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sabato 4 febbraio 2012

La donna che ca… che canta

La donna che canta
(Canada 2010)
Titolo originale: Incendies
Regia: Denis Villeneuve
Cast: Lubna Azabal, Mélissa Dèsormeaux-Poulin, Maxim Gaudette, Remy Girard, Abdelghafour Elaaziz, Allen Altman
Genere: il passato ritorna
Se ti piace guarda anche: Valzer con Bashir, Persepolis, La chiave di Sara

La donna che canta non è il film biografia dedicato a Laura Pausini. Quello si intitolerebbe “La donna che canta male”. O ad essere proprio perfido, si intitolerebbe "La donna che caga (dalla bocca)".
Sarò mica stato troppo cattivo?
Ma va là, che sono ancora stato gentile, con tutte quelle che ci ha fatto e continua a farci passare lei con la sua “musica”…

"Ciao, sono la nuova postina di Maria de Filippi: c'è posta per teee!"
La donna che canta invece e per fortuna è tutta un’altra musica. Nell’aria propaga infatti onde sonore e visive di quelle tipiche del grande film, di quelli impegnati socialmente e politicamente, di quelli che a vederli ti fanno sentire una persona più intelligente e matura, però non di quelle mattonate pesanti che ti raccontano una storia importante ma ti stremano a livello fisico. Si può parlare di tematiche pesanti senza per questo diventare pesanti per lo spettatore.
Il film, già inserito tra i miei top film del 2011 a una prestigiosissima 6a posizione, riesce a mantenersi incredibilmente in bilico tra la necessità di raccontare una storia rappresentativa dell’eterno conflitto in Libano tra Palestina e Israele, quella di una donna (sì, la donna che canta) e dei figli nati da uno stupro subito mentre era in prigione, senza però finire nel piagnisteo da C’è posta per te con Maria de Filippi.
Oddio, me sento male al solo nominarla.
Uff, Pausini e de Filippi. Se il film non è pesante, lo starò mica diventando io con questo post?

"Maria, c'è posta anche per te!"
Per raccontarci a ritroso la storia non certo leggera della donna che canta, tratta da un’opera teatrale di Wajdi Mouawad, il regista Denis Villeneuve insieme alla co-sceneggiatrice Valérie Beaugrand-Champagne (voglio anch’io un cognome così cool!) ha adottato una formula matematica.
Cosa, cosa?
In pratica, il prodotto dell’equazione del film è la prima splendida sequenza, illuminata dalle note di “You and Whose Army?” dei Radiohead, pezzo che tornerà poi ancora nel corso della pellicola, a mo’ di lietmotiv. Si scriverà così lietmotiv? Sì, ho controllato su Google e su Google ci sta la Verità Suprema.
Il resto della pellicola procede a ritroso cercando di risolvere quest’equazione. Spiegato così è un casino e io di matematica dalla seconda liceo in poi ho cominciato a capirne sempre meno, mano a mano che i numeri venivano sostituiti da incognite, variabili, ellissi (?!) e altre cose per me ancora oggi del tutto prive di senso.
La componente matematica è presente ma non preponderante, altrimenti il film si chiamerebbe “La donna che conta”.
Ahahaha, dopo questa battuta credo mi prenderanno a condurre Zelig!

La donna che canta invece è ben altro e riesce a fare una cosa che una formula matematica non riuscirebbe mai a fare (a parte forse gente non del tutto normale come Will Hunting): emozionare. Senza retorica o facili patetismi. In una sceneggiatura così potente e ben orchestrata emerge un solo piccolo difetto, come ha messo in evidenza il collega blogger Oh Dae-Soo, che riguarda la verosimiglianza dell’età dei figli e del padre-stupratore. Però a questo punto le questioni matematiche le abbiamo già lasciate da parte e quindi meglio non addentrarci troppo nei cavilli tecnici e goderci semplicemente la visione del film. Ok?

"Mamma, smettila coi tuoi ridicoli pensieri e guarda come sono brava a tuffarmi!"
Cast da applausi con una enorme Lubna Azabal nella parte della madre, l’attore feticcio del regista Maxim Gaudette e la rivelazione assoluta Mélissa Dèsormeaux-Poulin, una sorta di versione più giovane di PJ Harvey. Non che PJ Harvey sia vecchia, però insomma, ci siamo capiti, no?
Alla solidissima regia c’è il citato Denis Villeneuve che dimostra come questo cognome non significhi solo talento dietro a un volante ma pure dietro a una macchina da presa. Il suo sguardo è infatti lucido, preciso, asciutto, ma anche capace di illuminarsi improvvisamente. Un talento già dimostrato con il precedente Polytechnique, un Elephant canadese che rappresentava un’altra bella mazzata.
Volendo proprio trovare un difetto a questo Denis Villeneuve è che i suoi film sono così seri e belli e importanti che è difficile ironizzarci sopra. E per me questo è grave. Mi obbliga a cercare di essere serio e a provare a fare un’analisi profonda delle tematiche qui espresse.
C’è la guerra, l’eterna guerra, ci sono gli uomini che odiano le donne (come già in Polytechnique), ci sono due figli alla ricerca di risposte sul loro passato e sulla misteriosa vita della loro madre. Ci sono tutti questi temi molto importanti e altri ancora ma a parlarne troppo rischierei di suonare borioso e, soprattutto, noioso.
E quindi vi lascio alla visione consigliatissima di questa pellicola che invece evita in scioltezza tali rischi.
Niente boria. Niente noia. Bella storia.
(voto 8/10)

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