modo te la dobbiamo far pagare, bombarolo!” 
 (questo dialogo potrebbe non essere effettivamente presente nel film)
"Allora, me lo vuoi portare o no questo kebab?"
Non solo. Un giorno viene addirittura arrestato, soltanto per il suo aspetto da mediorientale. Solita storia degli atteggiamenti xenofobi. Prima dell'11 settembre se la prendevano con gli afroamericani, dopo l'11 settembre con i musulmani, oggi giorno per non fare torti a nessuno sia con gli afroamericani che con i musulmani. Questa è l’America, con tutte le sue contraddizioni che già conoscevamo.
La vicenda sarebbe anche interessante, non fosse piena di stereotipi e non fosse raccontata con uno stile fiction molto patinato da Mira Nair. Tra new-economy, terrorismo, razzismo e love-story, la regista indiana non è riluttante a mettere all’interno del suo film, tratto dall'omonimo romanzo di Mohsin Hamid, di tutto e di più. Il fatto che non riesca ad approfondire un minimo alcuno di questi aspetti non sembra interessarle più di tanto. In più, per accompagnare il racconto della trasformazione del protagonista da fan degli USA! USA! a suo detrattore, viene usata una colonna sonora ributtante che sembra di sentire la musica che c’è quando entri dal kebabbaro.
Maluccio pure il cast, per quanto prestigioso. Se Riz Ahmed (già visto in Dead Set, Four Lions e Ill Manors) come protagonista assoluto è poco convincente e molto riluttante, Kate Hudson non si sforza nemmeno di risultare credibile come sua innamorata e, in più, con i capelli neri non è che stia molto bene, a dirla tutta tutta. In più dal mondo telefilmico ci sono un Kiefer Sutherland per una volta parecchio fuori parte, un Liev Schreiber attuale protagonista di Ray Donovan che sembra pure lui passare di lì per caso e un irriconoscibile Nelsan Ellis, il Lafayette di True Blood.

12 anni fa, chi diceva che gli attentati dell’11 settembre avrebbero segnato gli Stati Uniti per sempre, aveva ragione. Purtroppo, anche a livello cinematografico. Film come Molto forte, incredibilmente vicino, Attacco al potere – Olympus Has Fallen e questo Il fondamentalista riluttante ne sono delle pessime prove.
Osama, perché non hai pensato alle conseguenze per il cinema, perché???
(voto 5-/10)



sabato 14 aprile 2012

Touch me I'm sick

"Ma quanto sono new-age?"
Touch è un Babel for dummies.
Fine della recensione.

Non vi ritenete dummies?
Volete un approndimento?
Uff, e va bene. Allora continuate a leggere…

Touch
(serie tv, stagione 1, episodi 1-4)
Rete americana: Fox
Rete italiana: Fox
Creata da: Tim Kring
Cast: Kiefer Sutherland, David Mazouz, Gugu Mbatha-Raw, Danny Glover, May Miyata, Satomi Okuno
Genere: collegato
Se ti piace guarda anche: Babel, Molto forte, incredibilmente vicino, Numb3rs, Cosa piove dal cielo?, Magnolia

“C'e' un'antica leggenda cinese, quella del Filo Rosso del Destino,
secondo la quale gli dei hanno legato un filo rosso alle nostre caviglie
collegandolo a tutte quelle persone con cui siamo destinati a entrare in contatto.
Quel filo potrà allungarsi, o aggrovigliarsi, ma non si romperà mai.”

Un filo rosso lega tutte le persone, almeno secondo la leggenda cinese citata in Touch, ed è proprio quello che deve aver legato alle caviglie i tre nomi coinvolti in questa serie: Kiefer Sutherland, Tim Kring e Francis Lawrence.

"Sono Jack Bauer, io. Non ho tempo per stare a leggere i tuoi cazzo di numeri!"
Kiefer Sutherland, devo anche stare a dirlo?, era e nel mio cuore sarà sempre Jack Bauer, il protagonista di 8 stagioni/giornate di 24 nonché mio idolo personale. 24 ha rivoluzionato la narrazione televisiva e non solo come poche altre serie, oltre ad aver anticipato varie questioni politiche (attentati, presidenti degli Stati Uniti di colore, torture ai terroristi Guantánamo-style), e il suo protagonista Kiefer anche in futuro difficilmente riuscirà a non essere identificato con quel telefilm.
C’è poco da fare. Un sacco di attori provano a sfuggire al loro destino, ma non ci riescono. Di recente ci ha provato anche Sarah Michelle Gellar. Peccato che con l’atroce Ringer non abbia certo fatto dimenticare la mitica Buffy. Semmai ha solo accresciuto la sua memoria: se prima ricordavamo l’Ammazzavampiri con una lacrimuccia nostalgica, dopo aver visto Ringer la piangiamo a dirotto disperati.
A Kiefer Sutherland le cose con Touch, diciamolo subito, vanno un po’ meglio che con Ringer. Però non così bene da lasciare intendere che con questa serie possa lasciare un vero segno come con 24. No no no. Anche perché il suo personaggio finora non ha regalato grandi motivi di esaltazione e sembra solo una copia sbiadita proprio di Jack Bauer, sempre in corsa contro il tempo per qualche motivo, ma senza essere kick-ass come lui.

"Mio figlio non vuole essere toccato da nessuno,
però se lo "tocchi" tu, abbella de mamma, mi sa che non fa tante storie..."
La sua è la classica storiona strappalacrime post-11 settembre: la moglie è morta vittima degli attentati e lui non ha potuto farci niente. Oh, non è Jack Bauer. Non qui. Non ha potuta salvarla.
A parte che, se andiamo proprio a vedere, pure la moglie di Jack Bauer moriva…
Comunque, data la situazione della moglie morta, si ritrova da solo a crescere un figlio. Un figlio “speciale”, un ragazzino autistico che odia essere “touchato”, che non ha MAI parlato in vita sua e che comunica solo attraverso i numeri.
Questo bambino (il solito bambino mediamente odioso presente nei film e/o nelle serie tv) vede la realtà in modo diverso da noi, poveri comuni mortali. Come il codice di Matrix (il film, non il programma d’informazione (?) con Alessio Vinci): se a un occhio normale possono apparire soltanto elenchi di cifre senza senso, lui invece ci vede altro, vede delle connessioni tra le persone. Persone che vivono in posti anche parecchio distanti del mondo e sono interrelazionate in qualche modo tra di loro. E lui lo vede, lo capisce…
Chi cazzo è?
Il figlio di Jack Bauer o il figlio di Dio?

"Eh, certo che 24 aveva ritmi un pochino più adrenalinici..."
Passiamo alla seconda persona collegata al filo rosso: Francis Lawrence.
Anello debole dei tre, Francis Lawrence è uno dei produttori della serie nonché regista dell’episodio pilota. Lawrence ha firmato pellicole che io certo non ho amato molto come Constantine, Come l’acqua per gli elefanti e soprattutto il pessimo Io sono leggenda con un poco leggendario Will Smith. Il suo stile iper-patinato e videogammaro non mi piace e il suo personal “touch” lo infila un filino pure dentro a questa serie. Molto Fox (il network che lo trasmette sia negli Usa che in Italia) come stile e quindi un po’ troppo commerciale e didascalica per i miei gusti. Capisco che considerata la natura complessa della tematica si debbano spiegare tutti i passaggi, però così è un po’ troppo. Con eccessive spiegazioni, si finisce per perdere il fascino delle connessioni.

Chiudiamo con la terza persona collegata al filo rosso: Tim Kring.
Tim Kring è l’autore di Crossing Jordan e soprattutto di Heroes, una serie pure questa parecchio importante per il panorama televisivo degli ultimi anni, capace di raccontare i supereroi attraverso uno spiccato punto di vista umano. La serie presentava alcuni personaggi fenomenali: l’esilarante ed eroico Hiro Nakamura, l’indistruttibile cheerleader gnocca Claire Bennet, il perfido cattivone Sylar, tanto per citarne alcuni. Nonostante dopo un’ottima prima stagione si sia rapidamente persa per strada, il merito principale della serie era quello di riuscire a creare un mondo, un immaginario intero. Fumettoso ma anche piuttosto realistico.

"Almeida torno al CTU, mi son rotto di 'ste stronzate new-age!"
Riuscirà a farcela anche questo Touch? Riuscirà a crearsi un immaginario tutto suo? Dopo le prime puntate, sembra mettere sul fuoco tanti personaggi, tante storie, tante vicende più o meno intrecciate tra loro che fanno molto social network, in una maniera che ricorda parecchio il film Babel (come detto in apertura di post), così come Molto forte, incredibilmente vicino (prossimamente recensito), ma direi che un vero e proprio immaginario a cuocere sulla brace non lo mette. Comunque c’è tempo, la serie sta facendo ascolti dignitosi negli Usa e quindi almeno una prima stagione completa dovrebbero realizzarla. Vedendo il quadro finale, speriamo che i tasselli trovino una loro collocazione e un loro senso. Ad esempio le due harajuku girls sono dei personaggi inseriti così alla cazzo per fare simpatia, oppure riveleranno una loro reale importanza all’interno del grande disegno (se ce n’è uno) di questa serie, comunque vada davvero troppo new-age per i miei gusti?
Per il momento non possiamo che fare come Kiefer Sutherland. Leggiamo i numeri, ma non riusciamo a vedere le connessioni. Arrivati alla fine, otterremo lo sguardo del suo figlio autistico e vedremo ciò che vede lui?
(voto 6-/10)


lunedì 24 ottobre 2011

La malinconia di Kirsten Dunst e delle sue pere al vento

Melancholia
(Danimarca, Svezia, Francia, Germania 2011)
Regia: Lars Von Trier
Cast: Kirsten Dunst, Charlotte Gainsbourg, Kiefer Sutherland, Alexander Skarsgard, Stellan Skarsgard, John Hurt, Charlotte Rampling, Udo Kier, Brady Corbet, Cameron Spurr
Genere: fine del mondo
Se ti piace guarda anche: The Tree of Life, Donnie Darko, Festen, La malinconia di Haruhi Suzumiya

C’è una sottile linea (rossa) che congiunge The Tree of Life di Terrence Malick alla Melancholia di Lars Von Trier. Non che siano poi così simili, Melancholia è più dialogato, più narrativo, più fisico. Uno rappresenta la cosmogonia, l'altro la cosmoagonia. Insomma, per certi aspetti sono opposti, vedi anche la reazione all’ultimo Festival di Cannes dove uno ha vinto e l’altro è stato cacciato, ma in un certo qual modo è come se entrambi i registi avessero voluto dare la loro personale risposta alla bruttezza imperante della reality-tv, così come dei video caricati su YouTube in bassa qualità. Entrambi hanno fatto due film esteticamente estasianti, in cui comunque i contenuti sono ben presenti e dicono cose importanti sulla vita, sulla morte, sul mondo. Basta solo saperle vedere, le cose.



Che Kaiser Von Trier abbia voluto fare la sua opera più visivamente curata lo si capisce fin da una scena d’apertura di raggelante, splendida, pittorica bellezza, che in una manciata di minuti spazza via anni di cinema catastrofico di Roland Emmerich.
Il ralenty usato è uno dei pochi punti di contatto con il precedente Antichrist, film molto controverso che ha suscitato reazioni parecchio contrastanti (chi ha parlato di capolavoro, chi di schifezza, io per una volta sto nel mezzo e dico che è stato una delusione ma al suo interno aveva anche elementi interessanti). E anche questo film dividerà. Certo, il pubblico che andrà a vederlo aspettandosi un bel blockbusterone catastrofico rimarrà alquanto sconcertato, un po’ come chi andando a vedere The Tree of Life si immaginava un drammone strappalacrime con i superdivi Pitt & Penn, o chi da Somewhere di Sofia Coppola si attendeva una spassosa celebrazione della vita di una star hollywoodiana, o ancora chi ha fremuto in poltrona aspettando che in Drive di Refn a un certo punto il protagonista Ryan di O.C. (ah perché, non era Ryan di O.C.?) facesse due freni a mano insieme a Vin Diesel.
Al punto che negli Stati Uniti (e questa non è una notizia da me inventata, ma una cosa successa davvero) una certa Sarah Deming ha fatto causa alla distribuzione di Drive perché il trailer prometteva secondo lei una pellicola in stile Fast & Furious e invece il film era tutt’altra cosa.
Che la signora in questione sia per caso parente di un certo Vasco Rossi, l’uomo dalla denuncia facile?

Alla fine quindi è tutta una questione di aspettative. Io personalmente quando vengo colto di sorpresa da qualcosa che ribalta le mie aspettative il più delle volte sono contento. Se vado a un appuntamento al buio e mi si presenta davanti un uomo anziché una donna magari non è proprio la sorpresa più gradita del mondo, però  in genere mi piace essere sorpreso. E se poi l’uomo è Jared Leto, oh lo si fa andare bene lo stesso.
La gente (sì, sto facendo un discorso generalista, lo so che non è giusto ma tant’è: è il mondo a non essere giusto) invece vuole vedere proprio ciò che si aspetta. Sempre. Altrimenti chiede indietro il prezzo del biglietto. O un risarcimento, vedi signora di sopra.
E prevedo che un sacco di gente che andrà a vedere Melancholia chiederà indietro il prezzo del biglietto. E un sacco di risarcimenti. Però certo che per chiedere indietro i soldi di un film in cui Kirsten Dunst compare nuda bisogna avere un senso della bellezza alquanto ottenebrato, per non dire inesistente.
Ma la gente chiederà il risarcimento.
Perché la gente è noiosa.
La gente non sa vedere oltre la superficie delle cose.
La gente non la sa vedere, la bellezza.
E io sto generalizzando.
Proprio la stessa cosa che fa la gente.

Qualche anticipazione su quanto vi aspetta se avrete il coraggio e l’incoscienza di addentrarvi in questo ennesimo, spudorato, esagerato viaggio nel mondo della mente malata del genio Von Trier?
La pellicola è divisa in due parti, che potrebbero sembrare piuttosto sconnesse e disomogenee tra loro ma in realtà sono speculari e procedono sulla stessa traiettoria, come due pianeti che gravitano vicini, fino a che si scontrano. È inevitabile.



Nella prima, Kirsten Dunst e Alexander Skarsgard si sposano per tentare di guadagnarsi il titolo di coppia più bella del mondo e ci dispiace per gli altri, anche per Celentano e consorte. I due sono così belli, bianchi e biondi che insieme potrebbero realizzare il sogno di Lars Von Trier di dare vita alla razza perfetta.
Prima che mi arrivi una richiesta di rettifica, specifico: non intendo sostenere che Lars Von Trier sia un nazi. Anche perché tanto ci pensa già lui a definirsi tale.
“Capisco Von Trier, credo che abbia fatto delle cose sbagliate, come il non del tutto riuscito Antichrist, ma riesco a vederlo seduto nel suo bunker. Credo di capire l'uomo, non è quello che definirei un “bravo ragazzo”, ma credo di comprenderlo.”
Dopo questa dichiarazione verrò considerato “persona non grata” dal mondo dei blogger?

Nella prima parte, la storia è tutta dedicata alla festa post-nozze della coppia di superfighi, innamorati, innamoratissimi. Sembrerebbe. Lei pubblicitaria geniale e di successo, lui uomo più fortunato del mondo solo per averla sposata. La seconda parte è invece incentrata maggiormente sulla sorella della protagonista, ovvero Charlotte Gainsbourg, che si dimostra la donna più coraggiosa del mondo tornando a lavorare con l’Anticristo Lars dopo essere stata martoriata in Antichrist.
Ma tranquilli, perché Kirsten è presente pure in questo seconda orbita del film. Ed è fenomenale, tra l’altro, anche se forse la mia parola non è delle più obiettive. Kirsten Dunst è sempre stata una delle mie attrici culto fin dai tempi di Jumanji e Intervista col vampiro (dove era la vampira condannata a rimanere bambina per sempre), arrivando poi a dare il meglio di sé con Sofia Coppola nella rappresentazione della bellezza eterna ne Il giardino delle vergini suicide e con lo stravolgimento del cinema storico nel super fashion Marie Antoinette, fino ad arrivare alla parentesi “commerciale” ma pur sempre cinematograficamente ottima nei panni della rossa Mary-Jane in Spider-Man.

In Melancholia Kirsten interprete il suo ruolo più estenuante a livello fisico (ma rispetto ad altre donne vontriereriane le è ancora andata bene, vada a chiedere a Nicole Kidman, Bjork o alla collega di set Gainsbourg), con una performance quasi da cigno nero in cui la vediamo sprofondare progressivamente sempre di più negli inferi, della sua anima o di una forza superiore, questa è una domanda interessante. Il suo andamento è infatti lunatico, o meglio melancholico visto che più che dalla Luna o dal ciclo mestruale il suo umore dipende dal pianeta Melancholia. O forse è lei a controllare il comportamento dei pianeti, come nel geniale anime La malinconia di Haruhi Suzumiya? Di certo c’è che il premio di miglior attrice all’ultimo Cannes è stato davvero azzeccato, così come quelli a The Tree of Life di miglior film e a Refn per la miglior regia. Quest’anno mi sento totalmente in linea con le scelte di Robert De Niro e del resto della giuria del Festival. Devo cominciare a preoccuparmi? Il mondo sta davvero per giungere al termine?

Grandioso anche tutto il resto del cast, con Lars che si dimostra un fan di 24: ha chiamato il mitico Jack Bauer al secolo Kiefer Sutherland per un ruolo (finto) rassicurante e pure il giovane Brady Corbet, presente nella 5a stagione, mentre per quanto riguarda lo stile cinematografico rimane lontano dai ritmi adrenalinici e dagli split-screen della serie. Ma forse il buon (buon si fa per dire) Lars è anche un fan di True Blood, visto che ha chiamato il vampiro Eric al secolo Alexander Skarsgard (ho sentito le urla delle fan vampirelle fin da qui!), accompagnato da suo padre Stellan, già habituè del regista, visti i suoi precedenti ne Le onde del destino, Dancer in the Dark e Dogville; però il Lars, che le scontatezze proprio non le ama, non gli ha dato lo scontato ruolo di padre dello sposo, bensì quello del capo della sposa. Altrettanto bastarda si può considerare anche la scelta di due grandi attori come John Hurt e Charlotte Rampling nei panni dei genitori della sposa per poi metterli un po’ in disparte, quando invece i loro personaggi avrebbero potuto avere maggiore spazio. Ma il fascino del cinema di Von Trier sta proprio in questo: non ti dà ciò che ti aspetti, ti dà qualcos’altro.

Se dai film precedenti Lars Von Trier appariva nelle vesti di sadico misogino, con questo Melancholia emerge un’altra realtà: forse il vero Von Trier non va cercato nei personaggi maschili delle sue pellicole, ma in quelli femminili. Se qui il personaggio indubbiamente più vicino al regista è quello di Kirsten Dunst, pere al vento a parte, chissà che anche nei suoi precedenti la martorazione delle varie Emily Watson, Nicole Kidman e Bjork non fosse in realtà un’autopunizione. Chissà? Chissà? E forse non è nemmeno lui ad essere un nazi. È il mondo ad esserlo.



Melancholia è una visione folgorante, un film immenso quanto un pianeta che procede solenne la sua inarrestabile rotta insieme al prelude del Tristano e Isotta di Wagner che funge da leitmotiv musicale. Qualcuno (leggi molti) lo troveranno pretenzioso o noioso, a me invece ha tenuto incollato allo schermo dall’inizio alla fine. È infettivo, contagia come una malattia e non se ne va più dalla tua mente nemmeno nei giorni successivi alla visione. Più che un film sulla fine del mondo, un film sulla depressione. Che per Lars Von Trier, qui alle prese con il suo Donnie Darko personale o forse solo con la paranoia da calendario Maya, alla fine sono la stessa cosa.
La Terra è corrotta
non c’è alcun bisogno di affliggersi per lei
nessuno ne sentirà la mancanza.

(voto 10/10 e se non siete d’accordo vi spedisco in vacanza premio sul pianeta Melancholia in compagnia di Lars Von Trier)

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