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sabato 14 settembre 2019

Rece d'estate dimenticate: pellicole d'autore e porcate d'autore




Beccatevi un po' questi giudizi per lo più veloci, e in alcuni casi abbastanza scazzati, di alcuni film che ho visto negli ultimi tempi, nel corso dell'estate. O che ho visto già da un po', ma me ne ero dimenticato, o non avevo avuto il tempo di parlarne.


The Beach Bum

lunedì 14 maggio 2018

La Pantera Nera sarà meglio della Pantera Rosa, ma...





Black Panther
Regia: Ryan Coogler
Cast: Chadwick Boseman, Michael B. Jordan, Lupita Nyong'o, Letitia Wright, Martin Freeman, Daniel Kaluuya, Danai Gurira, Sterling K. Brown, Winston Duke, Angela Bassett, Forest Whitaker, Andy Serkis


Marvel goes black. All'alba dell'anno 2018, il Marvel Cinematic Universe So White decide di proporre una pellicola solista dedicata a un supereroe di colore. E, pensate un po', nel 2019 arriverà persino un film solista su una supereroina donna, con un ritardo di due anni rispetto alla non certo innovativa DC Comics.


Oh mio Dio, la Marvel è finalmente entrata nel XXI secolo! Quale sarà la prossima mossa? Un supereroe dichiaratamente gay?
È vero, c'è già stato Deadpool, solo che lui non è omosessuale. Lui è pansessuale.


E poi Deadpool non fa parte del Marvel Cinematic Fucking Universe vero e proprio, bensì del più aperto universo degli X-Men, che era di proprietà della 20th Century Fox. Almeno fino al primo capitolo. Lo scorso dicembre Disney ha comprato pure la 20th Century Fox, giusto per monopolizzare poco il mercato dell'intrattenimento mondiale e soprattutto della manipolazione mentale.
La mossa davvero a sorpresa per il Marvel Cinematic Universe però sarebbe un'altra: quella di fare un bel film.


Nonostante le critiche entusiastiche provenienti soprattutto da Oltreoceano, e pur con tutte le migliori intenzioni con cui mi sono cimentato nella visione, anche Black Panther purtroppo non riesce a essere un bel film. Nemmeno lontanamente. È pur sempre meglio rispetto ad altri cinecomics, ma questo non lo rende in automatico un capolavoro. Al massimo rende solo gli altri cinecomics delle ciofeche ancora peggiori. Cosa c'è che non va in Black Panther?


Partiamo dal protagonista. Black Panther. Un nome che evoca la storica organizzazione rivoluzionaria afroamericana attiva soprattutto sul finire degli anni '60, per un personaggio che di rivoluzionario a ben guardare non ha granché. Nei panni del protagonista T'Challa/Pantera Nera troviamo Chadwick Boseman, attore che segue la stessa linea di recitazione inespressiva dei suoi colleghi bianchi dell'MCU Chris Evans, Chris Hemsworth e Jeremy Renner. Come personaggio inoltre è troppo moscio, troppo buono, troppo buonista.


Per fortuna a compensare ci pensa il villain di turno, che poi a ben vedere non è così villain e anzi, io ho fatto il tifo per lui dal primo all'ultimo momento in cui appare in scena. Anche perché riesce a prendere il potere in maniera democratica, almeno stando a quelle che sono considerate le regole democratiche nello stato del Wakanda, ovvero sconfiggendo T'Challa in un regolare duello. Nel ruolo del cattivone (ma anche no) Erik Killmonger c'è un ottimo Michael B. Jordan, l'attore feticcio del regista Ryan Coogler, con cui ha girato anche Prossima fermata Fruitvale Station e Creed - Nato per combattere, che qui dirige in maniera a tratti spettacolare, con uno stile però piuttosto derivativo, tra riprese roteanti in stile Donnie Darko/Inception e combattimenti liberamenti ispirati a Wachowski e The Raid - Redenzione.
Per quanto sia un personaggio valido, va comunque notato che questo Killmonger non ha lo spessore, né tantomeno la forza punk ad esempio del Joker di Heath Ledger ne Il cavaliere oscuro. Quindi bene, ma non benissimo.


Il personaggio migliore del film comunque non è lui, bensì la sorella iper-tecnologica e simpa del soporifero T'Challa, Shuri, interpretata da una giovane attrice di cui sentiremo parlare ancora a lungo, Letitia Wright, già vista nel sesto e ultimo, nonché migliore, episodio della quarta stagione della serie Black Mirror.

"Giovane attrice di cui sentiremo parlare ancora a lungo... Non è che Pensieri Cannibali me l'ha gufata?"

Ok, quindi in questo film ci sono due personaggi decenti e ciò è già un buon risultato. Tra le note positive va inoltre inserito il contesto afro, che riesce a differenziare la pellicola rispetto agli cinecomics “rivali”. Il film è ambientato in buona parte nel Wakanda, fittizio stato africano con un nome che ricorda nazioni vere come Uganda e Ruanda, ma anche l'urlo d'incoraggiamento dei ragazzini scemi malati della fiction Rai Braccialetti rossi, “Watanka!”, così come soprattutto la canzone di Shakira “Waka Waka (This Time for Marvel)”.


Ah no, scusate, ho sbagliato foto...


Sempre per rimanere in tema musicale, la colonna sonora curata dal rapper Kendrick Lamar non è niente male, sebbene sia sottoutilizzata e sia più godibile come ascolto indipendente dalla pellicola che non all'interno della pellicola stessa. E quindi viva Kendrick e abbasso la Marvel!



I pregi del film si fermano qui e tra le note dolenti va invece segnalata una sceneggiatura banale e prevedibile, con vicende famigliari degne di Beautiful, o di Thor, se proprio vogliamo restare all'interno del poco marvelous universo Marvel. Per colmare la pochezza della trama si inserisce qualche solita battutina e momento pseudo ironico Marvel-style, e soprattutto un sacco di effetti speciali, inseguimenti, botte e sparatorie, il tutto per una durata eccessiva, con la guerra finale che definire estenuante è dir poco. Guerra finale?

"Scusate, ma ci stiamo preparando alla guerra, o stiamo facendo la coreografia del Waka Waka?"

Ebbene sì. Anche questa pellicola si risolve con lo scontro tra il buono e il cattivo (che come detto non è così cattivo, dai) e non scrivo che è uno spoiler perchè tanto lo sapevamo tutti che andava a finire così e se pensate che questa volta il cattivo alla fine possa avere la meglio siete solo degli illusi. Peccato perché le implicazioni politiche e socio-razziali sono presenti giusto molto sullo sfondo e, con un maggior approfondimento, il confronto/scontro tra T'Challa VS Erik Killmonger avrebbe potuto persino portare a una specie di versione cinefumettosa del confronto/scontro ideologico Martin Luther King VS Malcolm X. Così non è.


Black Panther finisce così per essere l'occasione sprecata di realizzare una pellicola che rappresenti una vera rivoluzione all'interno dei cinecomics, o anche solo un passo in avanti, così come erano stati il primo Spider-Man di Sam Raimi e il già citato Il cavaliere oscuro di Christopher Nolan. Un'occasione sprecata tanto quanto Wonder Woman, che non è l'inno femminista da tanti sbandierato, bensì a malapena una leggera variante al femminile del solito cinefumetto supereroistico fracassone e superficiale
Non sarà una wakkata totale, ma questa avventura nel Wakanda resta la solita storiella moralista ricca di buoni sentimenti e valori famigliari rassicuranti, in pieno stile Marvel-Disney. Un film però privo di reali contenuti politici o sociali, come si poteva invece immaginare da alcune entusiastiche opinioni provenienti dagli Usa, indirizzato a un pubblico di ragazzini, privo di tensione, di spunti di riflessione e ricco giusto di tanta azione e di una violenza “rassicurante”, da videogame.
Come prodotto di mero intrattenimento a tratti funziona anche, sebbene io nella mezzora finale mi sia stracciato le palle come e maggiormente che con il più pretenzioso tra i lavori di Terrence Malick o Michael Haneke. Il fatto però che tutti questi film supereroistici, realizzati con lo stampino e che a poche settimane di distanza dall'uscita finiscono nel dimenticatoio sorpassati dal successivo fenomeno al box-office, con sempre maggiore frequenza vengano salutati come dei capolavori e indicati come simboli della nostra epoca mi mette addosso una gran paura. Più di quella che mi possono provocare i (presunti) cattivoni di turno presenti nelle stesse pellicole.
(voto 5,5/10)


sabato 2 gennaio 2016

Star Wars: Il risveglio di Forza Italia





Star Wars: Il risveglio della Forza
(USA 2015)
Regia: J.J. Abrams
Sceneggiatura: J.J. Abrams, Lawrence Kasdan, Michael Arndt
Cast: Daisy Ridley, John Boyega, Adam Driver, Oscar Isaac, Harrison Ford, Mark Hamill, Carrie Fisher, Andy Serkis, Domhnall Gleeson, Max von Sydow, Lupita Nyong'o, Peter Mayhew, Anthony Daniels, Gwendoline Christie, Greg Grunberg, Ken Leung, Simon Pegg, Billie Lourd, Daniel Craig, Michael Giacchino, Nigel Godrich
Genere: stellare
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sabato 18 ottobre 2014

UN VOLO AEREO CON LIAM NEESON? UN INCUBO NON-STOP





Non-Stop
(USA, UK, Francia, Canada 2014)
Regia: Jaume Collet-Serra
Sceneggiatura: John W. Richardson, Christopher Roach, Ryan Eagle
Cast: Liam Neeson, Julianne Moore, Michelle Dockery, Corey Stoll, Scoot McNairy, Lupita Nyong'o, Nate Parker, Omar Metwally, Shea Whigham, Anson Mount, Quinn McColgan, Corey Hawkins, Bar Paly, Edoardo Costa, Jon Abrahams
Genere: volatile
Se ti piace guarda anche: Flightplan – Mistero in volo, 24, Flight

Qual è la vostra più grande paura quando salite su un aereo?
Nel periodo pre-11 settembre e pre-Lost, la risposta più comune sarebbe stata quella di precipitare a causa di un qualche guasto. Lost ci ha però mostrato come un incidente aereo possa essere soltanto l'inizio di un'avventura pazzesca in cui si finisce su una misteriosa isola deserta e si conoscono un sacco di personaggi incredibili, quindi la cosa non fa più tanta paura.
Dopo l'11 settembre, il timore più grande per molti è ormai quello che l'aereo venga dirottato. Per quanto mi riguarda, invece, sono terrorizzato dalla possibilità di fare un intero viaggio intercontinentale in compagnia di Liam Neeson, forse l'attore che detesto di più sulla faccia della Terra, anche se se la gioca con il neo inventore di app di successo Tom Hanks e con Chiappona J. Lo, oltre che con i vari expendables amati dal mio odiato blogger rivale Mr. James Ford.

Pensate un po' che incubo dev'essere un volo aereo dirottato da Liam Neeson! Eppure è proprio quanto capita in Non-Stop, un incubo a occhi aperti. A essere più precisi, non è che Liam Neeson dirotti l'aereo di persona. È solo quanto il vero e misterioso dirottatore vuole far credere a tutti, mentre in realtà Liam Neeson è chiamato al solito ruolo di eroe di turno che deve salvare la situazione. Prevedibile. Da quando ha fatto Io vi troverò e relativo seguito Taken 2 – La vendetta, l'attore più insopportabile d'Irlanda è diventato il più attempato quanto improbabile nuovo action hero del cinema mondiale. Il ruolo che ha qui, quello di un agente con problemi famigliari, non è troppo distante da quello vestito nell'agghiacciande saga di Taken. Anche qui è una specie di invincibile supereroe bravo a menare le mani, fenomenale con le armi e in grado di pensare a una soluzione anti-terroristica per ogni occasione. Un incrocio tra Rambo e Jack Bauer, esatto.

Rispetto a Taken, c'è da dire che qui il livello cinematografico è un po' più alto, grazie alla discreta regia di Jaume Collet-Serra, che con Neeson aveva già girato Unknown – Senza identità, e grazie a un cast di comprimari di buon livello che vede scendere in campo Julianne Moore, Michelle Dockery (Downton Abbey), Corey Stall (The Strain e la nuova stagione di Homeland), il premio Oscar Lupita Nyong'o (12 anni schiavo) e Scott McNairy dell'imperdibile serie tv Halt and Catch Fire. Ma attenzione, perché in una piccolissima minuscola parte c'è pure il nostro Edoardo Costa. E al confronto di Liam Neeson sembra persino un attorone!


Il livello di curiosità generato dal mistero è inoltre abbastanza buono: chi sarà il misterioso dirottatore che cerca in tutti i modi di far perdere la pazienza all'impassibile e soprattutto inespressivo Liam Neeson?
Peccato che questo sia anche l'unico motivo di interesse della pellicola e all'inizio va bene, ma dopo un po' la situazione comincia a diventare ripetitiva. La sceneggiatura si dimostra priva di altre idee, Liam Neeson diventa insopportabile sempre più a ogni minuto che passa, il livello di tensione non è minimamente degno di una qualsiasi puntata della serie tv 24 e la parte conclusiva è parecchio banale, con un tentativo di infilarci dentro un discorso politico che risulta a dir poco fallimentare. Per non parlare della scena in cui il protagonista prende una pistola al volo – letteralmente al volo – e spara un colpo perfetto. Lì capisci che questo non è un film action-thriller, bensì una pellicola di fantascienza.
Il dirottamento compiuto da Liam Neeson nei confronti del cinema action può comunque dirsi riuscito. Il suo nome è ormai diventato un brand per un certo genere di pellicole patriottiche e trash. Detto con altre parole, il suo nome è diventato sinonimo di film de mmerda. Questo Non-Stop rispetto ad altre porcate da lui girate non-stop negli ultimi anni come i citati Taken, The Grey o qualche suo altro film a caso è un filo meglio, ma ciò non cambia un fatto: Liam Neeson è attualmente il più pericoloso terrorista del cinema mondiale. Se lo incontrate, segnalatelo alle autorità competenti.
(voto 4,5/10)

"Pensieri Cannibali ha dato più di zero a un mio film? Ci dev'essere un errore..."

"In effetti il voto è stato modificato da un hacker fan di Liam Neeson."

"A questo punto non poteva mettergli un bell'otto?
Ho proprio dei fan stupidi. Chissà perché?"

lunedì 24 febbraio 2014

12 ANNI SCHIAVO, UN FILM IN CORSA PER LA LIBERTÀ E PURE PER L’OSCAR




12 anni schiavo
(USA, UK 2013)
Titolo originale: 12 Years a Slave
Regia: Steve McQueen
Sceneggiatura: John Ridley
Ispirato al libro: 12 Years a Slave di Solomon Northup
Cast: Chiwetel Ejiofor, Michael Fassbender, Lupita Nyong'o, Sarah Paulson, Kelsey Scott, Quvenzhané Wallis, Dwight Henry, Scoot McNairy, Taran Killam, Chris Chalk, Michael K. Williams, Paul Giamatti, Benedict Cumberbatch, Paul Dano, Alfre Woodard, Brad Pitt
Genere: libero
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Questo post è liberamente ispirato a una storia vera

A fine 2013, in un paese teoricamente civile e teoricamente democratico come l’Italia, comincia la promozione del film 12 Years a Slave, nel nostro paese 12 anni schiavo. La pellicola racconta la vera storia di Solomon Northup, un violinista di colore, un uomo libero che nel 1841 viene rapito e ridotto in schiavitù. A interpretare questo personaggio troviamo uno strepitoso Chiwetel Ejiofor nominato agli Oscar per questa parte.
Quello che la distribuzione italiana si è chiesta a questo punto è stato un fragoroso: “Chiiiiiwetel chiiiiiiiiii?”
Si tratta di un attore che ha lavorato con registi prestigiosi come Steven Spielberg e Spike Lee, girato film come Amistad, Love Actually, Lei mi odia, Piccoli affari sporchi e American Gangster, però raramente in ruoli da protagonista e quindi non è che sia in effetti proprio notissimo.
A questo punto, come promuovere in Italia un film con un protagonista così poco conosciuto?
Meglio puntare sui nomi di richiamo nel cast dei comprimari. Ad esempio Michael Fassbender e Brad Pitt.


Ora, Michael Fassbender ci può ancora stare. Ha un ruolo da non protagonista notevole per cui è stato nominato agli Oscar 2014. Ma Brad Pitt…
Brad Pitt in 12 anni schiavo compare dopo 1 ora 40 e ha giusto un paio di scene. Il suo personaggio gioca un ruolo cruciale nella storia, però il suo è giusto poco più di un cameo. Tra l’altro è il peggiore del cast. Appare, fa un po’ il figo e non c’azzecca un granché con il resto della pellicola, ma vabbé, Pitt è uno dei produttori del film e quindi il regista Steve McQueen poteva mica dire di no a una sua apparizione.
La sua è l’unica prova recitativa discutibile di un cast per il resto in stato di grazia in cui spiccano tra gli altri Paul Dano, Sarah “American Horror Story” Paulson, Paul Giamatti, Benedict “Sherlock” Cumberbatch, e soprattutto la rivelazione Lupita Nyong'o, con un ruolo durissimo che è valso pure a lei la nomina agli Oscar 2014. Brava, molto brava, però la statuetta deve comunque andare a Julia Roberts o a Jennifer Lawrence, ok?
Al di là del fatto che Pitt è quello che si segnala di meno in questo grandioso cast, il suo è inoltre un ruolo davvero minuscolo. Dedicargli il poster è una cosa ridicola. È come se sulla locandina di Django Unchained avessero messo Franco Nero. E a questo punto è strano che in Italia non ci abbiano pensato…


Va bene, però adesso vogliamo parlare del film, che se no facciamo come quelli che mettono sulla locandina Brad Pitt invece di concentrarsi sugli aspetti davvero importanti della pellicola, che no, non riguardano Brad Pitt?

ATTENZIONE: QUALCHE SPOILER PRESENTE QUA E LÀ
12 anni schiavo è una pellicola impegnata ma non è una mazzata. È una frustata. Un’Odissea dentro lo schiavismo, quasi un’Apocalyspe Now della segregazione razziale, sebbene privo di quella follia e quella genialità in grado di far passare un film dall'essere buonissimo, perché 12 anni schiavo è un film buonissimo, a un Capolavoro assoluto.
Più che buonissimo, 12 anni schiavo è un film cattivissimo. Cattivissimi sono tutti i bianchi presenti, a parte il Santone Pitt, seppure con sfumature di cattivo diverse. È inoltre una pellicola che non ci risparmia alcuna violenza o atrocità. Non lo fa però con lo stile esagerato e quasi fumettistico di un Quentin Tarantino nel suo Django Unchained. Non lo fa nemmeno con lo stile esasperato e quasi horror del Mel Gibson de La passione di Cristo. Lo fa con uno stile suo. Steve McQueen in qualche modo rende poetica la violenza dei suoi film. Il suo è un cinema molto fisico, viscerale, che non può lasciare indifferenti. Steve McQueen fa male male male. Ce l’aveva fatto notare con il suo primo cazzotto, Hunger, ce l’ha ricordato con una seconda mazzata come lo splendido immenso Shame, e ce lo conferma adesso. Con una frustata. Una? Molto più di una. Quelle che Chiwetel Ejiofor è costretto a infliggere alla povera Lupita Nyong'o. Quelle che quel bastardo di Michael Fassbender gode a infliggere alla sempre più povera Lupita Nyong'o. Quelle che Julia Roberts o Jennifer Lawrence dovranno infliggere a una ancora più povera Lupita Nyong'o, perché mi spiace, ma nonostante questo piano sequenza sia impressionante, l’Oscar deve pur sempre andare alla Roberts o alla Lawrence, ok?
La scena fisicamente più sconvolgente è questa. Cinematograficamente parlando invece è quella dell’impiccagione di Chiwetel Ejiofor, in cui Steve McQueen utilizza delle lunghe riprese fisse. Una sequenza che qualche altro regista più gentile avrebbe tagliato, avrebbe risparmiato a noi pubblico sensibile. Steve McQueen invece no. Come un Michael Haneke ancora più sadico decide di non spostare la macchina da presa. Questo è l’immobilismo di chi non ha fatto niente per cambiare le cose, per anni, decenni, secoli. Se servisse una solo scena per rappresentare secoli di segregazione razziale nei tanto democratici Stati Uniti d’America, sarebbe questa.

Non è l’unica. Ci sono diverse scene fenomenali, in questo film. Tanto che a ripensarci l’idea che non sia un capolavoro comincia a vacillare un pochino. La scena del tentativo di fuga, ad esempio. Noi che non abbiamo vissuto in una situazione di merda del genere, nella sicurezza e nel comodo delle nostre casette ci possiamo domandare: “Sì, vabbè, ma perché questi non si ribellano allo schiavismo, perché non scappano?”.
Questa scena ci mostra come non ci fosse una via d’uscita. No exit. Era come vivere dentro The Walking Dead, solo con al posto degli zombie gli schiavisti e al posto degli umani degli attori migliori.
E ci sono diverse altre scene difficili da cancellare dalla mente, come quella della compravendita degli schiavi venduti come carne in macelleria, o quella del faccia a faccia notturno di Michael Fassbender con Chiwetel Ejiofor degna di un thriller tesissimo, così come resta impresso e fa venire la pelle d’oca a risentirlo lo splendido tema musicale composto da Hans Zimmer e poi quel momento in cui Ejiofor si unisce al coro gospel “Roll Jordan Roll” in maniera sempre più convinta e disperata. Allora capisci che 12 anni schiavo non sarà un capolavoro assoluto ma quasi quasi gli si avvicina. È un film potente, emozionante, forte, che ti rimane incollato addosso, come una frustata che lascerà per sempre la sua ferita profonda sulla tua pelle.

Il cinema di Steve McQueen non è un cinema di parole. È un cinema di immagini, di sequenze come quelle appena citate che lacerano la pelle. Eppure in questo 12 anni schiavo il regista inglese, pescando nel libro scritto dal protagonista di questa incredibile vicenda, Solomon Northup, ci regala anche alcune parole meravigliose, su tutte:
“Io non voglio sopravvivere. Io voglio vivere.”
12 anni d’applausi.

Steve McQueen con questo film non ci prende per mano per raccontarci una storiella edificante, come avrebbe potuto fare uno Steven Spielberg. Steve McQueen ci scaraventa in mezzo al 1800 e ci abbandona lì. Non da soli, bensì insieme a Solomon Northup/Chiwetel Ejiofor, e ci propone una storia differente da quella di altre pellicole sulla tematica dello schiavismo. Solomon era un uomo libero che, da un giorno all’altro, è stato trasformato in uno schiavo. La pellicola mostra cosa significa perdere la libertà per chi la libertà ce l'ha avuta. 12 anni schiavo sbatte in faccia al pubblico della White America e a noi pubblico bianco tutto l’assurdità della schiavitù, ficcandoci in testa una domanda: “E se capitasse a noi? E se facessero questo a noi?”.
La vicenda di Solomon Northup sarà ovviamente vissuta in maniera più vicina dalle persone di colore, ma la sua è una storia universale che racconta la perdita del bene più prezioso dell’uomo, la libertà. Una parola che purtroppo troppo spesso negli ultimi tempi è stata usata a vanvera, fino a essere svuotata del suo vero significato.
Si potrà dire che 12 anni schiavo gioca bene le sue carte per ammiccare le giurie dei premi che contano, Golden Globe così come Oscar. Eppure, in una delle ultime scene, l’inquadratura sul volto di Chiwetel Ejiofor che ritorna a casa non si può considerare una ruffianata. Quella è la rappresentazione della liberazione. La rappresentazione di un uomo che si rende conto di aver riacquistato tutto quello che aveva perduto. Perché la libertà è tutto. Quello è lo sguardo di chi ha smesso di sopravvivere e ora può tornare a vivere.
(voto 8+/10)
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