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mercoledì 2 marzo 2016

Carol e la discriminazione verso i film d'amore





Carol
(UK, USA 2015)
Regia: Todd Haynes
Sceneggiatura: Phyllis Nagy
Ispirato al romanzo: The Price of Salt (Il prezzo del sale) di Patricia Highsmith
Cast: Rooney Mara, Cate Blanchett, Sarah Paulson, Kyle Chandler, John Magaro, Jake Lacy, Carrie Brownstein
Genere: melò retrò
Se ti piace guarda anche: Lontano dal paradiso, In the Mood for Love, Mad Men, La vita di Adele

Carol è un film d'amore. Il suo “problema” è quello. Andando a guardare da vicino, non è poi nemmeno solo un film d'amore, ma è una pellicola che affronta anche il tema dell'accettare se stessi, dell'andare contro le regole comunemente riconosciute dalla società e le facili etichettature, del trovare il coraggio di prendere la propria strada. Letteralmente salire sull'auto e prendere la propria strada, con una fuga dal resto del mondo che può sembrare l'equivalente romantico di quanto fatto dal solitario protagonista di Into the Wild - Nelle terre selvagge.

lunedì 1 febbraio 2016

Family? Ma day!





Freeheld - Amore, giustizia, uguaglianza
(USA 2015)
Regia: Peter Sollett
Sceneggiatura: Ron Nyswaner
Cast: Julianne Moore, Ellen Page, Michael Shannon, Steve Carell, Luke Grimes, Josh Charles, William Sadler, Gabriel Luna, Tom McGowan, Kelly Deadmon, Mina Sundwall
Genere: civile
Se ti piace guarda anche: Jenny's Wedding, Io e lei, Carol, The Danish Girl, The L Word

Ci sono film che andrebbero proiettati, e non intendo in una scuola di Cinema. Freeheld - Amore, giustizia, uguaglianza non è certo un capolavoro cinematografico e, sottoposto all'impietoso giudizio di un branco di spietati studenti universitari verrebbe facilmente massacrato. Lo si potrebbe bollare come un film “televisivo”, ma sarebbe un insulto. Un po' come usare la parola F per parlare di un omosessuale o dell'allenatore dell'Inter. Meglio quindi non farlo. Meglio dire che Freeheld è girato più o meno sui livelli di una fiction Rai. Dite che è un insulto ancora peggiore?
Avete ragione.

Freeheld potrebbe allora essere proiettato in una scuola, elementare, media o superiore che sia, e male non farebbe. I ggiovani d'oggi però sono meno bimbiminkia di quanto i media e i social network ci vogliono far credere. Bullismo e mentalità del branco sono ancora presenti, e purtroppo lo saranno probabilmente sempre. I ragazzi d'oggi stanno comunque crescendo con una mentalità più aperta rispetto alle generazioni precedenti, e ci metto dentro pure la mia, e non hanno più tutta questa paura per il “diverso”, che con questa brutta parola si intenda il gay oppure lo straniero.

Freeheld allora meriterebbe di essere proiettato soprattutto per quelle persone che si stanno recando a un Family Day.


sabato 11 gennaio 2014

LA VITA DI ADELE È UNA COSA MERAVIGLIOSA




La vita di Adele
(Francia, Belgio, Spagna 2013)
Titolo originale: La vie d’Adèle
Regia: Abdellatif Kechiche
Sceneggiatura: Abdellatif Kechiche, Ghalia Lacroix
Tratto dalla graphic novel: Il blu è un colore caldo di Julie Maroh
Cast: Adèle Exarchopoulos, Léa Seydoux, Salim Kechiouche, Aurélien Recoing, Catherine Salée, Alma Jodorowsky, Jérémie Laheurte, Benjamin Siksou, Mona Walravens, Anne Loiret, Benoît Pilot, Sandor Funtek, Samir Bella
Genere: porno lesbo d’autore
Se ti piace guarda anche: Laurence Anyways, La classe, Polisse, Kids

Adele non è quella di “Someone like youuuuu!”, la canzone preferita da quelli che dedicano una canzone in radio al proprio tipo/tipa senza rendersi conto che il testo parla di una rottura, non di un amore destinato a durare in eterno. O meglio, Adele è sì quella di “Someone like youuuuu!” e altre strepitose canzoni che parlano per lo più di cuori spezzati, ma non è lei l’Adele di cui ci occupiamo oggi.
L’Adele di cui ci occupiamo oggi è una ragazza di Parigi all’ultimo anno di liceo e alle prese con i primi stravolgimenti sentimentali e sessuali. Esce con un ragazzo, uno che fa musica ma non ha mai letto un libro in vita sua a parte Le relazioni pericolose che in pratica gliel’ha letto il prof. a scuola al suo posto spiegandogli per filo e per segno ogni passaggio, altrimenti lui non ci capiva una cippa. Adele invece è una che adora leggere. Oltre a essere una bella fig... pardon femme, è anche interessante e interessata a livello culturale. Un’altra cosa che le piace, oltre ai libri, sono le ragazze. Frequenta questo tipo semi analfabeta, ma in giro guarda le girls. Soprattutto quelle con i ragazzi blu. È un po’ confusa, non sa cosa scegliere.

Ragazzi?
"Già finito?"

O ragazze?

Ragazze, ovvio!

Adele va così per locali “alternativi” insieme al suo amico gay e finisce in un bar per lesbiche, dove ritrova la misteriosa ragazza con cui aveva incrociato per magia lo sguardo qualche giorno prima: Emma (Léa dai capelli blu Seydoux). E da lì comincia la loro storia d’amore. D’amore e sesso. Tanto sesso. Ma proprio tanto. Roba che di scene così lunghe ed esplicite di sesso non se ne vedono molto spesso nel cinema. Nel cinema non porno.
Quindi, in pratica, La vita di Adele è un porno lesbo, con in più una gran bella trama che ci racconta dell’educazione sentimentale della sua protagonista. Ovvero un capolavoro. O un quasi capolavoro.


Adele è portata sullo schermo da Adèle Exarchopoulos, giovane promettentissima attrice francese di chiare origini greche. Io mi chiedo: ma quando il regista francese di chiare origini tunisine Abdellatif Kechiche l’ha ingaggiata per il film, poteva immaginarsi che gli avrebbe regalato una performance del genere? Che Léa Seydoux fosse brava già si sapeva, ma questa giovane quasi esordiente totale?
Adèle Exarchopoulos in questo film ha messo tutta se stessa, sia a livello fisico - e che fisico! - che recitativo, non risparmiandosi in nessun frangente, soprattutto quelli sessuali. Se il personaggio di Adele prende vita è soprattutto per merito suo. Per carità, Kechiche è bravissimo a girare con uno stile che combina porno, neorealismo, nuova scuola francese (quella stile La classe, Polisse e 17 ragazze), più dogma 95 style alla Lars Von Trier giusto un po’ meno perfido e misogino. Bravo Kechiche, però sarebbe davvero difficile pensare il film con una protagonista differente. Adele è Adèle. Non la cantante: Adèle Exarchopoulos.
Provate a immaginare se il film fosse stato girato in Italia. Provate a immaginare una Alessandra Mastronardi o una Martina Stella al suo posto. Il regista sarebbe anche potuto essere Kubrick, ma ne sarebbe uscita una porcata. Invece ne è venuto fuori il film vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes 2013. Un capolavoro. O quasi, dicevamo.


Perché La vita di Adele non è un capolavoro, ma “solo” un quasi capolavoro?
La pellicola è divisa in due capitoli. Il primo è stupendo. Uno dei più bei ritratti teen mai visti. Un racconto di formazione che affronta il tema della confusione sessuale di petto, letteralmente, e ci presenta una storia d’amore in maniera poetica ma non sdolcinata.
Il secondo capitolo è diverso. Non è che faccia schifo, nient’affatto. La sensazione che ho avuto è però che ci siano troppi salti temporali, alcuni piuttosto repentini. Come se il film, che fino a quel momento si era preso tutto il tempo che voleva per dare vita ad Adele, si fosse improvvisamente messo a fare uno scatto, finendo per raggiungere il traguardo con un po’ di fiatone. In maniera analoga a quanto successo con un altro film simile, l’affascinante ma meno riuscito Laurence Anyways di Xavier Dolan, con cui ha in comune il tema della confusione sessuale, così come una lunghezza esagerata e una parte conclusiva che finisce per diventare un pochetto ripetitiva, visto che ATTENZIONE SPOILER anche in questo caso abbiamo un re-incontro doppio tra le due protagoniste, Adele ed Emma, che volendo si poteva ridurre a uno solo. FINE SPOILER
Questo giusto per andare a cercare il pelo nell’uovo. Che poi qualcuno di voi ha mai trovato un pelo in un uovo, in vita sua?
Che schifo!


Al di là come detto di questo piccolo difettuccio, che comunque contribuisce a renderlo ancora più umano e vivo, La vita di Adele è un filmone fiume meraviglioso che nel corso delle sue 3 ore conquista e travolge grazie alla sua impressionante intensità. Una pellicola che fa innamorare, non tanto della Seydoux dai capelli blu, ma di Adele.
Adele chi?
La vita di Adele è un film spezzato in due parti che parla di un cuore spezzato, quindi sì, alla fine in pratica è come una canzone di Adele. Quella di “Someone like youuuuu!”.
(voto 9/10)


giovedì 21 aprile 2011

Kaboom

Se tutti i film avessero titoli fichi come questo, non dovrei nemmeno sforzarmi di trovarne di nuovi per i miei post. Per fortuna non è così, altrimenti andrebbe a mancare una delle parti più divertenti in fase di scrittura. Per questo post avevo anche pensato come titolo alternativo “Boom shakalaka”, ma direi che l’originale rende meglio ed è più potente, perchè questo film è una pura botta in vena. Kaboom!

Kaboom
(USA, Francia 2010)
Regia: Gregg Araki
Cast: Thomas Dekker, Haley Bennett, Juno Temple, Roxane Mesquida, James Duval, Chris Zylka, Andy Fisher-Price, Brandy Futch, Nicola LaLiberte, Kelly Lynch
Genere: nonsense
Se ti piace guarda anche: Le regole dell’attrazione, Cashback, Ecstasy Generation, Doom Generation, Kids, Party Monster, Rubber

“I sogni sono quello che il tuo cervello butta nel cesso alla fine della giornata.Non significano niente.”

Trama semiseria
Smith è un ragazzo gay che impazzisce per il suo compagno di stanza, un surfista palestrato, ma finisce a letto con una tipa. La sua migliore amica è etero però finisce a letto pure lei con una tipa, che però si rivelerà essere una strega. Una strega vera. Poi qualcuno va ancora a letto con qualcun altro, si consumano droghe, si finisce vittima di paranoie, misteriosi rapimenti e sparizioni, complotti segreti orditi alle spalle di tutti. Realtà o allucinazione? Cosa importa? L’unica cosa che conta è che all’università si fa tutto fuorché studiare.

Recensione cannibale
Si può cercare una spiegazione, per un film come Kaboom. Si può passare intere giornate a cercare un filo logico che colleghi tutte le parti e non riuscire a trovarlo. Oppure con l’ausilio di qualche sostanza dopante si può anche riuscire nell’impresa. Ma il punto di un film come questo non è tanto razionalizzare, spiegare e fare tutte queste cose noiose. L’unica cosa che bisogna fare con un film come Kaboom è guardare e godere.
Sì, perché Kaboom è praticamente un soft-porno girato da Dio (sì, proprio lui sotto le mentite spoglie di Gregg Araki), con un cast di attori e attrici bellissimi e pure bravi, una trama nonsense che frulla teen drama, lampi horror, fantasy visionario, teorie complottistiche e apocalittiche con qualunque altra idea figa vi possa passare per la mente, il tutto condito da dosi massicccccce di droghe, visioni e sogni vari, tipi mascherati da animali, abbondante e completa libertà sessuale, atmosfere da romanzo di Bret Easton Ellis, una spruzzata di occultismo e di paranormale, più una colonna sonora da incanto con Horrors, Yeah Yeah Yeahs, Pains of Being Pure at Heart, Ladytron, Placebo eccetera. Cosa chiedere di più? Io davvero niente.

Il cast è ripieno di future star: Thomas Dekker è il ragazzino più o meno emo ma non scemo già visto in Heroes, nella serie tv di Terminator e prossimamente in Secret Circle, il The Vampire Diaries ambientato nel mondo stregonesco. E a proposito, nella parte della strega in questo film troviamo una splendida più che mai Roxane Mesquida, francesina già vista in A mia sorella! e nel recente, discusso e geniale Rubber. Nella parte del surfista che si chiama Thor c’è Chris Zylka, un tizio che sembra l’into the wild Emile Hirsch solo più fisicato, nella parte del Messiah (avete capito bene), Araki tira invece fuori il suo attore feticcio: James Duval, noto anche come l’uomo mascherato da coniglio in Donnie Darko. E poi due bionde che se non diventano delle dive di Hollywood il mondo gira proprio al contrario: la notevole Haley Bennett (The Hole 3D, The Haunting of Molly Hartley, Io & Marley) e Juno Temple, vista accanto a Jared Leto in Mr. Nobody e destinata davvero a grandi cose, tanto che Christopher Nolan per non sbagliare l’ha già scritturata per il prossimo Batman (anche se solo in una parte minore).

Il regista Gregg Araki è tornato quindi qui alle atmosfere fuori di testa e apocalittiche di Doom Generation ed Ectasy Generation. L’ha fatto alla grande e con rinnovata ispirazione, dopo la parentesi comunque più che felice del poetico Mysterious Skin, e ha tirato fuori la sua pellicola più fresca e tirata. Una storia veloce e inebriante come uno shooterino che giunge alla volata finale con “The Bitter End” dei Placebo sparata a mille, in una scena da super delirio cosmico in bilico tra genialità e ricovero immediato al reparto neuro. Vi potrà sembrare o una minchiata totale, un modo facile facile per far terminare la pellicola, oppure il perfetto finale con il Boom (anzi, il Kaboom). Provate un po’ ad indovinare da che parte sto io?

Un film del genere ha senso? Forse no, ma perché rovinare tutto cercando sempre una spiegazione, un filo logico alle cose? Prendete e godetene tutti. Non era questo, in fondo in fondo, il succo del discorso di Gesù Cristo?
(voto 8,5)

domenica 21 novembre 2010

Famiglia cristiana

The Kids Are All Right
(USA 2010)
Regia: Lisa Chodolenko
Cast: Julianne Moore, Annette Bening, Mia Wasikowska, Josh Hutcherson, Mark Ruffalo, Yaya DaCosta, Zosia Mamet, Eddie Hassell, Kunal Sharma
Genere: famiglie particolari
Links: IMDb, mymovies
Se ti piace guarda anche: Juno, Laurel Canyon, The L Word, United States of Tara

Un film su una famiglia, un altro, l’ennesimo? Beh, la famiglia protagonista di “The Kids Are All Right” non è esattamente quella classica da mulino bianco: le due mamme sono una coppia lesbica che hanno avuto un figlio per una dallo stesso donatore e i due figli ormai adolescenti sono quindi curiosi di conoscere il loro vero padre biologico. Scoprono così che si tratta dello stralunato Mark Ruffalo, un trentaequalcosa piuttosto fulminato con cui però stringeranno un buon legame.

Il film parte come meglio non potrebbe, con i Vampire Weekend in colonna sonora e già così basta a indirizzarsi sui binari giusti di una piacevole commedia indie, che musicalmente passa da David Bowie a Joni Mitchell e chiude sui titoli di coda con “The Youth” (e non “Kids”, come era lecito immaginarsi) degli MGMT.
La prima parte è piuttosto travolgente e tratta la tematica della coppia saffica in maniera ironica e senza farsi prendere troppo la mano dagli stereotipi, con un’attenzione particolare rivolta ai figli della coppia. Peccato però che invece nella seconda parte diminuisca un po’ il ruolo dei kids del titolo per concentrarsi maggiormente sugli adulti del cast e su un triangolo amoroso non poi così inaspettato.

Lo stile visivo e le tematiche di Lisa Chodolenko, già segnalatasi alla regia di alcuni episodi della serie tv lesbo (non credo sia una coincidenza) “The L Word” e del film “Laurel Canyon”, sembrano una versione più pulita del cinema di Gus Van Sant o di Larry Clark, come il suo “Kids” solo più all right appunto. Il respiro è quindi quello leggero di pellicole indie recenti come “Juno”, sebbene la verve e la riuscita dei dialoghi sia inferiore.

Fulminante il cast, con la coppia lesbo Annette Bening-Julianne Moore già in profumo di nomination agli Oscar, un Mark Ruffalo eccezionale in grado di tirar fuori un sacco di facce da pirla, Mia Wasikowska giovane attrice fenomeno già vista nella serie tv “In Treatment” e nel corto zombie “I love Sarah Jane” e unica meraviglia del poco meraviglioso Wonderland dell’ultimo Tim Burton, mentre Josh Hutcherson era già stato giovanissimo protagonista de “Il ponte di Terabithia”, uno dei film per me più commoventi di sempre. Nei panni della “scopamica” di Ruffalo c’è poi questa Yaya DaCosta, attrice afro stilosissima che già mi immagino presenza fissa nel prossimo Tarantino. Con tanto di inquadrature sui suoi piedi.

Una famiglia non convenzionale per un film indie piuttosto convenzionale cui manca forse giusto lo spunto geniale e il colpo da KO ma che ha il grande pregio di farti innamorare dei suoi personaggi e alla fine riesce nell’obiettivo di far esclamare a tutti i kids là fuori (me Cannibal Kid compreso): yeah all right!
(voto 7+)

Il film dovrebbe uscire in Italia nel febbraio 2011 con il titolo per una volta non sputtanato “I ragazzi stanno bene”. Già ora è comunque disponibile in rete con sottotitoli italiani.

martedì 27 luglio 2010

Il grande inganno

Chloe – Tra seduzione e inganno
(USA, 2009)
Titolo originale: Chloe
Regia: Atom Egoyan
Cast: Julianne Moore, Amanda Seyfried, Liam Neeson, Max Thieriot, Nina Dobrev

Ci sono film brutti e altri semplicemente inutili. Ci sono anche quei film che possono vantarsi di rientrare in entrambe le categorie yuppidu! ed è il caso proprio di Chloe. La trama è roba da invidiare quella di un porno di infima qualità: una donna, insospettita dal comportamento piacione del marito nei confronti di qualunque essere di sesso femminile, ingaggia una escort per sedurlo. La rivincita delle Veronica Lario? Una profonda discesa negli inferi di una coppia benestante apparentemente perfetta alla Eyes Wide Shut? Ma và, niente del genere, si entra solamente in un’ossessione che però non scaturisce mai nella tensione thriller di un’Attrazione fatale in versione lesbo e persino le scene di “intimità” tra le due protagoniste non provocano molto più di uno sbadiglio.

La biondina Amanda Seyfried (già in Mamma mia, Mean Girls, Jennifer’s Body, Dear John) è carina, ha due belle tettine, è una buona promessa ma non ha la carica sessuale perversa di una Sharon Stone in Basic Instinct (l’1, il 2 non lo considero nemmeno) e questa non è la parte migliore per lei. E anche la rossa Julianne Moore è ben “lontana dal Paradiso”, tanto per citare una delle sue migliori interpetazioni; quanto a Liam Neeson, io quest’uomo non l’ho mai sopportato, ma qui dà veramente prova di avere una sola espressione: quella del pesce lesso. Persino il polpo Paul ha una maggiore mobilità facciale (la foto a lato ne è un lampante esempio...)

Per rimanere in tema acquatico, la trama non sapendo più che pesci pigliare ci mette dentro pure il figlio della coppia, a formare un quadrangolo amoroso che prometterebbe grandi, gargantuesche tensioni sessuali, in un thriller enigmatico ed eccitante. Invece fa addormentare. Il finale (che non vi svelo, sebbene ci sia ben poco da svelare) vorrebbe essere chissà quale grande rivelazione. Invece sembra semplicemente una gran cazzatona.
Rimango esterrefatto dal fatto che un regista (relativamente) di buon livello come Atom Egoyan, un tempo autore de Il dolce domani e Il viaggio di Felicia, con un cast (relativamente) di buon livello, possa sprecare soldi e tempo per fare una roba del genere. Ciò che dà fastidio è che la pellicola è pure girata con una certa raffinatezza e cura. Peccato sia un contenitore esteriormente gradevole, totalmente vuoto dentro.
Chloe, tra seduzione (poca) e inganno (molto).
(voto 3,5)

Se proprio volete, trovate il film QUI

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