(Giappone 2001)
Titolo originale: Sen to Chihiro no kamikakushi
Regia: Hayao Miyazaki
Cast: Chihiro/Sen, Haku, Yubaba, Zeniba, Kamaji, Spirito senza volto
Genere: trip animato
Se ti piace guarda anche: Alice nel paese delle meraviglie, Coraline e la porta magica, Il mago di Oz, Il castello errante di Howl, Ponyo sulla scogliera, Principessa Mononoke
Trama semiseria
La città incantata è un viaggio mentale stile Alice nel paese delle meraviglie in versione giapponese. Se entrambi sono quindi perfetti per una visione sotto acidi, il nippo ha dalla sua una maggiore spiritualità e un più profondo senso del magico, laddove il mondo di Lewis Carroll era più che altro follia pura. Grande protagonista anche in questo caso è l’immaginazione infantile: è tutto un sogno nella mente della protagonista oppure la vicenda è reale? In ogni caso a fare la solita figura barbina sono gli adulti, soprattutto i genitori della ragazzina che entrano come sciagurati nello splendore della città abbandonata, si magnano senza rispetto il cibo degli spiriti e per punizione vengono trasformati in maiali. Per risolvere la complicata situazione, la giovane protagonista Chihiro si avventura così nella misteriosa città piena di spiriti, rane, maiali e streghe, ma ce la farà a tornare con i suoi genitori nel mondo dei vivi?
Recensione cannibale
Hayao Miyazaki è il fondatore dello storico studio d’animazione giapponese Studio Ghibli, è un regista, sceneggiatore, produttore, animatore, autore di fumetti pazzesco ed è considerato uno dei più grandi geni viventi. Non avevo mai visto un film di Hayao Miyazaki fino a pochi giorni fa. Coooooosa???
“Sacrilegio!”
Erano mesi, forse anni, che pianificavo di vedere qualcosa di suo ma per un motivo o per l’altro rimandavo sempre, fino a che ultimamente mi è tornata una notevole passione per il Giappone grazie al film Confessions. E qui i detrattori di quest’opera indigesta, chic e radicalmente radical-chic urleranno al
“Doppio sacrilegio!!”
In effetti Confessions e l’immaginario di Miyazaki hanno poco o nulla in comune tra loro a parte il paese di provenienza, ma tant’è, e così mi sono ritrovato finalmente a guardare il suo film probabilmente più famoso e celebrato, quel La città incantata vincitore dell’Orso d’oro e del premio Oscar che da tempo giaceva negli archivi polverosi e pieni di ragnatele del mio hard disk. Quand’ecco che folgorato dal ritorno di fiamma giapponese premo play e
“Banzai!”
L’incanto di questo film sta nelle piccole cose, nella costruzione dell’atmosfera. Sta nel vento che agita i capelli dei personaggi mostrandoci i loro tumulti interiori. Sta nella vita che contiene al suo interno. I luoghi sono così pieni di personaggi e di movimento che sembrano avere una vita propria anche all’infuori del film, anche all’infuori di ciò che ci viene mostrato. È questa la cosa più importante, il potere dell’immaginazione: dare vita a un mondo che va ben al di là delle 2 ore di film e può continuare indipendentemente per conto suo.
I dettagli sono fondamentali e anche i più piccoli particolari sono curati con estrema cura e genialità, come il ranocchio che in una scena si guarda intorno dopo essere caduto e che poi ritornerà sputato fuori dallo spirito senza volto. I personaggi riecheggiano Alice nel paese delle meraviglie, con la potente e malvagia strega Yubaba pazza e incazzosa sullo stile della Regina di cuori e il curioso uomo con mille braccia della caldaia che è una sorta di Brucaliffo meno saggio, mentre il misterioso spirito senza volto sembra uno Stregatto meno chiacchierone. Il drago volante alter-ego dello sfuggente Haku mi ha ricordato invece Falcor de La storia infinita, ma questa è un’altra storia ed è appunto infinita quindi meglio non cominciarla che sennò il post si fa troppo lungo.
Oltre ad animazioni estremamente curate e in grado di dare una reale vita ai personaggi, le stupende musiche di Joe Hisaishi (autore anche per Departures e per molti film di Takeshi "Beat" Kitano) vanno a comporre una delle soundtrack più affascinanti mai sentite e sono in grado di riecheggiare certi lavori di Nino Rota per Fellini. Ogni elemento è quindi ben calibrato e volto a creare stupore continuo, con una naturalezza e una semplicità però disarmanti.
La città incantata si materializza quando il cinema non è sogno, ma il sogno diventa cinema. E dopo questa minchiata marzulliana il mio corpo lentamente svanisce come quello di uno spirito.
“Arigato”
(voto 8,5)