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domenica 9 novembre 2014

WISH I WAS HERE, BUT ZACH BRAFF IS STILL HERE





Wish I Was Here
(USA 2014)
Regia: Zach Braff
Sceneggiatura: Adam J. Braff, Zach Braff
Cast: Zach Braff, Kate Hudson, Mandy Patinkin, Pierce Gagnon, Joey King, Jim Parsons, Josh Gad, Ashley Greene, Donald Faison, Cody Sullivan, Michael Weston, James Avery
Genere: indie
Se ti piace guarda anche: La mia vita a Garden State, Little Miss Sunshine, Una famiglia all'improvviso – People Like Us, Tutto può cambiare

Come viene detto nella puntata pilota della serie tv The Affair: “Tutti riescono a scrivere un libro. Quasi nessuno riesce a scriverne un secondo valido.” La stessa cosa vale per il cinema. Tutti possono fare un film, soldi permettendo. Il difficile viene quando devi farne un secondo.
Zach Braff dentro alla sua pellicola d'esordio come regista e sceneggiatore La mia vita a Garden State c'aveva messo tutto se stesso. Quella era la sua vita, quella era la sua storia, quello era il suo film. Per farne un altro non ha voluto forzare i tempi. Proprio per niente, visto che gli ci sono voluti ben 10 anni. Tante cose da allora sono cambiate. Il cinema indie ha preso quel suo gioiellino di debutto come esempio da imitare, al punto che un decennio dopo quel modello suona ormai abusato. A Zach Braff però questo non importa. Lui ha voluto fare un film come se fosse ancora il 2004 e in questo sta il limite principale di Wish I Was Here. È un lavoro che oggi appare fuori tempo massimo. Fuori moda. In questo sta contemporaneamente pure il suo pregio maggiore. È un film che se ne frega di cosa è cool oggi. Zach Braff prosegue dritto per la sua strada e per la sua idea di cinema che rispetto al suo esordio non è cambiata per niente. Wish I Was Here è un altro film esistenzialista. Un'altra commedia malinconica. Un'altra pellicola che parla di famiglia e del rapporto con il padre. Un'altra colonna sonora super indie che 10 anni fa apriva la strada alla moda neo-folk e oggi sembra accodarsi a essa. Tra l'altro il pezzo più fico risulta essere l'unico non indie-folk presente, ovvero la brasileira e stilosissima “Kilo” dei Bonde Do Role, segno che forse rinnovarsi un po', anche da un punto di vista musicale, non sarebbe stata così una cattiva idea.

Il personaggio messo in scena da Zach Braff, che possiamo immaginare dalle forti connotazioni autobiografiche, è anche in questo caso quello di un attore/aspirante attore non troppo di successo. Questa volta il suo personaggio è cresciuto, almeno anagraficamente, è un uomo sposato con Kate Hudson (dopo la cotta per Natalie Portman nel film precedente, pure qui se n'è presa una brutta) e ha due figli. Uno è quella faccia da sedere (sia detto con simpatia, eh) di Pierce Gagnon, il bambino insopportabile di Looper e della serie tv Extant; l'altra è Joey King, la grande rivelazione del film, una specie di nuova Chloë Grace Moretz pure lei già vista in tv, nella serie di Fargo.


Apriamo il capitolo tv?
Apriamolo. Il capitolo tv è importante, perché Zach Braff deve il suo successo a Scrubs e non l'ha mica dimenticato. In una scena di questo Wish I Was Here possiamo assistere alla reunion con il suo vecchio amico della serie, il Dr. Turk... ehm, intendevo Donald Faison. Il resto del cast vede quindi impegnati Jim Parsons di Big Bang Theory, Mandy Patinkin di Criminal Minds e Homeland, il simpatico Josh Gad della sitcom 1600 Penn, e in un minuscolo ruolo compare pure James Avery, lo zio di Willy, il principe di Bel-Air, qui alla sua ultimissima apparizione prima della morte. Un cast molto televisivo (sia detto in senso positivo), cui si aggiunge pure la bella (ma non Bella Swan) di Twilight, ovvero Ashley Greene.
Fine del capitolo tv.

"Se stai cercando di apparire più ridicola che in Twilight, mi spiace Ashley,
ma non ci riuscirai mai. Manco conciata così."

Torniamo al capitolo film. Nonostante in Wish I Was Here faccia il padre di famiglia, Zach Braff appare pressapoco sempre lo stesso sprovveduto giovincello che era il J.D. di Scrubs, così come l'Andrew di Garden State, giusto un poco più maturo, proprio poco, qui più alle prese con la tematica ebraica e sempre con alle prese con questioni famigliari. Il punto di vista è questa volta leggermente differente, visto che qui ha il ruolo del padre. Un padre che però non si è scordato di essere anche un figlio. Ne è uscito quindi un film molto intimo, molto famigliare appunto, non a caso la sceneggiatura Zach l'ha scritta a quattro mani insieme al fratello Adam Braff.
A mancare rispetto al film precedente è l'aura di cult generazionale, così come, come detto in apertura, il tempismo. La mia vita a Garden State era una pellicola perfetta per il 2004. Wish I Was Here è un progetto del tutto indipendente, finanziato anche attraverso il sito di crowdfunding Kickstarter come già successo con il film di Veronica Mars, ma venendo fuori nel 2014 appare un'opera debitrice di tanto cinema indie passato negli ultimi anni, da Little Miss Sunshine con la sua famiglia disfunzionale alle comedy in stile Questi sono i 40, solo con un piglio meno volgare rispetto a un Judd Apatow, e riecheggia inoltre la positività emanata da film come il recente Tutto può cambiare.

In Wish I Was Here tutto appare già visto ed è tutto troppo cariiino, il finale è eccessivamente buonista, oserei quasi dire fabiofaziesco, e manca la cattiveria dello sguardo a Hollywood presente ad esempio in un Maps to the Stars. Allo stesso tempo è anche tutto così genuino e sentito, che non ce la faccio a volergli male. Questo è Zach Braff nel 2014 ed è lo stesso identico Zach Braff del 2004. Oggi può apparire meno cool, si può dire che il suo cinema è rimasto fermo a un decennio fa, che non si è evoluto, che non è cambiato, che quello che aveva da dire l'aveva già detto e meglio in La mia vita a Garden State. Eppure, nonostante tutto questo, a me la sua visione del mondo era mancata. È sempre la stessa, ma è ancora un bel vedere.
(voto 6,5/10)

mercoledì 28 dicembre 2011

Homeland: Le meglio serie tv 2011 - n. 1

n. 1 - Homeland
(stagione 1)
Genere: terroristico
In pillole: Carrie Mathison è un’agente della CIA ed è… pazza. Nicholas Brody è stato rilasciato dopo 8 anni di prigionia in Iraq ed è… un eroe. O forse un terrorista. Per tutti gli Stati Uniti è un eroe, per la sola Carrie invece è un terrorista passato dalla parte di Al-Qaeda. Quale sarà la vera verità?
Pregi: il dubbio. Ho dei dubbi sul fatto che Homeland sia una figata? Ma certo che no. È la serie ad essere tutta costruita sul dubbio, o meglio su una molteplicità di dubbi. Chi è buono? Chi cattivo? Chi sta dalla parte degli Stati Uniti? Chi è un terrorista? Chi è sano di mente e chi pazzo?
Attraverso una costruzione del ritmo notevole che non ha un attimo di cedimento lungo tutta la prima stagione, Homeland si è candidato fin da subito come erede di 24, ma in realtà è una sorta di anti-24. Al di là di un possibile confronto politico, 24 repubblicano e "torturista", Homeland democratico e riflessivo, al di là delle differenze tra i protagonisti, Jack Bauer l’uomo indistruttibile e Carrie la fragile psicopatica, entrambe le serie sono un perfetto specchio dei tempi. 24 era la serie giusta al momento giusto 10 anni fa nel post-11 settembre, Homeland lo è oggi in questo eterno post-post-11 settembre. Una riflessione profonda sugli Stati Uniti e sulla civiltà occidentale di oggi, stremata da una guerra al terrore che però non può fare a meno di proseguire.
Homeland riesce poi a regalare una profonda umanità a tutti i suoi personaggi. Di azione ce n’è, ma non moltissima. La tematica del terrorismo è ovviamente centrale, ma non è l’unica. La cosa più importante sono i personaggi. L’agente fuori di testa eppure in grado di vedere le cose da una prospettiva diversa intepretata da una letteralmente pazzesca Claire Danes e il marine reso dallo sguardo ambiguo di Damian Lewis che cerca di ritornare alla realtà e alla sua famiglia dopo anni di prigionia, ma anche i personaggi minori sono tratteggiati con cura non certo minore.
Una serie ricca e profonda sotto tutti gli aspetti, per me er mejo del 2011.
Difetti: se l’ho messa al numero 1, non ne ha molti. Sforzandomi posso però dire che al personaggio della moglie del marine, una pure lei notevole sotto tutti gli aspetti Morena Baccarin, poteva essere dato ulteriore spazio, vista la relazione extraconiugale con il migliore amico del marito lasciata un po’ da parte negli ultimi episodi, così come il personaggio di Mandy Patinkin poteva essere approfondito di più. Ma probabilmente ci sarà tempo per farlo nella prossima stagione…
Intanto da febbraio 2012 Homeland arriva in Italia su Fox Crime. Non perdetela lì, oppure recuperatela già adesso in lingua originale. E quando dico adesso, intendo: ORA!
Personaggio cult: Carrie Mathison (Claire Danes)
Leggi la mia RECENSIONE

giovedì 27 ottobre 2011

omelette

Homeland
(serie tv, stagione 1)
Rete americana: Showtime
Rete italiana: non ancora arrivata
Creato da: Howard Gordon, Alex Gansa
Tratto dalla serie israeliana: Hatufim
Cast: Claire Danes, Damian Lewis, Mandy Patinkin, Morena Baccarin, Diego Klattenhoff, David Harewood, Morgan Saylor, Jackson Pace, Maury Sterling, Navid Negahban, Brianna Brown
Genere: terroristico
Se ti piace guarda anche: 24, Damages, Covert Affairs

Jack Bauer non andava mai in bagno. MAI. Gli episodi di 24 ci mostravano un giorno intero praticamente senza stacchi e senza pause nella vita dei personaggi e Jack Bauer non andava mai in bagno! Vabbé che era quasi un supereroe più che un uomo, però che razza di vescica aveva? In questa nuova serie Homeland, per smentire quindi speculazioni e dissipare i dubbi sul fatto che gli agenti della CIA non lo usino, vediamo quindi subito in una delle prime scene Claire Danes in bagno.
Una promessa (forse non necessaria, di certo stupida) per spiegare come Homeland sia in qualche modo la serie erede di 24, ma allo stesso tempo è anche qualcosa di diverso.
Innanzitutto, Homeland è tratto dalla serie israeliana Hatufim (Prisoners of War), un ulteriore segno di come le idee originali gli americani le abbiano finite da un pezzo, visto che ormai prendono ispirazioni da telefilm UK (Shameless, The Office, Being Human, Skins, a breve Misfits…) e anche danesi (The Killing). A quanto pare, sono talmente alla frutta che sono persino tentati di adattare due serie italiane: Tutti pazzi per amore e Squadra antimafia - Palermo oggi (ma al momento si tratta solo di un interesse iniziale, quindi non è detto che i progetti vadano in porto).
Dietro a questo adattamento realizzato però in salsa molto yankee ci sono Howard Gordon e Alex Gansa, che già avevano lavorato alle sceneggiature di 24. E si vede. Rispetto alla leggendaria serie con Kiefer Sutherland, in Homeland lo stile non è così altamente marcato, quindi niente split-screen, telefoni dal suono che mi risuona nelle orecchie ancora adesso, orologi e tempo cronologico rispettato al secondo. Ciò che però accomuna le due serie è la tematica del terrorismo, l’intreccio dei personaggi costruito alla perfezione e una simile atmosfera tesa e adrenalinica.
La differenza principale la fanno invece i protagonisti, come giustamente sottolineato da Telesofia: laddovè Jack Bauer era più uomo d’azione, la protagonista di questa serie Carrie Mathison (interpretata da Claire Danes) agisce più a distanza, cerca di osservare il problema terrorismo da un punto di vista differente ed è un tantino più riflessiva. Cosa che significa: per adesso nada interrogatori Guantánamo style che rappresentavano il diletto prediletto del sadico Bauer.




La vicenda principale di questa serie prende il via quando il soldato Nicholas Brody (Damian Lewis dell'ottima serie crime Life) viene ritrovato dai marines dopo che era stato sequestrato per tipo 8 anni da quelli di Al-Qaeda. Un salvataggio miracoloso e insperato che ottiene ovviamente un grande risalto sui media (in particolare i Quarto Grado e gli Studio Aperto a stelle e strisce), con Brody che viene riaccolto in patria come un vero e proprio American Hero, con tanto di champagne e puttane. (quest'ultima parte me la sono inventata).
Tutto è bene quel che finisce bene? Potrà tornare a casa a riabbracciare i due figlioletti e la moglie brasileira Morena Baccarin (recentmente capo dei Visitors nel poco riuscito remake V ma qui decisamente più convincente e nuda), la quale però nel corso degli anni, rimasta sola, si è data da fare con… un classico: l'istruttore di sci? No, con il migliore amico del marito. Un classico che però è sempre in grado di gettare in mezzo a una situazione complicata e bella tesa.
Il problema però non è questo. Il problema è che forse Brody non è esattamente l’American Hero che tutti ritengono sia.
Tutti, tranne una. L’agente della CIA Carrie. Secondo lei Brody ha tradito gli Usa ed è ora al servizio di Al-Qaeda e di Abu Nazir, che è una sorta di Bin Laden di questa serie. Ecco perché è stato portato in salvo dopo un così lungo periodo. Per provare questa teoria cui solo lei crede, dovrà però trovare delle prove e lo farà spiando Brody giorno e notte con le telecamere piazzate in casa sua, in quello che diventerà il suo personale Grande Fratello. Ma avrà davvero ragione lei? (a quanto pare negli Usa non prendono Canale 5 e quindi senza Alessia Marcuzzi e compagnia trash si arrangiano alla meglio...).

C’è un piccolo dettaglio comunque che potrebbe non rendere del tutto credibile la sua versione della storia. Carrie sguardo di Satana infatti è sì un’agente della CIA addestrata e preparata che sa fare ottimamente il suo lavoro, ma è anche - eccolo, il piccolo dettaglio -   psicotica. Paranoica. Pazza. Non furiosa, ma quasi. Potrebbe arrivarci ad esserlo nelle prossime puntate. E io sinceramente lo spero, perché se adesso la serie è già una notevole figata, innescando la miccia della follia della protagonista potrebbe diventare una bomba micidiale, tipo bomba Maradona o meglio bomba Lavezzi.
Pazzesca oltre al personaggio anche l’interpretazione di Claire Danes, eterna promessa fin dai tempi della serie anni ’90 My So-Called Life, un cult andato in onda per una sola stagione negli Usa e mai arrivata in Italia (strano, eh?), e poi Giulietta di Romeo + Juliet accanto a Leo DiCaprio. Lì sembrava davvero arrivato il momento giusto per lei e invece la sua carriera si è un po’ arenata, ma con questo notevole ruolo sembra proprio tornata in carreggiata.

Oltre a sceneggiature di ferro e a interpretazioni notevoli, a caratterizzare questo Homeland, sicuramente una delle serie migliori uscite dall’autunno telefilmico americano e la prima novità ad essere già confermata per una seconda stagione, è inoltre uno strambo andamento jazz. Ci sono serie rock (Shameless), post-rock (Friday Night Lights), indie (New Girl), pop (Glee, Pretty Little Liars), emo (The Secret Circle, The Vampire Diaries)… e questa invece è una serie jazz. Il jazz migliore, però, quello più imprevedibile e dinamico. Raphael Gualazzi, non sto parlando di te! E Hugh Laurie/Dr. House, nemmeno di te!
(voto 8/10)

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