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martedì 26 maggio 2015

MAD MEN - LIVIN' LA VIDA COCA





Mad Men
(serie tv, stagione 7, episodio 14 “Person to Person”)

Quando ho guardato Mad Men per la prima volta, ormai tanti tanti anni fa, non sapevo davvero cosa aspettarmi. La oltreoceano tanto esaltata e premiata serie ambientata negli anni '60 si sarebbe rivelata il solito sguardo nostalgico e artefatto di quel decennio, come facevano i film e i programmi tv più amati dai miei genitori?
È bastato il solo episodio pilota per capire che no, Mad Men non era quel genere di ritratto stereotipato degli anni '60. Non lo era e non lo sarebbe mai stato. Mad Man ha offerto una fotografia più cinica, più realistica di un decennio che è stato sì ricco di cruciali mutamenti sociali, politici, storici e culturali, ma è anche stato un periodo ricco di contraddizioni, di tensioni razziali, di una parità tra uomini e donne che ancora appariva come un'utopia. Se la serie creata da Matthew Weiner ha sempre guardato a quel decennio con grande rispetto, e con una cura maniacale al più piccolo dettaglio nelle ricostruzioni di ambientazioni, abiti e acconciature, allo stesso tempo non l'ha mai mitizzato. Più che esaltare gli anni '60, ha cercato di capire gli anni '60. Proprio come il protagonista della serie, Don Draper, l'uomo più figo di sempre.
Non intendo l'attore Jon Hamm, che l'ha interpretato in maniera favolosa per sette indimenticabili stagioni, ma che quando non è in Mad Men perde un buon 90% del suo fascino. Intendo proprio Don Draper il personaggio. Un puzzle misterioso e indecifrabile. Un uomo che pare a suo agio in ogni situazione e in realtà non lo è mai. Un pubblicitario considerato da tutti geniale e non si capisce nemmeno troppo bene il perché, visto che in sette stagioni sono più le occasioni in cui in ufficio lo vediamo fumare, bere, ciulare, persino dormire piuttosto che lavorare. Questo fino all'ultimo episodio in cui capiamo che sì, è davvero un genio.

lunedì 25 giugno 2012

Mad Men, pazzi gli uomini (e le donne) che non lo guardano

Mad Men
(serie tv, stagione 5)
Rete americana: AMC
Reti italiane: Rai 4, Fox, FX, Cult
Creato da: Matthew Weiner
Cast: Jon Hamm, Jessica Paré, John Slattery, Vincent Kartheiser, Christina Hendricks, Elisabeth Moss, January Jones, Kiernan Shipka, Jared Harris, Rich Sommer, Aaron Staton, Robert Morse, Ben Feldman, Jay R. Ferguson, Alexis Bledel, Alison Brie, Christine Estabrook, Julia Ormond, Christopher Stanley, Peyton List, Michael Gladis, Joel Murray, Marten Holden Weiner
Genere: retrò
Se ti piace guarda anche: The Hour, Mildred Pierce, Revolutionary Road

“Come disse una volta una persona saggia: l’unica cosa peggiore di non ottenere ciò che desideri, è vedere qualcun altro che la ottiene.”
Roger Sterling (John Slattery)

Spiegare la grandezza di Mad Men a un profano, a chi magari ne ha visto giusto mezzo episodio o appena qualche minuto, è come spiegare l’esistenza di Dio a un ateo.
Tanto per continuare nella non richiesta metafora religiosa, Dio è nei dettagli, così come il diavolo. Lo stesso discorso vale anche per Mad Men. Sono i dettagli di classe, sono i lampi improvvisi di genio, sono gli scarti dalla norma del tutto inattesi a rendere la serie qualcosa all’infuori e all’insopra del resto del panorama. Televisivo quanto cinematografico.

La maggior parte delle serie tv raggiunge il suo picco nel corso delle prime stagioni, poi quasi inevitabilmente va incontro a un declino, più o meno rapido. Ci sono anche alcuni telefilm che il meglio l’hanno dato in là con gli anni: Buffy, ad esempio, ha raggiunto il suo picco di creatività, ironia e genialità solo nel corso della season 6. Ma Mad Men resta un caso a parte. La qualità si è mantenuta paurosamente alta. Sempre. Come mai mi era capitato di vedere in alcuna altra serie. A una prima stagione folgorante, piovuta dal cielo come un meteorite destinato a polverizzare ogni altra cosa fosse in onda in quel momento in tv, sono seguite due stagioni con qualche lievissimo calo fisiologico, ma limitato giusto a una manciata di episodi. La quarta stagione aveva quindi rappresentato una ventata di aria fresca per la serie, una rimescolata a uno show che sembrava vivere di vita nuova. Poteva bastare così? No, perché la quinta stagione si è spinta ulteriormente oltre.

"Oddio, ma come ti sei vestito?"
"Perché tu, invece?"
13 episodi fenomenali, uno più bello dell’altro, in grado di costruire un corpus unico e allo stesso tempo di regalare a ognuno (o quasi) dei personaggi principali il suo momento personale di epifania joyciana. Senza dubbio alcuno, una delle stagioni migliori mai viste di una qualsiasi serie tv e probabilmente la migliore in assoluto per lo stesso Mad Men. Nel complesso persino meglio di quel miracolo di stagione 1. Non pensavo sarebbe potuto succedere e a questo punto mi aspetto una season 6 ancora più incredibile. Perché la sesta sarà anche l’ultima. Scriverà la parola fine a una delle più belle narrazioni di sempre, non solo in campo televisivo ma prendendo in considerazione anche letteratura e cinema e qualunque altra cosa.
Mad Men con la scusa di parlare di un gruppo di pubblicitari ha ridisegnato un decennio, levando via un sacco di stereotipi e di miti sui favolosi anni Sessanta e ha ridisegnato il significato stesso della parola “stile”. In più, ci ha regalato una serie di personaggi meravigliosi, complessi, mutevoli, indecifrabili e proprio per questo umani come raramente è capitato di vedere. Mad Men è come il tonno. Insuperabile.

Per una riflessione più ampia sull’importanza storica avuta da Mad Men nel rivedere oggi il passato (si veda in proposito l’influenza non solo estetica su produzioni come The Help o Mildred Pierce) ci sarà tempo con la stagione finale, per il momento concentriamoci sulla season 5. Una mad season che ha tenuto fede al titolo della serie.

"I dilemmi della vita: sono più gnocca o più brava a recitare o a cantare?"
ATTENZIONE SPOILER
La partenza è stata grandiosa. La doppia prima puntata, season chicken premiere double burger, è stata una lezione autentica di scrittura televisiva. A un occhio mad-men-ateo, sarà potuto sembrare un episodio in cui nulla succede. A me è sembrato un episodio dalla struttura quasi da thriller. L’attesa di un qualcosa che sta per succedere. Tutta la puntata è incentrata su una festa, a casa di Don Draper. Tutta la festa e le discussioni post-festa sono incentrate su un singolo momento, la performance sorprendente e incredibile della neo signora Draper, la francesina Megan, interpretata da una Jessica Paré bomba sexy a livello fisico e da Emmy immediato a livello recitativo. Zou Bisou Bisou, canta Megan/Jessica riecheggiando Gillian Hills e la nostra Sophia Loren, e tutto il resto del mondo scompare. Un momento musicale che da solo vale 3 intere stagioni di Glee.


Il bello di Mad Men è anche quello di saper affrontare tematiche tipiche degli anni ’60, senza per forza voler sviscerare tutto l’argomento con triti e ritriti sermoni. Mad Men preferisce suggerire, offrire spunti. In questa stagione 5 è stata quindi introdotta la tematica dell’integrazione razziale, con le prime segretarie di colore assunte da Draper e soci, si è intravista la fascinazione per le religioni orientali, con il ritorno da guest-star di Paul Kinsey (Michael Gladis) in versione santone, e poi c’è stato il rock’n’roll, con un episodio in cui Don e Harry (Rich Sommer) vanno dietro le quinte di un concerto dei Rolling Stones.
Al proposito, è fondamentale l’uso delle musiche in Mad Men. Le canzoni sono usate con grande parsimonia, in genere una ad episodio, non di più, ma sempre in maniera ma-gi-stra-le. La scena in cui Don Draper ascolta “Tomorrow Never Knows”, probabilmente il pezzo più avanti dell’intera discografia dei Beatles, e poi la toglie dal giradischi prima che finisca la dice lunga, dice tutto, su un uomo d’altri tempi che non riesce ad adattarsi alla modernità e non riesce a cambiare. Il dilemma fondamentale intorno a cui ruota la serie intera è proprio questo: riuscirà mai a cambiare, Don Draper? L’ultimissima inquadratura del season finale ci suggerisce che probabilmente la risposta è un no. Ma staremo a vedere…

"Cosa essere questo?"
Tornando in campo musicale, un altro esempio di quanto bastino poche note per cambiare tutto ce l’ha dato l’episodio in cui Peggy (Elisabeth Moss) abbandona definitivamente la società e si appresta a prendere l’ascensore. È triste perché si lascia alle spalle un pezzo importante della sua vita. Poi partono le note di “You Really Got Me” dei Kinks e la sua espressione cambia improvvisamente, come se davanti a sé vedesse un futuro nuovo ed eccitante, indipendente e molto rock’n’roll.

Che dire poi dell’esaltante stagione vissuta da Roger Sterling (John Slattery)? Scatenato, dirompente, ironico ancor più che in passato, annoiato dalla sua vecchia vita e pronto a lasciarsi l’amarezza del passato alle spalle grazie a una passione tutta nuova: l’LSD. E così Mad Men per un episodio è diventato più visionario del solito, quasi un Twin Peaks Sixties. Una scena grandiosa, quella di Roger sotto LSD, che fa il paio con un momento onirico e thriller con protagonista un Don Draper in versione American Psycho ante litteram.

"Perché ce so' stata poco in 'sta stagione? Ero troppo impegnata a magnà!"
Un po’ sacrificato in questa stagione invece il personaggio di Betty, l’ex signora Draper ora (in)felicemente sposata con un altro uomo e alle prese con dei per lei inediti problemi di peso e di insicurezza fisica. Per la Grace Kelly dei nostri giorni un cambiamento di look radicale, quasi un I Used To Be Fat di Mtv al contrario, coinciso tra l’altro con la gravidanza dell’attrice January Jones.
Betty si è comunque ritagliata un episodio da protagonista ma per il resto, per quanto lo dica con un velo di tristezza, la sua assenza non si è fatta certo sentire più di tanto. Troppo dirompente la nuova Megan per far sentire la mancanza di qualcun altro.
Oltre al numero musicale di cui abbiamo parlato sopra, è stata lei il personaggio in più, la quinta marcia inserita nella Jaguar guidata questa stagione dal creatore Matthew Weiner e dal suo formidabile team di sceneggiatori.
La vitalità  di Megan, la sua gioventù, anche le sue idee a livello creativo, hanno in qualche modo provato a dare una scossa a quel gran musone di Don. Riuscendoci anche, sebbene solo in parte. Rappresentando il nuovo che avanza e che Don fa così tanto fatica ad accettare ma con lei al suo fianco sembra almeno sforzarsi di fare un tentativo.

Il nuovo è rappresentato anche dal novello creativo assunto da Peggy: si tratta di Michael Ginsberg (Ben Feldman), un personaggio di quelli che per ora rimangono tra le belle speranze non ancora pienamente espresse e che magari troveranno un maggiore spazio nella stagione finale.
Chi ha avuto un maggiore risalto, suo malgrado, è stato Lane Pryce (Jared Harris), l’economista, il Tremonti dello studio pubblicitario, protagonista della svolta più drammatica e traumatica dell’intera storia della serie.

Tra i personaggi femminili più spazio anche per la prosperosa rossa Joan (Christina Hendricks), ora nelle vesti di nuova socia della compagnia e pure di madre single. E ricordo che siamo sempre negli anni ’60 e non è che allora fosse una cosa così comune e socialmente accettata. Forse nemmeno oggi lo è ancora.

L’altro grande personaggio femminile venuto fuori sempre più in questa stagione è Sally Draper, la figlioletta di Don ormai diventata una piccola donna che sta cominciando ad accettare il divorzio dei genitori. A interpretarla troviamo una Kiernan Shipka giovanissima fenomena che se continua così si candida al titolo di prossima Kirsten Dunst, piccola star ai tempi di Intervista col vampiro e Jumanji poi maturata alla grande come vergine suicida, o di nuova Natalie Portman, bimba prodigio all’epoca di Leon e poi trasformatasi in un cigno (nero). Sperando invece che non faccia la fine tossica di Lindsay Lohan o di Macaulay Culkin o caschi nel dimenticatoio come Haley Joel Osment.
Haley Joel chiii?
Piccolo spazio curiosità: l’altro figlio di Don, Bobby, è stato interpretato nelle precedenti stagioni da Jared Gilmore, che adesso è diventato l’(insopportabile) Henry di Once Upon a Time. Fine piccolo spazio curiosità. L’ho detto che era piccolo.

"No, non la voglio conoscere tua mamma Lorelai. Quella non tace un secondo!"
E chiudiamo questa lunga quanto meritata disamina dell’universo Mad Men con il mio personaggio preferito, enorme Don Draper escluso: Pete Campbell (Vincent Kartheiser). Opportunista, insensibile, spesso bastardo in passato, nei nuovi episodi ha trovato una nuova e inedita dimensione umana, grazie all’amore. Per quanto si tratti di amore adultero, altrimenti non sarebbe il vero Pete Campbell. Molto bella e tragica la relazione con Alexis Bledel, figlia per amica di Una mamma per amica, qui nelle vesti di tentatrice e Mad Woman nel senso letterale del termine, visto il suo ricovero in manicomio. Le fanno pure l’elettroshock. Anche qui, la serie ci ricorda che siamo negli anni ’60 e queste cose allora le facevano. Che le facciano pure oggi?
Nemmeno un trattamento con elettroshock può farci comunque guarire da una passione folle. Quella per Mad Men. Già in passato serie fenomenale, adesso diventata una serie mastodontica.
E infine, tanto per chiudere con una citazione pubblicitaria di quelle che avrebbe potuto tirare fuori un Don Draper: che mondo sarebbe, senza Mad Men?
(voto alla stagione: 9,5/10)


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