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lunedì 14 agosto 2017

Smetto quando voglio di guardare sequel





Smetto quando voglio – Masterclass
Regia: Sydney Sibilia
Cast: Edoardo Leo, Stefano Fresi, Greta Scarano, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Pietro Sermonti, Libero De Rienzo, Marco Bonini, Giampaolo Morelli, Rosario Lisma, Valeria Solarino, Luigi Lo Cascio


C'è una cosa che ho sempre adorato del cinema italiano.
Dite le magistrali interpretazioni dei nostri attori?
Ma che siete fuori di testa?

lunedì 20 luglio 2015

Ho ucciso il cinema americano





Ho ucciso Napoleone
(Italia 2015)
Regia: Giorgia Farina
Sceneggiatura: Giorgia Farina, Federica Pontremoli
Cast: Micaela Ramazzotti, Libero De Rienzo, Elena Sofia Ricci, Adriano Giannini, Iaia Forte, Thony, Bebo Storti, Monica Nappo, Tommaso Ragno
Genere: bastardo
Se ti piace guarda anche: Smetto quando voglio, Amiche cattive, Il capitale umano, Crime d'amour, Passion

Prima di vedere questo film, avevo già un potenziale titolo pronto per il post: “Ho ucciso il cinema italiano”. Sono sempre molto fiducioso nei confronti dei film nostrani, lo so. Per fortuna che invece le pellicole made in Italy negli ultimi tempi non di rado mi sorprendono. In positivo, intendo. È capitato anche e soprattutto con questo Ho ucciso Napoleone. Con la mia solita scarsa propensione a esagerare, sono passato dall'idea di intitolare il post “Ho ucciso il cinema italiano” a quella di intitolarlo “Ho resuscitato il cinema italiano”. Alla fine mi sono trattenuto e ho deciso di scegliere come titolo...

lunedì 23 giugno 2014

SMETTO QUANDO VOGLIO DI TENERE UN BLOG





A 25 anni ho conseguito una laurea specialistica in Comunicazione Multimediale e di Massa presso l’Università di Torino con il massimo dei voti. Massimo dei voti è così per dire, per fare scena, però comunque sono uscito con una buona votazione. Dopodiché non mi sono fermato lì e ho anche preso un Master in Management dei Processi Creativi alla prestigiosa università IULM di Milano, in cui hanno studiato personalità come Giorgia Surina, Melissa Satta, Nina Zilli e la figlia di Carletto Ancelotti, attuale campione d’Europa con il Real Madrid. Gente importante, insomma.
Nell'aprile 2008 ho inoltre aperto un blog, Pensieri Cannibali, che ha riscosso un successo crescente e ha ottenuto riconoscimenti di tutto rispetto. Nel novembre 2010 Julian Assange ha sostenuto di essersi ispirato proprio al mio sito per la creazione di WikiLeaks. Il giorno dopo è stato arrestato. Non so se i due eventi siano in qualche modo correlati.
Nell'ottobre 2011 Steve Jobs ha dichiarato: “Pensieri Cannibali è il futuro del blogging”. Il giorno seguente è venuto a mancare. Anche in questo caso non so dire se esista una relazione diretta tra i due fatti.
Sono poi arrivate le nomination ai Macchianera Awards, il secondo posto nella classifica di eBuzzing dei blog cinematografici più influenti d’Italia dietro l’insuperabile e maledettissimo Cineblog, la copertina del Time Magazine che ha inserito Pensieri Cannibali tra le invenzioni più importanti nella Storia di Internet insieme a Google, Napster e YouPorn.
Tutto questo però sulla stampa italiana non mi è valso neanche un trafiletto nella rubrica di Cinema, cultura e manifestazioni a fianco dei necrologi sul bisettimanale locale della mia zona, Il Monferrato. Né tanto meno mi è servito per ottenere un qualche posto di lavoro che durasse più di qualche mese… ho detto mese? Volevo dire settimana, con contratto a progetto part-time co.co.pro per un periodo di prova non retribuito in cui, in caso di recesso senza preavviso di almeno 6 mesi, devi tu stesso rimborsare l’azienda che ti ha “assunto”. In caso contrario, rischi un periodo di detenzione tra i 5 e i 10 anni con facoltà del giudice di assegnarti o meno anche la pena di morte.
L’ultima insoddisfazione è arrivata con la recensione di Smetto quando voglio di cui vi propongo qui sotto uno stralcio.

Smetto quando voglio
(Italia 2014)
Regia: Sydney Sibilia
Sceneggiatura: Sydney Sibilia, Valerio Attanasio, Andrea Garello
Cast: Edoardo Leo, Valeria Solarino, Stefano Fresi, Libero De Rienzo, Valerio Aprea, Lorenzo Lavia, Paolo Calabresi, Pietro Sermonti, Neri Marcorè, Caterina Shulha
Genere: alla matriciana
Se ti piace guarda anche: Breaking Bad, Santa Maradona

Smetto quando voglio la smette con il cinema italiano provinciale, per rivolgere uno sguardo aperto al globo intero. Le basi di partenza sono comunque quelle nazionali. Il lungometraggio d’esordio del salernitano Sydney Sybilia, autore finora soltanto di una serie di corti, è neorealismo 2.0. O dovremmo forse dire 3.0, viste le continue evoluzioni del mondo del web?
Non divaghiamo.
Smetto quando voglio è un po’ il Ladri di biciclette dei giorni nostri. Ladri di biciclette che è stato inserito nell’elenco del Ministero dei Beni Culturali tra i “100 film italiani da salvare” e la cosa mi sta anche bene. Quello che non mi sta tanto bene è il destino riservato a tutte le pellicole che invece non sono finite nel suddetto elenco. Di quelle cosa ne facciamo? Non sono da salvare, quindi vuol dire che fanno schifo? Vuol dire che le dobbiamo buttare via? Ma la finiamo con questo elitarismo culturale di bassa lega?
Il paragone con Ladri di biciclette potrebbe far storcere il naso qualcuno. Quei parrucconi che si sono scandalizzati per qualche battuta volgare di Paolo Ruffini ai David di Donatello, ad esempio.
Mmm… in effetti quelle battute facevano davvero schifo e non erano per niente divertenti, però l’accanimento mediatico che si è creato nei confronti di questo povero sfigato senza talento e senza cervello (tanto per omaggiare il suo esordio da regista) non vi sembra un tantino eccessivo? 
Comunque, in maniera analoga a quanto Ladri di biciclette faceva a fine anni Quaranta, Smetto quando voglio riesce a essere un ritratto della difficoltà del vivere nel presente, in questo caso di un gruppo di laureati altamente specializzati che sono costretti a barcamenarsi tra lavori non all’altezza dei loro studi, in mezzo a persone che non capiscono la loro genialità. Smetto quando voglio va però oltre la semplice fotografia realista per immergersi in un mondo di fiction. La vicenda del ricercatore di neurobiologia che si mette a spacciare droga prende dichiaratamente spunto dalla serie americana Breaking Bad, uno dei fenomeni televisivi di culto degli ultimi anni. Così come allo stesso tempo il film è ricco di riferimenti al cinema hollywoodiano, a quei blockbuster alla Ocean’s Eleven o alla Armageddon in cui viene messo insieme un gruppo variegato di individui alquanto singolari per organizzare una missione speciale. In questo caso la missione è creare e spacciare una pasticca di livello superiore a tutte le altre droghe in circolazione a Roma.
Il lavoro di Sydney Sibilia riesce a camminare in perfetto equilibrio sulla sottile linea rossa che sta a metà strada tra cinema nazionale e internazionale, tra racconto sociale di estrema attualità e puro spettacolo cinematografico, complice una fotografia molto all’americana e un bell’uso della stilosa colonna sonora che mixa il pop-punk degli Offspring, l’indie-rap di Jamie T e il metal delirante della Diablo Swing Orchestra con l’elettronica di Vitalic, la tamarraggine dance degli Swedish House Mafia e delle ottime musiche originali. Senza dimenticare la fenomenale campagna di marketing che ha accompagnato il lancio del film.

Nota di merito inoltre per il cast, composto da giovani talenti che speriamo di vedere ancora utilizzati al meglio come Edoardo Leo e il nuovo Giuseppe Battiston, ovvero Stefano Fresi, insieme ai simpatici Paolo Calabresi e Pietro Sermonti dalla serie Boris, un Neri Marcorè in versione cattivone, una Valeria Solarino così così e un Libero De Rienzo che ricollega idealmente questo film a un altro dei (pochi) cult generazionali italiani del nuovo millennio, Santa Maradona.
Smetto quando voglio allora è il nuovo Ladri di biciclette, o magari anche no. Forse, più probabilmente, è un Breaking Bad all’amatriciana o, meglio ancora, è il nuovo Santa Maradona. Un film fresco, dal ritmo indiavolato, in grado di intrattenere e divertire dal primo all’ultimo spettacolare istante, grazie a una sceneggiatura magari non originalissima ma architettata in maniera ottima e con tutte le cosine giuste al posto giusto nel momento giusto. Smetto quando voglio non si smetterebbe davvero mai di guardarlo.
(voto 8/10)

Questo era giusto un estratto, ma nel corso della recensione completa mi lanciavo anche in dissertazioni sulla neurobiologia e sulla sua connessione stretta, più stretta di quanto si potrebbe mai immaginare, con il cinema. Si trattava di un post mastodontico, degno a mio modesto parere di un Premio Pulitzer o se non altro di una segnalazione sul sito di Repubblica al posto dell’approfondimento sull’ultimo taglio di capelli di Neymar. Invece niente. Il massimo che ho ottenuto sono stati un paio di like su Facebook.
Sconfortato da tutto ciò, ho deciso di mettere da parte Pensieri Cannibali e di aprire un nuovo sito, leggermente ai confini con la legalità. L’ho chiamato Drugbook, è un social network che si propone di mettere in contatto spacciatori e clienti di sostanze più o meno lecite. Ci sono gruppi dedicati alla marijuana, alla cocaina, all’eroina, alle Big Babol, perché c’è gente drogata anche di Big Babol. Il sito non è in alcun modo responsabile dei contenuti postati dagli utenti, quindi non viola alcuna legge, in teoria. In pratica al momento sono sotto indagine e ogni mio movimento sia fisico che in rete viene controllato, però sono fiero del mio sito.
Mi chiamo Marco Goi e sono un blogger.

lunedì 19 marzo 2012

These b**bs are made for walking

La kryptonite nella borsa
(Italia 2011)
Regia: Ivan Cotroneo
Cast: Luigi Catani, Valeria Golino, Luca Zingaretti, Cristiana Capotondi, Libero de Rienzo, Vincenzo Nemolato, Monica Nappo, Massimiliano Gallo, Fabrizio Gifuni, Anita Caprioli
Genere: italian 70s
Se ti piace guarda anche: La prima cosa bella, Mine vaganti, Caterina va in città, Happy Family

Ci sono delle cose che mi fanno incazzare. Di film italiani ne escono un sacco. Ma di film italiani interessanti non è che in circolazione ce ne siano poi così tanti. Di commedie interessanti poi, figuriamoci…
Quando te ne ritrovi una tra le mani, dovresti almeno promuoverla a dovere. Soprattutto quando hai delle belle carte tra le mani da giocarti. Non dico degli assi, ma almeno delle regine e dei fanti La kryptonite nella borsa ce l’ha pure: un cast di primo livello con nomi conosciuti come Valeria Golino, un volto nazional-popolare come Montalbano/Luca Zingaretti, un paio di attori che possono attirare/attrarre il pubblico ggiovane come Cristiana Capotondi e Libero de Rienzo e poi in colonna sonora ha un pezzo più che accattivante come la cover moderna (ma anche rétrò il giusto) di “These Boots Are Made for Walking” fatta dai Planet Funk, per cui per di più ha a disposizione un video carinissimo come questo…


Dopo aver visto il videoclip, a me è venuta una gran voglia di recuperarmi anche il film. Peccato che il pezzo, oggi diventato un tormentone, fosse stato lanciato del tutto in sordina lo scorso ottobre con l'uscita nei cinema e nessuno se lo fosse inizialmente filato. Adesso la canzone è diventata un successo, il video è in airplay su Mtv, però per il film è troppo tardi, almeno nelle sale cinematografiche, dove non ha raccolto nemmeno un milione di euro. Roba che è riuscito a fare peggio persino di War Horse, l’ultimo super mega floppone di Steven Spielberg.
Un peccato (l'ennesimo per la distribuzione italiana) non averla promossa meglio, perché questa è una commedia molto carina e, per quanto non memorabile, avrebbe meritato un successo maggiore di altre porcherie che infestano le nostre sale.
Sulla note ultracool di These boots are made for walking, pezzo di Lee Hazlewood portato al successo da Nancy Sinatra, terminiamo comunque questa nota di polemica lamentela e passiamo al film vero e proprio.

La kryptonite nella borsa è l’esordio dietro la macchina da presa dello scrittore e sceneggiatore napoletano Ivan Cotroneo, già autore dell’omonimo romanzo da cui ha deciso di trarre la sua prima opera cinematografica da regista. Quanto ne è uscito è una pellicola in cui si sente il legame forte del regista nei confronti dei suoi personaggi. Persino troppo, visto che un occhio esterno avrebbe potuto aggiungere un altro punto di vista alla vicenda. La veracità napoletana è comunque anche uno dei punti di forza della pellicola. È un film passionale, seppur non del tutto travolgente, e ci sono alcuni momenti poetici che convincono proprio per la loro forza e naturalezza. E anche per la loro innocenza quasi naïve. Soprattutto, più che le sequenze con il non troppo convincente bambinetto protagonista, la bella scena in cui Valeria Golino dallo strizzacervelli ricorda il suo passato come fanciulla.

Ancora una volta comunque mi porto avanti nel discorso senza cominciare dalle basi.
Introduciamo la pellicola come si deve: il racconto è quello di una famiglia (a)tipica napoletana nei primi anni ’70 vista attraverso gli occhi, o meglio le spesse lenti degli occhiali, di un bambino intorno ai 10 anni interpretato dal (credo) esordiente Luigi Catani. Un bambino la cui atipicità è data più che altro da quegli occhialoni da miope che è costretto a portare e che lo rendono un “diverso” agli occhi degli altri bimbetti. Per altro oggi con quegli occhiali verrebbe considerato un hipster, mentre nei 70s era soltanto considerato uno sfigato. Così va la vità.
La diversità di questo piccolo protagonista sta però più che altro nell’avere come amico immaginario il cugino morto. Un cugino un poco “ritardato” che si credeva di essere Superman e forse in fondo lo era per davvero…
Come dicevamo, il racconto è però quello corale di una famiglia. Ci sono i nonni, piuttosto macchiettistici e in grado di incidere poco nella vicenda. Ci sono i genitori, una Valeria Golino eccellente (sia detto con le dita delle mani che si avvicinano stile Signor Burns) che viene tradita dal marito farfallone Luca Zingaretti, attore che tutti dicono: “Ma che bravo che è, e pure che bell’uomo che è”, però a me boh, proprio non convince. Sarà che non sono mai stato un fan urlante di Montalbano.
Sotto lo stesso tetto ci sono poi pure i 3 zii, perché oh, questa è una famiglia povera e quindi si vive tutti insieme nella stessa casa e, se non vi sta bene, andata pure a stare all’Hilton. Uno dei 3 zii rimane nell’ombra, sarà che è un secchione, sarà che l’attore che lo interpreta è il più sconosciuto del prestigioso cast: Gennaro Cuomo.
Chiiiiiiii?
Ve l’ho detto che era il meno noto: Gennaro Cuomo.
Chiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii?
Gli altri due zietti sono invece gli idoli Cristiana Capotondi e Libero De Rienzo, due freakketoni spiriti liberi che si portano appresso il nipotino nel corso delle loro avventure a base di LSD e sesso libero.
Hippie ya ye, motherfuckers!
Tra l’altro, come si può notare anche dal video dei Planet Funk, sembra che De Rienzo e la Capotondi nella loro vita non abbiano fatto altro che ballare vestiti da figli dei fiori. Se i loro personaggi avrebbero meritato un ulteriore approfondimento, va detto che almeno loro due a danzare sono davvero magnifici e non avrebbero potuto fare di meglio.

Il cast è quindi il punto di forza maggiore della pellicola, ma tra le note positive possiamo aggiungere anche una colonna sonora gradevole, seppure le scelte appaiano un po’ scontate: David Bowie per gli anni ’70 è immancabile, persino troppo ovvio, così come “Lust for Life” di Iggy Pop è già stata stra-usata. Ad esempio da un certo Trainspotting. È stato solo uno dei brani più iconici da una delle colonne sonore più iconiche del cinema iconico recente…
(e poi, per precisione storica: il pezzo è del 1977, mentre il film è ambientato qualche anno prima!)


Comunque è sempre un piacere risentirla e se sopra ci ballano De Rienzo e la Capotondi diventa un vero spettacolo. Così come una piccola finezza è anche l’apparizione (letterale) della Madonna Anita Caprioli.
Molto buona poi la ricostruzione a livello visivo dell’ambiente anni Settanta, e io adoro non so nemmeno bene perché i film ambientati negli anni ’70 (Il giardino delle vergini suicide, Amabili resti, Almost Famous, pure la serie That '70s show…), con dei magnifici e super freakkettoni costumi anche in questo caso portati magnificamente dai due attori ballerini e dal resto del cast. A tutto ciò ci mettiamo dentro anche la ricostruzione di una Napoli molto meno stereotipata del solito.
A non convincere del tutto sono invece la regia e la sceneggiatura del Cotroneo, un po’ timide e incerte sul da farsi, sul seguire toni più favolistici o più realistici. Cotroneo si piazza poi a mezza strada anche tra il cinema di Paolo Virzì, in particolare con un mix tra La prima cosa bella e Caterina va in città, virati però in salsa napule uè uè, e quello di Ferzan Ozpetek. Non a caso Cotroneo ha co-firmato con il regista del nuovo Magnifica presenza la sceneggiatura di Mine Vaganti e non a caso la tematica omosessuale e della diversità in senso lato emerge qua e là anche in questa kryptonite. Seppure in maniera un po’ troppo timorosa (timorata?) per realizzare un’opera non dico sovversiva, ma almeno davvero coraggiosa all’interno dello sbiadito panorama italiota.
Il ritratto di questa famiglia napoletana è curioso, simpatico e avvincente. Gli manca la zampata vincente, che poteva essere l’idea del personaggio di Superman se solo fosse stata resa con maggiore forza. Comunque si tratta di una (rara) visione italiana consigliata, per un film che non vi farà gridare al miracolo, ma magari vi farà venire voglia di ballare. Come quei due freakkettoni del De Rienzo e della Capotondi.
(voto 6,5/10)

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