Nuovo fine settimana, che ormai inizia sempre prima, e nuovo appuntamento con la rubrica che potete leggere sia su Pensieri Cannibali che sul WhiteRussian del mio rivale Mr. James Ford. Anche se da lui in genere la trovate in ritardo. Molto in ritardo.
L'ospite della puntata di oggi è Carlo Cerofolini, autore del blog I cinemaniaci. Si rivelerà più cinemaniaco di Me e di Ford?
Più maniaco di lui, non credo. Scopriamo comunque subito i commenti ai film in arrivo nelle sale.
La casa di Jack
"Sta zitta! Non è vero che me la prendo solo con le donne. Anche a quel Ford ad esempio farei volentieri del male."
Cast: Valerio Mastandrea, Sabrina Ferilli, Marco Giallini, Alba Rohrwacher, Vittoria Puccini, Rocco Papaleo, Silvio Muccino, Silvia D'Amico, Vinicio Marchioni, Alessandro Borghi, Giulia Lazzarini
C'è una tavola calda che si chiama The Place in cui è possibile trovare qualcosa che non si trova in qualunque bar, o ristorante, o locale. Il gelato Winner Taco della Algida?
No, intendo qualcosa di più raro ancora. Un uomo misterioso che realizza i desideri delle persone. Una specie di genio della lampada, solo senza lampada, con un colorito meno Avatar e in grado di realizzare un solo desiderio alla volta, non tre. Inoltre, lui ti chiede qualcosa in cambio. È come una specie di patto col diavolo. Quid pro quo, Clarice. Spinto dalla curiosità e dal mio spirito da reporter, ho trovato questo locale e ho incontrato questo fantomatico uomo. Ecco cos'è successo.
Bravi. Io invece mica tanto, anche perché non mi sembrano dei più fenomenali immaginabili.
In ogni caso, mi tocca commentarli comunque e sempre insieme al mio blogger rivale, Mr. James Ford. A chi toccherà il disonore di farlo con noi?
In questa puntata della rubrica sulle uscite l'ospite è Mick, nome completo Michele Paolino, l'autore del blog Pulp Standoff. Non conoscete questo sito? Rimediate subito. D'altronde, come si fa a non essere incuriositi da un blog che si chiama Pulp Standoff e non - per dire - White Russian?
Rampage - Furia Animale
"Sì, questo film racconta davvero dell'amicizia speciale tra me e un gorilla, un certo Ford."
C'è una cosa che tutto il mondo si stava chiedendo in questi giorni.
Dopo essere stato eletto Presidente degli Stati Uniti e scelto come Person of the Year dal prestigioso Time magazine, Donald Trump sarebbe comparso anche nella classifica dei Men of the Year 2016 di Pensieri Cannibali?
La risposta al quesito che stava tenendo milioni, forse miliardi di persone con il fiato sospeso è...
Assolutamente no, fanculo Trump!
Nell'elenco degli uomini dell'anno di Pensieri Cannibali comunque i nomi discussi e discutibili non mancano. Scoprite chi è riuscito a finire nella lista, subito dopo aver ricordato i vincitori delle annate passate.
Ci sono 10 livelli di rottura di coglioni, da quello meno fastidioso a quello più insopportabile.
A dire il vero Rocco Schiavone, il protagonista interpretato da Marco Giallini della serie chiamata... Rocco Schiavone, parte dal sesto livello e sale fino al decimo.
Io però ho deciso di compilare tutti e 10 i livelli di rottura di coglioni, in questo caso legati al mondo delle serie tv.
Ho visto Perfetti sconosciuti e ho deciso di fare un po' la stessa cosa dei protagonisti. Nel film, un gruppo di amici di lunga data si ritrova per una cena e una di loro, Kasia Smutniak, ha la brillante idea di proporre un giochino innocuo: per dimostrare che nessuno di loro ha segreti, o qualcosa da nascondere, o che sta facendo le corna al compagno, nel corso della serata tutti renderanno noto ciò che gli arriva sullo smart phone, che siano messaggi, telefonate o notifiche dai social e dalle app.
Io invece, per trasparenza nei confronti di voi miei amati lettori, renderò noto tutto quello che mi arriva sul computer e sul cellulare mentre preparo la recensione della pellicola.
Perfetti sconosciuti
(Italia 2016)
Regia: Paolo Genovese
Sceneggiatura: Paolo Genovese, Rolando Ravello, Filippo Bologna, Paolo Costella, Paola Mammini
Cast: Giuseppe Battiston, Anna Foglietta, Marco Giallini, Edoardo Leo, Valerio Mastandrea, Alba Rohrwacher, Kasia Smutniak
Genere: (quasi) perfetto
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Perfetti sconosciuti?
Perfetti sconosciuti un cavolo! Questi ormai sono ovunque, peggio di Belen dei tempi peggiori... volevo dire dei tempi migliori. Il film di Paolo Genovese sta conquistando qualsiasi premio nazionale immaginabile: David di Donatello, Ciak d'oro, Globi d'oro, in attesa dei Nastri d'argento e dei Pensieri Cannibali Awards. E non solo in Italia. Persino al Tribeca Film Festival di New York City, e non ho mica detto San Germano Vercellese, si è portato a casa un riconoscimento per la sceneggiatura.
Sceneggiatura che poi è il punto di forza principale della pellicola, ed è questa la cosa che sorprende di più. Il cinema italiano di oggi vanta una serie di grandi registi: Sorrentino, Guadagnino, Garrone, etc., ma il problema di molte pellicole nostrane sta nel fatto che non sempre a una grande direzione corrisponde un grande script. Per Perfetti sconosciuti vale un po' il contrario. È girato in maniera diligente e impeccabile, per carità, però non è che spicchi tanto da un punto di vista estetico. Colpisce più che altro per la sua brillante scrittura. A cominciare dal paragone tra uomini e donne e PC e Mac, si parte per una lunga serie di dialoghi irresistibili e di trovate che tengono con il fiato sospeso, come se ci trovassimo di fronte a un thriller serrato, anziché a una commedia all'italiana. In effetti, più che alla solita nostra commediola, sembra essere di fronte a un Carnage, solo più accessibile e nazional-popolare rispetto al lavoro radical-chic di Roman Polanski. Oppure sembra di trovarsi di fronte alla pellicola (anti)romantica su relazioni e tradimenti perfetta per i nostri tempi, un po' come lo era Closer una decina d'anni fa...
Aspettate. M'è arrivata una notifica su Facebook.
Mi ha mandato qualcosa Porcellina99. Non l'ho mai incontrata nella vita reale e non l'ho mai vista in faccia, però ha un gran corpo e inoltre non potevo mica rifiutare la richiesta d'amicizia da una con un nome del genere. E poi tanto è maggiorenne, no?
2016 – 1999 = non sono bravo con i numeri, però a 18 anni ci arriva, vero?
Cast: Edoardo Leo, Marco Giallini, Catrinel Marlon, Lisa Bor, Ivano Marescotti
Genere: Truffaut truffaldino
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Cast: Carlo Verdone, Pierfrancesco Favino, Marco Giallini, Micaela Ramazzotti, Nicoletta Romanoff, Diane Fleri, Nadir Caselli, Maria Luisa De Crescenzo, Valentina D’Agostino, Giulia Greco
Genere: in crisi
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Carlo Verdone ai tempi della crisi.
Basta una frase per riassumere per intero la sua “nuova” (si fa per dire) pellicola. Il resto, potete anche immaginarvelo da soli. Se avete familiarità con il suo cinema e soprattutto con le sue ultime prove, non avrete bisogno di una grande fantasia.
Se poi vi racconto in breve la trama, gli sviluppi successivi li capirete già da soli, senza nemmeno che io abbia il bisogno di spoilerarvi niente. Peccato, perché è un piacere perverso spoilerare. Sai che fai qualcosa di sbagliato, ma non puoi farne a meno. E allora voglio spoilerarvi il finale: alla fine tutti muoiono! Provano così a entrare in Paradiso ma sono in troppi, c’è più coda che alle poste italiane e allora rimangono in piedi. Da qui il titolo del film.
No, non è vero che va a finire così. In realtà, il vero finale è ancora più una cagata di questo.
"5? Ma come 5? Quello sta fuori!"
Torniamo alla trama del film, quella vera: Carlo Verdone e i prezzemolini del cinema italiano Marco Giallini e Pierfrancesco Favino sono tre uomini di mezza età che non si conoscono, ma che per casini personali e finanziari finiscono a vivere insieme. Espediente narrativo molto da sitcom, e infatti la inutile sitcom americana The Exes parte proprio da un’ideona del genere, che però può aprire a varie situazioni comiche e persino a riflessioni sulla situazione attuale, su come la crisi economica abbia cambiato gli stili di vita eccetera. Due porte che il film di Verdone apre anche, solo che: dal punto di vista comico è uno dei suoi film più avari di risate liberatorie e i momenti davvero esilaranti sono assenti; dal punto di vista “drammatico” è scontato, piatto, non dice niente di nuovo.
Quanto a Marco Giallini e Pierfrancesco Favino, alla faccia della crisi loro lavorano come due forsennati e dopo A.C.A.B. tornano pure a farsi vedere insieme. È vero che se la cavano discretamente bene pure qui alle prese con la commedia, almeno per gli standard nostrani, però un po’ di ricambio nelle facce del cinemino italiano no, eh?
"Carlé, ripetimi ancora: che voto hai detto che ci ha dato?"
"Solo 5, anche se c'è 'sta gran fregna della Ramazzotti con gli occhiali da hipster."
E poi, naturalmente, c’è la storia del Carletto con la donna più giovane. Che poi è il vero motivo per cui si mette d’impegno a lavorare su un film nuovo. Dopo le varie Claudia Gerini, Regina Orioli (ma che fine avrà fatto?), Natasha Hovey di Compagni di scuola (che fine avrà fatto pure lei?), la nevrotica Margherita Buy (una che era meglio perderla che trovarla) e la Laura Chiatti dell’ultimo Io, loro e Lara, è il turno ora di Micaela Ramazzotti. Micaela Ramazzotti, già ammirata in La prima cosa bella e - meglio precisarlo - NON parente dell’insopportabile Eros Ramazzotti, raccoglie in pieno il testimone di classica tipa verdoniana: immancabilmente fissata con uomini più vecchi - diciamo anche mooolto più vecchi - di lei, gnocca quanto stramba e naturalmente nevrotica. Ma non ai livelli di Margherita Buy, grazieDio.
Come gnocca bonus compare poi Diane Fleri, nei panni della ex di Verdone, perché non solo si deve fare donne molto ma molto più giovani di lui, ma deve pure divorziare da donne molto ma molto più giovani di lui.
"Tié, Cannibal. Tu su Metro ti puoi solo sognare di scrivere!"
Io comunque non gli riesco a voler del male, al Carletto. Però è davvero porello, il suo ultimo film. Dignitoso più di altre pellicole made in Italy viste negli ultimi tempi, quanto allo stesso tempo del tutto inutile e prevedibile dall’inizio alla fine. Come intrattenimento di livello medio-basso e una serata disimpegnatissima può andare bene, però io da un Verdone pretenderei ancora un intrattenimento non dico alto ma almeno di livello medio-alto. Illuso me.
E il finale super mega buonista no, Carlè. Eddaje, che ‘mme combini? Un finale così nun se pò vedè.
Carlo Verdone ai tempi della crisi. Economica, ma soprattutto di idee. Un po’ come questo post in cui sono andato a riciclare la frase di apertura per la chiusura.
Che dici, Carlé, so riciclare le idee abbastanza per poter scrivere la sceneggiatura del tuo prossimo film?
Cast: Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro, Marco Giallini, Andrea Sartoretti, Domenico Diele
Genere: celerino
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Celerino, figlio di puttana.
Non sto cercando di insultare nessuno. È solo che questa cantilena, questo coro da stadio, è la cosa che più rimane impressa in testa finita la visione di A.C.A.B.. Quando un film si fa ricordare solo, o quasi, per una cosa del genere, per un inno da ultras, fate voi se entrerà nella storia del cinema…
A.C.A.B. prende il titolo in prestito da una canzone dei 4-Skins, gruppo di punk skinheads degli anni ’80, un inno più o meno nazi contro i poliziotti bastardi (anche in questo caso non sto cercando di insultare nessuno, lo dice la canzone e pure il titolo del film).
Il giro di basso del pezzo è simile a quello di “Seven Nation Army” dei White Stripes, usata a inizio pellicola e che suona quasi come una sigla. Cosa interessante, perché A.C.A.B. potrebbe essere la puntata pilota piuttosto valida di una serie tv. Quello che manca invece è l'odore del cinema vero. Con questo non voglio intendere che le serie televisive siano di serie B rispetto ai films. Assolutamente no. Chi mi conosce lo sa, non sono più carabiniere. E, citazioni di Alberto Tomba a parte, chi mi conosce lo sa che adoro i telefilm.
Però c’è differenza tra i due mezzi. A.C.A.B. suona come la premessa per qualcos’altro. Introduce i personaggi, nessuno particolarmente memorabile comunque, ce li fa incontrare, ci fa stringere la loro mano, ma non riusciamo a conoscerli davvero fino in fondo. Non riusciamo ad avere una vera conversazione con loro. Solo un veloce scambio di battute. Rimangono stranieri che intravediamo di sfuggita e che poi se ne vanno senza lasciare un segno nelle nostre vite. Per questo dico che come pilot potrebbe funzionare. Stuzzica un po’ di curiosità e lascia intravedere degli sviluppi che eventualmente potrebbero portare a una serie tv valida. Eventualmente. Se l’apertura è da sigla tv, anche la chiusura sospesa sulle note cool dei Kasabian lascia presagire a qualcosa che verrà dopo, a un secondo episodio. Non essendo l’episodio pilota di un telefilm, come pellicola a sé stante lascia invece parecchio perplessi.
Non è un caso allora che il regista esordiente nel cinema Stefano Sollima arrivi proprio dall’esperienza di Romanzo Criminale - La serie, che non starò a commentare visto che ho visto soltanto l’episodio pilota, non mi ha entusiasmato e poi l’ho abbandonata. Un Sollima che a livello visivo se la cava anche bene, peccato che al suo film manchi qualcosa. Cosa? Manca il film.
"Giocate tranquilli, Azzurri, ma se fate pena agli Europei ve famo un culo così!"
A.C.A.B. ha spezzato in due il pubblico e la critica, tra chi l’ha esaltato come grande novità per il cinema italiano, finalmente una pellicola coraggiosa e moderna, e chi l’ha bollato come una boiata assoluta, una visione stereotipata del corpo di polizia, uno pseudo documentario sulle forze dell’ordine o poco più.
Questa volta mi tocca fare la Svizzera neutra della situazione, benché odi farlo, e tenderei a sminuire sia gli entusiasmi degli uni che le critiche feroci degli altri.
Di nuovo, fondamentalmente, in questo film non c’è niente. Per il cinema italiano vecchio non come la politica italiana, ma quasi, capisco che possa anche apparire come qualcosa di moderno o quantomeno al passo coi tempi, però il confronto con ad esempio il ben più vitale cinema francese di oggi è impietoso. Polisse ad esempio parte da un assunto parecchio simile, quello di raccontare in maniera nuda e cruda, senza filtri né censure, la vita di un corpo di polizia. In quel caso l’Unità di Protezione dei minori di Parigi, in questo caso i celerini (figli di puttana) di Roma.
Ma chi o cosa è un celerino (figlio di puttana)? Meglio chiedere a Wikipedia per una risposta precisa ed esauriente.
“Celerino è il nome tradizionale degli agenti della Polizia di Stato impegnati nelle operazioni di ordine pubblico. Il nome deriva da "la Celere", ovvero l'insieme dei "Reparti Celeri" autotrasportati di Pubblica Sicurezza istituiti nell'immediato dopoguerra dal ministro Giuseppe Romita adibiti al pronto intervento (da cui il nome) di piazza. Oggi questo servizio viene svolto dai Reparti Mobili della Polizia di Stato.”
"Occhio, Cannibal, che se fai il furbo ce n'è anche per te!"
Se Polisse riesce a rendere a 360° non solo la vita professionale ma anche gli aspetti personali dei suoi vari protagonisti, lo stesso non si può dire di un ACAB che se la cava ancora ancora nel raccontare la dimensione lavorativa degli sbirri, ma fallisce ampiamente nell’offrire un vero spaccato sul piano personale. Ci sono un sacco di stereotipi, che non metto in dubbio siano anche veri, come le simpatie nazi-fasciste (ma This Is England era tutt'altra cosa), il tipo che si sposa con la cubana, l’altro tipo che cerca l’aiuto di un politico del PDL (cosa che probabilmente impedirà al film di passare mai su Mediaset), però è tutto raccontato in maniera superficiale. Anche gli stessi legami tra i celerini non sono poi così definiti. Si parla tanto di spirito di squadra e di attaccamento ai valori (quali?), ma il momento di unione maggiore è giusto quello di un episodio di nonnismo goliardico.
Cercando invece tra gli aspetti positivi, i personaggi non prendono vita del tutto, è vero, eppure lasciano la voglia di scoprire qualcosa in più su di loro. Su tutti spicca soprattutto il celerino perennemente incazzato interpretato da Pierfrancesco Favino, attore che sto rivalutando negli ultimi tempi, ma anche gli altri non sarebbero poi così male, in bilico come sono tra l’essere dei veri inglorious basterds e il cercare di tirare avanti dignitosamente con le loro vite. Sono sbirri stile The Shield all’amatriciana che sfogano le proprie frustrazioni personali sul lavoro, eppure hanno anche qualche lampo di umanità e di senso della giustizia che in qualche distorto modo ogni tanto viene fuori. Personaggi certo non positivi eppure nemmeno del tutto negativi, personaggi quindi sfaccettati e vivi che avrebbero avuto solo bisogno di un maggior approfondimento.
Già pronto il sequel del film...
Il film di Sollima, tratto dall’omonimo libro del giornalista Carlo Bonini e l'approccio giornalistico se sente, non riesce a trovare una via del tutto sua. Tra tentazioni di un approccio documentaristico contrapposto a un approccio spettacolare, finisce per prendere una via spesso più videoclippara che cinematografica e soprattutto rischia in diversi punti di finire nel cronachistico, con troppi riferimenti all’attualità (ormai non più così attuale), dal caso Reggiani alla morte di Gabriele Sandri. Così come anche un’altra produzione italiana recente come Romanzo di una strage (Diaz invece devo ancora vederlo), non riesce a trasformare la cronaca in grande cinema, appiattendosi quando va male su stilemi ancora troppo vicini alle fiction nostrane, oppure quando va bene agli speciali di Mtv News, peraltro alcuni, come quello sui ragazzi terremotati di L’Aquila, più interessanti di questo ACAB.
Pur con vari limiti e difetti e pur avendomi lasciato con una sensazione di ennesima occasione fallita per il cinema italiano, l'esordio di Sollima è comunque una visione che vale la pena di affrontare ed è in grado di fornire qualche spunto di riflessione. In più, una bella scena ce la regala pure, grazie al pogo liberatorio di Favino sulle note di “Police On My Back” dei Clash.
Anche se la “canzone” che rimane impressa nella testa alla fine è un'altra…
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Trama semiseria
Una famiglia benestante, di sinistra e pure -massì- molto radical-chic, organizza un weekend con gli amici nella cascina in campagna. La figlia di Sergio Castellitto e Laura Morante invita per l’occasione il suo fidanzatino… un giovincello interpretato da Enzo Jannacci. Come la prenderà il padre che era già pronto ad accogliere amichevolmente qualsiasi tipo di (futuro) genero, persino un terrorista islamico, ma er vecchio maprione no?
Recensione cannibale
Capita alle volte, e anche spesso, di ignorare alla grande alcuni attori e registi. Poi a un certo punto per caso li scopri e scopri che non erano poi così male. È quanto successo a me con Sergio Castellito che fin’ora non avevo mai cagato più di tanto e invece dopo questa piacevole sorpresa del somaro mi sono andato a riscoprire pure con il precedente Non ti muovere. Ma procediamo con ordine e senza spingere, per favore.
La bellezza del somaro è un film profondamente radical-chic con una serie di personaggi tutti radical-chic. Io però sono talmente radical-chic da riconoscermi più in un modello radical-chic internazionale che non in quello italiano qui proposto, quello per dire che ascolta Paolo Conte, pensa che Fabio Fazio faccia rima con Dio e vota Rutelli, ché Bersani è già troppo estremo e sovversivo.
Nella galleria di personaggi che si ritrovano a passare insieme un tranquillo weekend in campagna c’è naturalmente Sergio Castellitto, architetto di successo, sposato con la solita nevrotica Laura Morante ma che si consola con l’amante stragnocca Lola Ponce. I suoi amici sono molto radical pure loro, come il divertente farfallone Marco Giallini (daje Giallì, che sei er mejo!) e Gianfelice Imparato con perenne bluetooth all’orecchio perché segue un corso intensivo d’inglese. Laura Morante oltre ad essere la solita nevrotica è per giunta pure una strizzacervelli che si porta con sé per il weekend in the country house anche un paio di pazienti schizzati: la rompicojoni Barbora Bobulova e un tizio fissato con la morte e col suicidio che si guarda ossessivamente Il settimo sigillo di Bergman, perché anche la follia vuole la sua bella componente radical-chic.
Il personaggio migliore e più chic è però quello della figlia interpretata dalla splendida Nina Torresi, una rivelazione assoluta. È bello vedere finalmente un volto nuovo e fresco al di là dei soliti noti (e a volte nemmeno tanto noti) che si alternano in tutti i film possibili. Alba Rorhwacher, ti fischiano per caso le orecchie? La giovincella ha una vita sentimentale parecchio travagliata e intorno a lei ruotano tutta una serie di ragazzi. E non solo ragazzi. Per il weekend in campagna infatti la nostra invita a sorpresa il suo fidanzato segreto: un 70enne interpretato da Enzo Jannacci, altro personaggione eccellente di questa commedia; ogni volta che parla tira fuori qualche perla di saggezza, cosa che fa scattare una divertente musichetta quasi da santone.
Di cosa parla dunque questo film? Di una relazione tra un 70enne e una minorenne? Qualche riferimento per caso al Premier? Quando la sceneggiatura è stata scritta i cenni al caso Ruby Rubacuori erano impossibili (ma poi neanche tanto) da prevedere, però c’era già stato il caso Noemi Letizia e quindi sì, i riferimeni magari non sono così casuali, perché come dice una battuta del film: “Berlusconi c’entra sempre.”
Castellitto è riuscito quindi a sorprendermi con una commedia frizzante che fa per me perfettamente il paio con Tamara Drewe, altro film brillante ambientato in campagna, con la sola differenza che là i protagonisti radical-chic erano inglesi. La colonna sonora, per quanto nulla di innovativo, grazie a Cranberries e 50 Cent (P.I.M.P. in un film di Castellitto? Yes we can!) è comunque nettamente superiore a quella di Non ti muovere (come vedremo tra poco).
Ho già detto che è La bellezza del somaro è un bel film profondamente radical-chic? Sarà per questo che, uscito nel periodo natalizio, è stata una delle poche commedie italiane a floppare. Evidentemente non era abbastanza una minchiata per attirare i consensi del grande pubblico (somaro).
(voto 7+)
Non ti muovere
(Italia 2004)
Regia: Sergio Castellitto
Cast: Sergio Castellitto, Penelope Cruz, Claudia Gerini, Angela Finocchiaro, Marco Giallini, Elena Perino
Genere: drama
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Trama semiseria
Sergio Castellitto è un chirurgo che un giorno si vede arrivare in ospedale la figlia, a rischio dopo un incidente quasi fatale col motorino. In questa tragica occasione, Castellitto rivive in flashback alcuni momenti del passato, tra cui anche la storia d’amore malato e violento con la brutta Penelope Cruz. Una Penelope Cruz brutta, avete capito bene, e non è un film di fantascienza.
Recensione cannibale
Dopo aver visto due film (su tre) del Castellitto regista/attore/sceneggiatore, posso dire che possiede un tocco personale piuttosto marcato e preciso. Non so se si può parlare di tocco autoriale vero e proprio, però di certo il Sergio nazionale c’ha alcune caratteristiche che rendono i suoi film vivi. Il suo cinema cerca di indagare nei lati oscuri dei personaggi e in questo Non ti muovere in particolare va a scavare dentro l’ego(centrico) chirurgo da lui stesso interpretato, con le sue perversioni, la sua voglia di fuggire dalla moglie Gerini e da una vita fatta di certezze per cercare il sesso (e l’amore) randagio di una povera zingara bruttina; il fatto che la splendida Penelope Cruz risulti credibile in una parte del genere dimostra tutta la bravura di questa notevole attrice spagnola.
Va anche sottolineato però come non tutto funzioni alla perfezione e come alcuni elementi del mondo di Castellitto non coincidano con il mio mondo ideale: la colonna sonora in primis, davvero discutibile (ma diciamo anche sull’orribile andante) con Vasco, Europe, Toto Cutugno e Nino Buonocore (?!?!?). Eppure in qualche strano modo risultano, se non gradevoli, quanto meno funzionali al racconto, visto che la musica agisce come da motore scatenante dei vari flashback del protagonista. Epperò è anche vero che con delle canzoni migliori l’effetto sarebbe risultato più efficace, però il cinema di Castellitto è molto personale e va quindi tenuto così, con i suoi difetti. Per lo meno va apprezzato il fatto che non abbia cercato di snaturarsi proponendo delle scelte musicali non sue. Altra componente non proprio gradita, almeno da me, è una tendenza eccessiva all’enfasi, al recitato urlato, tipica purtroppo di molto cinema italiano. Sarà che preferisco le emozioni più delicate, sussurrate. Gli strilli preferisco lasciarli ai programmi tv spazzatura tipo GF (con cui comunque specifico, prima di essere frainteso, che questo film NON ha nulla a che fare).
Non ti muovere è un film di sentimenti, ma non di buoni sentimenti. È anzi una pellicola che sa essere cattiva e picchiare forte, per quanto alla fine scelga di non affondare del tutto il pugno dentro lo stamaco. Anche se ho preferito leggermente il tocco più leggero e scanzonato de La bellezza del somaro, il cinema del Sergio nazionale me lo prendo tutto così com’è, anche con i suoi difetti, anche con le sue componenti che non mi piacciono (altro esempio: Angela Finocchiaro, NON credibile come attrice che faccia commedie o drammi), perché sono tutte parti che contribuiscono a creare un’insieme di forte personalità. E con le forti personalità non si può scendere a compromessi e si devono prendere con il pacchetto completo. Che al discount magari te lo vendono pure in offerta speciale. Basta che non ti muovi.
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