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mercoledì 5 febbraio 2014

THE SPECTACULAR (MA DOVE?) NOW




"Cioè, ma in questo jukebox non c'è manco un pezzo dei One Direction?
E comunque, che cacchio è un jukebox?"
The Spectacular Now
(USA 2013)
Regia: James Ponsoldt
Sceneggiatura: Scott Neustadter, Michael H. Weber
Tratto dal romanzo: The Spectacular Now di Tim Tharp
Cast: Miles Teller, Shailene Woodley, Brie Larson, Jennifer Jason Leigh, Kyle Chandler, Andre Royo, Masam Holden, Dayo Okeniyi, Kaitlyn Dever, Bob Odenkirk
Se ti piace guarda anche: I passi dell'amore, Keith, Bianca come il latte rossa come il sangue

Cosa cazzo ha questa generazione che non va?
Uno guarda un film adolescenziale come The Spectacultar Now e se lo domanda. Poi vai a cercare chi c’è dietro a questa storia e capisci che forse il problema non sta in questa generazione, ma in come le vecchie generazioni vedono quella nuova.
The Spectacular Now è tratto dal romanzo omonimo di Tim Tharp. Non sono riuscito a trovare info precise circa la sua età, ma dalla sua unica foto scovata in rete direi che ha non meno di 50/60 anni. Di adolescenziale difatti in The Spectacular Now a ben vedere non c’è niente. Il protagonista 18enne, interpretato dal 26enne imbambolato Miles Teller, è un ragazzo che beve. Non beve per divertirsi, per sballarsi, come tutti i teenagers fanno. Beve come un vecchio in un bar che rimugina sul passato. Really?
La protagonista femminile è invece una “sfigata”. Come al solito, era già capitato di recente con la discussa partecipazione di Chloë Grace Moretz, troppo figa per il remake di Carrie, anche in questo caso non si capisce come possa essere considerata così loooser, visto che a interpretarla troviamo quella bella manza di Shailene Woodley, una che è partita con quell’atrocità di serie di La vita segreta di una teenager americana ma ha saputo riscattarsi alla grande in Paradiso amaro di Alexander Payne, il suo esordio cinematografico con cui bang! s’era subito beccata una nomination ai Golden Globe. Dimenticate quell’ottima prova, perché qui la giovane Woodley recita con la modalità zombie accesa.

"Oggi anziché l'acqua minerale naturale mi bevo quella gasata.
Che ci volete fare? Sono un ribelle nato!"
Dall’incontro tra questi due ragazzi nasce una pellicola romantica. Romantica di quell’amore smielato quasi alla Moccia, o se non altro parente non troppo lontano dei film tratti da Nicholas Sparks. Nicholas Sparks, il Male fatto scrittore, con le sue storielle patinate da Harmony sempre impregnate di sani valori morali. E riesce a fare anche di peggio, visto che un film come I passi dell’amore al confronto di questo appare ancora come un capolavoro.
Anche andando a dare uno sguardo più da vicino, The Spectacular Now di spectacular non ha un bel nulla. Non i personaggi, banali, anonimi. Lui ragazzo popolare della scuola non si sa bene perché, forse perché alle feste è il primo a buttarsi in piscina, uh che figata! Lei sfigata non si sa bene perché, forse perché le piacciono i fumetti, cosa che nel mondo hipster di oggi è in realtà il massimo del cool. Due adolescenti che parlano e si comportano come degli adulti mentre i veri adulti rimangono sullo sfondo. La madre di lei viene menzionata ma non compare mai. La madre di lui, una Jennifer Jason Leigh talmente inquadrata da lontano e sottoutilizzata che ho capito era lei solo a 5 minuti dalla fine del film. Il padre di lui, il mitico Kyle Chandler di Friday Night Lights, è l’unico personaggio che sarebbe un minimo intrigante, ovvero un alcolizzato egoista che ha abbandonato la famiglia. Pure lui però rimane nell'ombra, così come gli sprecatissimi Brie Larson e Bob Odenkirk (l'avvocato Saul Goodman di Breaking Bad), e davanti a noi viene messo in scena il nulla. Una storiella d’amore, nemmeno di quelli così travolgenti, semmai uno di quelli che non sembra interessare manco agli stessi protagonisti.

"Piuttosto che seguire Pensieri Cannibali preferisco leggermi un libro...
un libro di Nicholas Sparks!"
Dovrebbe essere un film adolescenziale. Dovrebbe essere un film con le canzoni che enfatizzano le emozioni dei personaggi. Così non è, visto che la colonna sonora rigorosamente indie, che sarebbe valida, si sente a malapena come sottofondo. Piatta e del tutto priva di personalità è pure la regia di James Ponsoldt, che poco fa aveva girato il più interessante Smashed, con cui questo ha in comune giusto il tema dell’alcolismo, qui comunque parecchio più abbozzato. Come tutto, in questo film. Più che una pellicola vera e propria, sembra una bozza, sembrano le prove generali per qualcosa. Per la vera vita, come quella del protagonista, che ancora deve cominciare? Non lo sapremo mai perché, appena la storia sembra poter decollare e qualcosa succede, subito si ritrae indietro.
Resta inspiegabile come una pellicoletta anonima del genere sia stata accolta molto bene dalla critica USA e applaudita in festival come il Sundance. E resta inspiegabile come dietro all’adattamento del romanzo di Tim Tharp vi siano Scott Neustadter e Michael H. Weber, l’accoppiata che mi aveva regalato uno dei miei cult personali recenti, l’esaltante (500) giorni insieme. Misteri della Fede.
A proposito di Fede, potete fidarvi di quello che dicono negli Stati Uniti e guardarvi The ben poco Spectacular Now che vorrebbe essere un gioiellino indie, e dal trailer potrebbe quasi sembrare così, o potete fidarvi di me. E a me questo filmetto è parso giusto una versione vagamente alternativa, molto vagamente e poco alternativa, delle storie di Nicholas Sparks. Senza manco risultare divertente in maniera involontaria come le storie di Nicholas Sparks.
Qualcuno potrà dire che sto invecchiando, che non mi piacciono più i film teen come una volta e magari quel qualcuno avrà ragione. O magari è la gente che le pellicole per teenagers le realizza che sta invecchiando sempre più e non riesce a dare una visione credibile dei giovani d'oggi, perché a me questo sembra un insulto al cinema adolescenziale. Per me è solo uno spettacolare NO.
(voto 4/10)

lunedì 27 gennaio 2014

THE WOLF OF WALL F**KIN’ STREET




The Wolf of Wall Street
(USA 2013)
Regia: Martin Scorsese
Sceneggiatura: Terence Winter
Tratto dal libro: The Wolf of Wall Street di Jordan Belfort
Cast: Leonardo DiCaprio, Jonah Hill, Margot Robbie, Kyle Chandler, Matthew McConaughey, Cristin Milioti, Rob Reiner, Jon Bernthal, Jean Dujardin, Joanna Lumley, Jon Favreau, Shea Whigham, P.J. Byrne, Kenneth Choi, Henry Zebrowski, Brian Sacca, Ethan Suplee, Jake Hoffman, Spike Jonze
Genere: yuppie
Se ti piace guarda anche: Wall Street, Wall Street – Il denaro non dorme mai, American Psycho, Il segreto del mio successo, Yuppies – I giovani di successo

The Wolf of Wall Street è il film con il maggior numero di f**k pronunciati nella storia del cinema, ben 506 in 3 ore di pellicola, per una media di 3 parolacce circa al minuto. Se non ci credete, potete guardare QUI il video in cui sono condensate tutte in pochi minuti.

Pensieri Cannibali comprende ed è vicino però anche alla parte più sensibile del suo pubblico e, a chi si è sentito offeso dal linguaggio scurrile utilizzato in questa pellicola, consiglio di saltare la versione uncensored della mia recensione per soli lupi e andare direttamente a fondo pagina a leggere quella censurata adatta pure agli agnellini.
E poi non dite che non penso anche a voi, maledetti cagacazzo.


La versione non censurata della recensione di Pensieri Cannibali
Caaazzzzzo che film! Cazzo cazzo cazzo cazzo e porcocazzo di un cazzo cazzone cazzaro che film!
Era dai tempi di Scarface che un film non me lo faceva venire tanto duro. No, non dal 1932 quando è uscito il film di Howard Hawks prodotto da Howard Hughes, quello di The Aviator di Martin Scorsese con Leonardo DiCaprio e pensate sia un caso se l’ho citato? A dirla tutta sì. È stato proprio un cazzo di caso fortunato.
E non intendo nemmeno dagli anni ’80, quando è uscito lo Scarface firmato da Brian De Palma. Cosa pensate, succhiacazzi? Che sia così vecchio? No, l’ho guardato molto più di recente. Negli anni zero. Quelle merde degli anni zero. E me l’ha fatto venire duro, Scarface, anche se niente a paragone con The Wolf of Wall Street. Tre ore di erezione senza pause e senza bisogno di Viagra. Sti gran cazzi e sti gran fugazi.

Ci sono i film normali, ci sono quelli un po’ strani, ci sono quelli strani forte e poi c’è The Awwwww of Wall Street che è una categoria a parte.
Cazzo, che botta. Questo film vi farà venir voglia di essere un broker, poi vi farà odiare i broker e poi ancora vi farà venir voglia di nuovo di essere un broker e avere tanti soldi e fottere le persone fottere le fighe fottere tutti quelli che ti capitano a tiro e se a tiro ti capita anche un po’ di coca, meglio se spalmata in mezzo a delle chiappe sode, cosa chiedere di più dalla vita?

Di cosa cazzo parla, The Wolf of Wall Street?
La domanda da fare non è tanto questa, ma è: di chi cazzo parla, The Wolf of Wall Street?
The Wolf of Wall Street parla di Jordan Belfort, un uomo che riuscirebbe a vendere un bambino a sua madre. Questa non è una citazione del film, è roba mia: copyright Cannibal Kid©, se la usate e non mi citate vi faccio causa, capito stronzetti?
Jordan Belfort è un venditore nato che va a fare il broker a Wall Street e comincia a farsi le ossa in mezzo ai pezzi di merda grossi con cui se la deve vedere se vuole sopravvivere. Wall Street è come una cazzo di giungla ed è un po’ come la cazzo di Hollywood. Nel film, Jordan Belfort si trova come satanico mentore Matthew McConaughey, che lo trasformerà da novellino della Grande Mela a una specie di incrocio tra uno yuppie alla Gordon Gekko e un teleimbonitore alla Matteo Renzi… volevo dire alla Silvio Berlusconi. Me li confondo sempre. Non credo di essere il solo.
A Hollywood, l’interprete di Jordan Belfort, Leonardo DiCaprio, la notte dei fottuti Oscar se la dovrà vedere proprio con McConaughey se vorrà portarsi a casa la sua prima tanto agognata statuetta dorata. Quei brutti pezzi di stronzi dell’Academy ce la faranno finalmente a consegnargliela tra le manine?
Leo è stato bravo in passato. Nel già citato The Aviator ad esempio volava altissimo. Qui però ha superato se stesso ed è su su su, nella stratosfera. Ma che dico, stratosfera? Più su ancora. Cosa c’è più su? Boh. Comunque vola molto più in alto di Sandra Bullock che si spoglia nello spazio per E.T. o per Dio solo lei sa chi. Lo senti questo ululato, Sandra? Awww. Awwwwwww. Questo è il suono del Grande Cinema. Lo senti? Questa è una grande esperienza cinematografica. Non i tuoi latrati da cagna in calore, bitch!

DiCaprio comunque non se la dovrà vedere con quella zoccola spaziale di Sandra Bullock per l’Oscar bensì come dicevo con McConaughey, candidato come protagonista per Dallas Buyers Club ma che una menzione pure come non protagonista qui se la sarebbe meritata. Compare giusto in una scena, però cazzo che scena! Epo-cazzo-cale.
Matthew McConaughey è l’attore del momento. Quel bambino rincoglionito de Il sesto senso vedeva le persone morte, io invece continuo a vedere i Matthew McConaughey dappertutto.
Dallas Buyers Club?
Presente.
La serie tv True Detective?
Guardatelo pure lì!
Parte The Wolf of Wall Street e chi c’è?
Matthew McConaughey!
Esco e vado al McDonald’s e chi non ti becco?
Matthew McConaughey?
No, figuriamoci. Avete visto quanto è dimagrito? Quello non vede un McDonald’s da almeno 8 anni. Ho beccato Jonah Hill. Non ci credete? Vabbè, dove volete beccarlo d’altra parte, Jonah Hill? O da McDonald’s o a farsi le canne a casa di Seth Rogen, James Franco e/o Leonardo DiCaprio e, a meno che voi non abbiate accesso alle case di Seth Rogen, James Franco e/o Leonardo DiCaprio credo possiate incontrarlo solo da McDonald’s. A meno che non siate delle belle puttanelle, e allora in tal caso potreste avere accesso alle loro case.
Jonah Hill pure lui s’è beccato la nomina agli Oscar come miglior attore non protagonista e se l’è meritata. La statuetta DEVE andare a Jared Leto se no mi incazzo, ma la candidatura di Jonah Hill ci sta tutta. E l'altra statuetta dorata, quella per il miglior attore protagonista, DEVE invece andare a Leo, se no faccio una strage.


E a proposito di gente candidata agli Oscar: in una particina da attore c’è pure Spike “fottuto genio” Jonze. C’avete fatto caso? No? Siete stati distratti da DiCaprio impegnato a infilarlo ovunque o dall’orifizio vaginale di Margot Robbie?


Apriamo un capitolo Margot Robbie?
Vogliamo aprirlo?
Perché non aprire un libro intero? O una collana di libri? O una saga letteraria? O una sega non letteraria come quella che si fa Jonah Hill la prima volta che la vede? Solo per quella scena, Jonah Hill dovrebbe vincere l’Oscar, un secondo Oscar visto che il primo DEVE andare di diritto a Jared Leto. Ma d’altra parte, cosa ci può fare? Non è nemmeno colpa del povero Jonah Hill. Margot Robbie è un’arma di masturbazione di massa.
Margot Robbie che era una delle hostess anni Sessanta della serie Pan Am dove c’erano anche delle altre belle fighe come Karine Vanasse e Christina Ricci e Kelli Garner e quindi se ve la siete persi siete gay, ma neanche, perché era piena pure di bei fanciulli e quindi perché cazzo non l'avete vista e non l’ha vista nessuno ed è stata cancellata dopo appena una miserabile stagione quando ci sono cagate di serie come CSI che vanno avanti da 40 fottuti biliardi di fottuti anni?
Margot Robbie è un’attrice australiana che oltre a Pan Am è comparsa pure nella splendida commedia romantica fantasy Questione di tempo e qui in The Wolf of Wall Street quando appare sulle note fighissime anche se mai fighissime quanto lei di “Never Say Never” dei Romeo Void la gente va fuori di testa e dice robe tipo: “Me la farei anche se fosse mia sorella” o “Da lei mi farei persino attaccare l’AIDS, cazzo” e poi Jordan Belfort confessa che: “La sua figa era come l’eroina per me.” Frasi cazzute come questa di cui questa cazzutissima sceneggiatura tratta dal libro dello stesso Belfort è piena.


Questo era solo per parlare del cast e mi rendo conto di essermi fatto prendere un pochino troppo la mano. Sono proprio un cazzaro. Non si può però non citare anche quello che fa Martin Scorsese in questo film. Cosa fa? Quel cazzo che gli pare, ecco cosa fa. Se la sbandata bambineska del precedente Hugo Fantozzi Cabret sembrava un allarmante segnale di demenza senile, questo Wolf è un grandioso dito medio sventolato in faccia a tutti. Anche a me. Scorsese non è mai stato più giovane e fresco di così. The Wolf of Wall Street gira a mille come tutte le parti migliori delle sue pellicole precedenti frullate insieme e filmate come se fosse un debuttante alle prese per la prima volta nella sua vita con una macchina da presa, con un ritmo indiavolato che non fai in tempo a gettare un occhio all’orologio che son volate via già tre ore. Tre ore? Son passate tre ore? Sicuri? A me son sembrati appena tre minuti, ma che dico tre minuti? Saranno stati tre secondi.
Il bello di questo film è che non ci sono freni inibitori in ciò che viene messo in scena e non ci sono freni manco nella regia del nongiovane Marty. Mentre lavorava a questa pellicola è come se non avesse mai perso tempo chiedendosi: “Girerò davvero questa scena?” Semplicemente s’è buttato e l’ha girata. Ha girato tutto, anche le cose più pazzesche. A tratti sembra quasi che abbia voluto realizzare un American Pie o un Fatti, strafatti e strafighe d'autore. E non c'è niente di più strafigo di un'idea del genere!

Cosa cazzo succede in questo film?
Sarebbe più facile dire cosa cazzo non succede. C’è una sequenza delirante sulle note distorte di “Smokestack Lightning” ululata da Howlin’ Wolf di cui David Lynch sarebbe fiero. Cazzo, se sarebbe fiero e perché ne parlo come se fosse morto? Magari in questo momento è a casa sua con una puttanella che glielo succhia mentre si sta guardando la sua copia di The Wolf of Wall Street piratata ed è fiero di questa scena fottutamente grandiosa che Scorsese gli e ci ha regalato. Una scena in cui diventa chiaro come l’apparente Paradiso messo in scena in questo film sia in realtà l’Inferno dei nostri giorni.

E poi ancora c’è il padre del protagonista Mad Max (interpretato dal regista Rob Reiner), personaggio fantastico protagonista di una scena di pochi secondi che mi fa piangere dalle risate come una femminuccia per ore ancora adesso se ci sto a pensare.
C’è spazio inoltre per un addio al celibato che altrochè Una notte da leoni, per una cosa a tre con Leo + Jonah + una zoccola a caso, per Portofino, per Gloria GLORIAAA manchi tu nell’aria GLORIAAA di Umberto Tozzi, porca troia TROIAAA, viene suonato Tozzi!, e c’è spazio pure per i Cypress Hill, per i Foo Fighters, per Braccio di Ferro, per una comparsata di Jean “The Artist” Dujardin, per l’assunzione più massiccia di droga nella storia del cinema roba che Trainspotting al confronto sembra un cazzo di centro di rehab e tanto tanto altro ancora, comprese scene che farebbero arrossire quelli delle serie tv più estreme come Nip/Tuck, Blue Mountain State, House of Lies o House of Cards. È come se Scorsese avesse visto negli ultimi anni le serie tv superare il cinema in fatto non solo di qualità ma pure di eccessi, e avesse deciso di riportare avanti il caro vecchio grande schermo. Ora la palla passa di nuovo a voi, serie televisive stronzette. Fate di meglio, se ci riuscite.

In questo luna park pieno di droghe, parolacce, canzoni, fighe, tette, culi e scopate a cavallo tra la fine dei fottuti ani ’80 e gli ancora più fottuti ani ’90, il film trova anche il tempo di essere una riflessione sul presente, sulla crisi economica attuale, per esempio. Considerando come il mondo dell’alta finanza sia stato, ed è probabilmente governato ancora tutt’oggi, da delle confraternite composte da branchi di tossici arrapati dipendenti da coca, sesso e soprattutto soldi, ci si deve chiedere semmai com’è possibile che non sia arrivata prima, questa dannata crisi. Il film però non è solo e non è tanto questo. Non è un film sull’alta finanza. È un raccontare dello sprofondare dell’uomo nelle sue perversioni, nel potere dei soldi che può comprare e cambiare chiunque, anche il bravo ragazzo fresco di matrimonio Jordan Belfort. Scorsese ci racconta questo viaggio mostrandoci soprattutto i suoi aspetti più scintillanti. La mossa geniale del film è quella di presentare la storia dal punto di vista di Belfort, senza modificarlo, senza filtri, senza inserire la solita moraletta hollywoodiana del cazzo di fondo, ma facendo soltanto emergere qua e là, in maniera sottile, il lato oscuro di questo stile di vita.

ATTENZIONE SPOILER
Cosa dire poi del pre-finale con l'agente Kyle Chandler in metro?
Non ha prezzo.
E cosa dire infine del finale-finale? Quel finale che all’inizio magari ti lascia un po’ così, come un povero stronzo, e poi ti rendi conto che è uno di quei finali degni di Stanley “fottutissimo genio” Kubrick. Quei finali che estendono la potenza dell’intera pellicola a un livello universale. Non si parla più soltanto di anni ’80, di anni ’90, di Wall Street, di America, di Porto-cazzo-fino. Il virus del capitalismo si è diffuso ovunque, persino nella sperduta Nuova Zelanda. Non c’è più ritorno. Non c’è più via d’uscita. Come in American Psycho, “this is not an exit”. Come nella Divina commedia, “lasciate ogni speranza o voi ch’entrate”. Come Alex DeLarge dopo la cura Ludovico in Arancia meccanica, Jordan Belfort è sempre lo stesso stronzo figlio di buona donna di una volta.

Lo sfacelo dell’impero occidentale continua a mostrare le sue fottute crepe, in mezzo a uno spring break, tra una passeggiata nella grande bellezza di Roma e un folle giro sulle giostre di Wall Street. O forse è tutta solo una gigantesca commedia. Una farsa che è poi il cazzo di mondo in cui tutti noi poveri stronzi viviamo. Ma come sia o come non sia il cazzo di mondo, cazzo che film! Cazzo cazzo cazzo stramegacazzo che cazzo di film che hai girato, fottutissimo pezzo di Marty! Ti scoperei, talmente mi hai fatto godere con questo The Wolf of Wall Street.
(voto 10/10)


La versione censurata della recensione di Pensieri Cannibali
Caaacchio che film. Cacchio, cacchiarola e cacchiolina che film, The Wolf of Wall Street. Era da parecchio tempo che non vedevo un film tanto simpatico e gradevole e profondo allo stesso tempo. Una pellicola super caruccia che racconta la vita senza limiti dell’affascinante e affabulatore broker Jordan Belfort, portato sul grande schermo da un Leonardo DiCaprio da Oscar, ma se non glielo danno fa niente non mi incavolerò assolutamente, no no. Una menzione speciale se la meritano pure i bravi comprimari Matthew McConaughey e Jonah Hill. Carina Margot Robbie. Insomma bel film, bel film, bel film, oh cavolo che bel film, acciderbolina mi è davvero piaciuto. Martin Scorsese, sei proprio un bravo ometto. Ti vorrei dare un abbraccio forte forte, talmente ho apprezzato questo The Wolf of Wall Street.
(voto 10/10)

"Mmm... mi è piaciuta di più la versione non censurata. E che cazzo!"

martedì 12 febbraio 2013

ZERO DARK THIRTY, PER BECCARE BIN LADEN CI VOLEVA UNA BELLA F…

Zero Dark Thirty
(USA 2012)
Regia: Kathryn Bigelow
Sceneggiatura: Mark Boal
Cast: Jessica Chastain, Jason Clarke, Kyle Chandler, Reba Kateb, Jennifer Ehle, Joel Edgerton, Nash Edgerton, Chris Pratt, Harold Perrineau, Taylor Kinney, Jeremy Strong, Mark Strong, Lauren Shaw, Scott Adkins, Mark Duplass, James Gandolfini, Édgar Ramírez, Stephen Dillane, Frank Grillo, Mark Valley
Genere: antiterrorismo
Se ti piace guarda: Homeland, 24, The Hurt Locker

Vi siete mai chiesti come abbiano fatto a scovare e uccidere Osama sim sala bin Laden? Non la versione ufficiale. Come hanno fatto davvero a scovarlo.
E vi siete chiesti perché Fabrizio Corona si è costituito alla polizia?
Per entrambe le spinose questioni, la risposta è semplice. Hanno messo alle loro calcagna Jessica Chastain. Quando Bin Laden l’ha scoperto si è subito arreso e pare abbia dichiarato con un’inaspettata parlata alla Christian De Sica: “Ah bella Jessica, e famme tuo!”. Lei però spietata l’ha fatto uccidere. A Corona è andata un po’ meglio, visto che su di lui pendava solo un mandato di cattura alive, and not dead. Per Corona sono scattate le manette, ma non al letto come si aspettava lui.
Volete scovare un latitante in fuga? Semplice: basta chiamare Jessica Chastain. Al ché la CIA e l’FBI si sono domandati: “Ma perché cazzo non c’abbiamo pensato prima? Altroché J. Edgar, altroché Intelligence, altroché Jack Bauer. Ma va da via il cù, e vada via il CTU. Bastava chiamare una bella fregna, e tutti i criminali li stanavamo in due secondi!”.

UPDATE
Pare che Jessica Chastain possa essere anche la vera motivazione dietro alla decisione del Papa di dimettersi. Dopo aver visto la fanciulla ignuda in Lawless, sembra che il pontefice uscente si sia dedicato a lunghe riflessioni. Chiuso in bagno.

Abbiamo sparato la nostra razione quotidiana di cacchiate?
L’abbiamo sparata. Bene, adesso ricominciamo da Zero.

“Non dimenticatemi!”

"Tutti su Pensieri Cannibali, raga! Cannibal Kid sta per postare
un sex tape di Jessica Chastain!"
Non te, Renato Zero, statte bono. Ricominciamo da Zero Dark Thirty.
Zero Dark Thirty è la versione reale (dire reality non mi piace) di serie come Homeland e 24. Laddove in quelle usano nomi di terroristi fittizi tipo Abu Nazir, qui ci troviamo di fronte al lungo e tortuoso percorso che ha portato all’individuazione e alla cattura all’assassinio di Osama bin Laden. La storia ha inizio l’11 settembre 2001 e ha fine il 2 maggio 2011. Una caccia all’uomo, una guerra al terrore andata avanti ben dieci anni e portata avanti da una donna, Maya (Jessica Chastain). Tutto vero quello che vediamo nel film? Forse sì, o forse no. Kathryn Bigelow e lo sceneggiatore Mark Boal sono partiti sì da una ricostruzione accurata di fatti realmente accaduti, ma la regista ci ha tenuto a dichiarare che il suo è pur sempre un film, non un documentario.

Tutta la pellicola è costruita su questa Maya interpretata da una Jessica Chastain per cui non ci sono nemmeno parole nel dizionario adatte a descriverla a dovere. Fino a un paio di anni fa era un’emerita sconosciuta, oggi ha vinto un Golden Globe, è candidata agli Oscar per la seconda volta, nelle ultime settimane ha avuto due film al vertice del box-office americano (l’horror La madre e questo). Ma da dove è sbucata fuori, ve lo siete mai chiesto?
Dio, te la tenevi nascosta tutta per te?

"Mmm... non mi convince questo Pensieri Cannibali.
Penso che venderò il mio video a un altro sito."
In Maya/Jessica Chastain possiamo vedere la regista Kathryn Bigelow e il suo riuscire a farsi strada in un ambiente al maschile come quello di Hollywood.
Ma Maya/Jessica Chastain è anche e soprattutto l’America. L’America ossessionata dalla guerra al terrore, alla ricerca di un fantasma che sembra sparito nel nulla. In questo film, nel suo personaggio, ci sono tutti gli Stati Uniti degli ultimi dieci anni. Un’ossessione che diventa unico scopo nella vita e annulla il resto. Maya non ha nessun vero contatto umano. Zero Dark Life.
Zero Dark Thirty è una pellicola coraggiosa anche perché non gioca in alcun modo sui sentimenti. Non cade nella trappola della storia d’amore, o magari nel dramma famigliare. Di Maya non sappiamo molto, a parte questa sua continua ricerca. Questo è anche l’unico limite del film, che qualcuno potrà vedere come freddo a livello emotivo. In realtà è un diluvio di emozioni trattenute, una visione giocata su una tensione costante e crescente, nonostante sappiamo già come andrà a finire. Sappiamo come andrà a finire la storia di bin Laden, ma questa non è la storia di bin Laden, presenza nel senso di spettro che si aggira per tutto il film. Questa è la storia dell’ossessione di Maya. Questa è la storia dell’ossessione degli Stati Uniti.

L'auto di Cannibal Kid mentre viene fatta saltare per aria
perché non ha postato il sex tape di Jessica Chastain.
Raccontare una vicenda così lunga e diluita nel tempo, un decennio, è una delle imprese narrative più complesse per una pellicola. Kathryn Bigelow risolve il problema alla grande, frazionando la storia in diversi capitoli che però formano un tutt’uno perfettamente omogeneo e ben amalgamato, con lo sguardo di Jessica Chastain a fare da splendido collante al tutto.
L’attacco è folgorante. C’è subito la scenona di tortura che tante polemiche ha provocato negli USA. La Bigelow non si tira indietro e ce la mostra in maniera cruda, anche se non sta a indugiare troppo nella violenza come farebbe un Tarantino.
A proposito: Quentin, una richiesta: ma se la tua “trilogia storica” la chiudessi nel presente, con un capitolo dedicato alla guerra al terrorismo? Di certo il tuo punto di vista sarebbe molto interessante…
In queste sequenze di notevole impatto, tra le varie torture inflitte al terrorista catturato, per farlo stare male, gli americani gli sparano della musica metal a tutto volume. Errore: se gli facevano sentire Laura Pausini, tempo due minuti e quello vi diceva tutto quello che volevate sapere. Non c’avevate pensato, vero?

Se le polemiche si sono concentrate sull’inizio, nel resto di Zero Dark Thirty c’è spazio come detto per la complicata caccia all’uomo, una caccia al tesoro che sembra destinata al fallimento e poi, proprio quando nessuno ci crede più, proprio quando le attenzioni degli Stati Uniti si stanno spostando in altre direzioni, Maya continua a crederci e riesce a realizzare il suo American Dream, ormai tramutatosi in un American Nightmare. La tensione sottile che attraversa tutta la pellicola raggiunge il suo culmine naturale nella parte finale, quella della tanto attesa missione per stanare Osama. Una ricostruzione di grande impatto, con cui la Bigelow scende sul terreno da guerra con maestria, come già dimostrato con il precedente notevole The Hurt Locker.

La Bigelow continua quindi il suo percorso personale di narratrice della Storia recente, la Storia così come va raccontata, evitando ogni tipo di retorica (qualcuno ha menzionato Spielberg?), evitando ogni celebrazione dello spirito o del Governo americano (qualcuno ha rimenzionato Spielberg?), alla faccia di chi voleva questo film come uno spottone pro-Obama, cosa che non è, ed evitando anche ogni spettacolarizzazione. A parte le esplosioni. Se Michelango Antonioni era il re, Kathryn Bigelow è la regina delle esplosioni cinematografiche.





"Se ho paura di andare a stanare bin Laden?
Io sto insieme a Lady Gaga, gente. Ormai non temo più niente!"
Pure qui le esplosioni non mancano, ma non ci sono concessioni al cinema d’intrattenimento. Questo è semmai un tipo di cinema anti hollywoodiano, senza sentimentalismi o moralismi. Senza nemmeno cadere nelle atmosfere da thrillerone fracassone. La Bigelow tiene tutto sotto controllo, sotto traccia, eppure fa crescere la tensione in maniera magistrale, anche grazie alle poco invasive ma incisive musiche composte dal solito impareggiabile Alexandre Desplat (The Tree of Life, Moonrise Kingdom, Un sapore di ruggine e ossa, Argo e Reality tra i suoi altri score recenti). Una visione tanto tesa e interessante che le 2 ore e 40 minuti per me sono volate come fossero 2 minuti e 40 secondi, mentre la stessa durata del musical Les Misérables l’ho vissuta come fossero 2 anni e 40 giorni. Questo per me, appassionato di 24, Homeland e della tematica terrorista in generale, mentre sono sicuro che a un appassionato di musical la percezione temporale apparirà del tutto opposta.

ATTENZIONE SPOILER
La freddezza, più apparente che reale, della messa in scena di Zero Dark Thirty è destinata però a esplodere anch’essa, con un finale emozionante come era difficile preventivare, costruito non sulla facile esaltazione per il successo della missione e per la vittoria degli Stati Uniti sul grande cattivone del terrorismo. Un finale che anzi lascia con un interrogativo addosso. Con un “e adesso?”. Un finale in cui ci si libera in un pianto che scoppia liberatorio e del tutto inaspettato. Ma mai sottovalutare la Bigelow. Ve l’ho detto, è la regina delle esplosioni.
(voto 9/10)

Piccola curiosità sul titolo del film. Come ha spiegato Kathryn Bigelow, zero dark thirty è un termine militare usato per riferirsi a 30 minuti dopo la mezzanotte e in generale alle ore notturne, quando si può attaccare senza farsi vedere, ovvero proprio quando ha avuto luogo la missione finale per stanare Osama Bin Laden.


venerdì 16 novembre 2012

Cogito Argo sum

"Oh, ma qua poster di Lady Gaga non ne hanno?"
Argo
(USA 2012)
Regia: Ben Affleck
Sceneggiatura: Chris Terrio
Ispirato a un articolo di: Joshuah Bearman
Cast: Ben Affleck, Bryan Cranston, Alan Arkin, John Goodman, Victor Garber, Tate Donovan, Christopher Denham, Scoot McNairy, Kerry Bishé, Clea DuVall, Rory Cochrane, Kyle Chandler, Chris Messina, Zeljko Ivanek, Titus Welliver, Farshad Farahat, Taylor Schilling
Genere: arguto
Se ti piace guarda anche: Homeland, 24

"...E non c'è manco uno che mi chiede l'autografo. Ma dove sono finito?"
Fino a poco tempo fa, quando pensavi a Ben Affleck pensavi a Ben Affleck il sex symbol, Ben Affleck ‘o sciupafemmene che passa da J.Lo a Jennifer Garner, Ben Affleck l’attore modesto. L’attore modesto e dall’espressività limitata che però ti dava l’impressione di avere qualcosa in più da offrire. Sarà per quella sceneggiatura da Oscar scritta a quattro mani insieme all’amichetto Matt Damon, quella per Will Hunting - Genio ribelle, il film che ha rivelato entrambi. Che dopo ce l’ha messa tutta, per farsi dimenticare di essere uno sceneggiatore da Oscar, intepretando filmetti come Pearl Harbor, Daredevil o Amore estremo. E invece, il Ben aveva una carta inaspettata da giocarsi, quella da regista.
Contro ogni aspettativa, Ben Affleck esordiva ben bene, con il thriller parente di Mystic River, Gone Baby Gone. Al che pensavi che vabbé, un film decente può riuscire a chiunque. È riuscito persino a Ligabue, con l’esordio Radiofreccia, non c’è da stupirsi troppo sia venuto fuori a Ben Affleck.
Con il secondo film, lo splendido The Town, i dubbi che a Ben il primo colpo non fosse uscito per puro caso arrivavano. Si aveva semmai l’impressione che con l’esordio fosse persino andato con il freno tirato, mentre per le strade di The Town Affleck scorrazzava che è un piacere.
Se un indizio può non voler dire niente e due indizi possono rappresentare un semplice caso, al terzo non c’è più spazio per i dubbi. Il terzo è una prova. Argo è una prova.
Prova di cosa?
Prova che Ben Affleck è un dannato grande regista. Uno dei migliori in circolazione negli USA al momento.
Chi l’avrebbe detto? Probabilmente nemmeno lui stesso, visto che con autoironia, attraverso un dialogo presente nel film, schernisce la sua nuova professione:

“Si impara a fare il regista in un giorno?”
“Perfino una scimmia impara a fare il regista in un giorno.”

"Signore, mi spiace ma questo coso pieno di cocaina è leggermente illegale.
Se però se lo infila nel didietro, faccio finta di non aver visto niente..."
Un grande merito dell’Affleck regista è quello di sapersi scegliere delle belle storie da raccontare. Dopo i romanzi da cui erano tratti i suoi due film precedenti, a ispirare questa sceneggiatura impeccabilmente firmata dall’esordiente Chris Terrio è invece un articolo. Una storia talmente da film da essere vera.
A cavallo tra il 1979 e il 1980, 6 diplomatici americani si ritrovano rifugiati politici dell’ambasciata canadese in Iran. Il governo degli USA vuole farli tornare in patria, ma come fare, vista la delicatissima situazione in quel paese?
"Certo che come produttore sei proprio braccine corte, Ben. Non solo
il pranzo ce lo dobbiamo fare sugli scalini con la roba del McDonald's,
ma hai pure usato i buoni sconti, hai usato. Te credo che J.Lo t'ha lasciato!"
ATTENZIONE SPOILER
È qui che arriva Ben Affleck bello fresco, in versione consulente della CIA, e propone un’idea singolare e folle per riportarli negli Stati Uniti: organizzare le riprese di un finto film di fantascienza, intitolato per l’appunto Argo, e fingere che i 6 facciano parte della troupe, giunta in Iran per dei sopralluoghi per le location. Ce la faranno i mezzi del cinema a riuscire laddove la politica sembra fallire?

Lo scopriremo con Ben Affleck che ci terrà la manina attraverso i vari registri della pellicola. Dopo una prima parte prettamente politica, Argo diventa una visione con vari spunti divertenti e una serie di battute scoppiettanti. Perché Argo è un film di fantascienza all’interno della finzione narrativa della pellicola stessa, mentre l’Argo firmato da Ben Affleck è una pellicola politica e spionistica, ma trova pure il tempo di concedersi qualche sberleffo nei confronti di Hollywood e dei suoi meccanismi. Sberleffo e al contempo una celebrazione di Hollywood, visto che la missione è organizzata con l’aiuto di un paio di producers cinematografici, due gigionissimi Alan Arkin e John Goodman, i migliori di un cast ricchissimo e mega-telefilmico.

"Siamo troppo retrò in questa foto, altroché Instagram!"
Accanto al Ben Affleck protagonista, che tra Argo e The Town si dimostra attore più convincente quando si auto dirige, compaiono infatti un sacco di volti proveniente perlopiù dal mondo delle serie tv: Bryan Cranston di Breaking Bad qui come in Drive e Detachment si ritaglia solo un ruolo marginale, però almeno fa dimenticare una serie di comparsate in pellicole dimenticabili come Larry Crowne e Total Recall; sfilano poi Tate Donovan di The O.C. e Damages, Clea DuVall attualmente guest-star di American Horror Story Asylum, Kyle Chandler di Friday Night Lights, Titus Welliver Uomo in nero di Lost, Chris Messina di Damages e The Mindy Project, e questo solo per citarne alcuni. Occhio poi pure a una manciata di rivelazioni indie da tenere appunto d’occhio: Christopher Denham, di recente visto nel notevole Sound of My Voice, Scoot McNairy di Monsters e la gnocchetta Kerry Bishé vista in Red State.
Ma è un cast talmente ricco che si farebbe prima a nominare chi non è presente. Matt Damon, ad esempio. Che Ben & Matt negli ultimi tempi non siano più BFF come una volta?

"Ma stiamo girando Argo il finto film all'interno del vero film, oppure Argo
il vero film ispirato a un fatto reale? Non ci capisco più niente neanch'io..."
Oltre a un gran cast, a una splendida cura nella fotografia, nei costumi e persino nelle pettinature tardo ’70, a funzionare è il ritmo. Ben Affleck sa come tenere il tempo. Dopo averci divertito con la parte dedicata al dorato mondo di Hollywood, ci scaraventa in una parte finale al cardiopalma, in cui la tensione raggiunge gli stessi livelli delle puntate migliori delle migliori serie spionistiche dell’ultimo decennio, Homeland e 24.
Ben Affleck sembra quindi ricalcare le orme del suo altro amichetto, George Clooney, che non a caso figura tra i produttori di questo Argo. Entrambi sex symbol, entrambi attori non fenomenali, eppure migliorati pure in questo campo negli ultimi tempi. Da quando fanno i registi. Che poi fare i registi è la cosa che riesce loro meglio. A parte fare gli sciupafemmene in giro. Almeno Ben, viste le voci che circolano sul conto del bel George…

E allora Ben Affleck, gran figlio di una buona donna, did it again. E se un indizio può non voler dire niente e due indizi possono rappresentare un semplice caso, al terzo non c’è più spazio per i dubbi. Il terzo è una prova. Argo è una prova. Anzi, come prova basterebbe la sola grandiosa scena di montaggio alternato tra la conferenza stampa tenuta da un’attivista iraniana e quella tenuta dai producers del finto film Argo, un magistrale alternarsi di realtà e fiction, nonché di due diversi approcci al mondo, che racchiude tutta la grandezza del vero film Argo.
Ah, ho dimenticato una cosa fondamentale: cosa vuol dire Argo?
Argo vaffanculo se non lo guardate!
(voto 8/10)

Post pubblicato anche su L'orablu.

venerdì 23 settembre 2011

Thank God It’s Friday

Friday Night Lights
(serie tv, stagione 5)
Rete americana: DirecTV
Reti italiane: Rai 4, Fox, Joi
Creata da: Peter Berg, Brian Grazer, David Nevins
Cast: Kyle Chandler, Connie Britton, Aimee Teegarden, Michael B. Jordan, Jurnee Smollett, Madison Burge, Matt Lauria, Lamarcus Tinker, Grey Damon, Taylor Kitsch, Derek Phillips, Stacey Oristano, Brad Leland, Zach Gildford, Jesse Plemons, Adrianne Palicki, Emily Rios
Genere: la vita è una partita di football
Se ti piace guarda anche: Friday Night Lights (film)


I film e telefilm sportivi non fanno per voi? E allora guardatevi Friday Night Lights e poi vedremo se la penserete ancora così. Detto in questo modo il mio tono sembra minaccioso, ma in realtà la mia non è una minaccia ma un consiglio vivissimo.
Se c’è una cosa di cui sono appassionato sono quei film o serie che riescono a ricostruire perfettamente un ambiente, un modo di pensare, uno stile di vita. Può essere qualunque ambiente, dal mondo dell’hip-hop anni ’90 di 8 Mile alla mente metal di Hesher, dal ghetto di Londra di Attack the block fino al competitivo mondo del balletto classico de Il cigno nero, può essere insomma un qualcosa anche di parecchio lontano dal mio modo di vivere o di pensare, ma l’importante è che vengano creati i presupposti per un tuffo completo in tale mondo.
Friday Night Lights riesce in pieno in questo obiettivo. E anche di più. L’ambiente è quello di una piccola cittadina texana, Dillon, in cui tutta la vita della comunità ruota praticamente intorno alla fenomenale squadra di football liceale. I campioni della squadra sono gli idoli locali, il venerdì sera è il momento che tutti aspettano, quello della partita, e il coach locale è più discusso dell’allenatore della nazionale italiana.
Protagonisti della serie sono proprio il coach Taylor (Kyle Chandler, premiato come miglior attore protagonista agli Emmy 2011), neoassunto dai Dillon Panthers, insieme alla sua famiglia (moglie MILF Connie Britton e figlia teen Aimee Teegarden, più un’altra bambinetta in arrivo), mentre giocatori e cheerleader si danno il cambio nel corso delle varie stagioni. Il perno della serie è quindi di stampo famigliare, ma thanks God siamo lontani da Settimo Cielo e cazzate varie. Il contesto è quello del profondo Sud degli Stati Uniti, dei rodeo e della musica country (ma nella soundtrack ci stanno pure hip-hop e il post rock degli Explosions in the sky!), della fede bigotta e della politica conservatrice. La faccia triste dell’America che vede il football come una religione, ma anche come un’arma di riscatto sociale per tanti giovani che sognano un futuro lontano dalla cittadina di Dillon.
La serie è riuscita a reinventarsi stagione dopo stagione in maniera spettacolare, come una squadra che cambia giocatori ma riesce ad essere sempre vincente. Mica come… e qui inserite una vostra squadra a piacimento. Colpo particolarmente fortunato è stato quello di rivoluzione team all’inizio della quarta stagione: il coach Taylor viene infatti licenziato dai Panthers e passa ad allenare l’altra squadra cittadina, quella scrausa, quella del ghetto con tutti i problemi societari di budget del caso. Un po’ come passare dalla Juventus al Torino.
Sorry, tifosi granata.

La quinta stagione, che è anche quella conclusiva, riparte proprio da lì, concentrandosi sulle vicende dei nuovi problematici footballers e cheerleaders della East Dillon High, con la moglie del coach Taylor che si trova a far loro da consulente. E saranno cazzi…
Ma se uno di solito rimpiange i vecchi personaggi, penso ad esempio addirittura al vecchio Beverly Hills 90210, qui invece i nuovi convincono subito e fanno addentrarsi dentro le loro vite, su tutti Vince Howard (il promettente Michael B. Jordan), strappato da una vita criminale e trasformato da coach Taylor in un’autentica stella del football, o la sua tipa Jess (la pure lei promettente Jurnee Smollett), che non si accontenta di fare la cheerleader bella statuina ma si mette in testa di diventare un’allenatrice di football, di football maschile, o ancora Becky (sarò ripetitivo, ma pure Madison Burge è promettentissima), abbandonata dai veri genitori e costretta ad andare a vivere con una spogliarellista e il suo marito vice-coach. E poi c'è anche il ritorno di qualche volto delle stagioni passate...
Una serie di vite che si intrecciano fino a un grandioso e molto emozionante episodio conclusivo, premiato con l’Emmy 2011 per la miglior sceneggiatura. Giusto così, cazzo. E, se vi interessa, questa sera il gran finale andrà in onda per la prima volta in Italia su Joi. Altrimenti c’è sempre Internet.

Nonostante il cuore della serie rimanga sempre il football, le partite sono comunque soltanto uno degli eventi avvincenti presenti, visto che gli altri motivi di interesse sono regalati da una serie di personaggi tratteggiati in una maniera e con una cura che si vede in poche serie.
Friday Night Lights è ispirato a un film omonimo del 2004 e, dopo aver terminato la sua vita televisiva con la quinta strepitosa stagione, si appresta a tornare sul grande schermo con una nuova vociferata pellicola cinematografica. I riflettori quindi si accenderanno ancora sul coach Taylor, sulla sua squadra e sulla sua famiglia, perché una volta che ci si affeziona a loro è difficile abbandonarli. E pazienza se non ve ne frega un fuck del football americano, insieme a loro comincerete a correre fino a che non segnerete un touchdown.
Se avete voglia di iniziarvi una serie da capo, questa DEVE essere la vostra prima scelta. Sembrava ancora una minaccia?
(voto 8,5/10)

mercoledì 14 settembre 2011

Superenalotto

Super 8
(USA 2011)
Regia: J.J. Abrams
Cast: Joel Courtney, Riley Griffiths, Elle Fanning, Kyle Chandler, Ryan Lee, Gabriel Basso, Zach Mills, Ron Eldard, David Gallagher, AJ Michalka, Bruce Greenwood, Greg Grunberg
Genere: fantaspielberg
Se ti piace guarda anche: E.T., Stand by me, I Goonies, Explorers, Dawson’s Creek

Trama semiseria
J.J. Abrams decide di guadagnarsi il titolo di nuovo Steven Spielberg a tutti gli effetti e gira la storia di un gruppo di ragazzini di periferia che decide di girare una pellicola per presentarla a un film festival. Vi ricorda forse la trama di Dawson’s Creek? E J.J. riuscirà a diventare il nuovo Spielberg o sarà piuttosto il nuovo Dawson Leery?


Recensione cannibale
Non credete a chi vi dirà che Super 8 è solo uno sterile rimescolamento dei film spielberghiani anni ’80. O meglio, credeteci perché è una cosa molta vera, però allo stesso tempo a chi ve lo dirà rivolgetegli anche uno sguardo torvo, perché in fondo è sì un rimescolamento, però tutt’altro che sterile e anzi realizzato con notevole personalità.
Super 8 contiene tutta la magia fanciullesca del Cinema ed è il film che Dawson Leery di Dawson’s Creek avrebbe sempre voluto girare e invece nelle varie stagioni della serie si diletta solo con remake sfigati di Blair Witch Project, un orripilante horror con mostri marini, un soporifero documentario-intervista su un vecchio regista fallito, oppure in una pellicola teen sdolcinata basata sulla sua virginale storiella con Joey Potter. Va ricordato che Abrams è stato creatore, prima di Lost, Alias, Fringe etc., anche dell’adolescenziale Felicity, una serie che seguiva in qualche modo la scia sentimental-adolescenziale proprio di Dawson’s Creek e, considerando come il modello di riferimento di Dawson fosse proprio Steven Spielberg, l’incontro tra i due mondi si fa sempre più del terzo tipo.
AAAAAAAAAHHH
Ma allora è vero: J.J. è il nuovo Dawson!

E a proposito del re Mida di Hollywood, a produrre Super 8 vi è lo stesso Steven Spielberg, uno che nelle sue ultime produzioni quella magia fanciullesca sembrava averla dimenticata e ora la ritrova qui grazie a un film scritto e diretto dal suo possibile erede. Dimenticate quindi Falling Skies e la sua sci-fi buonista anni ‘90, perché qui si fa un tuffo alla fine dei 70s, per la precisione con una vicenda ambientata nella Summer of 1979 (non quella del '69 cantata da Bryan Adams), con la vicenda di un gruppo di ragazzetti in età prepuberale che sta realizzando un film amatoriale in Super 8 (oh, mica c’erano le digitali e le videocamere sul telefonino), con in cabina di regia un ragazzo grassottello in cui potrebbero essere presenti molti echi autobiografici dello stesso J.J. Abrams.
Per far fare il salto di qualità alla produzione e dare maggiore varietà a un cast esclusivamente maschile, l’aspirante giovane regista ingaggia una ragazza, Elle Fanning: già ottima in Somewhere di Sofia Coppola e che qui si conferma alla grande. Inoltre è la sorellina di Dakota Fanning, attrice non a caso parecchio spielberghiana de La guerra dei mondi e della serie tv Taken, tanto per sottolineare come l’universo di riferimento sia sempre questo.
Della Fanning jr. finiranno per innamorarsi sia il regista cicciobomba che il suo migliore amico, per un triangolo amoroso che ricorda da vicino proprio Dawson, Pacey e Joey di Dawson’s Creek. E insomma si ritorna sempre lì.
Altri punti di riferimento sono poi le storie fanciullesche degli ’80 tipo Goonies, E.T., Explorers e Stand by me, cosa che significa: goduria allo stato puro! La genuinità dell’omaggio a questo tipo di pellicole si denota nella splendida atmosfera perfettamente ricostruita (quasi ai livelli di Donnie Darko, e ho detto quasi) nella scelta dei dettagli e anche nella cura dei personaggi minori, come il divertente fattone ironicamente interpretato da David Gallagher (il bimbominkia della famiglia Camden di Settimo Cielo, quella che cacciava l'altro figlio di casa perché si era fatto una canna!) o il ragazzino fissato con le esplosioni. Personaggi-minori spassosi che rendono il tutto ancora più mitico, proprio come aaaah (sospiro nostalgico) nelle pellicole anni Ottanta, mentre spesso nei film odierni si tende a dare poca importanza a questi elementi solo in apparenza di secondaria importanza.
A completare il cast c’è Kyle Chandler dell’ottima serie tv Friday Night Lights, alle prese con il ruolo da tipico padre duro vecchio stampo ma in fondo buono che tanto gli riesce bene, la gnoccola di turno AJ Michalka (sorella della strappona protagonista di Hellcats) più una serie di bambinetti, quelli con lo sguardo sempre rivolto verso l'alto, che sanno il fatto loro.

Non contento dei mille e uno riferimenti, J.J. Abrams cita un pochino pure se stesso, visto che in una scena spettacolosa il giovane protagonista vaga tra le macerie di un incidente di treno come Jack nella puntata pilota di Lost tra le macerie dell’815 dell’Oceanic.
E insomma, Super 8 è un super film concepito da chi tra la fine dei ’70 e gli anni ’80 e in un certo tipo di cinema ci ha lasciato il cuore. Proprio come Steven Spielberg. Proprio come J.J. Abrams. Proprio come Dawson Leery. E, guardiamo in faccia la realtà, proprio come noi.
(voto super 8/10)

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