Cast: Kate Winslet, Josh Brolin, Gattlin Griffith, Clark Gregg, James Van Der Beek, Tom Lipinski, Maika Monroe, Brooke Smith, Brighid Fleming, J.K. Simmons, Lucas Hedges, Dylan Minnette, Tobey Maguire
Genere: racconto di formazione
Se ti piace guarda anche: L’uomo senza volto, Mud, Stand by Me - Ricordo di un'estate
La giornata dei lavoratori negli USA si festeggia il primo lunedì di settembre. Perché?
Questo, se proprio vi interessa, ve lo potete leggere su Wikipedia.
In Italia invece la Festa del lavoro è tradizionalmente oggi. Solo perché un gruppo di artisti pseudo alternativi possano avere l’occasione di suonare al concertone del Primo Maggio? O per quale altro motivo?
Magari lo sapete già, in caso contrario potete scoprirlo sempre su Wikipedia.
Se vi interessano tutte queste cose, fate insomma che trasferirvi su Wikipedia, così vi fate una cultura. Se invece vi interessa sapere qualcosina sul film intitolato Labor Day e previsto in uscita in Italia, anche se non si sa bene ancora quando, con il titolo Un giorno come tanti, siete nel posto giusto.
Un giorno come tanti è un film come tanti?
No. Magari una volta. Oggi, e con oggi intendo non il Primo Maggio bensì il presente, non è una pellicola di quelle che si vedono tanto spesso. È un racconto di formazione più di quelli tipici degli anni ‘80/’90. Quei film come L’uomo senza volto, L’attimo fuggente o Stand by me. Non a caso è ambientato proprio negli 80s, più precisamente nel 1987, durante il weekend del Labor Day. Io sono un appassionato delle pellicole che come collocazione temporale vanno indietro in quel periodo, come Donnie Darko o Take Me Home Tonight, però va detto che per questo film il regista Jason Reitman ha fatto una scelta differente. Non ha puntato sulle canzoni e sugli abiti dell’epoca. Non ha inserito molti riferimenti espliciti a quel periodo. Jason Reitman ha deciso di raccontarci una storia quasi fuori dal tempo, ambientata nel passato, ma girata con uno stile da pellicola indie intimista odierna (e con odierna intendo sempre del presente, non del Primo Maggio). Niente Duran Duran, allora. Niente Madonna o Michael Jackson o capelli cotonati o inguardabili abiti iper-colorati. Manca qui la goduriosità dei superficiali anni ’80. Quella potete proprio scordarvela. Un giorno come tanti – Labor Day punta su altri elementi. Quali?
Questa è una risposta che NON potete trovare su Wikipedia, ma solo su Pensieri Cannibali.
"Sono un ricercato internazionale peggio di Dell'Utri, però chissene,
giochiamo a baseball!"
Il film parte da uno spunto thriller, che qualche regista sadico avrebbe potuto virare verso il genere splatter horror e invece Jason Reitman no. La pellicola inizia con il bruto Josh Brolin, un assassino appena evaso di prigione, che prende in ostaggio un ragazzino (l’emergente Gattlin Griffith, che sì, si chiama proprio Gattlin) e sua mamma (la solita brava Kate Winslet). Se a questo punto vi aspettate una serie di torture o un’adrenalinica pellicola ad alta tensione, di quelle con gli ostaggi e un’agente dell’FBI prossimo alla pensione che cerca di farli uscire tutti sani e salvi, pure in questo caso vi sbagliate. Quindi in questo film non ci sono canzoni 80s, né capelli cotonati e manco delle scene di tortura. E cosa c’è, allora?
C’è una storia d’amore. Vi viene in mente la Sindrome di Stoccolma? In questo caso avete ragione. Questo film è l’inno supremo alla Sindrome di Stoccolma. La casalinga disperata Kate Winslet, che non vede un bigolo da parecchio tempo, si innamora del bel (insomma, si fa per dire) assassino Josh Brolin che ha rapito lei e il figlio, ma l’ha fatto in maniera assai delicata, da vero e proprio gentiluomo. Al fascino del criminale è davvero difficile resistere e Kate Winslet manco ci prova. Dimenticando di essere sequestrata da un omicida ricercato in tutta la città, lo ospita a casa sua e si mette a disegnare cuoricini sul suo diario e sulle mutandine come una teenager in love.
In Un giorno come tanti c’è una storia d’amore, ma non solo. Il punto di vista è quello del figlio di Kate Winslet e questa è allora anche e soprattutto, come dicevamo all’inizio, una vicenda di formazione. Il ragazzino in quei giorni di inizio settembre del weekend del Labor Day 1987 vive un’esperienza che cambierà per sempre la sua vita. Innanzitutto perché non capita tutti i giorni di essere presi in ostaggio da un assassino, e soprattutto da un assassino che si rivela pure un uomo gentile e premuroso e che si vuole fare sua mamma. Allo stesso tempo, entrano in gioco anche altri fattori. I suoi genitori sono divorziati e, finalmente, ha l’opportunità di vedere sua madre felice, capace di riprendere in mano la sua vita per la prima volta da quando il marito l’ha abbandonata per correre dietro alla segretaria, un classico. Inoltre, il ragazzino protagonista vivrà la sua prima cotta pre-adolescenziale, grazie all’arrivo in città di una bambinetta (l'attrice rivelazione Brighid Fleming) che, nonostante abbia tipo 12 anni, sta già attraversando una fase di depressione giovanile pre-grunge. Pure lui, così come sua madre con il bandito, non potrà resistere al fascino della ribelle.
Un giorno come tanti parte allora come un thriller come tanti e poi diventa qualcosa di totalmente differente. Una pellicola in grado di avvolgere a sé lo spettatore con i suoi ritmi lenti e capace di toccare il cuore, anche dei meno sensibili, grazie a una parte finale che vi sembrerà o una ruffianata colossale, oppure vi farà piangere come vitelli.
Perché si dice piangere come vitelli?
La risposta a questa domanda non la trovate su Wikipedia, bensì su questo piccolo e non so quanto attendibile sito, La stradaweb.it.
Pensieri Cannibali risponde invece a un altro quesito. Un giorno come tanti è un film che va visto?
Sì, magari proprio oggi, in questo Labor Day italiano.
Cast: Melanie Griffith, Sigourney Weaver, Harrison Ford, Alec Baldwin, Joan Cusack, Kevin Spacey, Oliver Platt, Jeffrey Nordling
Genere: laborioso
Se ti piace guarda anche: Crime d’amour, Il segreto del mio successo, Il diavolo veste Prada, Jerry Maguire, Wall Street
“Ho un cervello per gli affari e un corpo per il peccato, ci trovate qualcosa da ridire?”
Tess McGill (Melanie Griffith)
C’è qualcosa di più anni ‘80 di Una donna in carriera?
Forse possono competere giusto Il segreto del mio successo, Wall Street, gli Wham!, i paninari, il programma Drive In e Heather Parisi.
Che fine ha fatto Heather Parisi?
Non lo so e non lo voglio sapere. Probabilmente sta in mezzo alle cicale, cicale cicale cicale.
(Madonna che video!
Nel senso che Madonna un video così se lo sogna...)
Dalla prima fino all’ultima scena, Una donna in carriera (Working Girl) è un tripudio di ottantitudine.
A partire dal cast con Harrison Ford, Sigourney Weaver, Melanie Griffith e, soprattutto, i capelli di Melanie Griffith!
Tra le tante cose degli 80s che sono tornate di moda nel passato più o meno recente, per fortuna non ci sono state le pettinature vaporose come quella sfoggiata dalla Griffith all’inizio del film. Che l’umanità stia facendo progressi?
Il film è una celebrazione dei valori del capitalismo americano più spinto. Quello del farcela a tutti i costi. Farcela a fare cosa?
Ad avere una carriera e ad essere rispettati nel mondo del lavoro, meglio se nell’alta finanza, meglio se a Wall Street, altrimenti sei solo uno sfigato. Roba che se uscisse oggi ci sarebbe da guardarlo sdegnati, però all’epoca ci poteva stare. Anche perché poi Una donna in carriera è un film di denuncia…
Ehm, no eh?
Diciamo allora che cerca comunque di presentare un’etica del lavoro fondata sulla libera competizione, come quando Melanie Griffith la segretaria intraprendente gioca sporco con Sigourney Weaver la capa stronza, credendo che quest’ultima le abbia soffiato una sua idea, e forse è proprio così o forse no, e insomma il tutto si trasforma in un girl fight a tutti gli effetti, soltanto che anziché lottare nel fango, le due se le danno di santa ragione a suon di contatti con uomini potenti e finiscono invischiate immancabilmente pure in un triangolo amoroso con Harrison Ford. Indiana Jones in persona. Han Solo in persona. L’attore che non azzecca più manco mezzo film da almeno un decennio e forse anche da molto di più in persona.
Anche Melanie Griffith non arriva da un periodo molto fortunato, a livello di carriera; negli ultimi tempi la si è vista solo nella stagione finale di Nip/Tuck, dove interpretava la madre di Kimber, e da allora è passato già qualche anno. Colpa proprio di quella stessa chirurgia estetica protagonista di Nip/Tuck che l'ha trasformata così?
Meglio stanno andando le cose a Sigourney Weaver. Al di là dell’apparizione nell’atroce Avatar diretta dal suo regista preferito (e mio meno preferito) James Cameron, è infatti comparsa in qualunque film (Abduction, La fredda luce del giorno, Quella casa nel bosco, Ancora tu!, Paul, Rampart…) ed è protagonista pure della nuova serie Political Animals, discretamente interessante.
A me non è mai piaciuta e continua a non piacere, però devo dire che in Una donna in carriera, nella parte della stronzilla, se la cava alla grande. Sarà un caso?
Nel cast timbra il cartellino di presenza anche Kevin Spacey, in un’apparizione flash però memorabile in cui interpreta il tipico uomo d’affari 80s cocainomane e sessuomane, che così tanto assomiglia al tipico uomo d’affari d’oggi cocainomane e sessuomane. Performance breve, ma fenomenale. E poi c’è anche Alec Baldwin. Alec Baldwin e il suo petto villoso pure questo troppo 80s.
"Hey tu, ieri sera mi sembravi molto più sexy. Avrò mica bevuto troppo?"
"Auguri ai tuoi capelli! Sono 3 decenni che non vedono un parrucchiere, vero?"
Non l’ho ancora detto? Davvero? E allora lo dico: la pellicola è diretta dal solito buon Mike Nichols, uno che è riuscito a passare con disinvoltura attraverso i vari decenni, dal film simbolo dei 60s Il Laureato alla splendida disamina delle relazioni moderne di Closer.
La colonna sonora è poi firmata da Carly Simon. Una che se non ne sapete nulla di musica anni Ottanta dopo aver sentito il suo nome domanderete: “Chiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii?” perché è una cantante pure lei troppo 80s, di quelle che l’1 gennaio 1990, allo scoccare della mezzanotte, è sparita nel nulla. È finita in un’altra dimensione, insieme a molti altri artisti simbolo del decennio, spazzati via dal grunge, dall riff di Smells Like Teen Spirit, dalla Generazione X e da Quentin Tarantino.
Ma gli anni Ottanta si sarebbero rifatti qualche tempo più tardi, facendo la loro riapparizione nell’immancabile revival degli ultimi anni, a livello di musica, di stile, di cinema, di moda, ma per fortuna non di capigliature. Yuppie!
(voto 6,5/10)
ATTENZIONE SPOILER
P.S. Due parole, ma anche qualcuna in più, a proposito della scena finale della pellicola: Melanie Griffith corona il suo sogno di Working Girl e da semplice segretaria (nessuna offesa nei confronti delle semplici segretarie) ottiene un ufficio tutto suo. E senza nemmeno fare troppi pompini in giro, Harrison Ford a parte. La macchina da presa poi si allontana e ci mostra Melania dentro il suo ufficio, al fianco di decine, centinaia, di altre persone chiuse nei loro uffici del grattacielo. Il classico lieto fine, con la protagonista che ha ottenuto ciò che vuole. Bene così?
Montato con una musica differente, il finale potrebbe però essere visto sotto una luce ben più negativa. Come l’alienazione totale all’interno della società moderna. Il capitalismo più sfrenato che inghiotte le persone e le fa diventare dei criceti isolati, ognuno chiuso dentro il suo ufficetto, impegnato a fo**ere gli altri nella maniera migliore per ottenere un ufficio ancora più grande e ancora più isolato.
Happy ending, dunque, oppure uno dei finali più inquietanti e preoccupanti nella storia del cinema?
C'è un brufolo sulla mia faccia che non vuole morire. Mi guarda con quel suo unico occhione bianco e mi supplica "Amico, ti prego." Ti si scioglie il cuore. "Ti preego". La pietà è un sentimento facile da suscitare in noi umani. "Ti preeeego." Oh, andiamo. "Sono troppo giovane per morire," mi fa. "Non mi sono ancora innamorato. Non ho mai visto Parigi." Ma questo è un ricatto morale bello e buono. Così non vale.
Ho il dito pigiato contro il grilletto, ma è dura far partire il colpo. "Amico, amico. Aspetta un minuto: ti posso dare dei soldi. Quanto vuoi? 10,000? 20,000? Ho un conto in Svizzera, ti posso fare un assegno da 50,000, d'accordo?" La tentazione è forte. Soldi, soldi, soldi. Soldi, tanti soldi, canticchio davanti allo specchio. Ma, un momento. No, io non sono un venduto. "Amico, non vuoi i soldi? Ti posso procurare donne, tante donne." Lo guardo niente affatto convinto. "Oppure uomini. Vuoi uomini?" I miei occhi iniettati di rabbia si fissano nel suo unico occhio bianco spaventato. La sua morte si fa vicina, e lui lo sente. Uomo morto in marcia."Non voglio morire," piagnucola. "Fa così freddo, qui. Lo senti?" Io non lo sento. Sento solo il caldo provocatomi dal potere. Il potere di ferire, schiacciare, distruggere. Sto per farlo.
"D'altronde," sospira interrompendomi, "tutti dobbiamo morire prima o poi." Quella sua rassegnazione mi impietosisce, così gli concedo di scegliere come vuole che sia la sua morte. "Preferisci la soluzione veloce, ovvero ti schiaccio con i miei polpastrelli, manco te ne accorgi e in un attimo non ci sei più. Oppure c'è l'altra soluzione: Clearasil Ultra e una lenta agonia che ti tiene compagnia per tutta la notte." Il brufolo è oltre, ha raggiunto un stato di coscienza superiore. "Avanti, amico," mi fa, "fai come preferisci. Io adesso sono pronto." Non c'è niente che fa più compassione di chi non vuole fare compassione. "Hai vinto, amico," gli concedo seccato. Domani mi toccherà andare al colloquio con un brufolo sulla faccia, dannata compassione. "Wow ragazze, sono ancora vivo!" il brufolo chiama a raccolta il suo piccolo harem, "stasera si fa festa tutta la notte." E io domani al colloquio oltre all'acne avrò pure le occhiaie per non aver dormito. Dannata vita segreta dei brufoli!
Questo blog non rappresenta una testata giornalistica, pertanto non può considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001. L'autore, inoltre, non ha alcuna responsabilità per il contenuto dei commenti relativi ai post e si assume il diritto di eliminare o censurare quelli non rispondenti ai canoni del dialogo aperto e civile. Salvo diversa indicazione, le immagini e i prodotti multimediali pubblicati sono tratti direttamente dal Web. Nel caso in cui la pubblicazione di tali materiali dovesse ledere il diritto d'autore si prega di Contattarmi per la loro immediata rimozione all'indirizzo marcogoi82@gmail.com